“Oltre il confine”, di Igor Greganti

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di Edoardo Zambelli

Igor Greganti Oltre il confineVelocità e straniamento. Se penso a Oltre il confine, romanzo di Igor Greganti da poco pubblicato per l’editore Laurana, mi vengono in mente queste due parole. Tutto succede nel giro di pochissime pagine, la narrazione presenta un primo personaggio, poi un secondo e in breve il lettore si ritrova con quattro personaggi principali e un viaggio già iniziato. L’obiettivo: portare oltre confine una valigetta di cui nessuno conosce il contenuto.

Greganti fa muovere i suoi personaggi attraverso un’Italia sfasciata, un paese devastato da una guerra civile, governato – ma si direbbe ancora per poco – da un presidente del Consiglio che quella guerra continua a negarla. L’Italia raccontata è un paese metafora – di oggi, di domani, difficile stabilirlo -, un’allucinata Macondo, un mondo narrativo regolato da leggi interne che trovano nell’assurdo la loro chiave di lettura più appropriata. Direi, anzi: l’unica chiave di lettura possibile.

La scrittura è densa di immagini, di significati. Salta da un personaggio all’altro, da un evento all’altro, tanto in fretta – di nuovo la velocità di cui dicevo all’inizio – che basta distrarsi un attimo e si ha la sensazione di aver perso qualcosa, un passaggio importante.

A me il raccontare di Greganti ha ricordato, in piccolo, un po’ quello di Thomas Pynchon e un po’ quello di Osvaldo Soriano – nomi enormi, lo so, ma la mia impressione è quella -, per il modo in cui le situazioni si sovrappongono l’una sull’altra senza sosta; per il continuo divagare su tutta una galleria di personaggi secondari e le loro storie – il bimbo con l’acino d’uva bloccato in gola è uno degli episodi più belli del libro; per l’umorismo nerissimo che invece di stemperare la tragedia sembra quasi renderla più evidente. E in ultimo, per il tentativo, come recita la quarta di copertina, di raccontare “il sogno comico e drammatico di una reazione alla distruzione di un Paese e di una generazione” – e penso qui a libri come Vineland di Pynchon o La resa del leone di Soriano.

Raccontarne la trama non ha senso, basti sapere che è un viaggio, un viaggio oltre il confine di questa Italia distrutta. Ed è un viaggio che secondo me vale la pena di fare.

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