Dieci buoni argomenti per sostenere che il romanzo non è morto

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keep-calm-and-kill-the-novel

di giuliomozzi

1. Se ne scrivono un sacco.

2. Benché se ne pubblichi un’infima percentuale di quanti se ne scrivono, se ne pubblicano un sacco.

3. Da quando autopubblicarsi è diventato così facile ed economico, se ne pubblicano ancora di più.

4. Chiunque diventi famoso (come cantante, come calciatore, come fantino, come assassino, come ministro della cultura, come scampato per un pelo a un disastro, come scampato per un pelo a un assassino, come fotografo senza patente, come ricco, come pornostar, ecctera) prima o poi sente l’irrefrenabile bisogno di scrivere un romanzo.

5. A sostenere che il romanzo è morto sono i critici: tutti rosiconi, come noto, in quanto romanzieri falliti.

6. A sostenere che il romanzo è morto sono anche quegli scrittori che scrivono romanzi senza né capo né coda, senza una storia che si capisca che storia sia, e magari scritti in una lingua inventata da loro: tutti rosiconi, perché in realtà sono dei critici falliti.

7. Il romanzo è morto e risorto e rimorto e ririsorto tante di quelle volte che ormai non dà più notizia nemmeno Dagospia.

8. Anche ammettendo che il romanzo sia morto, sembra inoppugnabile che i romanzieri sono ben vivi e numerosissimi.

9. C’è chi dice che nacque con l’Odissea di Omero, chi con le Etiopiche di Eliodoro, chi con il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, chi con Robinson Crusoe di Daniel Defoe, eccetera: è tale l’incertezza sulla nascita, che sarebbe assai pretenzioso avere certezze sulla morte.

10. Nessuno ha mai visto il corpo.

23 Risposte to “Dieci buoni argomenti per sostenere che il romanzo non è morto”

  1. Cristina Venneri Says:

    Se questi sono ‘dieci buoni argomenti per sostenere che il romanzo non è morto’, allo stesso tempo sono dieci ottimi argomenti per refertare – clinicamente – lo stato di decomposizione avanzata, del corpo mai visto.

  2. Andrea Ruffolo Says:

    buona notizia

  3. acabarra59 Says:

    “ Venerdì 7 giugno 1996 – Alla fine degli anni Settanta lessi Les Choses, un romanzo di Georges Perec scritto alla metà degli anni Sessanta. È un bel libro, nel quale mi piaceva la densa patina di grigio che lo ricopre tutto, il segno inconfondibile di quel proverbiale « sombre » che, proprio nel mezzo degli anni Sessanta, mi era piaciuto in Parigi, in occasione di qualche breve viaggio. È un libro pieno di letteratura, e anche questo mi piaceva, di quella letteratura che mi è sempre piaciuta, la letteratura francese, Sartre, Camus etc. Mi piaceva anche riconoscermi in gran parte della storia che vi si raccontava, storia di studenti, di lavori precari, di case, di « cose ». Quando lessi Les Choses, Perec aveva già scritto Un homme qui dort, aveva già scritto La vie, mode d’emploi (tradotto da noi come La vita, istruzioni per l’uso, da Dianella Selvatico Estense, cito a memoria perché un nome così non me lo sono più scordato), aveva già aderito al gruppo di sperimentazione letteraria Ou.li.po. di Raymond Queneau e altri, forse aveva già girato un film da non ricordo quale dei suoi libri, aveva già scritto praticamente tutto quello che ha scritto, forse era già malato e dunque stava già per morire. Quando ebbi letto Les Choses (tradotto come Le cose, prefazione di Giansiro Ferrata, traduzione – cito a memoria – di Leonella Prato Caruso – buffo, no? -) e letto tutto il resto, considerato lo stato delle cose e tutto il resto – eravamo nei primi anni Ottanta – ebbi voglia di fare una pereccata. Cioè mollare tutto, e mettermi a scrivere. I calzini sporchi da lasciare a marcire ce li avevo, il Nescafé no ma Lavazza è lo stesso, gli amici da non vedere anche – e infatti non li ho più visti -, la depressione: in avanzo. Ma, a parte tutte le altre differenze, una cosa è scrivere a Parigi, in quel grigio compatto – « Guarda che hanno ri-imbiancato tutto » « Ah sì, peccato… » -, in mezzo a quelle vie con quei nomi che sembra la Bibliographie de France, e una cosa è in Italia anzi addirittura a Roma. Perché a impedirti di scrivere, come minimo, ci sono i gatti, poi qualche donna c’è sempre, poi c’è la televisione, poi ci sono i giornali, poi c’è la gente. Che, se hai l’aria di scrivere, ti guarda male. Non voglio trovare scuse, ma il fatto è che non ho scritto. Giusto questo diario, se lo chiami scrivere… (« Per scrivere ci vuole altro… » « Che cosa, esattamente? » « Boh ») “ [*]
    [*] Lsds / 680

  4. mimmodv Says:

    Che cosa significa esattamente l’espressione “il romanzo è morto”?

