Posts Tagged ‘Ivano Porpora’

Una chiacchierata sull’editing (con esempi)

11 ottobre 2017

Castelfranco Veneto, 10 ottobre 2017, presso la Libreria Ubik; evento organizzato dall’associazione Porte Aperte; con Claudia Grendene. (Ho scaricato la “diretta” fatta via Facebook; il video non è certo gran che, ma si sente benissimo – almeno quando parla Claudia. Dura un’ora e ventisei secondi). gm

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“Il tentativo (riuscito) di raccontare un buio”

30 giugno 2017

di Edoardo Zambelli

A casa, la sera, Anita mi osservava mentre ripassavo un disegno.
“Mettici più buio” mi disse. “Sporca di più l’intorno, lì.”
“Perché?”
“Perché hai dentro il buio. Mettine un po’.”

Queste battute si riferiscono a un personaggio in particolare, eppure, a ben guardare, potrebbero riferirsi a tutti i personaggi di Nudi come siamo stati, il nuovo romanzo di Ivano Porpora. Non sarebbe infatti sbagliato, a mio avviso, dire che tutto il romanzo è il tentativo (riuscito) di raccontare un buio.
Il buio di Severo, l’uomo malato che è protagonista e voce narrante della prima parte; il buio di Arsène, pittore famoso che di Severo accetta di diventare il maestro (e che ritroveremo anche più avanti, nelle restanti due parti); e infine il buio di Anita, la donna di Severo, figura femminile che oscilla nel buio degli altri due.

“Come sai il nome di mio padre?”
“Lascia spazio ai misteri.”

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Una chiacchierata con Ivano Porpora, 3 / Ma perché sempre storie d’artisti?

27 giugno 2017

[Al romanzo di Ivano Porpora Nudi come siamo stati, da poco apparso per Marsilio, tengo particolarmente. Questa è la terza puntata di un’intervista a puntate. La prima è qui. La seconda è qui].

Ma perché sempre storie d’artisti?

Questa domanda richiederà una risposta lunghissima, articolata in diversi gradi di profondità; li trovo tutti molto interessanti; tieniti pronto.

La prima risposta che mi viene in mente è: Non lo so.

O, meglio: è casualità. In fin dei conti – mi dispiace dover fare sempre così, ma di quello che ho scritto essendo stato bloccato in una situazione editoriale poco comoda già ho detto – ne La conservazione metodica del dolore parlo di un fotografo alle prese con la fotografia e in Nudi come siamo stati di due pittori che ragionano anche sulla pittura, ma in nessun altro libro si ragiona di arte: L’argentino è la storia di una sorta di Cristo che scende al mondo e capisce che solo attraverso il peccato può redimerlo, Tutte queste cose delicate quella di Romolo e Margherita che si amano e sono bloccati nell’amore dal ritardo mentale di lui, il Cacciatore di meduse è la storia di una sorta di cacciatore di taglie lungo il delta del Po… Eccetera. Ce n’è solo uno che parla di un batterista napoletano, ma è fermo da troppo tempo, non so se lo riprenderò; un altro che ragiona di un cantante, ma in realtà è tutto incentrato sul tema della follia, si parla di un dipendente delle Poste Italiane convinto di essere una rockstar.

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Una chiacchierata con Ivano Porpora, 2 / E veniamo dunque al tema cristologico

25 giugno 2017

giuliomozzi conversa con Ivano Porpora

[Al romanzo di Ivano Porpora Nudi come siamo stati, da poco apparso per Marsilio, tengo particolarmente. Questa è la seconda puntata di un’intervista a puntate. La prima è qui].

E veniamo dunque al tema cristologico. Non so se a te vada bene chiamarlo così. Arsène, in Nudi come siamo stati, letteralmente prende su di sé il male di Severo. Nella sua bella recensione, Demetrio Paolin ha sostenuto che, a suo avviso, il vero protagonista del romanzo non è Severo ma Arsène: che salva Severo perdendo sé stesso, e perdendo sé stesso si salva. Certo: Arsène non sembra avere la mitezza tradizionalmente associata all’agnello; d’altra parte nemmeno Gesù di Nazareth era particolarmente mite quando addestrava i suoi discepoli o – indifferentemente – i suoi avversari a suon di gesti e parabole provocatori. Che si tratti di strategie retoriche zen (come ha proposto a es. Raul Montanari nel suo Cristo Zen) o di prescrizione del sintomo alla Erickson, si tratta sempre di un approccio aggressivo e, soprattutto, che mette a rischio chi lo esegue.

Mi va benissimo parlare di tema cristologico a un patto: che ci si riferisca al Cristo dei Vangeli e non alle sue attualizzazioni povere, così come al Dio rivelato della Bibbia e non alle sue comparsate barbute, così come alla Madonna sempre dei Vangeli e non ai messaggi insapori su pizzini che vengono da qui e là; e che al contempo, se di Severo parliamo, che gli si anteponga l’aggettivo: povero.

