[Questo è il primo articolo della rubrica La formazione dell’insegnante di lettere, che uscirà ogni (si spera) mercoledì. Gli insegnanti che volessero partecipare possono scrivere al mio indirizzo, scrivendo nella riga dell’oggetto: “La formazione dell’insegnante di lettere”. Ringrazio Deborah per la disponibilità. gm]
Insegno Lettere, adesso ho scelto.
Forse sono un’insegnante di Lettere un po’ atipica, perché ho a lungo studiato la letteratura da un’altra prospettiva. Mi sono laureata in Filosofia nel 1997, con una tesi sull’estetica e la semiotica di Umberto Eco. Fin da quei tempi, il mio interesse era “imparare a leggere”. La mia tesi, infatti, nasceva dall’interesse verso la figura del lettore modello e della cooperazione fra autore e lettore nei testi. Mi sono addentrata non solo nella filosofia di Eco e nella letteratura di Borges e Calvino, per fare la tesi, ma ho preso dimestichezza con Roland Barthes e la semiologia, Derrida e il decostruzionismo. L’interesse per il fenomeno del linguaggio mi ha poi portato a svolgere un dottorato sulla filosofia di Ludwig Wittgenstein e a indagare la differente concezione di linguaggio in filosofi quali Croce, Russell, Frege, Gadamer, Morin. Il lavoro accademico, proseguito con una borsa post-dottorato, si alternava all’apprendistato di insegnante. Nel 2004, infatti, presi l’abilitazione per insegnare filosofia e storia nei licei.
L’attenzione verso la lingua si è imposta anche attraverso il mio lavoro di traduzione di alcuni testi di Hegel e di Schrödinger; mi sono resa conto che la traduzione è un genere sommo di scrittura, che coinvolge non solo competenze grammaticali, ma conoscenza degli stili, delle pause di un autore, del suo lessico e perfino della sua cattiva punteggiatura.
La mia formazione sembrava assai decentrata: mi occupavo di fisica quantistica e poi scrivevo per i fatti miei, la mattina facevo seminari sulla cultura austriaca di inizio Novecento e il pomeriggio leggevo da onnivora; studiavo Schrödinger e Heisenberg ma finivo a fare conferenze sull’arte del romanzo in Kundera o sulla letteratura del Risorgimento. Ho sempre avuto l’impressione di girovagare fra le discipline, sebbene l’idea forte era che già dalla scelta della mia tesi avevo capito cosa volessi fare davvero.
Andai poi a insegnare nei licei Filosofia, ma non ho mai accettato le barriere fra le discipline, quindi spiegavo il Rinascimento anche attraverso Ariosto, oppure la lotta per le investiture leggendo Dante.
Eppure, supponevo che mi mancasse qualcosa.
Io alla letteratura ci arrivavo sempre dai contenuti. Avevo uno sguardo “filosofico” sulle Lettere. Nel 2012, allora, decisi di provare ad entrare nel corso abilitante per diventare insegnante di lettere. Volevo apprendere gli strumenti del mestiere: retorica, linguistica, critica letteraria. Studiare per quel corso e, contemporaneamente, prepararmi per i concorsi a cattedra, mi ha mostrato un volto nuovo della letteratura.
Leggendo le poesie, mentre prima capivo il significato, adesso ne sentivo il suono. È stata una meravigliosa esperienza cambiare la prospettiva: lo studio delle figure retoriche è come se mi avesse dato occhi per vedere ciò che prima era invisibile. Ho imparato a sentire il suono delle consonanti, a chiedermi perché Petrarca usi tanto la “r”, ad assaporare la scelta della paratassi. Insomma: prima mi chiedevo cosa significasse un testo, ora mi domando anche come significa un testo.
Discussi la tesi dell’abilitazione sull’interpretazione di Italo Calvino dell’Orlando Furioso e nel frattempo, il lungo percorso dei concorsi proseguiva (test preselettivo, scritto, orali).
Alla fine, è successo tutto insieme: a distanza di un giorno sono entrata di ruolo sia al liceo per Filosofia che alle medie per Lettere. Occorreva fare una scelta.
