
Una tipica blogger di campagna
di giuliomozzi
1. Ricorda che i “blogger” erano di moda dieci anni fa. Ora non lo sono più. Nel 2004 Einaudi pubblicò, curata da Loredana Lipperini, una raccolta di racconti scritti da “blogger”. Se provi a guardare qui, e a seguire tutti i link, ti accorgerai che quasi nessuno di quei blog esiste ancora.
2. Ricorda che dieci anni fa la parola “blogger” sembrava indicare persone che avevano inventato un modo nuovo di scrivere. Oggi la parola “blogger” sembra indicare persone che sono rimaste aggrappate a un passato che non esiste più. Un po’ come i sessantottini.
3. Se stai per dire “Ma Pulsatilla…”, ricorda che La ballata delle prugne secche uscì nella primavera del 2006 (storia antica: non c’era ancora “la crisi”, tanto per dire), e che Valeria Di Napoli (alias, appunto, Pulsatilla) già nel 2001 era statata finalista (pubblicata) del Campiello Giovani. Fa’ dunque i conti di quanti anni ci vogliono, e di quanta paglia bisogna mangiare.
4. Ricorda che se manderai a un pezzo grosso dell’editoria una lettera con scritto dentro qualcosa come “Ho appena aperto un blog di racconti, ha voglia di darci un’occhiata?”, la probabilità che il pezzo grosso dell’editoria clicchi sul link sono meno di zero. (E’ possibile, se il pezzo grosso in questione è particolarmente disponibile, che risponda invitandoti a mandare i tuoi racconti, riuniti in un unico file, alla segreteria editoriale).
5. Ricorda che se manderai a un pezzo grosso dell’editoria una lettera con scritto dentro qualcosa come “Sono sei anni che pubblico i miei racconti nel mio blog, ha voglia di darci un’occhiata?”, la probabilità ecc. (vedi sopra, n. 4).
6. Ricorda che è ormai assodata l’inesistenza di qualunque relazione tra il numero di visitatori di un blog e il numero di acquirenti di un eventuale libro scritto dall’autore del blog. Anche se hai 700 visitatori unici al giorno e milleduecento abbonati agli aggiornamenti via email, ciò non significa nulla.
7. Se stai per dire “Ma i Wu Ming…”, ricorda che lo pseudonimo Luther Blissett apparve in Italia per la prima volta nel 1994, e Q fu pubblicato nel 1999. In mezzo, cinque anni di duro lavoro e di invenzioni anche clamorose. (E poi loro, i Luther Blissett / Wu Ming, non sono mai stati “blogger”).
8. Ricorda che così come una raccolta di articoli non fa un saggio; e una raccolta di racconti non fa un romanzo; e una congerie di tapas non fa una cena; eccetera; analogamente tra una sequenza di post e un’opera letteraria, per dirla con Goldoni, “vi è qualche differenza” (Locandiera, atto I, scena 1).
9. Ricorda che nessun libro scritto da un “blogger” ha avuto successo o destato interesse in quanto scritto da un “blogger”. Ciò che conta è pur sempre che l’opera sia bella, o vendibile, o (meglio ancora) bella e vendibile.
10. Chi ti parla è un veterano del “blogging” italiano. E non è mai stato, per sua fortuna, un “blogger” (pur avendo pubblicato un libro interamente composto da estratti da un suo blog).

Una tipica blogger costiera
Tag: Carlo Goldoni, Loredana Lipperini, Luther Blissett, Pulsatilla, Valeria di Napoli, Wu Ming
4 febbraio 2015 alle 14:51
uso il blog come laboratorio di scrittura, mi “obbliga” a tenermi in esercizio in disimpegno, e a questo punto, dopo averti letto, meno male! 😉
4 febbraio 2015 alle 15:32
la palestra mantiene allenato un corpo…
4 febbraio 2015 alle 15:33
Io me la sono cavata archiviando il meglio di Cazzeggi Letterari in un “BestofCazzeggiLetterari” , mentre la povera Lipperini è ancora lì che mi censura indefessa i commenti su Lipperatura, povera cara.
http://bestofcazzeggiletterari.wordpress.com
4 febbraio 2015 alle 15:34
Oltre tutto “Net Gener@tion”, uscito con gli Oscar Mondadori, era firmato Luther Blissett + Giuseppe Genna, e i blog nemmeno esistevano, esistevano le chat, i gruppi di discussione, i forum di letteratura dispersi nella galassia
http://www.lutherblissett.net/archive/159_it.html
4 febbraio 2015 alle 15:40
E se uno/a lo facesse solo per passione? Così, senza pretese? Questo è quello che facciamo io e la mia “socia” Monica su Letterando. Il nostro unico scopo è divertirci e, se possibile, dare un pizzico di visibilità in più agli autori esordienti senza avere la pretesa di dare un giudizio sulle loro opere. Noi li mettiamo su un piccolo palco e accendiamo le luci, poi se loro cantando stonano…
Giusto per finire posso affermare che a questo punto i famosi “pezzi grossi” fanno un po’ come piace a loro, e noi abbiamo imparato a fregarcene (con rispetto parlando). Se son rose fioriranno, altrimenti in caso contrario apriremo una pasticceria! Cory.
