
Esempio di comunicazione editoriale
di giuliomozzi
1. “Sfortunatamente, la sua Opera non rientra nella nostra linea editoriale”. Se l’editore fosse convinto che l’opera è bella, veramente bella, cambierebbe la sua linea editoriale per ospitarla. Quindi vi sta dicendo che – a suo giudizio – la vostra opera è brutta o al massimo mediocre.
2. “Sfortunatamente, la sua Opera non rientra nella nostra linea editoriale”. Oggi come oggi – e intendo proprio oggi come oggi, non dieci o vent’anni fa – gli editori che pubblicano opere letterarie non hanno più uno straccio di linea editoriale. Non sarà un caso se scrittrici e scrittori cambiano editore con la facilità con cui cambia il tempo in questo maggio 2015. Dunque la vostra opera è sembrata brutta, o al massimo mediocre.
3. “L’attuale situazione del mercato editoriale è molto difficile, quindi non ci sentiamo di procedere a una proposta di pubblicazione”. Tradotto: se la sua opera ci sembrasse davvero bella, magari affronteremmo il rischio; ma poiché ci pare che non valga una cippa, è meglio se ci salutiamo qui.
4. “Posso affermare con sicurezza che il Suo lavoro ha pieno diritto di cittadinanza entro le mura della letteratura. I Suoi poemi si giustificano infatti grazie ad un linguaggio accurato dove ogni passaggio ha l’efficacia dell’originalità. Intendo dire che la Sua scrittura si giustifica perché denota l’eliminazione del gratuito supponibile e del sorteggio delle parole. Lei insomma è un Autore che sa vagliare di volta in volta la Sua scrittura facendone vivere solo ciò che pesa con una permanenza di significato”. Traduzione: se paghi, ti pubblichiamo.
5. “Il suo lavoro è davvero interessante. Tuttavia le consiglieremmo, per l’esordio, di rivolgersi a un piccolo editore di qualità”. Detto, ovviamente, da un grande editore. E significa: a naso, ci pare roba potenzialmente buona; però non siamo tanto sicuri (oppure: però ci pare che abbia anche tanti difetti); quindi è meglio se l’investimento iniziale lo fa un piccolo editore (tanto scoppiano di soldi, no?), e in caso di buon risultato poi arriviamo noi a raccogliere il frutto del lavoro fatto da altri.
6. “La sua Opera ci è sembrata interessante e tuttavia ancora ingenua. Non intendiamo pubblicarla, ma se lei volesse in futuro sottoporci altre opere le leggeremmo con interesse”. Purtroppo esistono gli archivi. Arriva l’opera seconda di Tizio. Si guarda nell’archivio. Si vede che l’opera precedente era stata rifiutata. Si rifiuta la seconda di default.
7. “La sua Opera è interessante, tuttavia ci sembra bisognosa di una revisione operata da un autentico professionista. Se Lei desidera, possiamo metterla in contatto con uno dei nostri editor…”. Traduzione: intanto comincia col pagare questo, a spillarti il resto ci penseremo dopo.
8. “La sua Opera è sicuramente interessante, tuttavia, avendo già completato i programmi editoriali per i prossimi due anni – oltre quello in corso -, la invitiamo a ripresentarla verso la fine del 2017”. Ovviamente a fine 2017 la risposta non sarà diversa.
9. “Sfortunatamente, la sua Opera non rientra nella nostra linea editoriale”. La lettera è palesemente una lettera standard. La firma è uno scarabocchio. In altri tempi, avreste ricevuto un ciclostilato. Insomma: il vostro lavoro non è stato considerato nemmeno degno di una risposta ad hoc.
10. “No”. Ah: in questo caso dovete crederci.
27 Maggio 2015 alle 14:23
11. Nessuna risposta. Il vostro lavoro fa talmente schifo che è stato cestinato e velocissimamente dimenticato. Avete comunque una possibilità: farvi risentire dopo trent’anni e dopo aver fatto una vita talmente diversa da quella precedente da poter essere di nuovo presi in considerazione come se fosse la vostra prima volta ed ambire quindi ad una delle risposte comprese nei punti da 1 a 10.
