La formazione del fumettista, 17 / Gipi

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di Gipi

[Questa è la diciassettesima puntata della rubrica del martedì, dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Gipi per la disponibilità. gm].

gipi_gipiHo due portamine, sono identici. Stanno sul tavolo. Sono blu, all’esterno. Hanno due mine diverse, all’interno. Una dura, una morbida. Uso la dura per i primi tratti, la morbida per ripassare le linee importanti, per capire dove metterò l’inchiostro. Voglio una sigaretta, appoggio il portamine a mina morbida sul tavolo. Le sigarette sono in cucina, quando torno al tavolo ci sono i due portamine identici uno accanto all’altro. Riconosco quello che stavo usando perché è caldo. È così che li riconosco. E così riconosco i pennarelli che sto usando. Ho sul tavolo, adesso, almeno una ventina di pennarelli neri identici, stessa punta. Almeno, sarebbero identici se fossero nuovi, ma con l’uso si trasformano, si slabbrano o assottigliano. Fanno goccine di inchiostro al principio o al termine di un tratto oppure sono quasi asciutti e permettono di tracciare linee sottilissime. Anche in quel caso, per capire quale stavo usando, li tocco. Quello caldo è quello buono.

Ho iniziato a disegnare da piccolo, come tutti i bambini. Che io sappia, tutti i bambini disegnano. Alcuni, pochi, non smettono mai. Non ho mai smesso e sono diventato un disegnatore. È un grandissimo privilegio poter dire: “Sono diventato un disegnatore”. Cosa sei? Un disegnatore. Non riesco a immaginare un’esistenza dove non avessi saputo rispondere con precisione a questa domanda. Allo stesso tempo, è terribile essere qualcosa. Significa aver rinunciato ad essere tantissime altre cose. In una storia che sto scrivendo, un ometto, credente, cattolico praticante, che ha trascorso tutta la vita a studiare, un giorno si innamora di una donna bellissima e completamente differente da lui, come modi, pensieri e formazione. Lei lo vede come un insetto, non come un uomo. Un giorno lui, parlando con un amico si domanda che cosa avrebbe potuto essere se avesse destinato i suoi giorni e le sue ore a qualcosa di diverso dalla contemplazione, il ragionamento, lo studio. Se avesse dedicato la sua vita allo sport, alla forma fisica, alla cura di sé, forse lei potrebbe vederlo, ora, come un uomo. Ogni volta che si sceglie una strada, o meglio, ogni volta che una strada sceglie noi, si rinuncia a tantissime differenti possibilità. Così, adesso, nel mio poter dire, con soddisfazione: ”Sono un disegnatore”, potrei aggiungere un: “Ho perso quasi otto decimi di vista”. “Soffro di emicranie e mal di schiena”, “non ho mai pace, neppure per un secondo, se non ho una storia buona per le mani”. Ma sono un disegnatore e tutto quanto sta nel pacchetto. Da ragazzino passavo le giornate a disegnare sul pavimento di casa dei miei. Ero sempre solo, i miei lavoravano e la differenza di età con le mie sorelle faceva sì che pure loro se ne stessero in giro. Ricordo benissimo la luce che entrava dalle finestre del salotto. Il tavolino da fumo, basso in vetro, le piastrelle sotto la pancia. E ricordo i primi mondi che sorprendendomi si aprivano sui fogli. Cowboys, astronauti, beduini guerrieri. L’altro mondo. E ricordo come “l’altro mondo” pian piano prendeva consistenza e garantiva un piacere che il mondo “vero” non poteva procurare quasi mai. A 18 anni la mia prima fidanzatina mi lasciò per un bagnino con un’ancora tatuata su un braccio. Ero ancora un bambino, anche se facevo di tutto per fingermi uomo tra gli uomini, facendomi pure del male, se era necessario all’effetto. Disegnai una storia a fumetti, solo due pagine. C’era un coglione di 18 anni lasciato dalla fidanzatina che si piangeva addosso come, appunto, un coglione. Lo faceva in modo stucchevolmente poetico e finiva a passeggiare sul parapetto di un ponte, a rischio caduta, morte e via dicendo. Andai a Lucca, c’era il festival in allestimento, riuscii a farmi dare un pannello di un metro quadro per esporre la storia. Ero senza vergogna. Ma non ero solo, anche il mio miglior amico di allora esponeva una storia sua, molto più bella della mia. Eravamo entrambi malati, io di PAZientite e lui di Liberatorite. Eravamo piccoli. Mi ricordo incredibilmnte fiero della mia storiella esposta. E allo stesso tempo, già allora, una storia fatta e finita dopo poco non contava più un cazzo. Una volta terminata, disegnata e inchiostata entrava a far parte del mondo della materia esistente, sfuggiva all’altro mondo e precipitava in questo. Così, allora, la dimenticai. Non andai a riprenderla alla fine del festival e credo che sia stata buttata via. Ero giovane e tormentatissimo dalla ricerca di una voce e di una ispirazione. Abbraccio idealmente ogni giovane disegnatore e scrittore che cerchi una voce sua perché ricordo con precisione quanto tormento la mancanza di uno stile proprio può dare a un giovane autore. È una cosa terribile, ci si sente composti di vetro tritato o di farina nel vento. Non si è niente. Se mi avessero chiesto chi sei, a quell’età, avrei risposto dolorosamente: non lo so.

