Gilda Policastro: intervista su “Cella” / 7

by
Emma Bovary

Emma Bovary

giuliomozzi intervista Gilda Policastro

[Poco più di un mese fa è apparso presso Marsilio – l’editore per il quale lavoro – il romanzo di Gilda Policastro Cella. Policastro ha pubblicato presso Fandango Il Farmaco (2010) e Sotto (2013). In vibrisse si può leggere il suo intervento nella serie La formazione della scrittrice. gm].

Ti dirò, Gilda: io sono purtroppo uomo privo d’ambizione; e ho stabilito da un bel po’ di tempo – diciamo da un quarto di secolo; tenuto conto che ho qualcosa di più di mezzo secolo di età – di desiderare solo ciò che già ho. Mi pare più pratico. Perciò, quando faccio un libro, se qualcuno ne parla sono contento; se qualcuno lo apprezza sono contento; e di ciò che non avviene non mi do pensiero. Recentemente ho presa l’abitudine di fare dei piccoli siti dove raccogliere le recensioni: ma così, tanto per dare agli eventuali interessati uno strumento. Certi libri miei sono caduti nel vuoto assoluto: pazienza, magari avrò sbagliato io. Sicuramente un paio di libri li ho sbagliati di brutto (e dico, per esempio: Fiction, Il culto dei morti nell’Italia contemporanea).Quanto alle cosiddette presentazioni, ormai le faccio quasi solo in case private, presso persone che mi invitano. E’ una situazione tutta diversa da quella dell’incontro pubblico, e molto interessante.
Ma tornando a Cella: certo, una qualunque voce nevrotica o psicotica non vuole altro che continuare a parlare, a essere voce; ovvero resistere un quarto d’ora, o anche solo cinque minuti, più del nemico (che sarà la normalizzazione, o l’oppressione, o la marginalizzazione, o tutte queste cose e altre insieme). Il primo romanzo interamente costituito da una voce così, nella mia storia di lettore, fu probabilmente, tanti anni fa, Memoriale di Paolo Volponi: lo leggevo, e mi meravigliavo della “tenuta”, della “indefettibilità” della voce di Albino Saluggia. E mi viene dunque da dire: avresti voglia (di queste, lo sai, i lettori sono ghiottissimi) di allestire una costellazione di opere da te lette che stiano in qualche modo intorno, o vicino, o lontane ma come le stelle che ci orientano, a Cella? Io mi sono immaginato le mie (e una è per l’appunto Memoriale), ma le dico solo dopo…

