Archive for the ‘Intervista a Gilda Policastro’ Category

La voce di Gilda Policastro

8 aprile 2016
Bologna, 5 aprile 2016. Si parla di Cella, romanzo di Gilda Policastro pubblicato da Marsilio

Bologna, 5 aprile 2016

Martedì 5 aprile 2016 Gilda Policastro ha presentato il proprio terzo romanzo Cella, pubblicato da Marsilio, a Bologna presso la bella libreria Modo Infoshop Interno 4. Con lei Vincenzo Bagnoli e il sottoscritto. Pubblico attento, partecipe, e addirittura numeroso (notati tra i presenti: Gianluca Di Dio, Niva Lorenzini, Loredana Magazzeni, Piero Pieri, Simona Vinci). Cliccando sulla fotografia qui sopra potete ascoltare (in .mp3) la conversazione avvenuta, comprensiva di lettura di due capitoli del romanzo e di una poesia da parte di Gilda.

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“La donna è il proletario del sesso”

9 dicembre 2015

di Elisabetta Rasy

[Questa recensione del romanzo Cella di Gilda Policastro è apparsa nel supplemento domenicale del quotidiano Il Sole 24 ore domenica 6 dicembre 2015].

GildaPolicastro_CellaIl lamento femminile d’amore appartiene a una lunga e nobile tradizione letteraria, dalle Heroides di Ovidio alle seicentesche Lettere di una monaca portoghese fino a La voce umana di Jean Cocteau, un genere letterario in cui, nella lontananza crudele dall’amato, si intrecciano recriminazione e risentimento con ricordi appassionati e rimpianto della felicità perduta.

Ma nel nuovo romanzo di Gilda Policastro, il terzo di questa autrice che è anche poeta e saggista, tale tradizione subisce una radicale metamorfosi: una donna abbandonata piange il suo abbandono, ma se l’assenza dell’uomo è desolante e mortifera, la sua presenza è stata devastante e mortificante. Siamo negli anni Ottanta in un Sud che sceglie della modernità il lato peggiore, passando dalla sottomissione ai potenti alle connivenze col malaffare. Cella, la protagonista alla quale la figlia e il figliastro hanno affibbiato questo soprannome di cui solo alla fine si capirà il significato, è una donna ancora giovane, non ha che trentanove anni, ma ognuno di essi pesa come un macigno su spalle che la vita ha precocemente piegato. Vive in una grande casa in un piccolo paese con la figlia diciottenne con cui, le sembra, non c’è che odio e reciproca vergogna. Entrambe hanno «un fantasma con cui fare i conti, un padre distante». Quello della madre è morto dopo una vita problematica e di discontinua presenza familiare, quello della ragazza, l’uomo di Cella, è lontano, latitante agli occhi della legge ma soprattutto a quelli della sua famiglia: prima del codice penale ha infranto sistematicamente e ripetutamente il codice degli affetti.

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Gilda Policastro: tutta l’intervista su “Cella”

27 novembre 2015
Gilda Policastro

Clicca sul cartello per prelevare l’intervista

Chi volesse leggersi o rileggersi con comodo l’intervista a puntate a Gilda Policastro (a proposito del suo romanzo Cella, testè pubblicato da Marsilio), può cliccare sulla fotografia qui sopra: e otterà un grazioso pdf. (Quanto alla fotografia, è una mia scherzosa elaborazione di una foto di un fotografo il cui nome, nell’originale, era scritto così piccolo che non sono riuscito a leggerlo; e l’opera fotografata – quella a destra – è di Vettor Pisani).

Gilda Policastro: intervista su “Cella”, 10 (fine)

19 novembre 2015

Giosetta Fioroni: copertina del “Tristano” di Nanni Balestrini

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Gilda Policastro: intervista su “Cella” / 9

18 novembre 2015
Marco Giovenale

Marco Giovenale

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Gilda Policastro: intervista su “Cella” / 8

17 novembre 2015
Fëdor Dostoevskij

Fëdor Dostoevskij

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Gilda Policastro: intervista su “Cella” / 7

10 novembre 2015
Emma Bovary

Emma Bovary

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Gilda Policastro: intervista su “Cella”, 6

8 novembre 2015
Gilda Policastro

Gilda Policastro

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Gilda Policastro: intervista su “Cella” / 5

7 novembre 2015
Louise Bourgeois, Cell

Louise Bourgeois, Cell

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Gilda Policastro: intervista su “Cella” / 4

6 novembre 2015
Gilda Policastro

Gilda Policastro

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Gilda Policastro: intervista su “Cella” / 3

5 novembre 2015

giuliomozzi intervista Gilda Policastro

[Poco più di un mese fa è apparso presso Marsilio – l’editore per il quale lavoro – il romanzo di Gilda Policastro Cella. Policastro ha pubblicato presso Fandango Il Farmaco (2010) e Sotto (2013). In vibrisse si può leggere il suo intervento nella serie La formazione della scrittrice. gm]. [La domanda precedente]

