Posts Tagged ‘Andrea Pazienza’
16 giugno 2015
di Onofrio Catacchio
[Questa è la trentesima puntata della rubrica del martedì, dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Onofrio per la disponibilità. gm].
Provo sempre un grande imbarazzo quando mi chiedono di “scrivere” in merito al mio rapporto con il lavoro che faccio. Perché io non sono uno che scrive e in definitiva anche con il disegno il mio è un rapporto strumentale. Il disegno mi permette di raccontare mettendo in sequenza le immagini che mi servono. Insomma “faccio” fumetti. Il resto, come dice Michael Douglas in Wall Street, è letteratura.
La scrittura mi serve per sceneggiare mentre col disegno interpreto storie mie o di altri sceneggiatori.
Parlare della formazione del fumettista è ripercorrere una storia nota e in molti casi sovrapponibile ad altre già raccontate: quasi sempre accade ad un ragazzo o una ragazza che in giovane età si imbattono nei fumetti, ne restano affascinati e si industriano per imparare a utilizzare e affinare quegli strumenti che, di primo acchito, appaiono necessari alla realizzazione dei comics: la scrittura e il disegno. A me, a molti della mia generazione, a quasi tutti è successo così.
Io mi sono trovato, da lettore, a vivere il passaggio tra l’artigianato anonimo che ha caratterizzato per lungo tempo buona parte del mercato fumettistico italiano del passato a quello dell’autore che “firma” il proprio lavoro. Succedeva solo a pochi, negli anni ‘70: Pratt, Jacovitti e Bonvi. Tutti gli altri restavano anonimi o protetti da pseudonimi fantasiosi: Magnus, Bunker, Galep…
Insomma conoscevo e riconoscevo dal tratto molti autori USA: Jack Kirby, Jim Steranko, John Romita, Gene Colan e Gil Kane ma assolutamente non sapevo a chi attribuire testi e disegni di buona parte degli albi che seguivo di produzione italiana. Le notizie e i retroscena restavano sconosciuti, misteriosi o completamente fantasiosi. I dati tecnici su sceneggiatura e disegno erano affidati a speculazioni tra appassionati vaghe e improvvisate. Chi realizzava quelle storie? Con quali strumenti? Quali erano e come funzionavano i team creativi?
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Tag:Andrea Pazienza, Bonvi, Bunker, Filippo Scozzari, Galep, Gene Colan, Gianluigi Gonano, Gianni De Luca, Gil Kane, Giuseppe Camuncoli, Hugo Pratt, Jack Kirby, Jacovitti, Jim Steranko, John Romita, Luigi Bernardi, Magnus, Massimo Mattioli, Matteo Casali, Mike Royer, Onofrio Catacchio, Roberto Raviola, Stefano Tamburini, Tanino Liberatore, Vince Colletta, Wu Ming 2
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17 marzo 2015
di Otto Gabos
[Questa è la diciottesima puntata della rubrica del martedì, dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Otto per la disponibilità. gm].
Questo che segue è un elenco ragionato rapsodico e parziale di momenti decisivi che mi hanno fatto capire di essere ineluttabilmente e da sempre autore di fumetti.
1.
Il mio primo incubo ricordato. Avrò avuto poco più tre anni e vivevamo ancora nella casa vecchia sopra la stazione delle littorine. Non so ancora leggere ma i fumetti già li divoro guardando le figure. Nell’incubo ci sono io che piango rannicchiato e nascosto sotto al tavolo di cucina, di quelli di fòrmica turchese come si usava negli anni Sessanta. Sono disperato perché mi stanno dando la caccia dei diavoli. I diavoli sono Geppo, solitamente buono, che in questo caso è cattivo e perfino armato di forcone e il Grande Satana che invece è cattivo come da copione. A distanza di una vita me lo ricordo ancora bene questo primo incubo. Il tempo ha fornito poi diverse varianti al tema, ma di solito i miei incubi, che finiscono spesso in segmenti di sceneggiature, sono infestati da demoni e streghe. Pure da malviventi senza volto smaniosi di entrare in casa armati di coltelli.
