Dare una raddrizzata al legno storto?

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Lui è peggio di me. Particolare della locandina.

di giuliomozzi

In sintesi. Un quotidiano online, Il legno storto, pubblica un articolo nel quale si dice, in sostanza, che “mani pulite” fu un golpe (qui), e che i magistrati del pool di Milano furono degli utili idioti:

E’ chiaro che un Borrelli, un Di Pietro, un Davigo, un D’Ambrosio, ecc, non possono avere nessuno spessore culturale per organizzare il golpe e nemmeno il regista Violante che ha il compito di girare le piazze italiane e le procure per indicare di volta in volta il nemico da abbattere. Evidentemente, poteri forti industriali e bancari italiani ed anglo-americani sono i veri organizzatori della rivoluzione.

L’articolo, sia chiaro, è evidentemente un articolo politico, non un articolo di cronaca.

Nasce quindi Forza Italia di Silvio Berlusconi, unico baluardo che intende ergersi a difesa della democrazia italiana contro il totalitarismo incombente, somministrato con una spettacolare coreografia e campagna mediatica popolare per carpire la buona fede ed il consenso delle masse usate come un grimaldello.

E vi si trovano anche spunti analitici non privi d’interesse,

E’ proprio con Mani Pulite che lo stile del reality show si afferma e trionfa presso la gente comune, con tutti i suoi ingannevoli messaggi subliminali,

a fianco di altre affermazioni a mio avviso piuttosto improbabili:

In questo marasma si salvano solo i camaleonti che tradiscono e si rifugiano nel PCI o sotto le ali dei togati-bombardieri.

Come se non si fossero “salvati” i tanti democristiani trasmigrati in Forza Italia e An (*).

Nel complesso, direi che l’articolo è piuttosto ributtante. Non per l’interpretazione politica che propone, ma per la disinvoltura con cui afferma l’esistenza di fatti puramente ipotetici.

Piercamillo Davigo decide di querelare per diffamazione Il legno storto, chiedendo un risarcimento di centomila euro (la metà di quanto ha chiesto Silvio Berlusconi a Silvia Ballestra). [Vedi le precisazioni di Luca Tassinari su querela e citazione, nei commenti, qui].

Sporgono querela, ritenendosi diffamati per altri articoli, anche Luca Palamara (presidente dell’Associazione nazionale dei magistrati, vedi l’articolo) e Salvatore Carai (sindaco di Montalto di Castro, vedi l’articolo).

Il legno storto dichiara: così rischiamo di chiudere (qui).

Si apre, ahimè, una discussione. Nel suo blog interno a L’Espresso, Alessandro Gilioli scrive:

Come qui si è più volte scritto, la questione della diffamazione nei blog è abbastanza complessa: da un lato c’è l’esigenza che ognuno si assuma sempre le responsabilità di quello che scrive, dall’altro però c’è l’indubbio dato di fatto che i blog non dispongono dei mezzi economici propri degli editori, quindi basta una sola causa persa in tribunale per fargli chiudere bottega.
E meno voci plurali ci sono in un paese, peggio è per tutta la società.
Per questo io ritengo che chiedere mega risarcimenti in denaro ai blog come se fossero giornali sia una pessima idea.
E per questo – pur non condividendo nemmeno una riga di ciò che Legno Storto ha scritto da quando esiste – chiedo a Piercamillo Davigo, a Luca Palamara e a Salvatore Carai di ritirare subito le richieste di risarcimento nei confronti di Legno Storto (qui).

La discussione in calce al brevissimo articolo di Gilioli è interessante. Vi si leggono cose così:

La diffamazione è diffamazione anche su un blog.
L’unica cosa che mi fa un po’ pietà è che questi fessacchiotti del Legno Storto hanno potuto pensare di diffamare e sparare menzogne come fa Berlusconi, ma senza le sue coperture politiche e il suo denaro.
Poveracci, hanno voluto fare gli arditi e adesso che la palta è finita nel ventilatore se la devono prendere tutta in faccia.
Ma per il resto, imparino pure a loro spese a non diffamare… (Francesco Rocchi, qui).

