Perché vorrei conoscere Giorgio Falco

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di Ivano Porpora

Leggo Falco a letto, girato di schiena. Lo leggo sulla poltrona alle tre di notte, di ritorno da una serata passata a giocare a scacchi. Lo leggo in cucina, i piedi sulla seduta. Silvia passa, mi chiede (ha questo modo delizioso di chiedere) di leggere un passaggio ad alta voce.
Le leggo due righe sul fotografo di matrimoni.
«È un saggio», mi fa.
«No. È un romanzo».
Ci pensa un attimo; nell’uscire dice: «Sembra un saggio».
È questa, penso, la forza di L’ubicazione del bene. In uno dei miei continui lapsus stavo scrivendo L’illusione del bene, benché il titolo originale sia molto più forte, indubbiamente ben scelto. È un romanzo che è un saggio, e non viceversa. E quindi uno di quegli strumenti che si cercavano, di cui abbisogniamo per capire l’oggi – per situarlo in una topografia dell’essere umano, dell’Italia, del 2009, delle lettere.

Di Falco mi ha parlato per la prima volta Giulio Mozzi; mi ha convinto, nel suo solito modo puntuale e senza insistenze, a leggere Pausa caffè. La seconda volta che ne ho sentito parlare è stato per bocca di Rosella Postorino: mi ha detto, più o meno, che in Stile Libero avevano tra le mani un fenomeno. Mi sono accostato (nonostante Giulio, nonostante Rosella, nonostante Pausa caffè) alla lettura del libro, 140 pagine, col mio solito sospetto. Sono come un incontro di pugilato di tre round, per me, 140 pagine. Poche ma abbastanza, per me: abbastanza perché un libro possa essere un Signor Libro, poche se il libro non prende il volo. In pratica, una serie di randellate in pieno ring o un lungo e inutile legarsi. E – mi sono dilungato, ma credo che ci siamo – il libro di Giorgio Falco prende il volo perché è un libro che tratta dell’Orrore in modo stilisticamente impeccabile e con la precisione tipica di chi, Falco mi perdoni, l’Orrore lo conosce.

Parlo dell’Orrore, in questo caso, riferendomi direttamente agli stereotipi dei libri di King. King sa che un mostro con un numero indefinito di teste che sputi una bava appiccicosa non ha una presa forte sulle nostre coscienze. Quantomeno nei libri, il Mostro in senso stretto non funziona. I suoi mostri sono pagliacci, sono cani, sono bambini con qualche dote di troppo – tutti esseri che popolano il nostro mondo e il nostro immaginario, esseri da cui, dopo la lettura, ci guardiamo. Così Falco, allo stesso modo, tratta in modo quasi asettico, con l’asepsi propria dell’habitué, l’Orrore del Quotidiano, quell’Orrore Infrastrutturale (chiamiamolo così) che tanto fa paura perché è un Orrore cui ancora la nostra società non è abituata. O cui, forse, la Società si è tragicamente abituata e da cui, ora che ne è infestata, non riesce a liberarsi. Gli idioti che si fingono intellettuali, i matrimoni da preparare con un anno e mezzo di anticipo, gli slogan e i nomi di prodotto che finiscono con una ì o una ò o un oso, il mutuo che succhia metà dello stipendio, le crociere con la cena al tavolo del capitano, le agenzie immobiliari che si fingono privati per acquisire informazioni su case in vendita, le visite obbligatorie dei parenti o dai parenti, i ponti da passare fuori città, il traffico delle sei della sera, i colleghi da fregare per non esserne fregato: Falco conosce questo male (male nelle sue forme più radicate, male di pensiero, parola, opera e soprattutto omissione) e non vi punta il dito contro ma ci si immerge dentro. Falco non vuole essere, a mio parere, né causa né effetto né redenzione di questo male ma vuole, passatemi il gioco, ubicare il bene, situarlo, isolarlo, studiarlo, dove bene – parliamoci chiaro – non c’è o è difficile da situare. Perché solo accorgendoci che il male c’è lo si può combattere; capendo che non ha divisa e che, se ce l’ha, questa è la nostra propria veste.