4 febbraio 2015 alle 15:41
un bel memorandum per ricordarci che, come si dice a casa mia, “nun ci ha putemu fari mai”. amen
4 febbraio 2015 alle 15:45
Giulio e che ci dici di Tazzina di Caffè? http://www.eccomimi.blogspot.com La leggenda vuole che Noemi Cuffia sia stata notata dall’editoria proprio grazie al suo blog. E machedavvero. it? Lei racconta di essere stata scoperta per caso da un editor di Rizzoli. O si tratta di casi isolati(ssimi)?
4 febbraio 2015 alle 16:18
“ Venerdì 31 gennaio 2003 – « Quello che ho scoperto ha veramente del sorprendente per me che mi occupo del raccontarsi. Blog è innanzitutto la contrazione di due parole – web e log – e log in inglese significa giornale di bordo, il verbo to log significa registrare fatti nel giornale di bordo. Un diario, insomma, un diario operativo, ma in definitiva sempre un diario. Ho cercato ancora e mi si sono spalancate davanti le porte di una comunità che sulla rete mette la propria vita privata, i blogger (chi scrive blog) partendo da se stessi costruiscono un insieme fortemente interattivo che vive di messaggi, link, opinioni, emozioni. In Italia ancora i blogger sono pochi e fortemente caratterizzati. Appartengono soprattutto ai gruppi giovanili dei web-designer che interagiscono in modo particolare tra loro, ma negli Stati Uniti, soprattutto, avere un blog nel proprio sito web è quasi comune. Si scrivono annotazioni, appunti, sensazioni fugaci, un fatto accaduto, un incontro e tutto questo viene registrato sul proprio blog automaticamente con un clik corredato di data e ora registrata in calce a futura memoria. » (Dal web) “ [*]
[*] La s-formazione dello scrittore / 205
4 febbraio 2015 alle 16:27
Come mai ti è venuto in mente di redarre questo posto? 🙂
4 febbraio 2015 alle 16:30
(Per la precisione:
4 febbraio 2015 alle 16:33
« Ricorda che è ormai assodata l’inesistenza di qualunque relazione tra il numero di visitatori di un blog e il numero di acquirenti di un eventuale libro scritto dall’autore del blog».
Ok ma spesso le visite del blog orientano in maniera decisiva l’editore.
4 febbraio 2015 alle 16:39
Se però si pensa che “log” è anche il solcometro si naviga meglio.
4 febbraio 2015 alle 16:45
O un tronco d’albero, Robysan, che è anche un significato più immediato, no?
4 febbraio 2015 alle 16:50
Ciro Pellegrino: nell’esperienza mia, non è così.
Sonia: l’infinito “redarre” non esiste; esiste “redigere” (vedi, a es., la Treccani). Ho scritto questo decalogo perché tra ieri e oggi ho ricevuto cinque lettere del tipo di cui al punto 4.
Evelyyn: io stesso ho cercato, tavolta con successo, di portare nell’editoria libraria persone conosciute attraverso la loro pubblicazione in rete. La mitologia che cerco di castigare sorridendo in questo decalogo è quella del “blog come via privilegiata/necessaria all’ingresso nell’editoria libraria”.
Letterandoblog: ciò che si fa per passione, si fa per passione; e trova soddisfazione già là.
Luciano Pagano: il libretto Net.gener@tion: manifesto delle nuove libertà (“Nel 1996 alcuni aderenti al progetto [Luther Blissett] forniscono alla casa editrice Mondadori, interessata a sfruttare commercialmente il fenomeno mediatico, alcuni testi alla rinfusa tratti da internet e conditi di banalità sociologiche, che Mondadori pubblica spacciandole per il manifesto delle nuove libertà“: Wikipedia) uscì nel 1996, a mia memoria in autunno, la data simbolica della nascita dei blog è il 18 luglio 1997. C’eravamo quasi.
4 febbraio 2015 alle 16:53
Hai ragione, ora che mi riprendi capisco che è così, ma negli ultimi anni mi succede spesso sta cosa di “strafalcionare” l’Italiano… scherzi a parte, temo che sia l’alzheimer… vabè
scusate gente :))
4 febbraio 2015 alle 17:01
“ Mercoledì 25 febbraio 2004 – « È appena uscito un libro che racconta “ i romanzi nel cestino “, cioè i manoscritti che non arriveranno mai in libreria. L’ha scritto Silvia Pertempi, Romanzi per il macero, Donzelli. La tipologia dell’autore mancato è: maschio, laureato, settentrionale, di età variabile, radicato nel territorio, frustrato nell’amore, egocentrico, single. Le sue storie nel cassetto sono tristi, depresso-depressive, ostinatamente autobiografiche. Gente che si scrive addosso, rimirando l’ombelico del proprio fallimento. Ohibò, non saremo mica noi bloggers? » (Dice Crosetti, fra un gol e l’altro) “. [*] [**]
[*] “ Strafalcionare “ fa perdonare qualsiasi strafalcione.