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Una chiacchierata con Ivano Porpora, 1 / Il creatore di universi

14 giugno 2017

giuliomozzi conversa con Ivano Porpora

[Al romanzo di Ivano Porpora Nudi come siamo stati, da poco apparso per Marsilio, tengo particolarmente. Inizio oggi un’intervista a puntate].

Il co-protagonista di Nudi come siamo stati (Marsilio 2017), Severo, appare per un attimo – un cameo, potremmo dire – nel romanzo La conservazione metodica del dolore (Einaudi 2012). Altri personaggi comuni a questo e a quello attraversano la scena. Il territorio comunque è quello: Viadana, vicino al Po (con una puntata a Collobrières, Provenza). Nel terzo romanzo – al momento intitolato L’argentino, già completamente scritto – si torna a Collobrières, e il lettore reincontrerà personaggi già a lui noti e scoprirà frammenti per ora sconosciuti della loro vita. E’ come se, Ivano, tu lavorassi da tempo a un immaginario unico, compatto, e popolatissimo.

Unico, compatto e popolatissimo.

Il lavoro più duro non è stato, paradossalmente, né quello sulla unicità né quello sulla, diciamola così, popolazione.

Anzi. I personaggi sono venuti fuori a grappoli, ne so il nome, ne conosco le storie; mi aiuta tanto sapere chi sono perché so da dove vengono, cos’hanno vissuto, in libri precedenti o successivi ne racconto la storia. Molto meglio che le schede dei personaggi: non ho mai fatto una scheda personaggio, per me la scheda personaggio è la storia che ha vissuto, possibilmente depurata dai suoi pensieri, mi dice chi è. Paradossalmente questo succede più ai personaggi che chiamerei fuori fuoco nella storia – dirli comparse mi risulta offensivo, le comparse si prendono il cestino e qualche spicciolo, non è il caso dei miei personaggi, loro non prendono l’elemosina -; Benito de La conservazione è lì, gli voglio bene ma non ho voglia di raccontarlo, Severo e Anita e Arsène sono detti, sono altri, quelli che non sono stati protagonisti, che stanno saltando fuori.

Ti faccio qualche esempio.

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Se incontri Giulio Mozzi per la strada uccidilo (finalmente)

21 luglio 2015

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“Favole del morire”: recensioni e varie

17 giugno 2015

favole_del_morireRecensioni e altro su Favole del morire, negli ultimi giorni:

– recensione di Monica Bauletti, in Terzo Millennio;

– microintervista di Daniela Grandinetti, in Youbookers.

– recensione di Giuseppe Caliceti, in il manifesto;

– recensione di Marco Candida, nel suo blog;

– chiacchierata tra Sara Meddi e Ivano Porpora, in Pagina successiva.

Notizie varie e aggiornamenti nel sito dedicato a Favole del morire.

La formazione dello scrittore, 31 / Ivano Porpora

19 febbraio 2015

di Ivano Porpora

[Questo è il trentunesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice. Ringrazio Ivano per la disponibilità. Le due rubriche ormai escono irregolarmente, seguendo l’arrivo dei contributi. gm]

Domenica è morta mia nonna Teresa.
Aveva 86 anni e andava per gli 87. La testa, ormai, andava e veniva. Quando veniva diceva cose come: È ora che io vada. Non parlava di essere stanca o meno, ma di necessità; e in questo è stata la nonna di Correggioverde, in provincia di Mantova. (Per quella di Napoli ricordo sempre una delle due imprecazioni più divertenti che abbia sentito in vita mia, un giorno che la esclusero da un problema tenendola all’oscuro di quanto stesse realmente accadendo: Azz, cazz e stracazz).
Quando la testa andava, la nonna Teresa diceva: C’è il prete nell’aia – e non c’era nessuno –, oppure: C’è il nonno, e il nonno sono due anni che è morto.
Ho assistito alla cerimonia funebre, officiata da un prete cieco, in una panca della terza fila della chiesa di Dosolo. Quella di Correggioverde, una chiesolina di campagna, è inagibile dal terremoto. Quando sono arrivato al cimitero che stava proprio di fronte alla casa della nonna, nel mio dolore di petto causato dalla bronchite, ho pensato: Se ne vanno radici che non ho mai voluto. Un pensiero patetico.
Poi ho visto l’inserviente del cimitero darsi da fare come un pazzo con la pala per caricare dal cumulo di terra quanto più peso, e rovesciarlo sulla bara; caricare e rovesciare; caricare e rovesciare. Quando l’inserviente, dai capelli bianchi, si è girato, ho scoperto che non di quello si trattava ma di mio zio Ivano. Aveva detto al vero inserviente di farsi da parte, e con un’intelligenza che gli è tutta nelle mani, e che sempre e solo nel lavoro si è rivelata, ha deciso che l’addio a sua madre avrebbe dovuto darlo in un modo solo: con il lavoro. Ci sono volute le insistenze dei fratelli, e alcuni minuti di sessanta secondi l’uno, per fermarlo.