27 Maggio 2015 alle 14:24
1. 2. 8. & 9. Ho fatto una bella quaterna! 🙂 hovintoquaccheccosa?
27 Maggio 2015 alle 14:44
Beh, Sig. Mozzi, Lei in sostanza mi ha risposto con il punto 5). Toglierei il “davvero” dall’interessante, ad essere onesto, e direi che aveva ragione perché in sostanza proprio del tutto convinto non lo sono nemmeno io, a riguardo di quel materiale. Mi sembra comunque la reazione migliore che potessi ottenere, considerando anche che si trattava di una primissima volta. Conferma ciò che avevo inteso, cioè che non fosse una risposta del tutto negativa, ma qualcosa su cui si poteva costruire.
27 Maggio 2015 alle 14:44
celo dalla 1 alla 5 Giulio, o no?
27 Maggio 2015 alle 14:50
Ho sentito dire che il più delle volte, gli editori, non rispondono affatto. Cosa vorrà dire la loro non risposta…?
27 Maggio 2015 alle 15:01
Colpita e affondata dalla n.3…
27 Maggio 2015 alle 15:19
Caspita! Leggendo questi decaloghi l’entusiasmo si appiattisce e chi ci crede più? Un po’ di speranza dov’è che si può comprare?
27 Maggio 2015 alle 15:24
Grazie: ho finalmente imparato il significato esatto di “cippa”!
27 Maggio 2015 alle 15:42
Quel ‘No’ è quasi poetico…ma gli ostinati capiranno?
27 Maggio 2015 alle 15:45
Ribaltiamo i modi di dire: “tentare nuoce”, eccome se nuoce!
27 Maggio 2015 alle 16:23
“ 16 aprile 1988 – « Eravamo in quegli anni redattori della Einaudi, una nobile, prestigiosa casa editrice, da noi soprattutto apprezzata per la sensazionale elasticità dell’orario di lavoro. Ma la vita di un topo editoriale e a conti fatti la stessa dovunque, grigie sono le sue giornate, rare le sue gioie, frequenti le sue visite al caffè dell’angolo. Altissime pile di manoscritti e volumi spediti da tutto il mondo si accumulano senza soste sul suo tavolo, rinchiudendolo fisicamente in un bunker culturale; lo soffocano mura d’intelligenza, di bella prosa, di acutissimi saggi, di sofferti romanzi, di coraggiosi esperimenti, di interessanti recuperi, di avanguardismi incendiari; lo incastra il meglio universale della storia, della critica, della letteratura, della psicologia, dell’archeologia, del teatro. Il prigioniero si mette allora a sognare un improbabile chiosco di benzinaio sull’Appennino tosco-emiliano, un bar-tabacchi alla periferia di Vicenza, la Legione Straniera, un posto di aiuto-giardiniere al comune di Foggia. » (F & L, Incontro ravvicinato con la fantascienza, in P78) “ [*]
[*] La s-formazione dello scrittore / 347
27 Maggio 2015 alle 16:24
Vero, spesso tentare nuoce. Però talvolta si può avere anche un colpetto di fortuna (soprattutto di fortuna si tratta). Io ho ricevuto più o meno tutte le 10 versioni di Giulio della lettera di rifiuto ma alla fine ho trovato un editore che mi ha pubblicato. Ho anche raccontato tutta la vicenda in un libriccino che ho autopubblicato su http://www.ilmiolibro.it. Si intitola ironicamente ‘Scrivere un best-seller’. Chi è vittima dello sconforto può provare a leggerlo, magari si tira un po’ su…
27 Maggio 2015 alle 17:01
Potrebbero anche voler dire altro oltre a “opera brutta” o “opera mediocre”. Purtroppo.
27 Maggio 2015 alle 17:21
Adesso aspettiamo il decalogo degli editori non a pagamento che invece decidono di accettare un manoscritto. Oppure non trattasi di decaloghi ma solo di brevissime risposte?
27 Maggio 2015 alle 17:29
11. “Sì”. Oh: in questo caso non dovete crederci.
