di Eusebio Gnirro
Quella che sto per enunciare è una nozione ormai acquisita a livello di studenti della scuola superiore a indirizzo psico-pedagogico: se si indagano a fondo le passioni che appaiono più folli e dissennate, esse finiranno per rivelarsi l’esito di un complicato sistema di protocolli interni, spesso agiti inconsapevolmente, la cui funzione è di salvaguardare il soggetto dalla follia di cui apparirebbe, a uno sguardo disavveduto, risoluto e irremovibile latore. Senza contare che le origini di tali smanie sono insondabili se non al prezzo di condannare alla disgregazione l’oggetto dell’indagine, ossia l’agglomerato composto dalla passione e dall’appassionato, poiché esso oggetto soggiace al principio d’indeterminazione della psicologia quantistica in base al quale non è possibile studiare un’affezione e provarla contemporaneamente. Se dunque si consolida l’idea che la dicotomia tra conoscere e sentire sia insuperabile: mettete in conto che l’insistenza nel voler risalire alle scaturigini della fissazione, ossia a quando eravamo ominidi terrificati dal fragore dei tuoni e dal corruscare dei lampi, vi precluderà la possibilità di apprezzare questa rara forma di eccitazione sessuale per i fulmini.
Se si tratta di un’esperienza che vi incuriosisce insisto: dismettete gli abiti dello studioso e tenete a bada l’istinto che spinge qualsiasi essere vivente a guardarsi intorno in cerca di riparo non appena l’aria si elettrizza, il cielo s’incupisce, e una quiete sovrannaturale preannuncia la tempesta; dovete prendere ad esempio gli alberi, che pur presentendo ciò che sta per abbattersi sulle loro chiome rimangono impavidamente ancorati al suolo, accada quel che accada. Guadagnate dunque il ballatoio di casa e poggiate entrambe le mani sulla ringhiera come se doveste tenere una concione indirizzata ai nembo-cumuli oppure sistematevi al centro del giardino condominiale sorreggendo lo scheletro metallico di un ombrellone con le stecche divaricate: l’obiettivo è rimanere stoicamente in posizione mentre il cielo s’abbuia e l’acqua comincia a venir giù a rovesci, perché se a un certo punto, quando i primi fulmini sembreranno cercarvi a tentoni sulla superficie terrestre e sentirete i peli drizzarsi per l’intensificarsi del campo elettrico, batterete in ritirata infrangendo la barriera del suono per esser certi che nemmeno i tuoni riescano a raggiungervi: poi non lamentatevi di non essere stati arruolati nella esigua schiera di coloro che, trasformati in fittoni le proprie dita, hanno aspettato che una saetta li indovinasse per regalarsi un’esperienza indescrivibile (sia in sé, che per le intrinseche difficoltà di fonazione dei cumuli di cenere).
Tuttavia, se avrete la costanza di cercare nel cosiddetto deep-web (la rete sommersa dove ognuno è libero di far scorazzare le personalità meno raccomandabili di cui dispone) potrete imbattervi in un corto-metraggio che ha come protagonista una splendida donna splendidamente nuda, la quale, legata all’albero metallico di una barca in balia di un fortunale, è destinata ad essere percorsa da una scarica di centottantamila ampere. Ne noterete, rivedendo al rallentatore le frazioni di secondo che antecedono la vulcanizzazione, l’espressione estatica e l’occhio esterrefatto prima d’esser torrefatto: entrambi indicatori di superficie di ciò che le è accaduto in profondità, e di cui ha avuto sentire (mica sentore) ogni singola cellula del suo organismo, nella totalità degli atomi che la componevano, grazie all’istantanea (o giù di lì) ionizzazione integrale della gentildonna: testimone inconsapevole della possibilità di vivere (ma fino a un certo punto) un’esperienza di totale (senza dubbio) fusione con il cosmo: un’esperienza mistica a tutto campo, soprattutto in quello elettrico.
Dopo aver visionato il breve filmato e altri del medesimo genere (in particolare quello del funambolo ipovedente a cui giocano lo scherzetto di farlo camminare in equilibrio su un cavo dell’alta tensione, aiutandosi con un asta metallica che finirà per toccare l’altro cavo), la tentazione di concedersi questo piacere supremo e irreplicabile si farà imperiosa, specialmente in coloro che dispongono di cognizioni aritmetiche sufficienti a fargli instaurare una proporzione tra l’intensità di un orgasmo normale, che può essere replicato per migliaia di volte nel corso della propria vita, e la soglia rappresentata dalla somma di tutte quelle volte in una singola goduta capace di spostare dal piano metaforico a quello letterale la formula abusata del “morire di piacere”. In un mondo dominato dalla ragione un simile pensiero dovrebbe scatenare la caccia al fulmine: la competizione sfrenata tra uomini e donne disposti a tutto pur di accaparrarsi il più fervido. Ma l’uomo è, per sua natura, risaputamente irrazionale (mentre la donna razionale è, manco a dirlo, contro-natura per definizione), quindi non c’è da stupirsi se soltanto una sparuta minoranza di prodi immuni da qualsiasi pruderie sia disposta al sacrificio estremo per regalarsi il più estremo dei piaceri.
E gli altri? Gli altri ripiegheranno su soluzioni di compromesso.
Esiste in commercio un complicato dispositivo, a dire il vero privo di certificazioni ministeriali, capace di provocare una perturbazione temporalesca localizzata in grado di far assaporare a chiunque, nel chiuso della propria stanza, questa forma di sesso senza esporlo al rischio del decesso. Si tratta di una tecnologia dai costi proibitivi per i più, i quali però possono comunque ripiegare su prodotti meno sofisticati, ma non indegni, come le supposte ad alto voltaggio, il copriglande trifase, l’accumulatore clitorideo, che gli faranno provare l’ebbrezza della scossa, rimanendo sempre al di qua dell’orlo della fossa.
Tag: Eusebio Gnirro, Turi Totore
4 luglio 2016 alle 10:41
Hai un futuro come scrittore di Fantasy noir, un genere nuovo. Leggendo questo tuo post è stato come leggere un racconto originalissimo e quindi spero che farai lo scrittore e non il ricercatore 🙂
4 luglio 2016 alle 17:23
[…] Keraunophilia […]
6 luglio 2016 alle 13:34
Credevo che la Ceraunofilìa fosse la pulsione erotica per gli accoppiamenti in cui -oltre ai soggetti coinvolti- c’era uno.