Vivevo in provincia, ero stupido e ignorante. Le possibilità di lavoro per un disegnatore erano meno di zero. Provavo a cercare lavoro come illustratore ma non trovavo nulla. Per qualche giorno finii in galera e quando uscii, incredibilmente, venni contattato da una piccola agenzia di pubblicità locale. L’art director, ridendo, mi disse che avevano bisogno di una serie di illustrazioni a tema “surgelati”, il titolo della campagna era: “Stiamo al fresco”. Sembrava uno scherzo. Non lo era. Non ricordo cosa cazzo disegnai, ma finii per lavorare nell’agenzia come grafico. In pratica facevo lo sguattero. Non esistevano ancora i computer per la grafica e tutto veniva fatto a mano. Un giorno mi chiesero di scegliere dei font per il titolo di un volantino. Ne scelsi uno, lo mostrai e mi risero dietro. Credo che l’avessero fatto apposta, farmi scegliere un font per ridermi dietro. Il lavoro con l’agenzia durò poco e mi ritrovai di nuovo a spasso. Provai a cercare altre collaborazioni ma non ne trovai. Rivedendo adesso i miei lavori di allora direi che il non trovare lavoro era una diretta conseguenza della mia pochezza tecnica. Facevo veramente cacare. Mollai il disegno, andai a lavorare in una fabbrica dove facevo codici a barre. A mano, pure quelli. Solo un anno dopo mi arrivò una richiesta per delle illustrazioni. Tema: “Alice nel paese delle meraviglie”, un concorso per un supermercato. Si trattava di disegnare Alice con un frullatore in mano, Tweedle Dum e Tweedle Dee seduti su un fornetto elettrico, roba così. La cosa terribile del lavorare in pubblicità era l’uso che i direttori creativi facevano del termine “bello”. “Disegnaci un minipimer con i baffi, ma bello!”. Era orribile, però disegnavo. E disegnare era tutto, anche allora.

Adesso ho un paio di storie avviate, anzi tre. Sono tormentato dal non riuscire a capire se almeno una di queste vale qualcosa. Sono invecchiato, indubbiamente. Ho sempre meno energie e mi stupisco sempre più raramente. Il percorso di lavoro che ho fatto mi ha generato, oltre alle cose buone, una serie di voci che mi parlano nella testa, che mi ricordano che devo essere bravo, devo far commuovere, devo far riflettere, devo far divertire. E queste voci rendono sempre più difficile l’abbandono necessario al lavoro fatto bene. Allo stesso tempo, quella cosa che dicevano i vecchi sull’invecchiare è risultata vera: il mondo intorno non lo capisci più. Vedi persone entusiasmarsi per cose che non comprendi. Cambiano i modi e i tempi e tu, alla fine, non ci capisci più un cazzo. Però, pochi minuti fa, prima di scrivere questo testo, prima di andare a prendere la sigaretta e lasciare i due portamine sul tavolo, ho fatto la matita di una tavola. È una bozza, ma c’è un buon ritmo, ed un paio di buone espressioni. C’è un ragazzino che scuoia un cane e maledice il padre che gli da ordini e lo tratta sempre male. Dice che vorrebbe fare la stessa cosa al padre, fare delle corde con i nervi. Strappargli le budella. In quel mondo, le cose vanno così. In quel mondo, devo dire, ancora oggi, nonostante le voci e tutto il resto, io sto da dio e non vorrei stare da nessun altra parte e non vorrei essere altro che questo: un disegnatore.