[**] La s-formazione dello scrittore / 207
4 febbraio 2015 alle 17:02
Che nostalgia! ThePetunias, Princess Proserpina, Personalità Confusa, Sasaki Fujika, Eriadan, Macchianera… sigh! Ma si saranno rigenerati sotto altro nickname o provider, dai. Splinder se n’è andato da ormai tre anni…
4 febbraio 2015 alle 17:05
(E c’è anche l’Italiano, con quella “i” bella in piedi, sull’attenti…)
4 febbraio 2015 alle 17:12
Sonia, Acabarra: ma, da “strafalcione”, non sarebbe più sensato fare “strafalciare”?
Vedi.
(E ora basta, ci si dà alle cose serie).
4 febbraio 2015 alle 17:13
In ogni caso mi pare che siano le grandi case editrici a spingere verso la favola dell’esordiente pescato miracolosamente in mezzo a un oceano di blog. Cosa assurda, detta solo per farsi pubblicità, o per altri scopi a me del tutto ignoti. Insomma cari colleghi blogger/scrittori: non credeteci! 😉
4 febbraio 2015 alle 17:13
(Oh lo spleender. Che è il tedio tipicamente affettato di quando si torna coi ricordi a splinder. …Ma davvero, che tempi che furono…!)
4 febbraio 2015 alle 17:23
Non si finisce mai di imparare. Mai lontanamente pensato che un blog potesse servire da traino alla pubblicazione.
A testimonianza: il mio portale (non un pur rispettabile blog) è totalmente sconosciuto all’universo mondo. In dieci anni di esistenza, leggo da ShinyStat, ha avuto 47709 visitatori, oggi 4. Sempre dormito benissimo la notte.
4 febbraio 2015 alle 17:41
Io mi sono aperta recentemente un blog. L’ho fatto in concomitanza con il NaNoWriMo 2014, con l’idea di tenerci un diario di quel che succedeva strada facendo. Poi ci metto le cose che mi va di metterci, senza un preciso piano editoriale, e regalo un mio racconto a chi si registra ad una certa lista. Questo dovrebbe – spero – scremare tra chi passa sul sito a curiosare e chi invece ha ALMENO la curiosità di leggere una cosa mia. Perché poi alla fine lo scopo è che qualcuno legga, un giorno, la storia che sto scrivendo, quella lunga. Scrivo perché vorrei essere letta, un giorno, e mi basta anche diciamo una ventina di lettori appassionati. Escludendo dal conteggio, se possibile, mia mamma, mia sorella e la mia migliore amica.
Dunque nel mio caso è proprio il contrario: considero fantascienza la pubblicazione da una casa editrice e ho aperto il blog per condividere il viaggio e per racimolare qualche lettore “mio”.
Ho letto volentieri il suo articolo, insomma, tirando un sospiro di sollievo. Per il fatto che non rientro nelle casistiche elencate.
Credo serva una casa online quasi a chiunque desideri comunicare. In questo senso, il blogging è vivo e gode di ottima salute.
4 febbraio 2015 alle 17:42
“ Giovedì 9 settembre 1999 – « E ovviamente, visto il successo del fenomeno, sono nati subito dei siti commerciali che consentono a chi ne ha voglia di mettere in linea le proprie note. In America, ad esempio, Bruce Ableson ha recentemente inaugurato un sito web, Opendiary all’indirizzo http://www.opendiary.com, che offre spazi di questo genere. L’idea di dare a tutti la possibilità di scriversi i propri pensieri sulla vita, sulla giornata, sul mondo senza dover necessariamente farsi una propria home page si è rivelata vincente. Un successo immediato, tanto che nel primo mese di esistenza il sito ha avuto 800 mila contatti e 1.300 diaristi vi hanno pubblicato le loro divagazioni ed oggi sul sito ci sono varie opzioni, dalla ricerca alla pubblicità a bandiera fino all’offerta del giorno. E banner pubblicitari si trovano su ogni pagina di diario. Insomma, buoni sentimenti, ma anche buoni affari. » (Dai giornali) “ [*]
[*] La s-formazione dello scrittore / 208
4 febbraio 2015 alle 18:18
articolo trovato per caso andando sulla mia bacheca Medium e che secondo me fotografa la situazione descritta, dal punto di vista di chi scrive
Leggi.
4 febbraio 2015 alle 19:32
Per essere notati da una grande casa editrice bisogna fingersi Casa Editrice Gigante
4 febbraio 2015 alle 21:02
[…] avvertenze di Giulio Mozzi nel caso tu cercassi di farti notare da un grosso editore con il tuo […]
4 febbraio 2015 alle 21:07
boh, non so se io ho pubblicato grazie oppure nonostante il mio blog 🙂 Ma è anche vero che (a parte Fantamatematica) io ho scritto saggistica e non narrativa…
4 febbraio 2015 alle 21:48
Più che altro è una questioni di numeri. Mediamente in queste cose si aggancia l’1% dei contatti. Questo significa che se hai 1000 follower, venderai loro 10 libri. Si capisce bene che per spostare veramente l’asse di un successo con i Blog/Social il numero di contatti dev’essere davvero alto.
Per il resto concordo pienamente con chi sostiene che in primis i blog sono fatti per il blogger, per metterlo alla prova e costringerlo a tenere il cervello acceso e allenato alla scrittura.
