Gilda Policastro: intervista su “Cella”, 6

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Gilda Policastro

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giuliomozzi intervista Gilda Policastro

[Poco più di un mese fa è apparso presso Marsilio – l’editore per il quale lavoro – il romanzo di Gilda Policastro Cella. Policastro ha pubblicato presso Fandango Il Farmaco (2010) e Sotto (2013). In vibrisse si può leggere il suo intervento nella serie La formazione della scrittrice. gm].

Non condivido, cara mia, il tuo disprezzo per il lavoro di redazione: che se in certi casi può sembrare inutile o irrilevante o fastidioso, statisticamente risulta molto utile. Io, che tendo a fare il redattore di me stesso, passo regolarmente attraverso una fase nella quale le virgolette mi sembrano veramente l’essenziale; ho litigato all’inverosimile con Mondadori per i punti dentro e fuori delle virgolette (io sono uno sche scrive: “«Basta!».”), loro volevano scrivere “«Basta!»”, senza punto dopo il caporale); ci siamo presi a ditate negli occhi in Einaudi per la loro sciagurata mania dei trattini; e mentre sono grato all’editore che ha rimesso in circolazione alcuni miei vecchi libri, posso solo insopportarlo per la scelta del Times anziché del Garamond, e delle virgolette inglesi per i dialoghi. Ovviamente chi fa il redattore non per sé stesso ma per altri – e per di più, come avviene oggi nello sparpagliamento della lavorazione di un libro tra consulenti, redattori interni, invisibili e anonimi (anche per me, non solo per te) redattori dei service, eccetera – può fare riferimento solo a un’ipotetica (o immaginaria) “norma”, una cui possibilità d’esistenza è congelata nelle Norme redazionali. De hoc satis.
Quanto al riassunto: certo, il tuo dice “le cose essenziali della trama”. E, certo, non è di queste cose che il romanzo parla; le cose della trama sono materia; a nessuno verrebbe in mente di dire che I promessi sposi è la storia di due che vogliono sposarsi, un cattivone ci s’intromette, i due vivono varie e separate avventure, e alla fine si sposano; a nessuno verrebbe in mente, dico, di dire che I promessi sposi parla di questo. E allora, più o meno come s’usa dire che I promessi sposi è “il romanzo della Provvidenza”, io oserei dire che Cella è, o è stato per me, “il romanzo della Mancanza”: il romanzo dove tutto ciò che appare viene subito a mancare. Perfino la voce di donna alla quale m’ero così affezionato.

