Mario Capello, “L’appartamento”

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di Demetrio Paolin

Nel romanzo breve L’appartamento (Tunué) Mario Capello ci consegna uno squarcio interessante su un preciso momento della nostra storia patria. La scelta, però, è quella di non affrontare questo tema direttamente, ma eleggendo un punto di vista laterale, non volendo quindi mettere al centro la Storia, ma invece una piccola particella di vita che incrociamo come per caso.

L’appartamento narra le vicende di Angelo, che ha una moglie e un figlio, lavora come editor e lettore per alcune case editrici e vive in San Salvario a Torino. Il romanzo inizia con la consapevolezza del protagonista che la vita che sta conducendo è destinata al fallimento e alla sconfitta. Angelo decide di fare un passo indietro, di mettere da parte le sue velleità artistico culturali, tornando a vivere al paese, dove si guadagna da vivere facendo l’agente immobiliare.

La crisi famigliare, la crisi del lavoro, il ritorno a casa: Angelo rappresenta perfettamente il risultato di quella generazione nata nei ’70 e detentrice di ricordi che per quanto vividi si perdono nell’ovatta dell’infanzia. Capello ci descrive non il percorso che ha portato la nostra generazione a questo fallimento, ma semplicemente lo mostra.

L’appartamento ha questa caratteristica stilistica centrale: quello di non perdersi in riflessioni sociologiche, politiche antropologiche,  ma di mostrare direttamente, di fare agire i suoi personaggi. Questo produce un testo teso, rapido, scritto una lingua precisa in cui ogni scena viene consegnata ai lettori come se fosse definitiva (tra le tante si può citare la descrizione della gita al lago del padre e del figlio a pesca).

Eppure sentiamo in questa perfezione che qualcosa recalcitra. Quella di Capello è una prosa neoclassica, trattenuta, quasi algida in certi momenti ma che nasconde sotto un inquietudine che si riversa tutta nella descrizione della compravendita di un appartamento, il fulcro narrativo della storia: dal loro apparire le quattro mura di questo alloggio in un condominio sembrano come uno squarcio rispetto all’equilibro della storia. Tanto la scrittura è “pulita” e “controllata”, tanto la casa appare come in disarmo, con lavori da fare, con pavimenti vecchi e sanitari da ristrutturare.

Angelo visita la casa con una coppia di coniugi che vogliono fare un regalo al figlio in procinto di sposarsi e per far andare bene la compravendita mette in atto tutte le tecniche di vendita che gli sono state insegnate. Il protagonista s’avvede subito che Ferrero, l’ipotetico compratore, ha qualcosa di strano e affascinante che porta Angelo a cercarne la solidarietà e la vicinanza. Ferrero, per come lo costruisce Capello, è la figura della reticenza. Tutte le volte che nella pagina appare, assistiamo a una sottrazione delle parole. Si fa silente; come un vecchio contadino, Ferrero è un uomo paziente che poco alla volta conquista la fiducia di Angelo e la sua amicizia.

Poi avviene qualcosa, Ferrero ha scritto un libro, più precisamente un memoir, e vorrebbe che Angelo lo leggesse. Qui sembrerebbe che Capello metta in scena un tipico cliché narrativo di certi romanzi di formazione: il protagonista fugge da “qualcosa”, da ciò che lo ha deluso e tormentato, ma esso in forma diversa e modificata ritorna per fornirgli una seconda chance di maturazione.

La capacità di Capello è invece è quella di usare questo momento per aprirci il cuore segreto della sua storia. Infatti leggendo il manoscritto di Ferrero, Angelo capisce che l’uomo gli sta raccontando una porzione di storia di questo paese, di cui quell’uomo silente è stato protagonista indiretto, una seconda linea, un semplice “fiancheggiatore”, uno dei tanti che ha dato una mano.

Ferrero lo racconta così come semplice evolversi della sua esistenza, come il crescere di una pianta: non c’è in lui scelta ideologica, ma destino. Così come un grave lasciato cadere dall’alto precipita verso terra così l’esistenza di Ferrero si è incrociata alle trame di questo paese più oscure e grandi di lui.

L’intento del racconto di Ferrero, del libro e del suo dialogo con Angelo non è tanto di far storia di quel periodo, ma è più come un sollevare il velo del silenzio; è un modo non tanto di chiedere scusa quanto di giustificarsi – che è cosa ben diversa. Ferrero non ha nessuna effettiva colpa, eppure sente che quegli anni della sua vita hanno un prezzo, che per lui è il valore economico per l’acquisto dell’appartamento, un lascito per il figlio, quasi a sancire una sorta di testamento/memoria di ciò che è stato

L’appartamento di Mario Capello è una singolare e misurata forma di riflessione su ciò che sono stati i ’70 per l’Italia e per noi nati in quel volgere di anni. È una riflessione ancora più interessante perché pudica e profondamente umile, come il suo autore che non avendo vissuto quelle vicende,  le racconta tramite uno specchio di finzione e simbolo.

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Una Risposta to “Mario Capello, “L’appartamento””

  1. sandraellery Says:

    L’ho comprato al Salone di Torino, vediamo come va.

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