4 febbraio 2015 alle 22:05
No, io conosco un sacco di esempi – oltre il mio. Il mio blog mi ha portato un primo libro – non dal blog – e come sai un secondo , che invece nasce dal modo di scrivere che mi è venuto con il mio blog.
E ci sono tanti esempi, che non mi fanno sentire affatto originale. Certo le cose che scrivi sono vere, però Giù maronna, che tono, senti 🙂 che prosopopea! Capisco che ci sia bisogno, ma che c’è di male in un desiderio? Serve sta reprimenda ad ammansire un desiderio?
Io dico. Scrivete per voi che vi fa bene alla salute. Scrivete per chiarirvi che male che vada risparmiate (poco, a dire il vero) in psicofarmaci e affini. Di poi, invece occupatevi di essere visibili. Lanciare un blog è un lavoro, al quale credo serve una solida nevrosi. Vuol dire usare i social netwark e altri blog in modo strategico e intelligente. E stare certo in giro tanto e tanto tempo. Ma se si usa il blog come una palestra narrativa per se, beh alle volte possono uscire belle cose.
4 febbraio 2015 alle 22:22
O dm: galleggiare non è navigare.
Ero mozzo e servivo all’addetto al solcometro e il mare era di una calma piatta che più piatta non si potrebbe. Mentre la clessidra snocciolava il tempo, un granello alla volta, ti vedo un tronco in mare. E c’era uno aggrappato. Gridiamo: “ehi, tu, serve aiuto?”; risponde: “Che tu e tu: chiamatemi Ismaele!”. “Non è un tronco, allora”, mi son detto.
Poi, a clessidra esaurita, l’addetto al solcometro, nel suo grossolano inglese, mi fa: “mark twain, mark twain”. Tra me e me ero tutto contento della differenza tra galleggiare e navigare.
4 febbraio 2015 alle 22:42
Che male c’è a scrivere su un blog? Che male c’è a condividere con altri anche i propri cazzeggi letterari o pseudo-tali? Che male c’è a esprimere le proprie opinioni con un minimo di argomentazioni che non siano le solite, brevi e spesso banalissime osservazioni di facebook? Francamente non stigmatizzerei la miriade di persone giovani e no che hanno voglia di scrivere in un blog. La scrittura per sè non è una cosa bella? io credo di sì. Anche perchè quando mai càpita l’occasione di fare conversazioni significative con i nostri simili che durino più di cinque minuti? Esprimersi su un blog potrebbe creare anche queste occasioni. Per questi motivi concordo con tutti quelli che si sono espressi a favore.
4 febbraio 2015 alle 23:36
Ma Robysan, è solo questione di tempo.
Ad esempio:
(Plinio il Vecchio, Naturalis historia, XVI, 203).
4 febbraio 2015 alle 23:40
Omesso il link.
5 febbraio 2015 alle 02:41
@Giulio Mozzi: NO!. Strafalciare viene da strafalcio; da strafalcione viene strafalcionare. In castigo dietro la lavagna, e se ti becco a sporgerti a fare le linguacce ti faccio anche inginocchiare sui ceci.
5 febbraio 2015 alle 07:47
Barbara: ma Ottorino Pianigiani è con me.
5 febbraio 2015 alle 09:19
Ma il merito?, la bravura?, la capacità espressiva?, l’originalità?, la creatività? Ok sono utopie nel mono del business e io sono un’inguaribile romantica perché credo ancora che uno scrittore per avere il successo che merita deva essere solo letto. Ora scopro che diventa scrittore un acrobata! Insomma chi sa arrampicarsi sulla rete del web e riesce ad arrivare così in alto da essere visto. Va beh, tempi moderni.
5 febbraio 2015 alle 10:00
Mi piace avere un blog. Si conoscono tante persone interessanti che condividono passioni comuni. E finalmente c’è un angolino minuscolo nella rete dove posso dire, ripeto FINALMENTE, un po’ quello che mi pare. Ah, che liberazione! E mi auguro che nessun pezzo grosso ci capiti, neanche per sbaglio, altrimenti sarei sicuramente finita (ahah, scherzo). 😉
5 febbraio 2015 alle 10:19
E’ vero i tempi sono cambiati, ma aprire un blog può ancora essere utile http://wp.me/ph3TV-Ig e poi sono nate diverse piattaforme proprio orientate alla scrittura narrativa, come Medium o ancora meglio Wattpad
5 febbraio 2015 alle 10:52
Monica, scrivi:
Nel decalogo ho suggerito esattamente il contrario (vedi il punto 9).
5 febbraio 2015 alle 12:44
Aprire un blog sperando che un talent scout ti noti tra migliaia di blogger è chiaramente un’utopia, eppure, come dice anche letterandoblog in un commento di ieri, sono le stesse case editrici (alcune) a diffondere questo mito. “Apri un blog! Se sei bravo/brava ti noteremo! Stiamo appunto setacciando il web in cerca di nuovi talenti!”