  5. Giulio Mozzi Says:

    Ah, Mimmo: saperlo!

  6. acabarra59 Says:

    “ 16 ottobre 1995 – « 19 dicembre 1892 – Cosa state facendo? “ Sto facendo il titolo di un romanzo “ » (Jules Renard, Diario) “. [*]
    [*] Lsds / 681

  7. deborahdonato Says:

    Che buona notizia! Tenevo di avere migliaia di cadaveri in casa.

  8. acabarra59 Says:

    “ 31 gennaio 1987 – Trattare la letteratura come cadavere, passato remoto, reperto archeologico. C’era una volta. “ [*]
    [*] Lsds / 682

  9. SimoneGhelli Says:

    E’ morto come dovevano essere morti, secondo alcuni, anche il cinema e il rock, per fare un esempio. Non è morto nemmeno il vinile (e per fortuna), figurarsi il romanzo.
    Se si potesse aggiungere un punto 11, metterei che trattasi di definizione sempre utile quando non si sa di che altro parlare (perché poi tornerà doppiamente utile nel futuro per scrivere che il romanzo è risorto: un po’ come il realismo).

  10. antoniolamalfa Says:

    1. Se ne scrivono un sacco.
    Io ci ho scrito un romanso ma lei signor Miozzi non mi ha risposto. Perché?

    2. Benché se ne pubblichi un’infima percentuale di quanti se ne scrivono, se ne pubblicano un sacco.
    Io ci o guardato nel sacco ma il mio romanso non cè.

    3. Da quando autopubblicarsi è diventato così facile ed economico, se ne pubblicano ancora di più.
    Cuesto evvero. Io ci o mandato al illustrisimo signior Lulu le Roselline, le cornicine della cuinta( tutte riscritte in piddieffe) e lui gentilissimo me le a pubblicate. Crazie

    4. Chiunque diventi famoso (come cantante, come calciatore, come fantino, come assassino, come ministro della cultura, come scampato per un pelo a un disastro, come scampato per un pelo a un assassino, come fotografo senza patente, come ricco, come pornostar, ecctera) prima o poi sente l’irrefrenabile bisogno di scrivere un romanzo.
    Anke io ci o bisogno signor Miozzi. Io ci o un sogno. aieveedriin

    5. A sostenere che il romanzo è morto sono i critici: tutti rosiconi, come noto, in quanto romanzieri falliti.
    No io non lo penzo. Cioè non sta bene ma con il magniesio ci torna in forma.

    6. A sostenere che il romanzo è morto sono anche quegli scrittori che scrivono romanzi senza né capo né coda, senza una storia che si capisca che storia sia, e magari scritti in una lingua inventata da loro: tutti rosiconi, perché in realtà sono dei critici falliti.
    Ecco. ci sta tantaggente cattiva in cuesto mondo.

    7. Il romanzo è morto e risorto e rimorto e ririsorto tante di quelle volte che ormai non dà più notizia nemmeno Dagospia.
    Anche il mio zio ci sembrava morto che tutti erano vestiti neri, e poi ora sta bene, anche se ci à la badante. E il romanso fa un pò così, ma anche lui ci à la badante.

    8. Anche ammettendo che il romanzo sia morto, sembra inoppugnabile che i romanzieri sono ben vivi e numerosissimi.
    Ci stanno tanti, signor Miozzi, che sono vivi ma non ci stanno mica tanto bene, sa. E non ci anno nemmeno la badante

    9. C’è chi dice che nacque con l’Odissea di Omero, chi con le Etiopiche di Eliodoro, chi con il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, chi con Robinson Crusoe di Daniel Defoe, eccetera: è tale l’incertezza sulla nascita, che sarebbe assai pretenzioso avere certezze sulla morte.
    Se vuole signor Miozzi ci vado io a vedere in comune con chi e nato. Ma perche poi dev’essere nato per forsa con qualcuno come un giemello? Comuncue ci domando anche all’impiecato se macari e nato da solo.