Ho insegnato filosofia per anni, mi sono detta, ora mi occupo prevalentemente di scrittura e letteratura, anche se continuo a credere che lo sguardo obliquo che ho acquisito – gli occhi da “filosofo” – siano un bagaglio prezioso.
Alla fine, ho scelto: voglio insegnare Lettere e lo voglio fare con una fascia d’età per me nuova. Voglio sprofondarmi nella grammatica e nell’analisi del periodo e vorrei essere un tramite fra i libri e i ragazzi. La mia formazione non è finita e non parlo di Genette e del formalismo russo, parlo del lavoro in classe. Ho fatto due corsi di abilitazione e tre concorsi (un totale di tre anni, più i quattro per la laurea) per arrivare ad insegnare. Però, per quanto possa sembrare banale questa osservazione, entrare in una classe è diverso. Impari a misurare la loro attenzione attraverso gli sguardi, impari a sentire di quale autore hanno bisogno e quale invece sarebbe assolutamente inutile. Impari a consigliare un testo per dir loro qualcosa, per rispondere a una loro domanda inespressa. Impari anche, che a volte non vale la pena di correggere un congiuntivo, non in quel momento, perché un alunno ha finalmente trovato le parole.
Tag: Dante Alighieri, Erwin Schrödinger, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Italo Calvino, Ludovico Ariosto, Milan Kundera, Umberto Eco, Werner Karl Heisenberg
5 novembre 2014 alle 07:23
L’ha ribloggato su orlando furiosoe ha commentato:
Oggi mi trovate anche qui.
5 novembre 2014 alle 08:04
sì ma questa è una extraterrestre non un’insegnante di quelle che ci sono normalmente nelle scuole. magari bisognerebbe leggere qualcosa di una di queste o questi che sanno quel poco che sanno che hanno le capacità che hanno che comunque non è detto che non siano dei buoni insegnanti che ti organizzano decentemente il lavoro che ti insegnano a studiare ecc ecc. Cioè quanto di tutto quello che la Donato sa ha fatto potrà mai entrare nella sua didattica quotidiana? Quando sarà un’insegnante migliore di un altro per tutto quello che ha dietro?
5 novembre 2014 alle 08:07
Cara Deborah, scusa il mio tono confidenziale, ma il tuo tono tanto limpido e diretto mi spinge a farlo. Grazie per quello che hai scritto e per come l’hai fatto, per l’appunto. Aggiungo una nota autobiografica, nel caso interessasse a qualcuno. A quindici anni io avevo già chiarissimo che nella vita avrei fatto l’insegnante di lettere: mi sembrava, oltre che il più bel mestiere al mondo,a la mia strada e il mio talento. La vita poi mi ha portato altrove e ora, probabilmente, sto vivendo la fase del rimpianto. Quando leggo di insegnanti per scelta consapevole, come è evidente nel tuo caso, il cuore mi si allarga.
5 novembre 2014 alle 08:17
Cristian, ti avverto; tutte le insegnanti e tutti gli insegnanti delle/dei quali pubblicherò qui la formazione, saranno tutte/i “extraterrestri”. Perché nella scuola italiana, di persone così, ce n’è tante.
Questa rubrica non ha lo scopo di rinforzare i tuoi pregiudizi.
5 novembre 2014 alle 08:40
Cristian, ho appena parcheggiato l’astronave e vengo a risponderti. Qui si chiedeva di parlare della formazione dell’insegnante e non della pratica dell’insegnamento in classe.
Su questo, credimi, i primi anni mi sentivo un poco anche io una extraterrestre. Ho scritto altrove – nel mio blog – sulle esperienze difficili, spesso edificanti, spesso disperanti, con cui un insegnante deve confrontarsi: droga, bullismo, incapacità dei ragazzi di capire e di esprimersi in un corretto italiano, anoressia, voglia dei ragazzi di trovare in te risposte che spesso non hai.