Anche qualche scrittore dà questa versione: “Avevo un blog! Scrivevo le mie cosette, così, senza impegno! Un editore mi ha contattato…”
Qualcuno, in verità, ha pubblicato grazie al suo blog, o almeno così si dice.
5 febbraio 2015 alle 13:24
Ovviamente, se sono un pezzo groso dell’editoria e invito gli aspiranti a farsi un blog anziché mandarmi il loro plico, riduco il mio lavoro.
Sicuramente qualcuno ha pubblicato dopo che il suo blog era stato “notato”. Ma bisogna capire, caso per caso, perché. E, di solito, dietro al blog c’è dell’altro.
5 febbraio 2015 alle 14:45
Certo! Dico però che l’aspirante scrittore in cerca di editore può illudersi che il suo blog da 20 visite al giorno possa miracolosamente cadere sotto l’occhio di un sagace talent scout e, oh! prodigio!
Un po’ come avviene ai bambini che giocano a pallone in piazzetta, e sperano che un osservatore, inviato dalle squadre più importanti, noti il loro talento…
Anche in questo caso, la “vulgata” diffonde numerosi aneddoti e casi esemplari.
5 febbraio 2015 alle 14:46
Volendo rincarare la dose sul punto 8), non è detto che l’opera di un autore stampata dal grande editore diventi l’opera letteraria di uno scrittore. Ho trovato a volte più ricerca scritturale in un post che in un cosiddetto romanzo.
5 febbraio 2015 alle 14:58
L’ha ribloggato su N I G R I C A N T E.
5 febbraio 2015 alle 17:07
Il punto 10 è quello che apre le porte alla discussione: tolta la differenza tra “fare blogging” e “essere blogger”, sottile ma ardita, che nega il fatto che siamo quello che facciamo (in generale eh, che Giulio lo sappiamo bene che fa altro), quello che mi incuriosisce è il salutare questa distanza con quel “per mia fortuna”. Le possibilità sono molteplici: è perchè essere un blogger equivale al morettiano “faccio cose, vedo gente”? Vale a dire un fancazzismo vanaglorioso e facilone di cui non sentiamo il bisogno?
Parafrasando Kant, il blog è un mezzo, non il fine. Avere il blog va bene, essere il blog è immoralmente kantiano?
Io personalmente ritengo che, anzichè essere quello che facciamo, siamo quello che mangiamo. Ed è uno dei motivi per cui amministro un foodblog. Ma non il principale, che lo sanno tutti che quello è il FNLRPABMB.
5 febbraio 2015 alle 17:25
(Ma se siamo quello che mangiamo (Feuerbach?) allora necessariamente non siamo quel che non mangiamo. Io non mangio dolci, per esempio, eppure sono un tipo zuccherosissimo. Se esistessero veri problemi filosofici (e non solo bisticci di lingua, come grossomodo argomentava Popper su Wittgenstein) questo sarebbe sì, un vero problema filosofico. …Ah, Wittgenstein era un blogger, per chi non lo sapesse… Popper, un troll. O viceversa, non so.)
5 febbraio 2015 alle 17:50
E’ stato decisamente interessante questo post. Io ho aperto un blog e mi piaceva scriverci qualche racconto (alcuni ne ho già pubblicati) ma ora non ne sono più sicura. Ormai girano solo blog di poco conto e vorrei che i miei racconti avessero una rilevanza più concreta.
5 febbraio 2015 alle 19:16
Ma non era proprio Popper quello del “fare qualcosa per essere qualcuno”?
No perchè ci sta proprio burro e alici, su ‘sto discorso faccio blogging/sono blogger.
Le mie conoscenze di filosofia si fermano a Socrate, che dal ginnasio son passato direttamente all’università, quindi parlo per sentito dire. La cosa di Kant l’ho letta su un dizionario, prima che Wikipedia mi riempisse la vita.
Sulla negazione del non siamo quello che mangiamo etc. Non è così diretta: mangiare tanti dolci è un buon metodo per farsi venire il diabete, piuttosto che per diventare “zuccherosi”. Credo nella biochimica io, mica in Cartesio.
5 febbraio 2015 alle 19:36
In mezzo alla marea di pensieri su blog e bloggers, caro dm., una boccata di aria benefica : la citazione in latino. Grazie, era ora! p.s. perché hai tradotto? non ti è sembrato più stimolante lasciare ai lettori il piacere della traduzione personale?
5 febbraio 2015 alle 19:45
(Sì, facevo la burletta, Andy).
Matta, prego, ma la traduzione non è mia: si trova al link che ho dimenticato di inserire e ho pubblicato quattro minuti dopo, sì ho fatto il latino ai tempi del liceo ma passati quindici anni annaspo.
5 febbraio 2015 alle 20:24
“ Venerdì 8 novembre 2002 – Tesi prima: la critica è leggere. (Feuerbachiana: il critico è ciò che legge) “ [*]
[*] La s-formazione dello scrittore / 209
5 febbraio 2015 alle 21:03
Andy: non mi sogno nemmeno di negare “il fatto che siamo quello che facciamo”, ma mi pare sensato sostenere che “siano tutto quello che facciamo”.