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Tag:Andrea Pazienza, Aurelio Galleppini, Carlo Cossio, Emilio Salgari, John Bushema, Lelio Luttazzi, Magnus, Max Bunker, Vincenzo Sparagna, Wally Wood
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10 marzo 2015
di Gipi
[Questa è la diciassettesima puntata della rubrica del martedì, dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Gipi per la disponibilità. gm].
Ho due portamine, sono identici. Stanno sul tavolo. Sono blu, all’esterno. Hanno due mine diverse, all’interno. Una dura, una morbida. Uso la dura per i primi tratti, la morbida per ripassare le linee importanti, per capire dove metterò l’inchiostro. Voglio una sigaretta, appoggio il portamine a mina morbida sul tavolo. Le sigarette sono in cucina, quando torno al tavolo ci sono i due portamine identici uno accanto all’altro. Riconosco quello che stavo usando perché è caldo. È così che li riconosco. E così riconosco i pennarelli che sto usando. Ho sul tavolo, adesso, almeno una ventina di pennarelli neri identici, stessa punta. Almeno, sarebbero identici se fossero nuovi, ma con l’uso si trasformano, si slabbrano o assottigliano. Fanno goccine di inchiostro al principio o al termine di un tratto oppure sono quasi asciutti e permettono di tracciare linee sottilissime. Anche in quel caso, per capire quale stavo usando, li tocco. Quello caldo è quello buono.
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Tag:Andrea Pazienza, Gipi, Tanino Liberatore
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16 dicembre 2014
di Patrizia Mandanici
[Questa è l’ottava puntata della rubrica dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti, che esce in vibrisse il martedì. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Alessandro per la disponibilità].
Se cerco di andare indietro nel tempo per capire quando è nata la mia esigenza di fare fumetti capisco che non c’è risposta: mi sembra di avere letto fumetti da sempre (già da prima che imparassi a leggere guardavo le figure) e di aver subito scarabocchiato in giro immergendomi nei miei mondi (mio padre, che ha sempre assecondato la mia passione, racconta che quand’ero piccola dovette dipingere i muri di casa con pittura lavabile, che tanto io disegnavo anche lì).
Non sognavo di fare la fumettista, sognavo di fare “la pittrice” – intendendo con ciò genericamente la disegnatrice. Più crescevo e più credevo che avrei finito col diventare un’illustratrice, o qualcosa di simile, ma mai veramente una fumettista: quello era un sogno che mi sembrava così al di fuori della portata delle mie possibilità che neanche ci pensavo.
Poi, certo, c’era anche il fatto che per me disegnare storie a fumetti era una questione personale, di sopravvivenza: lo facevo allo stesso modo in cui mangiavo e respiravo, era parte di me, come avrebbe potuto diventare un lavoro?
Mi piacevano così tanto i fumetti che disegnarne di miei era anche un modo per prolungare il piacere che mi dava entrare dentro quegli universi – e infatti mi ispiravo a quello che mi capitava sotto mano a quei tempi, e che amavo, da Tex a Capitan Miki, storie con indiani e cowboy disegnate con qualsiasi cosa su qualsiasi supporto: carta da disegno, ma anche quaderni a righe, a quadretti, blocchetti della riffa, agendine.
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Tag:Andrea Pazienza, Aurelio Galleppini, Giovanni Ticci, Hugo Pratt, Marcello Toninelli, Moebius, Patrizia Mandanici, Vittorio Giardino
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24 novembre 2014
di Vanni Santoni
[Questo è il ventisettesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice. Le due serie escono, ormai un po’ come viene viene, il lunedì e il giovedì. Ringrazio Vanni per la disponibilità. gm]
La base di tutto: in casa mia c’erano molti libri e fumetti, e io li leggevo. Ho cominciato a scrivere molto tardi ma a leggere molto presto, e anche molto seriamente. Mio nonno mi leggeva i classici; dalla biblioteca di mio padre attingevo indifferentemente libri da bambini e libri da adulti, fumetti da bambini e da adulti (c’erano del resto a disposizione collezioni integrali di Linus, Corto Maltese, Alter, L’Eternauta…). I miei libri preferiti da bambino erano quelli di Calvino, Borges, Andrea Pazienza e Umberto Eco; tra quelli effettivamente destinati all’infanzia apprezzavo molto il romanzo La pietra del vecchio pescatore e tra i fumetti la Pimpa di Altan e tutta la produzione di Carl Barks. Anche i Ronfi di Adriano Carnevali non erano male.
