Come sono fatti certi libri, 13 / “Il suicidio di Angela B.”, di Umberto Casadei

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di Arianna Ulian

[In questa rubrica vorrei pubblicare descrizioni, anche sommarie, di libri che – al di là della storia che raccontano o del tipo di scrittura – presentano una “forma” un po’ particolare, o magari bizzarra. Che cosa io intenda qui per “forma” mi pare, ora che ci sono undici articoli pubblicati, piuttosto evidente. Chi volesse contribuire si faccia vivo in privato (giuliomozzi@gmail.com). gm].

È una fortuna che Giulio Mozzi abbia proposto per l’estate la rubrica Come sono fatti certi libri, perché di questo libro (Il suicidio di Angela B., di Umberto Casadei, pubblicato nel 2003 presso Sironi) si può dire solo come è fatto. Naturalmente non intendo negare che la trama sia riassumibile, le sottotrame siano riconoscibili, cose così. Voglio però insinuare cosa è giusto fare (ci metto presunzione): si può onestamente dire solo come è fatto perché la sua forma è una ampia vivace e articolata luminosa scommessa sulla dicibilità della vita. Se questa scommessa sia vinta o persa, è una domanda insensata. Naturalmente, per me, è vinta perché c’è stata scommessa.

Dunque, riassunti così: no, non vanno bene.
Inoltre, le pagine non sono 448 ma 565. Se il lettore si fermasse alla 448 (nel mezzo di una scena d’azione feroce – spintoni pugno sangue sgommate nel parcheggio – interpolata con interno familiare borghese – padre solido genero alcolizzato citofono spintoni fuga), se si fermasse alla 448 non vedrebbe la 565, che è l’ultima, che è questa:

In basso a sinistra c’è scritto DISCARICA. In basso di ogni pagina c’è scritto dove sei, in quale parte di quale romanzo, ma andiamo con calma e partiamo dall’inizio della forma, da quelli che ho studiati come i dintorni del testo nei corsi di semiotica a Bologna e narratologia e quell’ innamoramento che ho avuto per certi strumenti che ora sento lezioso usare, e anche paraculo. Non mi sembrerebbe lezioso né paraculo usarli se Il suicidio di Angela B. fosse disponibile in tutte le librerie e se la maggioranza di chi legge, qui, ne avesse una copia sulla mensola alle sue spalle. Ma, come cercherò di mostrare nell’Allegoria finale, le cose sono andate diversamente.

Dunque ecco la copertina. L’immagine mostra una ragazza di spalle, una ragazza nell’atto di andarsene: accanto a lei una Fiat 126 di un colore difficile e nostalgico, con quelle maniglie che sotto al sole diventavano incandescenti e piccoli pezzi di vernice che si scrostano e vengono via ogni volta che sbatti la portiera. Il vestito della ragazza è del tipo che andava di moda nei primi anni novanta, sintetici e svolazzanti, avevano l’elastico fra il seno e la vita e lasciavano un segno rosso quando li sfilavi. Prima di sfilarlo, la ragazza avrà tolto il mollettone che le tiene i capelli semi-raccolti; anche quello non usa più tanto e comunque si incaglierebbe ai vestiti d’ ogni epoca.

Si tratta di un particolare da una foto di Guido Guidi, del 1995 che si intitola Pamplona.

Nel novembre del 2014 fu organizzata una retrospettiva di Guidi a Ravenna: l’immagine di presentazione e il titolo della mostra erano:

Capito perché mi sono ricordata del segno che lasciava quel genere di vestito?

Nella copertina, in alto a sinistra, c’è scritto: romanzo.

Appena sotto la foto, lievemente sghembo e tutto attaccato su fondo azzurro il nome della collana: indicativopresente, Sironi editore. Ecco altri libri della stessa collana:

Esatto: il fotografo è sempre Guidi.

La collana è stata ideata nel 2002 da Giulio Mozzi, che ne ha seguito gli sviluppi fino al 2009.