Per praticità, come tutti, se devo nominare la signora presso la quale prendo un caffè tutti i mercoledì e i venerdì alle 06.25 del mattino – dico: “la barista”. Ma so benissimo che questa persona fa tante altre cose, oltre che fare la barista.
Un conto è una semplificazione per spiegarsi alla svelta, un conto è un’etichetta.
Ora, se si tratta di etichette, io non sono un blogger; come non sono uno scrittore, benché abbia scritto e pubblicato delle opere letterarie; o non sono un cuoco benché cucini – maluccio – tutti i giorni, ecc.
5 febbraio 2015 alle 21:25
Ottimi consigli. Io tengo un blog/sito da quasi un anno, ho poche visite ma per me è molto importante come laboratorio di scrittura.
Giulio, posso chiederti perché non ti consideri uno scrittore?
5 febbraio 2015 alle 22:17
“ 11 maggio 1987 – « Dare etichette è sempre da coglioni ». Anche prendersele. “ [*]
[*] La s-formazione dello scrittore / 210
6 febbraio 2015 alle 05:23
Pietropaolo: l’ho spiegato qui.
6 febbraio 2015 alle 07:00
Giulio, o è un mio problema, oppure il link non è esatto.
6 febbraio 2015 alle 09:56
Io però me lo vedo lo sviluppo, fra non molto: una specie di valorizzazione dell’archeo-web, con pubblicazione integrale nei Meridiani, in venti volumi, del blog Tal dei Tali.
6 febbraio 2015 alle 16:20
Deborah: il link è giusto, e rimanda al commento mio che precede immediatamente quello di Pietropaolo. Lì c’è la risposta alla sua domanda.
6 febbraio 2015 alle 17:49
Esiste un pezzo grosso dell’editoria disposto a leggere una raccolta di racconti? Possibilmente, un nome. Grazie.
7 febbraio 2015 alle 07:17
Felice, i racconti vengono letti come i romanzi. E’ che se a un romanzo basta essere ben fatto, per rischiare d’essere pubblicato, dai racconti si pretende molto di più – vista la difficoltà a tornare sulle spese.
7 febbraio 2015 alle 12:32
Anche io mi sono purtroppo convinto che i lettori italiani non prediligano le raccolte di racconti, una bislacca anomalia che trova eccezioni nei racconti in giallo. Questo però mi fa riflettere. Primo, perchè verrebbe da dire che l’assunto non sia valido in assoluto. Secondo, perchè negli anni Novanta la nostra letteratura ha vissuto le affermazioni di Mozzi e Voltolini, due autori per nulla facili (ed è superfluo che stia a spiegarne il perchè). Allora, venti anni fa gli italiani i racconti li leggevano o i due erano superbravi da Nobel?
7 febbraio 2015 alle 12:44
Noto che la quasi totalità dei commentatori ha un blog!
Anch’io, dal 2010, però dedicato alla (problematica) categoria delle nonne, cui appartengo. In seguito ho inserito una paginetta sul libro che ho pubblicato, ma solo un paio di volte -nelle numerose mail di sfogo/consulenza- qualcuno se n’è dichiarato lettore.
7 febbraio 2015 alle 15:38
Secondo me, sono le case editrici che scoraggiano le raccolte di racconti. Può darsi, in effetti, che il romanzo venda di più, ma anch’io ho notato che qualche decina di anni fa si pubblicavano raccolte anche pregevoli, mentre ora pare che siano al bando. Per non parlare di una delle più grandi narratrici viventi, Alice Munro, Premio Nobel, che nella sua vita non ha pubblicato altro che racconti…
7 febbraio 2015 alle 16:02
No, Marisa. Sono i compratori di libri, che scoraggiano le raccolte di racconti.
(Comunque non è indispensabile arrivare al Nobel: io ho pubblicato, di narrativa, neint’altro che raccolte di racconti…).
7 febbraio 2015 alle 22:01
I compratori italiani, dunque?
Allora faccio l’esempio concreto. Sellerio sforna in continuita’ raccolte di autori che praticano il giallo. Buoni autori. Devo presumere che il discrimine sia tra giallo e non giallo. D’altra parte io che leggo da almeno 53 anni e ho divorato di tutto, anche la carta straccia, attualmente mi alimento con la saggistica e il giallo. Questo perché la narrativa italiana non mi soddisfa più (salvo Paolo Giordano). La trovo insipida, fatta con lo stampino, priva di palpiti che mi catturino.
Ma se questo vogliono le vacche questo le si da’. Mentre una volta era la grande editoria a orientare i gusti. Figurarsi, oggi comanda l’editor manager. Un po’ come l’ingegnere umanista.
8 febbraio 2015 alle 14:06
E’ un po’ un giro vizioso, Giulio. Certo, i compratori hanno un grande potere nell’influenzare le scelte delle case editrici. Ma anche queste ultime a loro volta assecondano e alimentano le tendenze. A volte penso che se gli editori non si appiattissero esageratamente sui gusti veri o presunti del pubblico la qualità delle opere edite potrebbe essere migliore. In questo trovo che abbia ragione Carlo Capone quando dice “una volta era la grande editoria a orientare i gusti”.