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Tag:Adriano Carnevali, Alan Moore, Alberto Moravia, Allen Ginsberg, Altan, Andrea Pazienza, Andrea Zanzotto, Antonin Artaud, Arthur Rimbaud, Carl Barks, Carl Jung, Carlo Emilio Gadda, Céline, Cormac McCarthy, Curzio Malaparte, David Foster Wallace, Dino Buzzati, Dino Campana, Don DeLillo, Dylan Thomas, Edwin Abbott Abbott, Elio Vittorini, Emily Dickinson, Frank Miller, Friedrich Dürrenmatt, Garth Ennis, George Orwell, Giorgio Manganelli, Gustave Flaubert, Hubert Selby Jr, Ingeborg Bachmann, Italo Calvino, Jorge Luis Borges, Joris Karl Huysmans, Julio Cortázar, Lautréamont, Lev Tolstoj, Lewis Trondheim, Michel Houellebecq, Neil Gaiman, Pat Mills, Pat O' Shea, Paul Éluard, Paul Celan, Philip K. Dick, Philiph Roth, Pierpaolo Pasolini, Roberto Bolaño, Samuel Tylor Coleridge, Sylvia Plath, Thomas Mann, Thomas Pynchon, Thomas S. Eliot, Tomas Tranströmer, Truman Capote, Vanni Santoni, Voltaire, W.G. Sebald, Wilfred Owen, William Burroughs, William Butler Yeats, William Faulkner, William T. Vollmann, William Wordsworth, Wolfgang Goethe, Yukio Mishima
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18 novembre 2014
di Alessandro Baggi
[Questa è la quarta puntata della rubrica dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti, che esce in vibrisse il martedì. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Alessandro per la disponibilità].
Adesso che ho 48 anni, fumo la pipa e mi sveglio quando voglio. Dormo poco, però; ho orari irregolari.
Comunque, sì; lavoro in casa e faccio Il Disegnatore Di Fumetti.
Di mestiere, proprio. “Professionista”, si dice.
C’è di bello che puoi ascoltare la musica; un casino di musica.
Anche Ornette Coleman, se vuoi.
Poi, c’è di bello che i giorni di lavoro sono tutti uguali, e si lavora da seduti, da FERMI, eppure sembra sempre di andare AVANTI, in una corsa folle in cui non ci si ferma mai.
Sembra di vivere da capo sempre la stessa giornata, con minime variazioni (la spesa, qualche telefonata), dentro alla quale però accadono cose diverse che dipendono TUTTE da TE.
E ti spingono AVANTI.
Anche mentre si dorme, pare di andare avanti, verso la cosa che farai appena sveglio; sempre la stessa cosa, lenta, che però si muove con te.
Poi, c’è di bello che questa corsa che sembra portare AVANTI, in realtà ha lo scopo di portarti indietro, indietro fin dentro ai giorni belli dell’infanzia, dai quali, vivendo, ci si allontana sempre di più, e quindi, se questa corsa riuscisse ad arrivare là dove deve arrivare, alla fine, sarebbe BELLO; ritroveresti tutto intatto, e una specie di vita che ricomincia da capo e in cui tutto andrà bene, in cui tutto sarà OK.
E’ una corsa che può anche arenarsi, o diventare piuttosto brutta, ma va verso qualcosa di bello, e quindi io ho sempre cercato di non cambiare direzione; di non mettermi, ad esempio, a fare il barista o l’animatore perché non ne potevo più di stare a disegnare DA SOLO.