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I problemi di un grande scrittore

6 gennaio 2013

di giuliomozzi

Al bar.
“Scusi”, dice un tipo con un grosso dattiloscritto sotto il braccio.
“Mi dica”, dice Ivano Porpora.
“Lei è Porpora?”, dice il tipo.
“Se vuole accertarsene andiamo fuori, che c’è la luce naturale”, dice Ivano Porpora.
“Non dica cazzate”, dice il tipo.
“Non lo farò mai più”, dice Ivano Porpora.
“Lei è dunque Porpora?”, dice il tipo.
“Ivano”, dice Ivano Porpora.
“Porpora Ivano?”, dice il tipo.
“Ivano Porpora”, dice Ivano Porpora.
“Quello che ha scritto un libro?”, dice il tipo.
“Sì”, dice Ivano Porpora, “ho scritto un libro”.
“Ma quello che ha scritto quel libro lì?”, dice il tipo.
“Ma quale libro intende?”, dice Ivano Porpora.
“Quello che ha scritto lei”, dice il tipo.
“Sì”, dice Ivano Porpora, “l’ho scritto io”.
“Dunque lei è proprio quell’Ivano Porpora”, dice il tipo.
“Sì”, dice Ivano Porpora.
“Proprio quell’Ivano Porpora lì”, dice il tipo.
“Sì”, dice Ivano Porpora.
“Quello che ha scritto un libro”, dice il tipo.
“Sì”, dice Ivano Porpora.
“E proprio quel libro lì”, dice il tipo.
“Sì”, dice Ivano Porpora, “sono io”.
“Ah, ecco”, dice il tipo. “Mi pareva“.
Se ne va.

“La conservazione metodica del dolore”, di Ivano Porpora

12 dicembre 2012

porporaivanoIvano Porpora, autore del romanzo La conservazione metodica del dolore, pubblicato da Einaudi Stile libero qualche settimana fa, sarà giovedì 13 dicembre alle ore 18.30 a Padova, presso la liberia La forma del libro di via XX settembre, per una chiacchierata con Giulio Mozzi.

E’ possibile leggere un estratto dal romanzo qui.

Gli stinchi di Gattuso e il profilo di Bianca

2 luglio 2009

di Ivano Porpora

Parlo a proposito di un argomento che mi sta a cuore.

Sono circa due anni che ci penso. Voglio dire: che penso quasi ininterrottamente a questo argomento fatti salvi altri pensieri, pur profondi, ma – diciamo – centrali. Per dire: se mangio, se parlo con mia moglie, se leggo un libro, se porto fuori il cane di mio cognato non posso dire che pensi a questo argomento (posso dire di pensare ad altri argomenti, ma non è questo il punto). Ma posso affermare con certezza che esiste una parte di me che lavora incessantemente a questo argomento, lo mastica e lo sputa, lo guarda a terra, lo riprende in mano, lo rimette in bocca, mastica e lo sputa.

Parlandone con il curatore di questo bollettino ho accennato, se non mi sbaglio, alla concezione etica della costruzione del personaggio. Penso però di potermi allacciare a quanto ho letto oggi qui, da lui, e di dire che si tratta del confronto tra invenzione e creazione.

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“Avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”

27 giugno 2009

di Ivano Porpora

I fatti, come si dice, sono noti.

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Perché vorrei conoscere Giorgio Falco

12 giugno 2009

di Ivano Porpora

Leggo Falco a letto, girato di schiena. Lo leggo sulla poltrona alle tre di notte, di ritorno da una serata passata a giocare a scacchi. Lo leggo in cucina, i piedi sulla seduta. Silvia passa, mi chiede (ha questo modo delizioso di chiedere) di leggere un passaggio ad alta voce.
Le leggo due righe sul fotografo di matrimoni.
«È un saggio», mi fa.
«No. È un romanzo».
Ci pensa un attimo; nell’uscire dice: «Sembra un saggio».
È questa, penso, la forza di L’ubicazione del bene. In uno dei miei continui lapsus stavo scrivendo L’illusione del bene, benché il titolo originale sia molto più forte, indubbiamente ben scelto. È un romanzo che è un saggio, e non viceversa. E quindi uno di quegli strumenti che si cercavano, di cui abbisogniamo per capire l’oggi – per situarlo in una topografia dell’essere umano, dell’Italia, del 2009, delle lettere.

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