Veniamo dunque alle “virgolette fino all’ultima pagina invisibili”, come le chiamavo nella seconda domanda. Ricordo la prima lettura del dattiloscritto: leggevo, leggevo, e io, che ancora adesso che gioco a carte e bevo vino sono rimasto più o meno lo stesso lettore che ero quando a sei anni mi addentravo nei Misteri della jungla nera, prendevo tutto per oro colato. Mi rendevo conto che quella donna che parlava era una donna che delirava, senz’altro, o almeno una che non la contava giusta, o magari una che ci provava a montar su tutta una storia peraltro non abbastanza connessa da essere del tutto credibile; mi rendevo conto che alla storia, alle sue minuzie e alle sue improbabilità, non ero tenuto a credere fino in fondo: ma a quella voce di donna, ti dirò, ci credevo proprio. E invece, vlam!, all’ultima pagina, arrivo a scoprire, seppure con un po’ di dubbio, che quella voce di donna è tutta inventata, e addirittura, è inventata proprio da quell’uomo del quale la voce parla in continuazione, del quale dice le più terribili cose, che descrive come un mentitore totale. E sono rimasto di stucco, davvero. Non me l’aspettavo. Tu hai scritto ieri: “C’è stata la difficoltà di inoculare nel lettore il dubbio che a parlare fosse davvero una donna e quel tipo di donna: a quanto apprendo dalle reazioni dei primi lettori, è un dubbio che sorge immediatamente, ma c’è anche, a fugarlo, un’abitudine a considerare che nella finzione narrativa si diano possibilità non mimetiche, e dunque l’eventualità che una donna semicolta o non colta si possa esprimere in maniera quanto meno avvertita”; ma a me quel dubbio non mi è venuto per niente, finché tu nell’ultima pagina non mi hai spiattellato la verità. Oddio. Che cosa ho detto. Ho detto: tu. Ho detto: la verità. Ma insomma, non ci sono mica rimasto male. Tutt’altro. E’ il più grande dei miei piaceri, credere alle storie. Ma il piacere che viene subito dopo, nella classifica, è lo svelamento. Come quando avevo meno di sei anni, e mi raccontavano le storie di paura, e poi mi dicevano: “Ma non è mica vero, suvvia!”. E quindi quando ho riletto mi ci sono addentrato diversamente nel testo, e ho ancora goduto di non riuscire a venirne a capo: perché, allora, se quella voce di donna è finta, e finta da un personaggio, quel documento che c’è nel testo, il diario della terrorista, che cos’è? E’ finto anche quello? O è vero? Oddio, che cosa ho detto. Ci sono cascato di nuovo.

GildaPolicastro_CellaLuca Ricci ha accostato il procedimento che tu descrivi al sistema figurativo escheriano, in riferimento a Cella: non si capisce bene in effetti da quale verso e in quale senso vada intesa la prigionia e chi (ne) stia parlando, alla fine. E questo non per gusto del gioco degli specchi o delle moltiplicazioni dei punti di vista, ma perché la voce che racconta è una voce che prova a non avere un’identità definita nel senso del gender, proprio a partire dal fatto che invece riprende in modo esibito il cliché delle contrapposizioni donna-uomo, dentro-fuori, ratio-thumos. In particolare rispetto al dentro-fuori, che ci riporta alla metafora iniziale, quella tematizzata in tutto il romanzo, nell’ultima pagina la propensione domestica o la reclusione vera e propria della donna viene definita “euripidea”. E in effetti molti hanno ricondotto il mio personaggio (ma anche i precedenti, soprattutto rispetto al Farmaco) a una matrice classica: in questo caso Fedra, l’eroina innamorata del figliastro. Qui la vicenda col figliastro è una sorta di appendice (o di vicenda da romanzo di appendice, oggi diremmo fiction o serie tivù), però è vero che questa donna porta con sé una riflessione classica sui codici e i comportamenti legati al gender. Anche solo per smentirli, nell’ipotesi finale (che tale resta). Chiara Valerio nella prima presentazione del libro, a Pordenonelegge, si stupiva che da un’autrice, anzi due (insieme a me c’era Elisabetta Bucciarelli con La resistenza del maschio) potessero provenire dei personaggi femminili così anacronistici: nel mio caso una donna votata alla passività e all’attesa. Io “Cella”, la mia protagonista in realtà senza nome, non la vedo così perché nella sua attitudine monologante c’è una sorta di volontà di dominio, che è poi quella dello scrittore che t’incatena alla sua voce (in prima o in terza che sia) e ti molla solo all’ultima pagina, oltretutto non sempre incaricandosi di un inatteso finale.