27 Maggio 2015 alle 18:17
“Cent’anni di solitudine” venne rifiutato dalla Seix Barral di Barcellona, “Il gabbiano Jonathan Livingston” fu rifiutato da 18 case editrici negli USA e il primo “Sherlock Holmes” fu rifiutato da ben tre editori. La lista sarebbe lunghissima, ma mi fermo qui. Tanto basta a capire quale sia la superficialità e la sciatteria con cui la maggior parte degli editori legge un manoscritto. È le “dieci frasi” elencate qui ne sono la prova. A me una volta è toccata la risposta 8, dopo un anno esatto mi hanno richiamata per pubblicarmi, come promesso. Ogni regola ha le sue eccezioni, forse.
27 Maggio 2015 alle 19:13
NON SI PUBBLICA PIU’ NULLA DI NESSUNO, A MENO CHE NON SIA FRATELLO, CUGINO, ZIO, BABBO, NONNO DELL’EDITORE STESSO…
27 Maggio 2015 alle 19:59
http://viaggioinbici.blogspot.it/2015/05/laspirante-scrittore-aspetta-lettere.html
27 Maggio 2015 alle 20:11
Ho riso assai di questo spassoso decalogo al vetriolo, perché l’ironia salverà qualunque pennivendolo, me compresa, dal credere di aver scritto Il Capolavoro Del Duemilaquindici. Ordunque, penna pronta, idee al setaccio e… meglio scrivere un ricettario, che forse viene piazzato meglio in libreria, non nuoce alla salute, non induce intelligenza (siamo tutti capaci di leggere 1/2 litro di latte o “mescolare dall’alto verso il basso, con un ginocchio sulla sedia e un piede che tamburella a tempo di una tamarrissima Makarena sparata a tutto volume), insomma voglio scrivere un libro così. Perché anche gli Editori cattivi prima o poi mangiano, mica attendono al 2017! 😀
27 Maggio 2015 alle 20:21
Se avessi letto il decalogo 4 o 5 anni fa, avrei detto che le risposte menzionate erano il 99% di quelle che normalmente si ricevono. Oggi dico che rappresentano il 100% e che non si pubblica più nulla. Non prendiamoci ulteriormente in giro: il mondo editoriale è allo sbando e nessun editore “affronta il rischio”, tanto meno con un nome sconosciuto per le mani. Fa solo sorridere l’idea di un editore che oggi “cambia la propria linea editoriale” perché ha trovato “bella” l’opera di un autore sconosciuto. Oggi vengono pubblicati solo i soliti noti e i personaggi già celebri per altri versi. E molte volte vengono pubblicati male pure questi.
27 Maggio 2015 alle 20:26
La 6 mi lascia sgomento, in quanto cancella a priori l’idea che si possa migliorare. La prima impressione è veramente l’unica cosa che conta?
27 Maggio 2015 alle 21:10
“ Martedì 20 gennaio 2004 – « Gentile […], editorialmente non le dico nulla che lei non si sia già detto da sé: il diario è ritenuto pubblicabile solo se scritto da una celebrità morta, o da chi, vivo e vegeto, prometta succose rivelazioni. Quindi Musil, il maggiordomo di qualche testa coronata o (finti) ragazzini troppo ormonali. In tutti i casi noi non saremmo l’editore adatto. Come lei sa, pubblichiamo eminentemente saggistica, con sporadiche incursioni in scritture miste e rarissime uscite narrative (perlopiù autrici come la […], di cui andiamo esaurendo gli omnia). Senza contare la sofferenza a cui è destinato il genere in un mercato come il nostro, quasi impenetrabile da diari, epistolari etc. (robaccia a parte, s’intende). Temo che durerà fatica a vedersi stampato, a meno di non provvedere da sé e regalare le copie agli amici. Scusi la crudezza. L’autodefinizione di “ documentale “ mi sembra azzeccata: lo è non nel senso sminuente in cui lo usa lei (come si direbbe di testi poveri, in cui non c’è scrittura), ma perché in lei il journal prevale sull’intime, o meglio perché la sua scelta d’autore è parlare obliquamente – anche se non esclusivamente – per ritagli di stampa e citazioni. L’alternanza di aforismi, micronarrazioni e stralci risulta efficace. Così franta e sincopata, la bêtise di quegli anni si ricompone intatta, e precorritrice di tempi ancor più grami. Cordialmente […] “ [*] [**]