Su fondo nero, il nome dell’autore, Umberto Casadei. Dal risvolto di copertina:

Nato nel 1966. Vive e lavora a Padova. Il suicidio di Angela B è il suo secondo romanzo. Il suo primo romanzo, Maltempo, sarà pubblicato da Sironi editore.

Maltempo non è stato pubblicato. Io vorrei leggerlo.

Ecco: la quarta di copertina è il generatore di narrazione, il perché prima del percome, la semenza, il motore immobile, la madre del lievito, il lactobacillo dello yogurt, quel che è, che ha fatto nascere questo libro: il salvagente.
Questo messaggio viene lasciato da Angela Burzo su un foglietto fra le lenzuola la mattina, prima di uscire e raggiungere il cavalcavia dove la rete di protezione è bucata, e gettarsi di sotto nella nebbia nel traffico della tangenziale. Questo messaggio l’ha scritto Giulio Mozzi che poi ha chiesto ad Umberto Casadei di continuare; ed egli ha continuato assai.

[Nota di Giulio Mozzi. Avevo concepito il progetto di un racconto del quale io avrei scritto solo poche righe: la lettera di Angela, appunto. A un po’ di amici chiesi di scrivere dei testi di contorno. Alcuni lo fecero; altri no. Troppo pochi stettero al gioco. Ma Umberto, a distanza di mesi, mi comparve davanti con in mano forse una dozzina di fogli. Lessi. “Ma questa roba qui potrebbe diventare un racconto autonomo”, gli dissi. Altri mesi dopo, Umberto ricomparve con un’ottantina di fogli in mano. Lessi. “Ma questa roba qui potrebbe diventare un romanzo autonomo”, gli dissi. Il resto potete immaginarlo. La verità è che il romanzo Il suicidio di Angela B. esiste, ed esiste in questa forma, solo perché a un certo punto io e l’eroica Paola Borgonovo, editor in Sironi, decidemmo che Umberto doveva essere fermato – non l’avessimo fatto, il romanzo sarebbe ancora in corso, credo, e conterebbe migliaia di pagine. Vado a memoria, e non saprei riconoscerli, ma credo che almeno un paio dei “Fiori” – di cui Arianna parla più avanti – siano stati scritti da Marta Turato e da Marco Mancassola. Non ricordo più se ne scrisse anche Alberto Fassina, il coinquilino: ma certo la sua pazienza fu essenziale].

Lo scrivo anche io, invece di fare copia incolla, perché ormai lo so a memoria e perché dentro al romanzo (e nel romanzo che sta dentro al romanzo, e anche nei contributi a statuto speciale) questo messaggio è scritto molte volte, ma non sempre nello stesso modo. Voglio vedere come lo scrivo io.

«Cari miei,
non è colpa vostra, se è questo il vostro pensiero. Non è neanche colpa mia. Non è colpa di nessuno. Non c’è colpa, in queste cose. Vi saluto». Angela

Guarda! io ho messo le virgolette alla fine del messaggio e ho lasciato fuori il nome. Curioso.

Ma la virgola, quella l’ho piazzata bene. Vedi la virgola dopo «colpa vostra»? Prova a toglierla.
Se la togli prendi una posizione bioetica. Nessuno ha colpa per ciò che pensa. Se ha tare, se ha immaginari difficili, se pensa male.
Cosa pensi del suicidio di una ragazza normale, tranquilla, apparentemente serena ed equilibrata? Dài, la prima cosa che ti viene in mente.
Fatto? Ecco, non è colpa tua se pensi così.
La colpa non c’è, è tutta questione di geni. Sull’assenza della virgola alcune voci narranti affrontano il problema di esserci, di durare, di avere a che fare con altri.

Io invece sento questo messaggio grazioso, femminile. La virgola mi interessa perché mostra di Angela la saggezza, una leggerezza quasi, che mi riporta alla foto, al vestito.