    10. Nessuno ha mai visto il corpo.
    Nemmeno io ma non faccio mica il guardone. Macari è un tipo riservato

  11. enrico ernst Says:

    Forse come diceva Godard del cinema non è ancora iniziato… e la sua storia ad oggi non è che un prolungato vagito… serve un’ostetrica?

  12. Cristina Venneri Says:

    Dovrebbe significare che ha fatto il suo tempo – e se l’è spassata.
    Bisognerebbe lasciarlo riposare in pace.

  13. Dieci buoni argomenti per sostenere che il romanzo non è morto | Flavio Villani Says:

    […] Sorgente: Dieci buoni argomenti per sostenere che il romanzo non è morto […]

  14. acabarra59 Says:

    “ Domenica 24 gennaio 2016 – Bidon-ville / Romanzo – cfr.: “ 16 agosto 1985 – Qui, nella bidon-ville. “ [*]
    [*] Lsds / 684

  15. mimmodv Says:

    Se fosse morto nessuno ne scriverebbe più. Se fosse superato una nuova forma di narrazione dovrebbe averne preso il posto in toto nelle pubblicazioni. A me sembra di trovare ancora alcuni (ottimi) romanzi sugli scaffali delle librerie. Poi certo vengono pubblicati sedicenti romanzi di 130 pagine che in realtà oltre alla lunghezza posseggono anche la struttura del racconto. Ma in definitiva a me non sembra che questa forma di raccontar storie sia in via di estinzione. Sulla qualità del pubblicato non mi esprimo, ma credo che i capolavori si siano sempre contati sulla punta delle dita.

  16. massimo Says:

    indubbiamente nuove forme espressive incombono dal Blob multimediale a minacciare il romanzo … ma il nostro ha spalle larghe e tanti amici!

  17. Cristina Venneri Says:

    L’idea che sia ancora in vita perché se ne scrive non è granché gratificante. Dico che, per ciò che è diventato, sarebbe meglio lasciarlo morire (almeno provare a pensare che sia giunta la sua ora). Il pensiero che una persona su tre [sondaggio intuitivo] sia ‘capace’ di scrivere un romanzo (una storia che abbia un capo e una coda) umilia il prestigio della Letteratura.

  18. marco Says:

    Cristina… l’equazione romanzo = letteratura mi sembra ardita.

  19. acabarra59 Says:

    “ Martedì 11 dicembre 2012 – « Scrivere era un problema per Montale e per Gadda, per Elsa Morante e per Amelia Rosselli. Oggi sembra che non sia un problema per nessuno. L’identità culturale degli scrittori è cambiata. Alla modernità e alla postmodernità (fin troppo autocoscienti e problematiche) è seguito qualcosa di diverso. Siamo alla postletteratura e al postromanzo. Definizioni migliori non siamo riusciti a trovarne » (Alfonso Berardinelli, La catastrofe del « Roman », in «Sole24ore», 1 luglio 2012) (Lo leggo su Georgiamada – che argutamente commenta: « Mi domando se il prefisso post nel caso specifico stia per dopo o per post, il messaggio testuale del web, la composizione principe in rete? ». “ [*]
    [Lsds / 686

  20. Cristina Venneri Says:

    Personalmente, non mi riesce di concepire altro tipo di equazione, marco.

  21. acabarra59 Says:

    “ Mercoledì 13 gennaio 1999 – « Nell’articolo di Alberto Arbasino pubblicato ieri nelle pagine della cultura un refuso ha trasformato “ melting pot “ in “ melting post “. Ci scusiamo. » (Dai giornali) “ [*]
    [*] Lsds / 687

  22. GiuseppeC Says:

    > Il pensiero che una persona su tre [sondaggio intuitivo] sia ‘capace’ di scrivere un romanzo (una storia che abbia un capo e una coda) umilia il prestigio della Letteratura.

    La filiera del libro e’ bravissima ad umiliarsi da se’, purtroppo.

  23. Cristina Venneri Says:

    Ecco, io direi che chiunque sostenga e, in certo modo, incrementi – per rassegnazione o per marketing o per superficialità – questa realtà letteraria è, in varia misura, responsabile di tale umiliazione.

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