Eh, no. D’istinto, dico no. Ma anche ragionando.
Se è vero che deve valere il principio “libero Web in Libero Stato”, ciò nn significa che esso si traduca in un “Benvenga l’anarchia di diffamare chicchessia”. Altrimenti la rete si svaluta, diventa pari all’approccio dei peggiori servi del regime a cui la sregolatezza, la mancanza di deontologia professionale, il killeraggio stile Regno di Arcore ci ha abituati in tutti questi decenni confusionari.
Chi sbaglia dicendo parole in libertà senza fondamento, cartaceo o virtuale, deve essere sanzionato (sempre compatibilmente alle sue possibilità, tutto in proporzione, certo).
Anche un blogger deve affrontare la questione sollevata, deve dimostrare d’essere serio e nn pararsi dietro un “non tengo dinero”, eh! (ab, qui).

se lasciamo scrivere qualunque cosa senza poi doverne rispondere è l’affermazione di coloro che vogliono mistificare la realtà per poter affermare che “siamo tutti uguali” e quindi in modo sottinteso “siamo tutti delinquenti ” . no proprio non ci sto con questa teoria alla “ognuna scriva quello che gli pare!” (poppy54, qui).

Massimo Mantellini, dopo aver notato che i lettori-commentatori del blog di Gilioli sembrano molto meno garantisti di Gilioli stesso, fa queste considerazioni che condivido:

Il punto è che tutti noi dovremmo accettare l’idea che con la democratizzazione delle opinioni che Internet consente ogni giorno di più, siano da rivedere le soglie del diritto di critica. Questo per molte ragioni: le principale sono secondo me due:
1) Abituarsi alle critiche, anche a quelle feroci, è un prezzo che va pagato alla circolazione delle opinioni. Se queste aumentano, se il loro aumento è un valore complessivo per tutti noi, allora è necessario comprendere che quel prezzo è equo ed utile e che chiunque si chiami fuori da questo circolo virtuoso (con i limiti ovvi dei casi di chiara diffamazione) di fatto si oppone all’aumento della democrazia complessiva della nuova società collegata.
2) Dobbiamo rivisitare l’idea di quale sia il luogo della critica. Nei casi di diffamazione a mezzo stampa siamo stati per decenni di fronte ad un sistema di scala dove la piccola diffamazione era acuita dal grande megafono. Perchè tipicamente politici, magistrati, imprenditori, star dello spettacolo e celebrità varie si trovavano citati dentro un apparato comunicativo numericamente piccolo ma molto potente. Oggi la scala si è invertita e nella grande maggioranza dei casi siamo di fronte a molti potenziali diffamatori di bassa portata (con tutto il rispetto per i numeri del LegnoStorto che non conosco). Così quello che spesso si verifica è una sorta di fenomeno paradosso dove la querela del Davigo di turno prende spessore ed audience solo dopo il suo annuncio, con tutte le complicazioni che questo comporta in termini di responsabilità finale (qui).

Usando le “soglie del diritto di critica” tradizionali, non c’è dubbio – secondo me – che gli articoli in questione siano pesantemente diffamatori (una breve analisi qui, in Phastidio). D’altra parte, sono anni che ne leggo di tutti i colori sul mio conto (ad esempio nel blog di Giuseppe Iannozzi); e non mi è mai venuta voglia di fare una querela.

Bartolomeo Di Monaco, collaboratore de Il legno storto, scrive nel suo blog:

Non credo di andare lontano dalla verità se colloco i tre querelanti nell’area di sinistra. Allora mi domando, che cosa scendono a fare in piazza quelli di sinistra, se un giornale non vicino all’area di sinistra subisce querele senza che sia stato commesso alcun reato. Se leggete gli articoli e anche i commenti, vedrete che non differiscono dai soliti toni presenti nei grandi quotidiani.
La verità è che per certa sinistra invocare la libertà di stampa è pura retorica, e se si tenta di far chiudere un giornale di sinistra allora si parla di bavaglio, se invece si tenta di far chiudere un giornale che non è di sinistra, allora tutto è ok. Non c’è bavaglio. Di nuovo: due pesi e due misure (qui).

Trovo un filino eufemistico definire Il legno storto “non vicino all’area di sinistra”: sarebbe come dire che il diavolo è “non vicino” all’acqua santa (o viceversa: non voglio dar del diavolo a nessuno).