Nella quarta di copertina c’è la foto integrale. L’inquadratura si allarga, vedi le gambe e i tacchi larghi grossi: nella proporzione del corpo ora le spalle sembrano alzate. Mi pare giusto.
È apparso un uomo. In copertina non vedevamo che una sagoma sfumata, chiaramente senza relazione con la ragazza. Qui invece lei sembra seguirlo. Altro che plagiata! Pensa che certa stampa di Besana, occupandosi del suicidio, ha insinuato la responsabilità di un compagno di classe, Pier Giorgio Izza, uno che ti piacerà se leggerai quel che scrive nella sua Coda, nella parte terza del romanzo scritto da Gianni Dezanni, dal titolo Il suicidio di Angela B., pubblicato dall’editore Monopolio, che sta dentro al e occupa il 70% del romanzo di Umberto Casadei dal titolo Il suicidio di Angela B. pubblicato da Sironi. Izza ti piacerà: parla di pudore, onore, arbitrio, finzione e amore. È uscito per un po’ con Angela, hanno provato a buttare giù le barriere, anche abbastanza simili, che avevano, e che poi in classe tornavano a innalzare; e nonostante ci abbiano provato, non ha funzionato. Finzione. Izza lo dice bene. Poi è costretto a discolparsi pubblicamente e ad ammettere che forse magari in fondo è gay. Dinamiche frananti nel liceo più avanzato, quello col progetto pilota, Tutor e accoglienza. La buona e brava gente della regione.
Comunque, in questa foto, è lei che pare seguirlo; e se le chiedi perché, alza le spalle.

In basso a sinistra la provenienza e il costo della mia copia, comperata su Ebay ed arrivata con un chiaro segno di rosicatura di topo sul margine esterno della copertina (vdi foto iniziale).
Si può lasciare questo libro così potente a mangiarselo i topi? Ristamparlo no, vero?

Ecco Giulio Mozzi nel risvolto di copertina:

In apertura, su pagine numerate in numero romano, ci sono le Note istituzionali attorno a Il suicidio di Angela B., di Umberto Casadei, che cominciano con dei Preliminari.
Nelle prime righe si distingue fra Il suicidio di Angela B., di Umberto Casadei, e l’eterogeneo assemblato di testi intitolati Il suicidio di Angela B. il cui autore principale è Gianni Dezanni, compagno di classe. Ci sono, nell’assemblato, testi di altri autori, compagni di classe, genitori, altra gente. I curatori di questo assemblato sono Mario Parecchio e Rinaldo Qualcosa, editor(s) della casa editrice Monopolio.
Facilissimo!
No.
Gianni Dezanni ha prodotto due lunghi testi: Il suicidio di Angela B. sottotitolato Le ore che ha sostanzialmente questa forma qui:

e riporta visivamente le reazioni, il chiacchiericcio, lo stupore, il brusio e qualche sacramento degli alunni seduti al proprio posto, col banco vuoto luminoso di Angela B. in prima fila e la prof. Bidelli, malata di tumore, che dalla cattedra cerca di gestire la notizia e di mantenere il silenzio intanto che si allarga una nuvola densa di ipocrisia e menefreghismo su cui l’autore nucleare Dezanni inizia a riflettere. Da quando ho letto la prima volta questo libro se penso ad una classe la penso così, con le parole scritte più grandi più piccole più vicine più distanti a seconda di chi le dice e come, se si sporge, se bulla, se vuole farsi sentire anche dalla prof., e al centro le parole inutili, come Silenzio! che mostrano il ruolo fiacco la svaporata credibilità mollezza e artificio dell’insegnamento superiore.
Poi Dezanni ha prodotto una Lettera prefatoria posticipata al «Suicidio di Angela B.», sottotitolata Le Giornate, in cui solo e pensoso mette assieme nuove identità per sé e per Faggiulo e per Izzo e per Angela stessa: identità pulsanti, contraddittorie, cariche come prima di un forte temporale. La lettera, le lettere poiché sono due, servono da parziale ravvedimento del testo iniziale sulla base di un grande interrogativo che diventa quasi rimorso: che ne è delle persone di cui scrivo se io scrivo la verità? Le lettere, entrambe, sono destinate alla prof. Bidelli che aveva suggerito alla classe di scrivere un libro collettivo in memoria di Angela e pareva finto pareva sconcio ma infine è quello che Dezanni ha fatto.
Ah, se solo potesse chiarire il suo perché e mostrare il suo percome alla Bidelli, e scusarsi, in fondo.