Sono anche disposta con grande piacere a parlare di programmazione, schede di valutazione, didattica della storia o dell’italiano. Penso che su certi argomenti ci sia posto nei commenti e nel dibattito, non aveva senso nell’articolo. Infine, concordo con Giulio: la scuola è piena di extraterrestri. Smettiamola di immaginare la classe insegnante come il braccio burocratico della Pubblica Istruzione. C’è chi ha provato a ridurci in creatori di dispense o elaboratori di piani didattici, ma io non sono affatto un’eccezione, Cristian. La scuola è piena di insegnanti che hanno dottorati e pubblicazioni.
5 novembre 2014 alle 08:42
Grazie Morena, di cuore.
5 novembre 2014 alle 11:52
Ho insegnato Lettere per quasi quarant’anni e di persone come Deborah ne ho incontrate, non molte ma vive e presenti, autentici tesori nascosti nelle scuole d’Italia. Bene ha fatto Giulio Mozzi a dare loro risalto; abbiamo tutti bisogno di ottimismo.
5 novembre 2014 alle 11:58
“ 6 ottobre 1987 – Non si può non ricordare la storia di quel professore di liceo che, già allievo di Luigi Russo, impazzì progressivamente lungo i Cinquanta, si comprava migliaia di libri, si comprò una Flavia, e poi una Fulvia, all’inizio dei Sessanta, e non molto dopo morì. “. [*]
[*] La s-formazione dello scrittore / 72
5 novembre 2014 alle 12:04
io ho una Polo, acabarra59, posso stare tranquilla?
Nadia Bertolani, grazie. Trovo la rubrica di Mozzi importante perché può servire a scrostare tanti pregiudizi sugli insegnanti.(alcuni dei quali sono prontamente emersi).
5 novembre 2014 alle 13:13
Una chiusa poetica, ricca di sensibilità. Bella.
5 novembre 2014 alle 13:57
… che bello sentire che una formazione filosofica possa dare frutti, possa innervare una professionalità, una curiosità, una motivazione, e “sbordare” verso la letteratura, l’insegnamento di Lettere, verso altri territori. Penso che abbiamo bisogno di figure “di confine” tra le discipline e le dimensioni della creatività e dell’approfondimento intellettuale, come Deborah. Noi, e gli studenti italiani. (Attraversamenti).
5 novembre 2014 alle 14:09
“ 7 maggio 1988 – Chiedo alla mia capufficio – che è una mia coetanea – di aiutarmi a ricordare il nome di quelle certe caramelle con il buco della mia infanzia. Ma quando lei dice « le Polo », capisco che al posto della mia – la nostra? – infanzia ormai c’è solo un buco. (Erano le Charms) “. [*] [**]
[*] Stai serena, Deb – nel senso di tranquilla, naturalmente.
[**] La s-formazione dello scrittore / 73
5 novembre 2014 alle 14:38
Prendo atto di tutto, però racconto in due parole una storia ( la dovrebbe raccontare l’interessato, gli ho detto di questa rubrica, che dovrebbe intervenire, ma si è fatto una risata e chiusa lì) L’interessato è mio padre, insegnante di materie letterarie alle medie, poi negli ultimi quindici anni in un ITI ( ma solo perché non serviva più il concorso ma solo fare domanda: “ se c’era il concorso non sarei mai passato alle superiori”) e che alla fine di questo anno scol va in pensione. Io l’ho sempre visto lavorare moltissimo, con passione, l’ho visto soprattutto inventare (ecco questa è la parola) nell’ambito della didattica. E so dei genitori che andavano dal preside a chiedere che in figli fossero nella sua classe. Mi ricordo la sua partecipazione a vari gruppi di insegnanti sulla didattica. Alle superiori lo stesso ( mi viene in mente l’invenzione delle prove in classe fatte con la possibilità per lo studente di usare il manuale: ma come? e lui: “Qui sta il bello, qui si vede chi sa ragionare, chi sa fare i collegamenti, chi capisce le cose”). Insomma viene considerato un insegnante non bravo, ma molto bravo. E anche so dell’affetto e della stima dei suoi ex allievi.