9 febbraio 2015 alle 06:58
Certo che è un giro un po’ vizioso, Marisa. E’ che sono stufo di sentir dire che gli editori odiano i racconti mentre il pubblico li amerebbe, e cose simili. Io ci ho provato e riprovato, a pubblicare libri di racconti (non parlo dei miei). E’ un casino. La rete di vendita si ribella, i librai si ribellano, i recensori si disinteressano… E quelle poche copie che riesci a far arrivare in librerie, restano lì sul banco.
Di questi tempi, poi, figùrati se ha senso per un editore pubblicare libri che sicurissimamente andranno in passivo.
Carlo: mai come in questi anni le case editrici (parlo delle grandi) sono state piene di funzionari-scrittori, di dirigenti-scrittori ecc.
9 febbraio 2015 alle 08:02
Avevo letto il p.s. “omesso il link” . Ritengo irrilevante che tu l’abbia usato, o no. Invece, perché non ritorni sulle sacre sponde e ridai splendore al prezioso tesoretto latino che hai in cantina ? Non sai quello che ti perdi… Scusa l’amenità del suggerimento, ma non per niente sono la matta del cortile. abbraccio alla vaniglia
9 febbraio 2015 alle 10:02
“… attualmente mi alimento con la saggistica e il giallo…La trovo insipida, fatta con lo stampino, priva di palpiti che mi catturino.”
Una cosa simile sta capitando anche a me. [Anche se, ultimamente, ho la sensazione di uno scadimento nella saggistica. ]
Comunque sia: mi ritrovo molto nelle parole di Carlo Capone. Confesso di essere rimasto un po sopreso di una simile identita di vedute.
9 febbraio 2015 alle 10:07
@andrea è ovvio che la saggistica stia scadendo: ho iniziato a essere pubblicato 🙂
9 febbraio 2015 alle 13:53
@ Andrea
Ne sono compiaciuto. Cari saluti.
9 febbraio 2015 alle 14:20
Matta, ora sto lavorando a una cosa impegnativa, per cui ho smesso di leggere, poi potrò seguire il tuo suggerimento. Detto sottovoce in un “a parte”, qui tra recitativi e arie dei commentatori di vibrisse: – Sono un fan di Tibullo. …Ciao.
9 febbraio 2015 alle 18:02
@Andrea e @Carlo
Quando ho letto il commento di Carlo volevo commentare come Andrea, proprio uguale, ma la pigrizia… Insomma anch’io mi sono buttata sulla saggistica e sui gialli per le stesse vostre ragioni. Siamo in tanti, credo!
9 febbraio 2015 alle 19:09
E pensare che io ho letto pochissimi gialli in vita mia proprio perché mi sembrano perlopiù “fatti con lo stampino”. Caspita, esistono lettori talmente distanti…
(Quando si parla di libri bisognerebbe sempre tenere presente che ci sono lettori inconciliabili, e che quindi è assurdo parlare di libri senza riferirsi a dei lettori. È un appunto che faccio innanzitutto a tutte le mie certezze… Ecco.)
9 febbraio 2015 alle 19:31
@Carla. In realtà non leggo gialli ma altra letteratura di genere. Siamo li.
10 febbraio 2015 alle 10:26
@dm : “E pensare che io ho letto pochissimi gialli in vita mia proprio perché mi sembrano perlopiù “fatti con lo stampino” ”
Scerbanenco, Agatha Christie, Edgar Allan Poe, Simenon, Dashiell Hammett, James Ellroy, Michael Connell, Raymond Chandler, il Gadda del Pasticciaccio, no eh?
10 febbraio 2015 alle 16:21
Infatti, Carlo, ho messo quell’avverbio, perlopiù. Gli autori che nomini, a parte un paio, li ho letti e riletti.
Certo che sei strano, però. Io penso ai “gialli fatti con lo stampino” e tu mi tiri fuori il Gadda del Pasticciaccio e Poe.
Non era un attacco frontale alla letteratura di genere (dato che, solitamente, l’argomento di difesa da questo genere di attacchi, è, da parte dei giallisti e dei lettori di gialli, proprio quest’elenco. Manca giusto Dostoevskij e ci siamo).
Ho letto “pochissimi” libri gialli in relazione al resto, ovviamente. Ci sono scrittori di gialli e noir, italiani e stranieri e qualche marziano, tra le mie piccole icone letterarie. Ma hai presente la mole intossicante di gialli da edicola? E l’ingiallimento degli scaffali di certe biblioteche, i cui utenti non leggono altro…? Ecco.
Scrivere un giallo interessante è di sicuro una cosa difficilissima. Ci vuole uno scrittore, o un artigiano dalle grandi capacità. Scrivere solo un giallo pare che sia roba da copisti, o quasi.
E faccio fatica a immaginare come uno si possa abbeverare di gialli soltanto. Come faccio fatica a immaginare come uno possa bere solo champagne.
10 febbraio 2015 alle 16:32
L’ha ribloggato su TaglioDiLama.
10 febbraio 2015 alle 18:54
@ dm
infatti leggiamo anche saggistica varia, di qualità e incredibilmente interessante : )
10 febbraio 2015 alle 19:10
Ah, siete passati già alla seconda persona plurale?