[*] Ebbene sì, cari amici, ci ho provato anche io. E questo è il risultato. Un risultato elegante, quasi chic. Soprattutto una sentenza senza appello, nel senso che non ho avuto e non ho alcuna intenzione di appellarmi. Anche perché, leggendola, io mi sono sentito, sostanzialmente, d’accordo. È tutto vero, quello che mi fu detto. E, dieci anni dopo, ancora più vero di allora. E allora? Allora sessanta minuti, direbbe uno che avesse voglia di ridere. Sarebbe un riso amaro, naturalmente. Il peggio è che quello è un film, anche quello…
[**] La s-formazione dello scrittore / 348
27 Maggio 2015 alle 21:38
Gent.mo acabarra, lei lo sa… se da nostro esterno collaboratore si attivasse nella sua ridente cittadina per corsi, concorsi, incontri e finanche presentazioni… sollecitando i giornalisti della zona a scrivere di noi appoggiandosi a librerie e fenomeni della sua realtà locale… ci farà poi la cortesia di leggere qualche manoscritto che ci arriva e le giriamo qualche mail… farà da magazzino per un nostro scatolone, andando a prenderlo al corriere… cose così, la vita è questa e lo dice anche il poeta pontificio, tante belle frasi d’amore ma chi lava i calzini al lunedì?… potremmo nel caso considerare una pubblicazione in qualche anno di catalogo minore, diciamo duemilaventitre? con stima, l’editore.
27 Maggio 2015 alle 21:44
“Interessa il racconto breve, di stampo umoristico-fumista?”
“Fila via, sgorbio!”
“Ha detto che non rientra nella sua linea editoriale.”
27 Maggio 2015 alle 23:28
11. La risposta rientra nella nostra linea editoriale
28 Maggio 2015 alle 06:57
Direi che alcuni dei commenti qui inseriti costituiscono la migliore spiegazione del perché gli editori, quando rispondono negativamente, tendono all’ipocrisia; e, in generale, tendono ad applicare il criterio del silenzio/dissenso.
A me, sentirmi dire per l’ennesima volta cose come “Non si pubblica più nulla di nessuno, a meno che non sia fratello, cugino, zio, babbo, nonno dell’editore stesso” o che “Oggi vengono pubblicati solo i soliti noti e i personaggi già celebri per altri versi”, mi fa venire su una tristezza. Perché è evidente che che chi scrive (e in tutto maiuscolo!) cose del genere non è mai stato in un negozio dove si vendono libri: perché basta andare in un negozio dove si vendono libri per scoprire che no, non è vero che non si pubblica più nulla di nessuno, a meno che non sia fratello, cugino, zio, babbo, nonno dell’editore stesso, e non è vero che oggi vengono pubblicati solo i soliti noti e i personaggi già celebri per altri versi.
Certo: è più comodo pensare che gli editori siano tutti dei cretini familisti, piuttosto che accettare un giudizio negativo sulla propria opera. Ma queste sono le comodità buone per chi rinuncia a pensare.
Proprio in questi giorni sono molto contento perché nel giro di pochissimo tre persone che non sono cugine o nonne di nessuno sono arrivate due alla pubblicazione e una alla trattativa per un contratto di edizione: semplicemente le loro opere sono sembrate abbastanza belle e abbastanza vendibili da indurre alcuni editori a metterci dei soldi, a rischiare, a sperare.
28 Maggio 2015 alle 07:12
come dice Cinzia sopra anche a me pare che tantissima roba viene pubblicata solo perché scritta da persone note (non nel campo della letteratura) e anche per ragione diciamo sociologiche, perché trattano temi di attualità; insomma le ragioni letterarie sembrano venire per ultime. Ciò non toglie che circolino anche libri che sono letteratura, libri belli, letterariamente interessanti. Potrebbero essere molti di più? Molti vengono ingiustamente esclusi? Ma è un fatto di oggi o è sempre stato così? O il fenomeno oggi sembra maggiore solo per la enorme quantità di manoscritti in circolazione e per l’estensione del mercato?