Ma mi incuriosisce di più l’affermazione che “non sia stato commesso alcun reato”: ovvero che non sia reato (non sia diffamatorio) sostenere che il pool di Milano
– avrebbe “torturato innocenti” (nota: come se si potessero torturare i colpevoli; ma questo è un altro discorso), e “interrogato ferocemente”;
– avrebbe fatto “un uso distorto […] della giustizia”;
– avrebbe usata “la carcerazione preventiva ad libidum [sic] come mezzo di pressione e di terrore”;
– avrebbe condotto “persino al suicidio tanti innocenti che non hanno avuto nemmeno la possibilità di un primo giudizio” (a parte che il “primo giudizio” non vi fu perché, appunto, alcune persone – tre – si uccisero, e i morti non vanno in giudizio: Gabriele Cagliari si uccise, ed era così innocente da avere almeno 6 miliardi di lire di quattrini illegali messi da parte; Sergio Castellari fu trovato morto, ucciso da un colpo di pistola alla nuca, modo di suicidio piuttosto improbabile, e il caso non è ancora risolto; Raul Gardini si uccise, e aveva pagato tangenti in abbondanza a una classe politica ricattatoria e famelica: alla Dc, al Psi, perfino duecento milioni di lire alla Lega Nord).
Eccetera.

Fabio Raja, nel Legno storto, scrive:

Per chi è uso, anche solo per curiosità e occasionalmente, a frequentare i forum di talune famosissime testate online, sa che i toni e le parole utilizzate contro i componenti dell’attuale governo, per fare un esempio, sono “di regola” volgarità, insulti, accuse, le più infamanti, e istigazioni alla violenza (qui).

Mi sembra interessante questo: tanto Di Monaco quanto Raja non sembrano accorgersi che il problema non sta nel tono di voce, ma nella relazione tra ciò che si scrive e la realtà dei fatti. Se mi dicono che sono un cretino, poco me ne importa: è un’opinione, e ciascuno abbia la sua; ma se mi dicono che ieri ero a Trento, mi arrabbio moltissimo: perché ieri non ero a Trento, ieri ero a Bologna (e ho i testimoni).

Così, posso capire che a Piercamillo Davigo poco importi se lo si accusa di aver fatto crollare la democrazia in Italia: è un’opinione, e ciascuno abbia la sua; ma se lo si accusa di aver torturato delle persone, ossia di aver commesso un delitto, e di aver distorto la giustizia, ossia di aver commesso un reato, mi pare naturale che a Davigo salti la mosca al naso.

Detto questo, Bartolomeo Di Monaco non ha del tutto torto, mi pare, quando scrive: “Se leggete gli articoli e anche i commenti, vedrete che non differiscono dai soliti toni presenti nei grandi quotidiani”, ovvero – interpreto – dai toni che usano La Repubblica da una parte e Il Giornale dall’altra.

Ovvero: ciò che Il legno storto fa – male, scrivendo in un italiano che fa accapponare la pelle, senza alcun senso della misura, senza un minimo di strategia, eccetera – non è sostanzialmente diverso da ciò che tutti, in Italia, quotidianamente fanno: (a) semplificare brutalmente; (b) dare tutta la colpa – di qualunque cosa – a un nemico; (c) invocare repressione in nome della libertà.

E non ha del tutto torto, quindi, quando scrive: “La verità è che per certa sinistra invocare la libertà di stampa è pura retorica”. Più precisamente, si potrebbe dire che per “certa sinistra” (e non mi fermo a domandare esattamente quale, per una volta) invocare la libertà di stampa è puro marketing.

E le discussioni sulla libertà d’espressione in rete sono spesso accademiche.

Quindi: bisogna dare una raddrizzata al legno storto, a suon di querele? Direi di no. Credo che se i tre querelanti rinunciassero alla querela, chiedendo piuttosto precise rettifiche sui fatti al querelato, farebbero bene.

Se questo articolo vi pare un po’ inconcludente, rispondo: è vero. Non abbiamo nessuna fretta di concludere. Un po’ di pensiero lento non fa male.


(*) Aneddoto. Qualche giorno fa, parlavo con un gruppo di consiglieri comunali e assessori di un paese lombardo (che tacere è bello). Parlavamo, piuttosto mitemente, di politica. Poiché percepivo nei miei interlocutori un preciso interesse nell’individuarmi politicamente, mi dichiarai per quello che sono: un democristiano genetico. Al che i miei interlocutori esclamarono: “Ma siamo tutti democristiani!”. La successiva discussione, su come sia impossibile – secondo me – essere democristiani e leghisti, democristiani e pidiellini – mentre secondo i miei interlocutori è possibilissimo – ci impegnò alcune ore.