Concludo dicendo che le sue pagine mi hanno ricordato un video degli Skunk Anansie (Lately, per la precisione) e un fotografo alla cui mostra ho assistito a gennaio, l’anno scorso, a Roma (Gregory Crewdson, per la precisione). Nel primo personaggi con un sorriso posticcio stampato in faccia si muovono con coreografie imbarazzanti mentre un meteorite si avventa sulla Terra; nelle opere del secondo altri personaggi si muovono in villette elegantemente arredate mentre al piano di sotto si vedono le macerie delle fondamenta. L’illusione del bene di queste macerie, di questi cattivi odori, del pus, dei topi e degli scarafaggi (in un incipit che mi ha fatto provare invidia, leggendolo) tratta.

[Le immagini inserite nel testo sono, ovviamente, di Gregory Crewdson]

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7 Risposte to “Perché vorrei conoscere Giorgio Falco”

  1. Federico Platania Says:

    “Beh, non è neanche un romanzo”, ho pensato dopo aver letto le prime righe di questo post. “Ma non è neanche una raccolta di racconti”, mi sono detto subito dopo. Allora cos’è questo libro? Una collezione di incipit, mi sono risposto. Una collezione di incipit a tema. Incipit così solidi che non c’è bisogno che si racconti il resto.

  2. andrea barbieri Says:

    Secondo me, dei due significati di “L’ubicazione del bene”, cioè quello giuridico (in cui il bene è reale, res, cosa) e quello filosofico-teologico, quest’ultimo è quello più lontano dalla poetica di Falco. Insomma quello che mi piace di questo libro è l’impressione che sia per così dire profondamente “materiale” (mi viene un gioco di parole un po’ scontato tra ‘materiale narrativo’ e ‘narrativa materiale’). E ho anche l’impressione che Falco sia uno scrittore molto raffinato quando parla delle ‘cose’, che abbia in quei momenti una bravura artistica assoluta, autorevole.

    Faccio fatica a considerarlo un libro di ‘racconti. Mi sembra una matassa fatta così bene, che mi dà più l’impressione di un tutto unico.

    La voce dei personaggi mi pare silenziata artificiosamente. E’ come se la soggettività, l’individualità non potesse scaturire con la sua forza naturale all’interno della narrazione. Questo lo sento come un difetto. Ma sia chiaro, è un bellissimo lavoro, un libro da leggere assolutamente.

    Scusate se faccio il critico improvvisato, ma vedo che continuate a parlare di questo libro con molta attenzione, allora ho provato a dire la mia.

  3. andrea barbieri Says:

    Ah, volevo anche far notare una raffinatezza nella copertina. L’immagine è quella di un dettaglio di interno domestico, bianco, riflesso. Essendo tagliato alto non si vedono mobili. La percezione è semplicemente di pieni e vuoti architettonici. Questi riprendono per così dire la citazione che apre il libro.
    La raffinatezza – chissà se istintiva – è che l’immagine di copertina ricorda le pitture “negativo-positivo” di Bruno Munari, dipinti degli anni cinquanta basati sull’ambiguità percettiva tra pieno e vuoto, tra figura e sfondo.

    Davvero un bellissimo lavoro anche per la copertina.

  4. pessima Says:

    Se si seguono le tracce di Falco (quelle che si possono trovare comodamente in rete), si capisce anche la copertina, credo.

  5. andrea barbieri Says:

    Cioè, spiega…

  6. pessima Says:

    Scusa il ritardo, ma vedo solo ora. Mi riferivo a questo blog:
    http://linea.wordpress.com/

  7. Q. Says:

    e comunque il video degli skunk anansie è molto simile a quello di black hole sun dei soundgarden.

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