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Tag:Alessandro Baggi, Andrea Pazienza, Milo Manara, Moebius
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7 aprile 2014
di Antonella Bukovaz
[Questo è il tredicesimo articolo di una serie che spero lunga e interessante. Ringrazio Antonella per la disponibilità. Chi volesse proporsi, mi scriva mettendo nell’oggetto le parole “La formazione della scrittrice”. La prossima volta tocca a Sara Loffredi. gm]
Ricordo una gita, sarà stato nel 1983 o forse nell’ ’84…
Avevo appena ricominciato a studiare. Gli anni delle Magistrali avevano lasciato un buco intorno al quale frano ancora adesso. Una parente mi indirizzò a un ufficio nel quale, dietro una scrivania ingombra di libri e davanti a un quadro coloratissimo, grande, con forme che nascevano le une dalle altre senza soluzione di continuità, sedeva Pavel Petričič. Mi mostrò due libri uguali. Due libretti sottili che narravano la leggenda della Kraljica Vida illustrati da disegni in bianco e nero. Mi chiese di leggere. A fatica lessi, in dialetto sloveno senza conoscerne la grafia, la prima pagina di uno dei libretti. Con il secondo non mi riuscì. Era la versione in lingua letteraria slovena, della stessa leggenda che alla difficoltà dei grafemi a me sconosciuti univa un lessico altrettanto sconosciuto. Lui mi sorrise, di un sorriso che prometteva una cura per ogni mio smottamento. Mi offrì di rimettermi a studiare e di prepararmi per un grande progetto: la nascita di una scuola bilingue, italiano/sloveno, che per modello didattico sarebbe stata, ed è, unica nel suo genere in Italia. Ma di questo volevo scrivere dopo o forse anche no. Volevo invece cominciare con la gita. Avevo appena iniziato lo studio dello sloveno, lo capivo e parlavo poco. Il recupero della parlata dialettale era però già avviato. Del mio percorso di studio facevano parte le gite d’istruzione che per me erano vere e proprie esplorazioni nel paesaggio e nella cultura slovena. Indelebile nella memoria quella che mi portò a stare seduta su un pavimento di legno nero in una stanza buia. Le pareti, anch’esse nere. Ma forse tenevo solo gli occhi chiusi. Un filo di musica. Una registrazione. Le poesie di Srečko Kosovel che si materializzavano dal nero. Si infilavano sotto di me e mi tenevano sollevata. Era in atto una meraviglia. Da quella casa atterrai stordita. Cercai di mantenere quello stato di stupore il più a lungo possibile. Non avevo mai letto poesia. Cercai Kosovel. Poi, a lungo, più nulla.
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Tag:Aleksandr Blok, Andrea Pazienza, Carmelo Bene, Franco Arminio, Franco Loi, Moreno Miorelli, Nadezda Mandel'stam, Osip Mandel'stam, Pavel Petričič, Peter Handke, Rainer Maria Rilke, Robinson Jeffers, Sergej Esenin, Srečko Kosovel, Vladimir Majakovski
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19 febbraio 2011
di giuliomozzi
Varrebbe la pena di ricordare che il 15 febbraio 2006 l’attuale ministro per la Semplificazione normativa, allora ministro per le Riforme, durante un’intervista al TG1, si sbottonò la camicia esibendo, stampata sulla maglietta, una vignetta derisoria nei confronti della religione islamica. La vignetta in sé non era gran cosa; si pubblicano ogni giorno, per dire, vignette che scherzano sul cristianesimo o lo deridono, e nessuno fa una piega; tuttavia in quei giorni erano in corso in tutto il mondo islamico manifestazioni di protesta per la pubblicazione di vignette analoghe; giornali e giornalisti in Europa erano stati minacciati; la vignetta esibita da Calderoli era stata pubblicata qualche giorno prima dal quotidiano francese France Soir e il proprietario, franco-egiziano, aveva immediatamente licenziato il direttore. La difesa della libertà d’espressione è sacrosanta; il buonsenso sconsiglia però di provocare chi è in agitazione; quello che accadde fu che due giorni dopo, il 17 febbraio 2006, il consolato italiano a Bengasi fu attaccato, saccheggiato e bruciato da una folla inferocita; la polizia libica sparò sulla folla, ammazzando undici persone.
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Tag:Andrea Pazienza, Nasr Mabrouk, Roberto Calderoli
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