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14 Risposte to “Dare una raddrizzata al legno storto?”

  1. Sergio Says:

    La cosa che più mi infastidisce è che si approprino di Kant.

  2. Luca Massaro Says:

    Bella questa storia del pensiero lento. Mi ricorda qualcuno. Chi? Aldo Moro.

  3. Luca Tassinari Says:

    Da quel che ho capito io: Palamara non ha querelato il giornale, ma è stata la Procura di Roma ad aprire un fascicolo per minacce, e Davigo non ha querelato (azione in sede penale), ma citato per danni (sede civile). Da quel che ho letto fin qui non sono ancora riuscito a capire in che sede agisca Salvatore Carai. Sembrano quisquilie, ma secondo me è bene tenerne conto nell’esprimere un giudizio sulla vicenda.

    Quanto al “dare una raddrizzata”, l’espressione che usi presuppone un intento punitivo dell’azione legale, che in realtà, almeno secondo me, dovrebbe essere intesa a tutela delle parti in causa. Anche per questo, e pur essendo d’accordissimo con te sull’articolo che lo riguarda, giudico inopportuna l’azione di Davigo: chiedere un risarcimento per danni da diffamazione senza prima aver accertato in sede penale se diffamazione c’è stata, è un comportamento che non condivido, specialmente da parte di una persona che riveste una carica pubblica.

  4. federica sgaggio Says:

    Sì, penso anch’io che le discussioni sulla libertà d’espressione in rete sono spesso accademiche, anche solo perché – per esempio – non s’interrogano sulle dinamiche che presiedono alla visibilità delle «espressioni».

    La discussione a proposito della giornata di sciopero-serrata dei giornalisti (e degli editori: altrimenti che «serrata» è?) di domani contro il disegno di legge sull’utilizzabilità e la pubblicabilità delle intercettazioni chiarisce, per me, abbastanza bene ciò che mi sembra l’equivoco di base a proposito della libertà d’espressione.

    Da una parte chi dice «la rete è il mondo, noi siamo la vera informazione, i vecchi barbogi della stampa si credono dei re e non han capito che stan morendo, noi siamo giovani, bisogna trovare forme di protesta più creative perché per noi la parola “sciopero” non ha alcun significato» (e forse, chissà, capiscono meglio e sembra loro più giusta – ma la mia è pura illazione – la parola «serrata»).

    Dall’altra chi pensa (difficile che lo dica) che la rete è una sciocchezza, che è un cortiletto in cui giocare, che in rete non circola la vera informazione, che niente è verificato, che la vera informazione si fa su carta…

    In mezzo, ci sarebbe molto spazio per domandarsi, secondo me, che senso abbia fare informazione qui e ora.
    Che senso abbia difendere la possibilità di dire quel che si vuole quando quel tipo di «quel che si vuole» precipita in recipienti ricolmi di rumore e socialmente (resi) incapaci di comprendere i nessi, le relazioni, il senso anche storico – e l’esempio dello sciopero che non piace ai giovani – dei processi che si compiono.

    È chiaro che si tratta di questioni intricate che non si prestano a una risposta da democrazia della paletta – «sì», «no», «io sto con Tizio Caio», «giù le mani da Questa Cosa» – ma, sai, io son proprio proprio stanca di continuare a discutere con parole altrui che hanno significati altrui e su coordinate altrui.

    E se questo commento pare «un po’ inconcludente, rispondo: è vero. Non abbiamo nessuna fretta di concludere. Un po’ di pensiero lento non fa male».

    Ciao a tutti

  5. vbinaghi Says:

    L’errore più grande in cui incorriamo tutti noi frequentatori della Rete è di finire col credere che la Rete sia la realtà, mentre ne è solo una proiezione bidimensionale. Ad esempio qualsiasi troll attrezzato di un nickname fantasioso può entrare in un blog letterario e spernacchiare il libro di uno scrittore più o meno valoroso. Lo scrittore può reagire e nel blog un commento vale l’altro. Ma nella realtà il commentatore spernacchiante resta un anonimo lettore, mentre lo scrittore può vantare contratti editoriali e copie vendute e sarà lui ad essere invitato a convegni dove la sua parola avrà un’autorità più o meno discutibile. In Rete i rapporti di forza sembrano azzerati, semplicemente perchè manca la terza dimensione, che determina il peso e la massa.
    Credo che sia per questo che le denuncie per diffamazione in Rete siano molto più rare che nella carta stampata. La gratuità e la facilità della Rete è la sua forza, ma anche la sua debolezza. Chiunque abbia fatto esperienze di vendita sa che le cose regalate sono poco apprezzate, a meno che si tratti di un gadget che sancisce un acquisto. La società di mercato può non piacere ma è un fatto, ergo la battaglia per l’informazione passa ancora dove l’informazione è moneta pregiata.