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Gilda Policastro: intervista su “Cella” / 2

4 novembre 2015

giuliomozzi intervista Gilda Policastro

[Poco più di un mese fa è apparso presso Marsilio – l’editore per il quale lavoro – il romanzo di Gilda Policastro Cella. Policastro ha pubblicato presso Fandango Il Farmaco (2010) e Sotto (2013). In vibrisse si può leggere il suo intervento nella serie La formazione della scrittrice. gm]. [La domanda precedente]

Ci puoi raccontare la gestazione di Cella? Sapresti ricordare il giorno e l’ora e il punto in cui ti è venuta in mente la prima cosa, in cui hai messo giù le prime parole? E, questo racconto che è una specie di grande citazione (dentro virgolette fino all’ultima pagina invisibili), e che contiene a sua volta un altro testo (un diario): da che parte l’hai cominciato? (Dico nell’immaginarlo, e nello scriverlo). E dopo aver cominciato, come hai lavorato? Con quali tempi? Con quali, eventuali, andirivieni?

GildaPolicastro_CellaSi tratta in verità di due momenti distinti. La parte che contiene il diario della terrorista è la prima che ho scritto, diversi anni fa, ancor prima del Farmaco. Mi era stato commissionato un racconto che avesse un’ambientazione storica o che si riferisse a un fatto preciso, a una data, addirittura, e allora mi tornò in mente questo episodio d’infanzia legato alla clinica del paese in cui abitavo e al medico che aveva curato la terrorista. Poi non se ne fece più nulla, di quell’antologia per cui era stato commissionato, e dunque lo lasciai lì. Nel frattempo avevo scritto due romanzi e il mio stile si era andato evolvendo, oppure involvendo, se consideriamo un’idea più tradizionale di narrazione: mi è stato fatto notare da Giorgio Falco durante una presentazione di Cella che la parte contenente il diario è anche l’unica minimamente descrittiva in un libro che altrimenti risulterebbe quasi del tutto privo di ambienti e luoghi. La mattina in cui ho iniziato a scrivere Cella me la ricordo perché anche in quel caso ero mossa da una sollecitazione esterna, un concorso letterario o qualcosa del genere. E dunque con atteggiamento tra la scolara diligente che fa i compiti e l’impiegato che deve timbrare il cartellino a fine lavoro, cominciai a studiare l’architettura del romanzo.

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Gilda Policastro: intervista su “Cella” / 1

3 novembre 2015

giuliomozzi intervista Gilda Policastro

[Poco più di un mese fa è apparso presso Marsilio – l’editore per il quale lavoro – il romanzo di Gilda Policastro Cella. Policastro ha pubblicato presso Fandango Il Farmaco (2010) e Sotto (2013). In vibrisse si può leggere il suo intervento nella serie La formazione della scrittrice. gm].

Hai detto più volte che consideri Cella la parte finale di una sorta di trilogia, iniziata con “Il farmaco” e proseguita con “Sotto”. In che senso e in che modo queste tre opere, secondo te, costituiscono una trilogia? Che cosa è che è finito, per te, con Cella? E che cosa immagini (o già sai) che comincerà?

GildaPolicastro_CellaSicuramente più nel senso della Città di K che delle Sfumature: questo va da sé. Ho cominciato a lavorare sul tema del dolore e della costrizione, in connessione l’uno all’altra, a partire da un’esperienza di condivisione degli spazi dei malati, di rifiuto iniziale della loro condizione, di rabbia verso tutto ciò che stravolgeva la vita loro e altrui soprattutto sul piano materiale, dal corpo ai bisogni. Ho cercato risposte nei libri, nelle considerazioni sulla malattia di Foucault e dei foucaltiani e ho provato a razionalizzare la reazione nervosa trasformandola in narrazione. Qualcuno ha detto “scrittura-terapia” qualcun altro ha trovato elusivo il racconto della morte. Io però ero abbastanza soddisfatta, perché Il Farmaco iniziava, lo sentivo distintamente, un periodo nuovo per me, a partire dal fatto che avevo pubblicato un “romanzo”. Avevo scritto poesia e critica, prima, ma col romanzo comincia un percorso diverso, perché uscendo da ambiti più di nicchia, si fanno inevitabilmente i conti con l’orizzonte d’attesa. Quando presentavo Il Farmaco mi s’imputava un’eccessiva cupezza, un orizzonte malato e senza speranza (la vita?). E non da parte dei critici, capitava soprattutto con gente a me sconosciuta, lettori comuni, diciamo. Una volta ho aggredito una signora del pubblico, chiedendole se per caso la sua vita fosse tutto un cinguettare di uccelletti, perché la mia proprio no. E non serviva tirar fuori Svevo, la malattia della materia, Leopardi e l’ossimoro della vita mortale: no, nessuno sembrava volerne sapere di sfighe e di sventure e allora perché, provò a suggerirmi il mio editore, non spingi un po’ il pedale dell’ironia, che pure è nelle tue corde? Racconta qualcosa che abbia a che fare con la tua vita, lascia perdere i morti.

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