GildaPolicastro_CellaHo stilato un elenco proprio qualche giorno fa, per un incontro che avrò con degli studenti universitari. Il primo è senz’altro La prigioniera: uno dei titoli alternativi a Cella avrebbe potuto (o voluto, fino a un certo punto della stesura del libro) essere questo, l’omaggio scoperto alla fonte di tutte le narrazioni novecentesche. Un omaggio peraltro protratto perché, come ho già detto, Proust ha ispirato direttamente già l’altro mio libro, Sotto, soprattutto rispetto al tema della gelosia, ma comunque il personaggio dell’amata costretta più o meno suo malgrado a una prigionia per così dire dorata è uno dei motivi generatori anche di questa vicenda. Un altro riferimento fondamentale per Cella è Madame Bovary, ma in generale Flaubert: non tanto o non solo per le scene o i passaggi che i critici hanno individuato (tra gli altri, quello celeberrimo da L’Éducation sentimentale che apre uno dei miei capitoli e che non per caso però in Flaubert invece praticamente chiude la vicenda: la condizione della mia protagonista è di fatto una condizione stagnante, non prevede mutamento, né un vero finale), ma soprattutto per la costruzione della pagina, i ritorni di sequenze o di immagini, infine per il tono, indubbiamente malinconico, laddove i miei libri precedenti erano, come ha detto qualcuno, “pulsionali”. Un’altra donna importante (e in effetti sono ovviamente quasi tutte protagoniste femminili ad avermi ispirato) è Mrs Ramsay di Gita al Faro, anch’essa un personaggio in sottrazione e al tempo stesso introspettivo, come nella tradizione modernista che incarna. E poi c’è il libro citato esplicitamente, che è Il maestro di go di Kawabata, di cui la protagonista parla a un certo punto al figliastro: glielo aveva regalato Giovanni, non ne ricorda la fine, ma ricorda che la battaglia psicologica combattuta tra il vecchio maestro orientale e l’allievo si basava su quella massima che citavamo ieri, del quarto d’ora in più di resistenza, indispensabile alla vittoria. Poi ci sono altri libri, qua e là, che magari hanno ispirato un leitmotiv, un tic verbale (Distante un padre di Milo De Angelis, il quale pure di celle se ne intende e dedica anche nel suo libro ultimo una sezione al motivo della detenzione, che ben conosce per aver insegnato in carcere). E abbiamo già parlato anche delle immagini e in qualche modo chiarito il ruolo che hanno avuto nella composizione del motivo dominante, che è quello della domesticità come prigionia. Quindi Louise Bourgeois e la personale che visitai alla Tate nel lontano 2007, fonte primaria a livello di costruzione metaforica, come abbiamo avuto modo di ribadire. Memoriale mi è stato attribuito, come ascendenza possibile, da Marco Belpoliti nel suo pezzo su La Stampa: ovviamente me ne sono inorgoglita, perché Albino Saluggia, insieme ad Arturo Gerace, è uno dei personaggi culto della mia formazione letteraria sui classici del Novecento. Memoriale è il nostro Lotto 49, se vuoi, un libro sull’indecidibilità tra il complotto e la paranoia. Non so se sia però veramente in linea ideale con il mio, che non esprime realmente nessuna critica sociale, non in forma così diretta come attraverso l’ambientazione in fabbrica, per dire. Volponi è uno dei nostri autori politici, e qualche volta anche ai miei romanzi si concede, non so quanto opportunamente, questo attributo. Il farmaco lo era, politico, in un brillante saggio di Antonio Loreto uscito sul “verri” e Paolo Giovannetti ha provato a rilanciare la categoria per Cella, dove la politica poi peraltro entra per la prima volta in modo esplicito e viene spesso nominata, a differenza che nel primo libro, più metafisico che sociale, per dirla così. L’attribuzione di Giovannetti è più provocatoria di quella di Loreto, che vede la politica nell’operazione di linguaggio, e dunque di visione del mondo che Il farmaco propone (ancora sulla scia dell’antiromanzo o del quasi romanzo, come scrisse il già citato Cortellessa ai tempi) e di cui sono perfettamente consapevole. Cella sarebbe invece romanzo politico in quanto romanzo femminista (addirittura!), sulla scorta di quella letteratura che ricordavo all’inizio, con protagoniste donne, e donne non irreggimentabili, donne che non si piegano alle convenzioni imposte, a partire dal topos dell’idillio familiare. Ma qui torniamo alla nostra pietra dello scandalo: avrei poi riconsegnato l’emissione della voce a Giovanni, se avessi voluto mettere in forma romanzesca una qualche rivendicazione di genere? Più vicina alle mie intenzioni mi pare invece la riflessione di Guido Mazzoni su Cella come romanzo in cui il gender assume una sua rilevanza a prescindere dalla mia esplicita posizione: quello che conta maggiormente nel libro è il legame tra il corpo (soprattutto femminile, ma non solo) e l’invecchiamento connesso alla perdita di potere, in associazione al tema del desiderio merceologico, già pasoliniano, visto che siamo in tempi di anniversari obbligatori. Adesso però sono curiosissima di sentire le tue, di ascendenze possibili…

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2 Risposte to “Gilda Policastro: intervista su “Cella” / 7”

  1. enricomacioci Says:

    Due brevissimi commenti OT, poiché non ho letto il libro di Gilda Policastro:
    1) sono contento che si citi L’educazione sentimentale, secondo me il vero capolavoro di Flaubert. L’ho riletto qualche mese fa dopo anni, con vero stupore: è un libro perfetto!
    2) Giulio: ma possibile che Fiction sia piaciuto solo a me? (e pure un sacco)

  2. acabarra59 Says:

    “ 15 marzo 1974 – Flaubert, L’educazione sentimentale. “ [*]
    [*] Lsds / 581

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