  6. vibrisse Says:

    Perché, Sergio, era tuo, il Kant? g.

  7. Sergio Says:

    Di più: non dirlo a nessuno, ma io sono Immanuel reincarnato!

  8. Bartolomeo Di Monaco Says:

    Giulio, torno ora da una breve vacanza, trascorsa, ahimè, con un po’ di febbre. Ti ringrazio delle riflessioni che hai dedicato al caso Legno Storto, che trae il titolo da una frase di Kant riportata sotto lo stesso titolo, allo steso modo che un giornale, magari di tendenze contrarie, può trarre il suo titolo da una frase di Celine.

    E ringrazio anche Luca Tassinari per le sue riflessioni fatte nel suo blog letturalenta.

    Il mio sdegno è motivato dal fatto che chi sembra di voler difendere la libertà di stampa, compie atti così perentori da minacciarla.

    Non so dove ho scritto che Pier Camillo Davigo avrebbe anche potuto chiedere un risarcimento simbolico, ben sapendo che un piccolo giornale non è in grado di pagargli euro 100 mila.

    Ma, per non farla lunga, è la conclusione che trai dalla tua riflessione che condivido: “Credo che se i tre querelanti rinunciassero alla querela, chiedendo piuttosto precise rettifiche sui fatti al querelato, farebbero bene.”

    Fosse accaduto a me, io avrei scritto, infatti, al giornale precisando i fatti e chiedendo le rettifiche, lasciando poi all’articolista di prenderne o meno atto.

    Questo, secondo me, vuole dire rispettare un giornale (di qualunque tendenza, e soprattutto se piccolo) e rispettare la libertà di stampa (che non significa, ovviamente, che si può scrivere ciò che si vuole, fregandose della dignità altrui.)

    Negli articoli non ho ravvisato accuse tali che non potessero essere chiarite in modo molto aperto e semplice.

    Nella querela di Davigo mi dà anche fastidio quell’indicazione della carica che ricopre. Per una querela basta presentarsi con nome e cognome.

    Per quanto riguarda il mio articolo, mi vien da ridere se Palamara vi abbia davvero rintraciato delle minacce. Mi farebbe piacere mi indicasse dove le ha trovate. Non ci sono. Se la Digos vuol venire a casa mia, venga pure, la porta è aperta. Non troverà manifestini, spranghe, bottiglie molotov, grimaldelli e quant’altro possa far parte del bagaglio di un attentatore. Può trovare solo libri, tanti.
    Io di minacce, ahimè, ne ricevo ogni tanto per i miei articoli, ma non mi permetto mai di farne a nessuno.

    Quello che è vero, invece, è che a me Palamara non piace affatto, e mi domando del perché l’intervista famosa che vede coinvolto Palamara con Cossiga sia sparita di circolazione. Eppure ha circolato per molto tempo diventando patrimonio culturale e politico. Appare la scritta che il video è stato ritirato dal proprietario del copyright, ossia, immagino, la Rai.
    Eppure si tratta di un fatto accaduto. Vero. Sparito, e chi voglia farvi riferimento, se ne vede impedito.

  9. Fabio Carpina Says:

    “Fosse accaduto a me, io avrei scritto, infatti, al giornale precisando i fatti e chiedendo le rettifiche, lasciando poi all’articolista di prenderne o meno atto.”

    con la piccola differenza che, per la parte offesa, astenersi dalla querela e limitarsi a chiedere una rettifica è un puro atto di generosità, mentre per il giornale rettificare i fatti è in tutto e per tutto un dovere.

  10. andrea barbieri Says:

    Sono d’accordo con Mozzi nel giudizio che dà sull’articolo e su cosa sarebbe bene fare.
    Nel Rapporto Freedom House sulla libertà di stampa nel mondo, basato su criteri oggettivi che vengono ‘pesati’, parte della valutazione (il c.d. ‘settore giuridico’) riguarda tra l’altro le sanzioni penali cui sono sottoposti i giornalisti.
    Quindi per Freedom House un sistema in cui si tutela la propria onorabilità utilizzando il reato di diffamazione a mezzo stampa oppure la richiesta di risarcimento in sede civile è limitativo della libertà di stampa.