[fonte: Wikipedia, s.v.] Gipi, Gianni Pacinotti nasce a Pisa nel 1963. È fumettista, illustratore e regista. Gipi punta su una ricerca pittorica, esprimendosi con fumetti ad olio e poi ad acquerello, in un’epoca in cui il fumetto italiano guarda perlopiù al digitale e all’estero; si caratterizza come fumettista per la sintesi tra l’avventura ed il realismo sia di cronaca che di vissuto personale. Autore di poche pubblicazioni, si afferma in pochi anni, vincendo numerosi premi, tra cui, nel 2006, il Premio Goscinny e il prestigioso Premio al Miglior Album al Festival international de la bande dessinée d’Angoulême, assegnato in precedenza solo a due italiani, Hugo Pratt e Vittorio Giardino. Le graphic novel di Gipi sono pubblicate in Italia da Coconino Press, e sono tradotte in molti paesi, tra cui Francia, Spagna, Germania e Stati Uniti. Gipi inoltre collabora con il quotidiano la Repubblica, per il quale illustra racconti e articoli, e con il settimanale Internazionale. Sue sono le illustrazioni del libro di Alessandro Baricco I barbari, pubblicato a puntate su la Repubblica e poi edito in volume. Ha disegnato la copertina del primo disco di Le luci della centrale elettrica, intitolato Canzoni da spiaggia deturpata, pubblicato nel 2008. Nel 2011 esordisce dietro la macchina da presa con il film L’ultimo terrestre prodotto da Fandango in concorso alla sessantottesima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Nel 2012 viene presentato al Torino Film Festival il suo mediometraggio Smettere di fumare fumando. Nel 2013 realizza il manifesto ufficiale della 31ª edizione del Torino Film Festival. Nel 2014 la sua graphic novel Unastoria, edita da Coconino Press-Fandango, entra nei dodici finalisti del Premio Strega ed è il primo romanzo a fumetti a ricevere la candidatura nella storia del premio letterario. Vince, inoltre, il Premio Speciale “40 anni di Mondello” per la XL edizione del Premio Letterario Internazionale Mondello.

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12 Risposte to “La formazione del fumettista, 17 / Gipi”

  1. Bandini Says:

    Grazie Gipi.

  2. maria Says:

    Viva i fumettisti!Ancora una vlta mi stupisco della simpatia e dell’umanità che sprigiona dai loro scritti.Sono speciali!

  3. Oggi tocca a Gipi, raccontarsi | afnews.info Says:

    […] Leggi il post completo: click qui. […]

  4. acabarra59 Says:

    “ Martedì 10 marzo 2015 – « Il cancro gli era stato diagnosticato nel 2012: fu proprio in quel momento che decise di devolvere buona parte della sua fortuna finanziaria, circa 100 milioni di dollari, alla causa animalista. L’ultimo gesto di Simon su questo fronte risale allo scorso novembre con il salvataggio di Benjy, un toro da riproduzione gay condannato al macello perché il suo orientamento sessuale gli impediva di svolgere il suo “ lavoro “. » (Dai giornali) Quando ho letto questa notizia, ho deciso di “ sottomettermi “ ai fumettisti: sono troppo più spiritosi, più immaginosi, più avventurosi di me. “ [*]
    [*] La s-formazione dello scrittore / 228

  5. manu Says:

    ho deciso. la formazione del fumettista è la mia preferita, tra quelle proposte qui, in vibrisse. grazie e complimenti a matteo bussola, a giulio mozzi e fumettisti tutti. bel pezzo, gipi!

  6. Giulio Mozzi Says:

    Grazie a Matteo. Io non ho fatto altro che proporgli la cosa, dare lo spazio e, ogni tanto, aggiungere refusi nei post.

  7. Morena Silingardi Says:

    Per me Gipi ha tanti talenti, tra questi anche quello di essere un poeta; un poeta di quelli che piacciono a me, quelli che sono poeti anche quando sono altro. Negli acquerelli di Gipi io mi abbandono e lascio trasportare.

  8. alice.securo Says:

    L’ha ribloggato su A Me Mie ha commentato:
    Poesia reale

  9. Marco Says:

    grandissimo Gipi.

  10. paolo armitano Says:

    Quoto Morena…poeta!
    Complimenti per questa rubrica…scoperta e letta tutta oggi. Bella!

  11. manu Says:

    e bussola? a quando la formazione di matteo bussola?
    (anche se ho letto in rete un’intervista del 2011 in cui si racconta parecchio)

  12. La formazione del fumettista, 33 / Mauro Uzzeo | vibrisse, bollettino Says:

    […] è il 2011, ho 32 anni. Gipi mi lascia un messaggio in segreteria. Vorrebbe che io mi occupassi degli effetti speciali de […]

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