Ora se gli si domanda qualcosa sulla sua preparazione o formazione o cultura lui ti risponde : sono un ignorante. Sinceramente io che sono suo figlio che ho qualche interesse nel campo culturale, letterario, devo dire che non lo dice per dire, ma che è vero. L’ho sempre visto leggere pochissimo, interessarsi poco di cultura, leggeva roba di didattica. E quando era giovane? Risposta: non ho mai letto niente né al liceo né all’università, non ho mai “spaziato”, dovevo giocare a calcio, fare gli allenamenti eccetera”. ( passato all’ ITI mi ricordo che era alle prese con Petrarca e l’Orlando Furioso e mi ha detto: non li avevo mai letti prima in vita mia). E poi: “Per fare bene l’insegnante di lettere l’università non serve a niente, potevo tranquillamente passare dal liceo alla cattedra”. E poi: “Ho imparato a fare l’insegnante facendo l’insegnante. Bisogna capire di cosa hanno bisogno quelli che hai davanti e se quello di cui hanno bisogno non lo hai ancora ti rimbocchi le maniche e lo cerchi, lo acquisisci e glielo dai”). Comunque è considerato un insegnante non bravo, ma molto bravo, e anche io, che le scuole le ho fatte e che alle superiori ero in grado di valutare e fare confronti penso che sia così. Tuttavia so anche benissimo come ho detto che le sue conoscenze sono modeste, i suoi interessi ristretti … Se dovessimo dire qualcosa della sua formazione dovremmo semplicemente ripetere con lui: la mia formazione di insegnante di lettere è stata fare l’insegnante di lettere (anzi: di materie letterarie alle scuole medie).
(per completare il quadro: Papà ma perché hai fatto l’insegnante? Risposta: perché si lavora meno di mezza giornata. E perché di lettere? Per esclusione, perché mi piacevano solo filosofia e fare i temi, del resto non capivo niente)
Forse questa è una storia troppo particolare? Di un insegnante anziano?
5 novembre 2014 alle 15:06
Stefania, grazie e grazie anche ad Enrico Ernst. Curiosità e confini non vanno mai d’accordo.
Cristian, non posso dir nulla su tuo padre come insegnante, credo a ciò che dici. Non esiste una formula “esatta” per creare il bravo insegnante e sarebbe anche interessante aprire una lunga parentesi su S.I.S.S.I.S. e il T.F.A. Io li ho fatti entrambi (primo per filosofia, secondo per lettere) e con onestà sento di potere affermare che vi è tanto di inutile, ma vi è anche qualcosa che resta e che serve: per prima cosa il tirocinio in classe con altri insegnanti. Io ho avuto la fortuna di lavorare con due tutor eccezionali, che mi hanno mostrato molte potenzialità dell’insegnamento.
Oggi è anche richiesto una conoscenza della didattica speciale (quella per i soggetti con handicap e con D.S.A.) e della legislazione scolastica. Per il resto, si impara facendo; per quanto mi riguarda anche fare le programmazioni e le griglie di valutazioni non è stato immediato. Sulla motivazione: si lavora meno di mezza giornata, almeno su questa dissento. Non voglio fare i conti delle ore, che sarebbe stupido, ma del carico psicologico che ogni insegnante sente.
Io forse esagero, mio marito mi ricorda che non ho 40 figli, ma il giorno prima degli scrutini sto sempre abbastanza male, perché trasformare la complessità di una persona in numero è riduttivo e perché sento che parte di quel voto lo sto dando a me.
Per quel che riguarda è fin troppo coinvolgente.
5 novembre 2014 alle 15:10
“5 novembre 2014 – acabarra59 ha scoperto il motivo per cui ho scelto quella macchina”.
5 novembre 2014 alle 15:24
cristian, forse se tuo padre non si fosse limitato a conoscenze modeste e avesse approfondito gli studi,
sarebbe diventato anche lui un extraterrestre e non semplicemente uno molto bravo che tutti ricercavano.