    Per questo motivo sarebbe più opportuno chiedere prima una rettifica al giornale. E se proprio si ritiene che l’onorabilità continui a essere lesa (perché la rettifica è insoddisfacente) si potrebbe sempre portare la cosa davanti a un giudice per tutelare il proprio diritto. Per esempio: nella sentenza sul processo che coinvolgeva Carla Benedetti, il giudice scrisse che non era quello il luogo adatto, che era opportuno chiarire la cosa scrivendo pubblicamente su giornali ecc.

    Direi che la questione libertà di stampa, per quanto riguarda appunto il ‘settore giuridico’, è un problema culturale che riguarda destra e sinistra.

    http://www.freedomhouse.org/

  11. vibrisse Says:

    Bart, scrivi: “Negli articoli non ho ravvisato accuse tali che non potessero essere chiarite in modo molto aperto e semplice”.

    Si dice, ad esempio, che “poteri forti industriali e bancari italiani ed anglo-americani” hanno organizzato una “rivoluzione”, un “golpe”, i cui esecutori (Borrelli, Davigo, D’Ambrosio, Di Pietro, e Violante nella posizione di “regista”) non avevano nemmeno lo “spessore” culturale per capire cosa stavano facendo.

    La diffamazione c’è, secondo me.

    Però credo che Davigo potrebbe tranquillamente non curarsi di articoli, come questi: vaghi nei contenuti (sui “poteri forti”, ad esempio, vedi la riflessione di Gian Antonio Stella, qui), caotici nell’argomentazione, e scritti malissimo.

    giulio mozzi

  12. vibrisse Says:

    E poi, Bart, scusa; ma mi incuriosiscono sempre certi usi linguistici.

    Il fatto che una “accusa” possa “essere chiarita in modo molto aperto e semplice” non c’entra nulla col fatto che questa “accusa” sia o non sia diffamatoria.

    Io ora scrivo: Silvio Berlusconi è un puttaniere. Questa frase è certamente diffamatoria.

    Io poi posso spiegarla finché voglio, “in modo molto aperto e semplice”: posso ricodare come esistano numerose testimonianze, anche molto dirette, dell’abitudine dell’uomo a fare uso, per il proprio piacere sessuale, di donne fornite da persone compiacenti o da agenzie, e compensate con somme talvolta grandi e talvolta piccole, doni, viaggi, appartamenti, soggiorni nell’amena villa sarda, spinte alla carriera, e così via; e posso ricordare come, in alcuni casi, si sia avuta la sensazione che queste donne esercitassero sull’uomo un vero e proprio ricatto. Posso spiegare tutto questo: ma in ogni caso la frase “Silvio Berlusconi è un puttaniere” è diffamatoria.

    gm

  13. andrea barbieri Says:

    Quella frase su Berlusconi può essere diffamatoria perché la diffamazione è anche nel tono (esposizione dei fatti corretta e serena: limite della ‘continenza’). Dunque sostenere un fatto seppure vero con un tono denigratorio è diffamante.
    Sembra che ciò sia un limite alla libertà di pensiero, ma da un altro punto di vista non fa che rafforzarla con una distinzione opportuna: il tono denigratorio serve a colpire l’onore di una persona, non a informare su un fatto che può interessare la collettività. Per questo la denigrazione non ha ragione di essere tutelata.
    Infatti è sanzionata come reato. E l’ordine dei giornalisti può a sua volta sanzionarla in base al codice deontologico, perché danneggia la serietà della figura professionale.

    Comunque ribadisco: mi auguro che la querela sia ritirata, e la cosa sia composta in altro modo.

  14. vibrisse Says:

    Appunto, Andrea.

    E, in aggiunta, propongo una massima: tanto maggiore è il contenuto informativo di un testo (e quindi: tanto più il testo si espone alla falsificazione), tanto minore è il suo potenziale diffamatorio. Il testo più diffamatorio è quello che allude, che non nomina, eccetera. Tipo “i poteri forti industriali e bancari italiani ed anglo-americani”, “il complotto demo-pluto-giudaico-massonico”, e così via.

    gm

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