Note di lettura: “Il caso letterario dell’anno” di Marco Visinoni.

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di Luigi Preziosi

Il caso letterario dell’anno, di Marco Visinoni, da oggi in libreria (prima uscita di Senza rotta, nuova collana di narrativa italiana di Arkadia Editore, curata da Marino Magliani con l’amichevole partecipazione di chi scrive queste note), squaderna davanti al lettore le conseguenze ultime del desiderio (meglio sarebbe forse dire tentazione?) comune a tanti di noi di evadere dal moto costante del flusso del tempo, di mescolare presente e futuro, e poter andare e tornare almeno all’interno di quella quota infinitesimale di tempo che ci è dato vivere.

E’ quanto avviene a Leifur, uno scrittore squattrinato dalla incerta fortuna letteraria che dopo il primo libro non riesce a scrivere altro: così tira avanti (maluccio) vendendo su internet spunti per romanzi ad altri scrittori in crisi come lui.

Sopravvive in una sorta prolungata adolescenza, conducendo, in una Bologna alternativa e bohémiens, un’esistenza da spensierato fuoricorso universitario, chiusa nel bozzolo di una rassicurante precarietà priva di prospettive. Un giorno riceve una visita che invece colmerà di attese per il futuro la sua esistenza fino a quel momento neghittosa: se stesso più vecchio di dieci anni. Il dialogo che si instaura tra i due è serrato e non privo di polemica, come del resto è facile attendersi da un confronto sincero con se stesso. Alla fine il Leifur più anziano consegna a quello più giovane un almanacco, che riporta i numeri vincenti di alcune lotterie del passato (o dell’immediato futuro, se si vede la cosa con gli occhi del Leifur giovane). In dieci anni si cambia, e la noncuranza attuale verso i soldi o comunque verso un sistema di vita più stabile, si trasformerà in ricerca di comodità, ed il se stesso di dieci anni dopo vuole vivere di rendita per il resto della vita.

“L’inferno borghese si mangia tutto” commentano tra loro i due Leifur, abusando di una formula che non appartiene a nessuno dei due tempi in cui vivono, ma richiama un Sessantotto o giù di lì che non hanno attraversato, e che tuttavia pare possa annusarsi ancora negli anditi della vecchia Bologna che amano frequentare.

Dopo avere preconizzato che la ragazza di turno lo avrebbe lasciato di lì a poco, cosa che puntualmente avviene, l’io futuro lascia Leifur a meditare sull’uso del misterioso almanacco. Le cose si complicano subito, per l’intervento imprevisto e in un primo tempo indesiderato di Boris, una strana figura deforme conosciuta nel giro degli amici come il “matto del porto”. Boris nel tempo si trasforma, da mal sopportato partecipante alla sfida alla sorte che l’almanacco impone, in amico vero, prezioso supporto del protagonista e dispensatore di una sua stralunata saggezza. Leifur, oltre a ritrovarselo dormiente nel gabinetto di casa nei momenti meno opportuni, condivide con lui le prime giocate, senza il risultato pieno che i due si aspettavano: qualche scostamento rispetto al succedersi degli eventi dovuto all’inopinata e completa consapevolezza di se introduce leggere discrasie nel flusso temporale che conduce a dieci anni dopo. Così qualche numero o qualche figura presente nell’almanacco non corrisponde a quelli effettivamente estratti: “il fottuto effetto farfalla. Che cos’è l’effetto farfalla?….Il tuo io futuro è tornato a darti i numeri vincenti. Il problema è che tornando ha incasinato le cose. Mettendoti in moto ha spostato degli elementi che potrebbero sembrare impercettibili, ma uno più uno più uno più e anche i grossi eventi si modificano.”

Durante la sua attività di venditore di idee per romanzi altrui, Leifur si imbatte in Leila, ragazza dalle risorse inaspettate, di giorno autrice di libri porno soft non memorabili ma di buon successo, con meravigliata invidia di Leifur, e di notte protagonista delle serate sado maso di un locale frequentato da un’ambigua fauna notturna. Inizia così una rovente relazione ed inizia anche una girandola di avventure che coinvolge pure Boris. Le vincite grazie all’almanacco si fanno via via più ingenti, ed i tre decidono di partire per l’Islanda, paese natio di Leifur (questo spiega il nome non propriamente consueto nella tradizione italica), alla ricerca dei genitori mai conosciuti del protagonista. In Islanda Leifur perderà Leila, invaghitasi di un occasionale conoscente che li aiuta a programmare il loro itinerario, ma ritroverà i genitori, convinti della sua morte dopo la sua sparizione in prossimità di un geyser: “Quando ci alzammo per andarcene, eri scomparso. Qualcuno dei turisti nel ristorante ti aveva rapito e portato via. Ti facemmo cercare per giorni, vennero anche degli uomini con le tute a controllare i geyser per capire se non ci fossi caduto dentro anche tu”. L’incontro con i genitori ha un che di crepuscolare, tra estranei che non avrebbero dovuto esserlo e che di ciò paiono dolersi. Su questa nota, inaspettata e solo parzialmente percepibile nel frastuono della prosa brillantemente pirotecnica sfoggiata da Visinoni, si innesta la verità “altra” che il se stesso maggiore di Leifur gli rivela una volta rientrato a Bologna. L’alternativa avrebbe dovuto essere un viaggio in Islanda per il funerale di genitori mai conosciuti: “Non chiedermi come sono morti, per favore. Non ti piacerebbe. Ricevi quella chiamata, non sapevi nemmeno di avere dei genitori, vai in Islanda a un funerale al quale partecipi soltanto tu. Visiti la tua camera da bambino, in cerca di un ricordo, e ti imbatti in quel libro… Volevo soltanto che avessimo un ricordo delle loro facce e della loro voce. Ora, grazie al tuo viaggio, abbiamo un ricordo”.