5 novembre 2014 alle 17:42
Cristian, scusa, ma scrivi cose sicuramente non generalizzabili. Se tuo padre lavora meno di mezza giornata, beato lui. Piacerebbe anche a me, ma non è così. E, per essere un po’ velenosi: meno male che va in pensione uno che la pensa così, per quanto “bravo” possa essere.
5 novembre 2014 alle 17:49
E, comunque, qui sopra c’è l’esperienza di una insegnante preparata e coscienziosa, non capisco perché metterla in ombra con i soliti stereotipi sugli insegnanti fannulloni e ignoranti.
6 novembre 2014 alle 00:21
Brava! Una insegnante di lettere che ha letto Schrodinger (anche del suo gatto?) e Heisenberg, non può che essere una extra. E come lei nella scuola italiana c’è ne saranno millemila. Però, Giulio, una riflessione mi si impone. E la espongo senza alcun intento polemico.
Al mio paese natale (che poi è una citta’ con 2700 anni di storia) si dice che senza soldi non si cantano messe. Temo cioè che sulla bravura di tanti insegnanti possa incidere la miseria dei loro stipendi. E se con quei soldi arrivamo si e no alla terza settimana del mese, a cosa servirà tanta valentia? Come riusciranno, a lungo andare, a trasferirla agli studenti? Va a finire, come ho visto per tantissimi di loro, che il gatto di Schrodinger se lo mangiano arrosto. Ammenoche non siano tutti benestanti.
Ciò detto, questo è un pezzo di grande levatura.
6 novembre 2014 alle 06:50
Si, Carlo Capone, soprattutto del gatto! Inoltre la fisica quantistica ci insegna tanto anche sulla possibilità di narrazione del reale (ma che cos’è il reale?).
Non sono benestante e la formazione che racconto è stata condita da incertezze economiche, vita da pendolare, speranze disilluse. Ma alla fine, con un grande successo: restare nella mia terra, la Sicilia, che amo profondamente. Molti miei colleghi, purtroppo sono stati costretti a lasciarla per andare in altre regioni (in ambito scolastico) o per espatriare (in ambito accademico).
Io ho vinto la mia personale sommessa di spiegare Sciascia in una scuola siciliana.
Sul fatto che il “sistema scuola” ce la metta davvero tutta per estirpare negli insegnanti la motivazione, non posso che dartene atto. Svegliarsi alle cinque, prendere un treno, arrivare ancora assonnati in una scuola senza termosifoni e con i bagni non funzionanti, attendere ogni anno lo stillicidio delle convocazioni, scoprire con “triste meraviglia” che prendi solo duecento euro in più di un bidello. Alla fine, ed ecco perché non concordo con Cristian, la motivazione non può essere lavorare mezza giornata. Deve essere un qualcosa di più viscerale e quasi irrazionale, altrimenti te la spengono.
6 novembre 2014 alle 07:14
Cristian, prova a convincere tuo padre a mandarci la sua “formazione”…
6 novembre 2014 alle 11:29
@ Deborah
A un mio amico, ufficiale dei Carabinieri, pochi giorni fa dissi:
– che fesso, a 60 anni credo ancora nel merito e nell’impegno.
– l’Italia si mantiene ancora in piedi grazie a quei pochi fessi come te.
6 novembre 2014 alle 18:02
se Cristian si ricorda di suo padre alle prese con Petrarca e l’Orlando Furioso vuol dire che il padre si preparava le lezioni a casa, e quindi non lavorava solo mezza giornata, penso.
6 novembre 2014 alle 22:12
Carlo, la penso come il tuo amico (e come te).
7 novembre 2014 alle 21:23
Giulio Mozzi Says:
6 novembre 2014 alle 07:14
Cristian, prova a convincere tuo padre a mandarci la sua “formazione”… :
MISSION: IMPOSSIBLE
8 novembre 2014 alle 06:03
Hai provato?
8 novembre 2014 alle 08:35
sì, non fa (anzi si incazza)
11 novembre 2014 alle 09:13
Peccato, sarebbe un gran bel racconto
26 novembre 2014 alle 14:06
“é stata una meravigliosa esperienza cambiare prospettiva”: evviva l’essere vivi. Grazie, Deborah…