[Questo articolo è apparso il 15 ottobre scorso in LeNiùs].
Avevamo concluso la prima parte di questa sociologia del libro con una riflessione sulla fisicità dei libri, sia cartacei che elettronici, e la scoperta di quanto essi possano stimolare i nostri sensi. Con l’odore della carta ancora nelle narici, passiamo ora a trattare l’altra faccia di una possibile sociologia del libro, presentando una breve storia delle pratiche di lettura legate al corpo. I libri infatti, in quanto oggetti, richiedono sempre il coinvolgimento corporeo – potremmo dire “muscolare” – del lettore.
Secondo Guglielmo Cavallo e Roger Chartier, che hanno curato un’interessantissima Storia della lettura nel mondo occidentale, la lettura “non è soltanto un’operazione intellettuale astratta: essa è messa in gioco del corpo, iscrizione in uno spazio, rapporto con se stessi e con gli altri”. I lettori di libri cioè, “non si confrontano mai con testi astratti, ideali, distaccati da ogni materialità” ma, al contrario, “maneggiano oggetti, ascoltano parole”.
Che stiano in piedi, sedute o camminino, che sfoglino le pagine di un libro o quelle di un file elettronico, che muovano gli occhi o bisbiglino, infatti, le persone che leggono fanno cose con il proprio corpo. Prima, e oltre, che cervelli intenti a codificare segni, allora, noi siamo corpi che leggono.
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Tag: Valentina Simeoni
18 ottobre 2014 alle 07:46
“ 11 settembre 1995 – « Bibliothèque Nationale. Siedo e leggo un poeta. Nella sala c’è molta gente, ma non si sente. È nei libri. Talvolta si muove tra le pagine – quasi dormisse e si voltasse tra due sogni. Com’è bello stare in mezzo a uomini che leggono. Perché non sono sempre così? Puoi avvicinarti a uno e toccarlo leggermente: non sentirà nulla. E se nell’alzarti urti appena il tuo vicino e ti scusi, questi fa un cenno col capo dalla parte in cui sente la tua voce, il suo viso si volge senza vederti – e i suoi capelli sono come i capelli di un dormiente. » (Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge, 1910) “. [*]
[*] La s-formazione dello scrittore / 44
18 ottobre 2014 alle 07:49
Mi piace l’espressione “CORPI CHE LEGGONO” Stiamo formando pr l’AUSER un gruppo di lettura qui a Caserta proprio per potenziare il contatto col libro
– Vanna Corvese
18 ottobre 2014 alle 19:57
Scrive Valentina Simeoni mel suo importante saggetto: “Nell’analizzare la corporalità complessiva dell’atto di leggere, Perec …ci ha offerto uno schizzo sommario ma interessante: si può leggere in piedi (secondo lui è questa la maniera migliore di consultare un dizionario), da seduti (nelle mille e più maniere in cui si po’ stare seduti), in ginocchio (come in chiesa), accovacciati (posizione che molte società, a differenza della nostra, hanno conservato) o sdraiati, infine leggere camminando (senza scomodare Don Abbondio e il suo breviario, basti pensare al turista che si aggira per la città con una guida in mano).”
Ecco, tra “le mille e più maniere del leggere seduti”, ritengo che Perec abbia incluso il leggere durante (più spesso: dopo) la defecazione. Per citare una circostanza comune ai lettori accaniti, il mio bagno abbonda di libri. Sulla mensola accanto al water ce ne devono essere sempre parecchi, e non di rado porto con me quello in cui ero già immerso. Ma perchè? perchè non posso farne a meno? e perchè, se la tale lettura mi affascina in modo particolare, mi facilita persino l’evacuazione? cosa c’è di così oscuro, distorto, certamente profondo, che unisce gli atti del leggere e del defecare (entrambi da seduto)?
L’unica interpretazione convincente è di tipo analitico. Secondo Freud, almeno fino ai due anni il bambino regala le sue feci in segno di marcata affettività. Insomma, esprime ai genitori (o a chi li sostituisce) la felicità dell’essere accudito e coccolato facendola liberamente nel pannolino.