I passi successivi sono: associazione, cooperazione e partito politico…
Comunque mi fa piacere.
10 febbraio 2015 alle 19:28
@ dm
“siete passati”…
diciamo che ho usato il plurale perché ho sempre trovato noioso chi usa in continuazione il pronome “io”.
nessun partito, comunque. basta quello che compriamo a far sentire la nostra voce….
10 febbraio 2015 alle 19:34
Va bene Carla, non intendevamo fare polemica…
Ci salutiamo!
10 febbraio 2015 alle 19:40
certo che ci salutiamo, e con piacere! è grazie a te, al padrone di casa e a tutti gli altri commentatori di Vibrisse che trovo piacevole fare una capatina da queste parti, ogni tanto!
10 febbraio 2015 alle 19:49
:*
10 febbraio 2015 alle 20:41
dm, scrivi: “Certo che sei strano, però. Io penso ai “gialli fatti con lo stampino” e tu mi tiri fuori il Gadda del Pasticciaccio e Poe.”
No, te ne ho tirati altri sei o sette, a dimostrazione che i buoni autori di gialli o noir non scrivono con lo stampino.
Poi ti riferisci ai gialli da edicola. Mi verrebbe da ribaltare l’apprezzamento sulla stranezza (di cui vado fierissimo): chi mai ha parlato di quella roba lì? anche se, anche se…ma dai! …anche se negli anni 60 Scerbanenco io lo acquistavo in edicola. E pure Urania (fantascienza di autore). Spero che lo spirito, buono, di Laura Grimaldi non ti perseguiti troppo. Perchè la Laura era brava e buona, ma se si incavolava tirava fuori tutta la sua fiorentinitudine.
10 febbraio 2015 alle 22:07
Giulio, c’è una raccolta di racconti usciti da Theoria tanti anni fa, che secondo me meriterebbe di essere ripubblicata e potrebbe vendere bene anche oggi, perché non ripubblicarla?
10 febbraio 2015 alle 22:36
Un momento, Carlo, mi stai attribuendo un’opinione che non ho mai espresso. Non ho detto che: “i buoni autori di gialli o noir scrivono con lo stampino”.
Mi sono solo sorpreso di come tu rifiuti la “narrativa italiana” in blocco, per preferire i libri gialli (alcuni dei quali fanno parte tra l’altro della “narrativa italiana”, ma comunque) e con la motivazione che la “narrativa italiana” in blocco ti pare un insieme di libri fatti con lo stampino.
Mi pare che, almeno quanto a funzionamento della narrazione, siano la stragrande maggioranza dei libri gialli a poter essere catalogati alla voce “stampino”. A me pare un ragionevoleluogo comune. Inoltre se tiro in mezzo “la mole intossicante di gialli da edicola”, di certo non mi sto riferendo a tutti i libri gialli che si possono effettivamente comprare in edicola. In certe edicole, nelle stazioni ad esempio, ci trovi anche “Delitto e castigo”, qualche volta persino Poe (ma solo “I racconti del terrore”). Ho in mente evidentemente una giallistica di consumo che peraltro si consuma facilmente viaggiando.
Mi pare che, presa in considerazione quest’immensa produzione, gli autori che citi non siano granché rappresentativi: soprattutto Poe, Gadda, Chandler, ma anche Ellroy (che mi piace molto) siano eccellenze o eccezioni, quanto alla faccenda dello stampino.
E sia chiaro: se dico che a me sembrano i gialli a essere “fatti con lo stampino”, certo non sto esprimendo un giudizio sul valore delle opere, dal momento che l’originalità non è certo l’unico punto cardine nei giudizi di questo tipo. Sto dicendo di una mia insofferenza alla riproduzione di meccanismi narrativi prevedibili (soprattutto quando non sono applicati in maniera impeccabile). Sto dicendo cioè del mio gusto.
Così forse ci capiamo un po’ meglio.
11 febbraio 2015 alle 05:45
Anne, se non dici autore e titolo non si capisce di quale libro parli.
11 febbraio 2015 alle 23:06
dm, giusto per troncarla qui. A me la narrativa italiana attuale non entusiasma. Bello, succinto e compendioso. Ok? Se vuoi continuare nella polemica sarò costretto a risponderti per le rime ( e a viva penna). Scegli tu.
11 febbraio 2015 alle 23:40
Carlo, ti invito a rileggere il mio commento del 9 febbraio in cui rifletto sulla inconciliabilità tra letture e lettori, punto di partenza di questa discussione, in modo da avere una lettura realistica e testuale dell’oggetto della nostra discussione, la inconciliabilità tra letture e lettori, appunto, che non è affatto un nodo polemico, e se polemico fosse sarebbe inscindibile, questo per evitarti la fatica della tenzone inconcludente, e per un risparmio di rime e anche di penna (e di ridicolo potenziale).
Ma le dispute sono sempre un ottimo esercizio. Per cui, se vuoi disputare, trova un oggetto che si presti alla polemica, e getta il guanto di sfida. Se mi interesserà un poco, ci potrò dedicare qualche minuto. Altrimenti quello del guanto rimarrà comunque un gesto significativo.
Ti saluto.
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