Il pellegrinaggio alla sua casa di origine è stato utile appunto anche per recuperare un vecchio libro Infinite Jest (“quello sui tennisti e i tossici trovato a casa dei miei genitori”), che servirà, attivando la forza smisurata dei ricordi, a ritrovare il punto esatto del passato da cui ripartire: “Lo leggerai di getto, e arrivato a pagina 819 troverai una parola che ti colpirà. Ci penserai intensamente, senza pronunciarla. Ci penserai su, per anni. Poi un giorno ti deciderai e la pronuncerai. Appoggiò la tazza di caffè sul tavolino, in attesa del mio duepiùdue che non arrivò. E?, domandai. E quando la pronuncerai, associandola a un ricordo del passato, ti ritroverai catapultato in quel momento del passato”. E’ il momento per riprendere in mano Starbucks, il romanzo iniziato anni prima da Leifur e mai finito: “La cosa migliore che avessi mai scritto. Abbandonata a pagina 500 con il solo finale da scrivere. Finire Starbucks era stato il mio unico pensiero per due anni, poi la noia e tutto il resto avevano trasformato un pensiero concreto in un pensiero distante. Da lì il piano si era inclinato spaventosamente, la biglia aveva preso a rotolare a velocità vorticosa, rendendo il pensiero distante pensiero incerto, il pensiero incerto pensiero improbabile, il pensiero improbabile utopia”.

Sulla necessità di concludere il romanzo tanto insiste il suo io futuro durante diversi incontri: “…Hai continuato a bere e scopare in giro, come un universitario di vent’anni con un portafogli infinito. E piano piano hai perso completamente il tuo talento. Guarda me, sussurrò piano, facendo scivolare i palmi lungo la giacca luccicante. Non ho più idea di come si scriva. Neanche una parola. Sembrava sincero, e profondamente triste.”

Dal ritrovato impulso a scrivere dipende il modo in cui Leifur potrà vivere gli anni che verranno, non solo in senso economico. La realtà, ci insegna Visinoni, muta a seconda di come ce la sentiamo addosso, di come la percepiamo coscienti di farne parte, di non viverci dentro da ospite, come a Leifur succede per i primi trent’anni vissuti da studente fuori sede, ma senza neanche il pensiero di un’altra casa a cui ritornare. E quando finalmente Starbucks esce, e coglie un successo che supera ogni previsione, diventando il caso letterario dell’anno, Leifur riesce a diventare chi è, indipendentemente dal punto del viaggio in cui si trova.

Il finale, che non è bene svelare, è un’ulteriore virata della narrazione, tesa a definirne in via mediata il senso etico, il che conferisce al romanzo, anche se nascosto tra immaginifiche acrobazie descrittive, un esito da apologo morale che ne spiega e al tempo stesso ne nobilita gli intenti.

Visinoni pratica la difficile arte della leggerezza con una maestria già spesa in precedenti pubblicazioni (Macabre danze di sagome bianche, Come diventare uno scrittore di successo), che qui si evidenzia particolarmente per le forme stilistiche ampiamente colloquiali e per una scrittura particolarmente brillante, con esiti a volte irresistibilmente umoristici. La lievità di tono è sorretta anche da una sorvegliata scansione dei tempi narrativi che non presenta momenti morti: la velocità dell’azione non compromette però la possibilità di individuare spunti per leggere oltre la storia raccontata, di cogliere ciò che può svelare la stessa trasparenza dell’intreccio.

Ma che cos’è in fondo Il caso letterario dell’anno? Un romanzo che si situa per evidenti ragioni nell’area della narrazione fantastica: all’implausibilità dello spunto fa da contrappeso il contesto di assoluta normalità in cui Visinoni ambienta la storia. L’effetto straniante della collocazione nella più ordinaria quotidianità di molte delle epifanie del Leifur più anziano pare quasi invitare il lettore a prescindere dall’inverosimiglianza per interpellarsi sulla ricerca di senso che quelle epifanie suscitano. Della libertà che offre il fantastico il romanzo si giova anche nel ricorso frequente alle deformazioni di fatti e di volti tramutati in maschere, con un conseguente grottesco continuum: si susseguono così in una ininterrotta girandola poliziotti caricature di se stessi, imperturbabili gestori di botteghini di lotterie dalle più strampalate denominazioni, amori raccattati nei posti più improbabili, goduti in fretta ed ancor più in fretta dimenticati… E’ una vita di corsa, quella di Leifur e dei suoi amici, senza intervalli di riflessione, da cui le pause sono bandite: è sottinteso un fondo di timore dell’assenza, da riempire nel corso della narrazione con cumuli di parole, un’oltranza affabulatoria a nascondere quella vertigine del vuoto che assilla i nostri giorni.

Da altro punto di vista, Il caso letterario dell’anno testimonia, se non una formazione, una crescita. La consapevolezza che ogni atto, anche minimo, indirizza il futuro comporta una graduale assunzione di responsabilità per chiunque, anche per uno scapestrato come il protagonista del Caso letterario, ed anche per chi non abbia il dono di constatarlo tramite almanacchi provenienti dal futuro. Leifur ha, infatti, il singolare privilegio di percorrere la sua strada anche a rovescio. A tutti noi è possibile invece imboccarla in un unico senso, fino al momento in cui ci capita di incrociare il nostro io passato, lo studente dubbioso , il marito o la moglie appena sposati, il padre in attesa davanti alla sala parto, insomma tutti i nostri io alle svolte della vita, con la domanda che è sempre la stessa: “è questo che volevi?”, o meglio ancora, considerati gli impercettibili scarti del destino di cui ci avverte Visinoni: “è questo che ti aspettavi?”

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