GildaPolicastro_CellaLungi da me voler denigrare il lavoro altrui, specie quando materiale: hai presente l’epistola di Orazio [I,1] sul soldato che invidia il marinaio e viceversa? Io sono molto invidiosa di tutti i saperi esatti, di tutte le discipline che implichino certezze e una delle poche che ho nella vita è che in una bibliografia non si può scrivere AAVV, cioè non si fa più dagli anni Cinquanta del vecchio secolo. Sul fatto che un buon libro non si possa riassumere con gli snodi della trama, vorrei un po’ litigare con la mia stessa risposta di prima, perché non è sempre vero, e di certo I Promessi Sposi è anche la storia di due che dovevano sposarsi. Insieme, come diceva Manganelli, a tutte le altre storie che il romanzo, in quanto sciagurato genere assassino dei racconti, si lascia indietro: ad esempio di che si saranno parlati i bravi andando a quel bivio, si chiedeva in Che cosa non è un racconto. Ovvio che poi un autore non si possa riconoscere nel riassunto del proprio libro, meno che mai in quello approntato a beneficio di lettori per gran parte ancora ignari del suo contenuto. Non si dà mai il caso di una presentazione in cui tutti conoscano l’oggetto di cui si parla, ed è un’aberrazione commerciale molto grave che il libro si presenti solo nei primi due o tre mesi dall’uscita perché è quello e solo quello lo spaziotempo in cui può farsi valere in libreria. Ovviamente a parte i relatori e qualche amico strettissimo dell’autore nessuno l’ha ancora letto e ci si parla per lo più addosso, autore e relatori: spesso mi capita di sentire proprio fisicamente questo abisso che si apre tra chi sa e chi no, chi muove nervosamente il piede quando si comincia a intavolare un convegno vero e proprio e chi resiste stoicamente solo per amore dell’autore, che qualche amico disposto a far numero almeno nelle città principali non dovrebbe mancare di averlo. A me piacerebbe presentare ancora Il farmaco, per dire. Credo sia un libro invecchiato bene, dal punto di vista che mi interessa maggiormente e cioè la scrittura. Lo trovo credibile, onesto. Invece Cella lo vorrei presentare fra un anno o due, quando almeno i miei amici e i giornalisti culturali, soprattutto ove le due categorie coincidano, si fossero già privatamente o pubblicamente espressi. Io avrei una o più tesi o giudizi cui contrappormi e non dovrei fare la figura della moglie del cinese che per parare i colpi preventivi del marito a casa nemmeno ci torna più. Io però ti voglio a questo punto chiedere una cosa, Giulio: sono usciti tanti libri, insieme a Cella. Di tanti si è scritto molto o moltissimo, ma quanti di questi resteranno nel discorso letterario, di quanti si potrebbe parlare ancora fra qualche anno? Mi piacerebbe introdurre anche per i romanzi italiani contemporanei l’impact factor che si usa nella valutazione scientifica: se nessuno, dopo due o tre anni, se ne ricorda proprio più, forse nemmeno il loro autore, valeva la pena investirci denari, gli editori con tutta la filiera, e tempo, i giornalisti culturali e affini? Oggi poi c’è questa categoria dei blogger che sono tutto e niente, frequentatori indefessi di contesti letterari, dalla presentazione sotto casa al festivalone, pronti a entusiasmarsi per chiunque allo stesso modo e a ridurre in pillole o massime le parole dell’autore (prese dalle pagine del libro o dal momento in cui stava per starnutire, poco importa). Mi ha fatto spavento a Pordenone [al festival Pordenonelegge, ndr] trovare riportato in tempo reale (ma me ne sono accorta evidentemente in differita) il concentrato di un’ora di incontro in pillole a pronta cassa: ma veramente ho detto sta cazzata? Tu che pensi? È davvero un buon modo, oggi che non ci sono praticamente più le terze pagine, si fa così, serve, ovvia, supplisce? Il Farmaco non era ancora uscito e avevo avuto interviste, inviti in tivù, recensioni dalla Stampa all’Avvenire. Oggi mi trovo a dovermi confrontare per lo più con delle schede o riassunti o tweet: non mi ci so abituare, non so se capita solo a me.

(Il romanzo della mancanza è bellissima e pertinente, come definizione: ma prima di venir meno, quella voce di donna ti ha ricordato a più riprese come nelle tenzoni vinca chi resiste il famoso quarto d’ora in più: siamo sicuri sicuri che sia Giovanni/Gilda?)

[continua…]

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2 Risposte to “Gilda Policastro: intervista su “Cella”, 6”

  1. stefano Says:

    Tempo fa in biblioteca organizzavano dei circolini di lettura, credo un paio di volte, o forse una sola, in cui ci diedero in lettura un libro di Scurati, con l’intento di discuterne la volta successiva. La discussione fu tenuta non dall’autore, ma da un’insegnante, credo. Certo, l’incentivo era che poi ognuno si teneva la copia del libro in omaggio, però oggi per esempio c’è la possibilità del prestito digitale, per cui in varie biblioteche sarebbe possibile organizzare incontri fissi di lettura: la prima volta con una breve introduzione del bibliotecario e poi a breve discussione con l’autore-autrice-collettivo. L’incentivo potrebbe essere questo incontro diretto con l’autore.

    Un’altra cosa che sarebbe utile è registrare almeno l’audio delle presentazioni.

  2. Gilda Policastro Says:

    Sì, verissimo: a me è riuscito solo questa volta qui (https://www.youtube.com/watch?v=GE0fAcu_Ap8), poi una volta non si sente, l’altra si scarica la batteria del telefono…insomma, non siamo sempre in grado, pur disponendo di tutti i supporti necessari, in qualunque circostanza. Forse un po’ si perde l’unicità dell’evento, diffondendone le registrazioni, ma è anche vero che la partecipazione diretta può riguardare una trentina di persone nei casi migliori (pure per i bestselleristi, ho scoperto trovandomi per caso in libreria durante una presentazione dell’acclamatissimo De Giovanni), quindi per non disperdere interventi che non sempre si traducono in recensioni o pezzi scritti, sarebbe utile, effettivamente, conservarne (e diffonderne) una qualche testimonianza.

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