Dunque, la gioia che ci procura la lettura è tale da suscitare quell’antica pulsione altrimenti rimossa.
19 ottobre 2014 alle 08:12
Gentile Carlo,
appena sotto, scrivo infatti:
“Infine, è possibile leggere e basta, oppure leggere mentre si fa qualcos’altro: ecco allora l’associazione fra leggere e viaggiare, leggere e mangiare, leggere ed aspettare (quest’ultimo caso è forse il più frequente: si legge aspettando l’autobus, mentre si è in attesa dal dentista, mentre si è in bagno…).”
Perec contempla la relazione fra lettura e defecazione e anch’io la trovo imprescindibile, se non altro perché si da con altissima frequenza nelle pratiche quotidiane. Non ho insistito in modo particolare perché non era quello il focus del pezzo: comunque la stanza-bagno verrà ripresa in un altro di questi articoli (non sono dei saggi, non ambiscono ad esserlo) in quanto parte dell’ambiente domestico. Anche se non ho una risposta definitiva alla sua domanda, personalmente non sono freudiana e quindi non condivido la sua interpretazione: sono più propensa a credere che il tutto abbia a che fare con il diritto all’attesa, cioè con il poter usufruire del bagno in modo confortevole e secondo i propri tempi, cosa che (almeno qui da noi) non era possibile un tempo e soprattutto in certe aree e per certe fasce sociali. Ma dovrei approfondire.
20 ottobre 2014 alle 12:26
A me sembra che la lettura, proprio perché chiama in causa il corpo, è dal corpo che ci distrae. Difatti l’immaginazione del corpo è, nel momento della lettura, ben più presente del corpo stesso. Nel momento dell’evacuazione è bene che il corpo sia lasciato a se stesso, e l’immaginazione del corpo è del corpo il surrogato migliore. Io mi do questa spiegazione. (Forte del mio cambiamento epocale da lettore da ritirata forte a pensatore da ritirata – infatti è cambiando le abitudini che si trova più facilmente il senso delle abitudini smesse).
Anch’io non sono freudiano. Né buddista né cattolico. E non credo nel voodoo nemmeno (dicendo à la Nabokov).
20 ottobre 2014 alle 12:56
“ 11 maggio 1996 – « 13 febbraio. Martedì – Le giornate si succedono l’una all’altra, in una monotonia squallida. Dato che fino alle otto di mattina, nell’interno delle baracche, non fa chiaro, e che alle sei di sera fa già scuro, e quindi l’unica cosa fattibile, a quest’ora è quella di prepararsi il giaciglio e di coricarsi, le nostre giornate, praticamente, sono brevissime. Sono ridotte a otto ore. Otto ore di buriana, di grida, di imprecazioni, di pestamento reciproco di piedi, di malumore, e di sgarbo universale, di miserie – nel significato totale della parola – da cui cerco di sottrarmi, con la lettura. Ma anche la lettura ha i suoi imprevisti. Avevo imprestato Werther a quel poco goethiano personaggio che è Landi; questi lo lasciò durante la notte posato su una certa sua scatola, in fondo alla cuccia; stamattina non c’era più. Qualche “ navigatore solitario “ che veleggiava notturnamente verso la latrina, deve aver allungato al buio le mani; e sentito sotto il polpastrello delle dita qualche pagina, qualche foglio di carta – materia molto ricercata, specie a fini igienici – s’è afferrato il libretto, e “ se l’è portato “, come dicono i meridionali. L’ultimo dei Dolori del giovane Werther! » (Giovanni Ansaldo, Diario di prigionia 1944-1945) “). [*]
[*] La s-formazione dello scrittore / 47
20 ottobre 2014 alle 13:06
Sicuramente la distrazione ha un ruolo nella meccanica dell’evento in sé, mentre io mi riferivo più che altro alle condizioni di formazione di questa specie di abitudine.
Concordo sulla strategia di smascheramento delle abitudini.
20 ottobre 2014 alle 14:07
(Eh sì, la distrazione vuol sempre che ci sia tempo da distrarre.)