Invece…

Naturalmente, questo è il secondo necrologio che troverete nel romanzo: il primo è quello di Angela (per la precisione quelli di Angela sono due, c’è anche quello, dolcissimo, dell’anniversario). Ma potrebbe benissimo essercene un terzo, che si storna però in una dedica: al fu Rinaldo Qualcosa, curatore dell’assemblato di Dezanni e autore a sua volta di una Postfazione, e anche mittente o destinatario di alcune mail personali/professionali scambiate con Rinaldo Qualcosa.
Sulla carta esse suonano così e sono nominate Cornice.

Alla Bidelli e a Qualcosa, malati terminali, viene affidata l’urgenza di leggere e di comporre la forma. La morte seleziona i testi necessari, snobba il resto.

Questi nomi fanno ridere? Sì, e c’è Nando Evribadi, c’è Susanna Sarandon (mettete l’accento sulla ‘o’, diocàro) e poi Vera Aqua ed Eurachio Borìa, e il prof. Pudorani e Don Dero.
Che ridere, eh?
Invece no.
Di queste persone dai nomi da ridere, i nomi vi sembreranno plausibili perché Umberto Casadei ha soffiato in ciascuno caratteri così vitali veri splendenti e splendidi anche nell’esser carogne che ridere passa in secondo piano. Nomi così li mette chi è bravo e chi sa che cosa sta facendo: altrimenti nomi così ti prendono la mano e tutto diventa divertente come l’elio dei palloncini da fiera a forma di cuore.

Mostro cosa intendo dire con le parole di Dezanni, che certe volte parla come uno che voglia scrivere un romanzo-mondo, un aspirante demiurgo che fa scommesse con la fiction per sovrapporla senza sfridi alla vita stessa.

Può essere che ciò che a me sembra tenere assieme una bella pagina scritta si riveli, nella realtà della vita quotidiana, un fattore di disintegrazione? E’ possibile oggi avere stile? [….] Sembrerebbe che no, pensavo, forse perché avere uno stile cioè averlo davvero e non in modo contemporaneo, cioè scherzoso, cioè non per davvero, significa rendere indisponibile qualche cosa di sé, mentre oggi tutto per valorizzarsi deve essere disponibile. [….] Non uno stile, dunque. Semmai un ventaglio di microstili che sono più che altro tecniche di comportamento, cioè atteggiamenti che sono automazioni, cose che segano gli impulsi e i pensieri e li riorganizzano con un ordine più merceologico che altro.[…] E sono giusti in quanto esteticamente adeguati, non in quanto corrispondenti al vero, o all’equilibrio, che è già una mezza verità, però molto tesa. (p. 249).

Questo non è un romanzo postmodernista, non sfotte nessuno, non è tagliente acuminato, non fa satira, non prende distanza ma si mischia con tutto quel che nomina.
Di questo romanzo si può dire solo come è fatto; fatto nel senso: con quali gesti e pensieri esperienze letture appunti visioni e esaurimenti nervosi puoi operare sulla pagina e fatto nel senso di come puoi comporre i materiali una volta fatti (la struttura, il prima il dopo, l’equilibrio non preciso, il patto col lettore che fa crepe, certi discese profonde che per risalire devi per forza cambiare mimesi, registro voce)