28 Maggio 2015 alle 08:24
5 e 8 (quest’ultima, da Venezia). Ma aggiungerei quest’altra frase che mi è spesso arrivata: “Siamo sicuri che non avrà difficoltà a trovare un buon editore dal momento che è davvero bravo”.
28 Maggio 2015 alle 08:30
Cristian: il campo di cui parlo, e mi pare sottinteso, è quello della letteratura.
28 Maggio 2015 alle 09:09
Giulio Mozzi: sì ovvio mi riferivo alla letteratura e comunque non avevo letto il tuo intervento delle 6 e 57 che condivido senz’altro
28 Maggio 2015 alle 09:25
aggiungo ancora una cosa che mi viene in mente adesso: Claudio Magris in un articolo di un po’ di tempo fa diceva di non capire perché tanti libri (romanzi racconti) vennissero pubblicati e tanti altri no quando a lui invece sembrava che non fossero da pubblicare quelli pubblicati e da pubblicare quelli non pubblicati
28 Maggio 2015 alle 10:15
Eh, Cristian: secondo te, quanti romanzi non pubblicati ha letto Magris? (Io, centinaia).
28 Maggio 2015 alle 10:18
La 6 è veramente ‘tombale’. Davvero c’è solo una possibilità per ogni casa editrice? One shot? Anche a distanza di anni se ti ripresenti più maturo (magari con qualche pubblicazione in più sulle spalle) a un editore che ti ha rifiutato una volta verrai rifiutato sempre e comunque a prescindere?
28 Maggio 2015 alle 11:41
..e iniziare a parlare un po anche dei bersagli scagliati dagli editori,cioè tonellate di libri (anche e sopratutto di opere inediti,anche di esordienti)che si pensava vendessero 20.mila copie,quando ne han poi vendute 3-4 mila se va bene?
a costo di ripetermi è parte di chi maneggia, se non il procurement ,la scelta finale dei libri da pubblicare (ripeto,anche un attimo prima opere inedite)che non mi pare abbia le idee chiarissime su quello che può letteralmente esser veicolato,se non direttamente vendere
su quel che è “bello” sospendiamo il giudizio,è un aggettivo del tutto inadatto da associare ai libri (la storia è piena di libri “brutti” dimostratisi poi utili a un sacco di cose)
(parlo di narrativa,ovviamente)
28 Maggio 2015 alle 12:16
Ludovico, 3-4 mila copie è un successo clamoroso, in Italia.
28 Maggio 2015 alle 12:19
parlavo di libri di esordienti o anche autori gia al 2° libri per cui è stato fatto un battage in passato,che non mirava certo a “solo” 3-4 mila copie…..
28 Maggio 2015 alle 14:42
in generale, credo che siano molto più pericolosi i falsi positivi dei falsi negativi. vale a dire: è pacifico che l’errore di giudizio o l’umana variabilità dei giudizi possano classificare come non degni di pubblicazione testi che invece hanno delle qualità o perfino testi di valore. il vero problema, di portata direi “ecologica”, è invece la pubblicazione di testi di qualità da scarsa a nulla. è sull’alto numero di falsi positivi che si misura la crisi dell’editoria italiana (e non parlo solo di narrativa).
28 Maggio 2015 alle 18:26
Giulio Mozzi: pochi, come lui stesso diceva nello stesso articolo( Mi arrivano ma non ho tempo per vederli). Comunque pur sempre credo un parere autorevole
28 Maggio 2015 alle 18:41
Io ho ricevuto un cortese rifiuto che si concludeva così: “Ci piacerebbe però seguire nel tempo gli esiti della sua ricerca letteraria, le prove future che vorrà farci pervenire: le leggeremmo con piacere.”
Naturalmente non mi sono più fatta viva.
28 Maggio 2015 alle 22:13
La storia dell’archivio vale anche per le agenzie letterarie?
27 giugno 2015 alle 16:10
Manca un aspetto in questa carrellata divertente. L’editore non giudica la bellezza dell’opera. Ne giudica la vendibilità 🙂
27 giugno 2015 alle 18:06
No, Monica. Si valuta tutto.