Si potrebbe dire che si tratta di un’opera collettiva dove ciascuno sviluppa la sua prospettiva sul suicidio di Angela B. Relativismo, ciascuno ha la propria verità. Secondo me così si va lontano dal testo, che invece nega e schiva ma che è fondativo nell’intento e nel risultato.
Sulla possibilità di fondare (nuovo stile, nuova forma, nuovo soggetto) si interrogano quella specie di Gatto e La volpe che sono Parecchio e Qualcosa e anche Gianni Dezanni, poveretto, a suo modo lo fa. E’ un libro, sono libri, fatti di urgenza. Sono fondativi di senso ma anche di etica. Non ti pareva quel genere di libro, e invece…

Mi rimangono da mostrare i contributi della stampa: c’è un discorso sulla manipolazione delle notizie e c’è quel fetente di Eurachio Borìa. Leggete come scrive.

E naturalmente rimangono da ammirare i Fiori, sorta di omaggi alla defunta raccolti sul web in apposita pagina (straniante, no, a pensarci prima di Facebook?).
Ecco quello più profumato, fiore di campo:

Poco dirò delle Discariche: sono due, una all’ingresso del testo di Dezanni e una all’uscita del testo di Casadei, attribuzione ambigua, valore di testimonianza, non integralmente finzionali.
Lascerò al lettore sperimentare il senso di vertigine sulla Nota dell’Artefice: l’artefice è colui che ha deciso circa la forma, ossia, circa ciò per cui questa forma è così, e non altrimenti, ed è forma.

Sarò contenta di questa abbozzata lettura se a qualcuno sarà venuta voglia di leggere Il suicidio di Angela B. di Umberto Casadei; anche se francamente non so come farete. Ristamparlo no, vero?

La mia copia, amici più cari, non chiedetela in prestito: ho letto questo romanzo due volte, la prima in inverno dentro la vasca da bagno, la seconda giorni fa al Lido di Venezia; sicché le pagine sono ondulate e gonfie di acqua.

A questo proposito chiudo con l’Allegoria: il Rettile Loricato che rappresenta i Destini Editoriali & La Temperie Culturale inghiotte l’ottimo romanzo. Ma se ne pentirà, oh, se se ne pentirà!

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6 Risposte to “Come sono fatti certi libri, 13 / “Il suicidio di Angela B.”, di Umberto Casadei”

  1. gian marco griffi Says:

    Libro bellissimo.

  2. Ma.ma. Says:

    Arianna, sei riuscita dove – per una volta – non era riuscito Giulio. Ho sentito parlare di questo libro diverse volte, ma non so perché non mi era mai venuta davvero voglia di leggerlo (e ne ho letti di libri citati da Giulio, eh). Ora mi pare impossibile non averlo già in casa. Grazie! Per la chiarezza e la passione che ci hai messo.

  3. aria Says:

    Non esageriamo …

  4. Béa Says:

    È proprio come dice Ma.ma.
    A sentirti parlare così, mesi fa, lo cercai – e incredibilmente lo trovai, ce l’ho.
    Iniziato, fui sommersa dai traslochi.
    A leggerti ora così, lo riprendo subito.
    Grazie!

  5. fiammettapalpati Says:

    E’ una descrizione molto molto bella e la complessità del romanzo si dispiega amorevolmente,
    Credo che, nell’attesa che qualche editore si convinca a ripubblicare il testo – io lo cerco, anche usato, da mesi – questa sia la migliore delle perorazioni.
    (se poi devo immaginare, tra le diverse voci del testo, quale sia quella più in intimità con Umberto Casadei – autori che moltiplicano i propri “ii” narranti, usano, talvolta, nascondere la propria voce più intima, quasi per proteggerla – ecco a me piace credere che sia quella che ha scritto il “Fiore”, lo Scèkspir, el mato. Ma è una fantasia mia).
    Grazie.

  6. Un gran bel «romanzo» – Manuela Mazzi Says:

    […] abbia fatto mesi or sono l’amica Arianna Ulian, che ringrazio ancora per avermi portata con questo suo testo pubblicato sulla rivista Vibrisse a leggere questo bel […]

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