[In calce a questo articoletto, che pubblicai il 4 dicembre 2010, è nata una interessante discussione. Riporto l’articolo in prima pagina, e invito tutti a leggere e, eventualmente, a discutere. gm]
di giuliomozzi
Cerco persone disponibili a lavorare (gratis) per organizzare un convegno su un tema che, in prima approssimazione, si potrebbe definire così: “Lo specifico maschile in letteratura”.
I dati di Google sono chiari:
Ricerca effettuata il 4 dicembre 2010 alle 11.13.
La letteratura maschile non se la fila nessuno: le pagine web dedicate alla letteratura maschile sono lo 0,0416% di quelle dedicate alla letteratura femminile.
Naturalmente non sono né scemo né pazzo, e so benissimo che se ci sono 28.100 pagine web dedicate alla letteratura femminile, contro le 337 dedicate alla letteratura maschile, è perché la letteratura prodotta dai maschi è considerata letteratura tout-court, mentre la letteratura prodotta dalle donne è considerata un’attivià esotica: una donna che scrive opere letterarie è come un orso che ballo o un cavallo che sa contare battendo lo zoccolo.
E so anche che se esistono così tante pagine web dedicate alla letteratura femminile è perché le donne ci hanno lavorato sopra, hanno investigato e ragionato (e anche promosso e valorizzato, cosa che non guasta). Lode a loro! E complimenti! Ché, se avessero aspettato l’interessamento dei maschi – erano ancora lì ad aspettare.
Però so anche (ma quante cose che so, poffarbacco!) che su ogni opera letteraria notevole che viene al mondo grazie a una donna, subito ci si interroga sul suo specifico femminile; su nessuna opera letteraria notevole che viene al mondo grazie a un maschio, a nessuno viene in mente di far domande sullo specifico maschile.
Della letteratura femminile e della scrittura delle donne si dice che sono fatte in un certo modo, e non mancano né gli studi scientifici né i luoghi comuni. Ma quella che si fa è (quasi) sempre una descrizione che distingue, o separa, la letteratura femminile e la scrittura delle donne dalla corrente principale, dal mainstream, che è a dominio maschile.
Quindi mi piacerebbe metter su un momento di riflessione, ecco, un bel momento di riflessione, nel quale si cerchi di analizzare lo specifico maschile nella letteratura, considerando la letteratura maschile come una parte, una sezione, un sottoinsieme, di quella cosa più grande che è la letteratura in generale.
La domanda fondamentale potrebbe essere: in che cosa si distingue la letteratura maschile, la scrittura dei maschi, dalla letteratura in generale e dalla scrittura in generale?
Si accettano adesioni. Astenersi perditempo.
Tag: Letteratura maschile
4 dicembre 2010 alle 11:44
Vorrei cimentarmi nella discussione, se possibile. Ho alcune idee a proposito e spero di poterle sottoporre a Giulio quanto prima. Grazie
4 dicembre 2010 alle 11:50
Sia detto molto all’ingrosso e solo come un possibile “spunto” (banale) di indagine: la letteratura maschile è la coda del pavone del genere “maschio” in una società alfabetizzata. Le “piume” poetiche hanno perso peso (di molto peso: è possibile un D’Annunzio oggi? No), Le piume della prosa resistono e hanno il loro effetto (sul pubblico in generale) solo quando hanno molta “tiratura” (in tutti i sensi).
Infine, per curiosità, ho guardato sotto la ricerca “Letteratura transessuale” la quale ha dato un buon 548.000 risultati stracciando tutti e due i generi.
4 dicembre 2010 alle 11:54
Io ti aiuto – da anni sogno di organizzare un evento simile!
4 dicembre 2010 alle 12:07
Ops, chiedo venia. Circa la “letteratura transessuale” avevo effettuato la ricerca senza le virgolette e quindi il risultato è falsato. Infatti, con tale nuova e più specifica procedura di ricerca il risultato è un miserrimo 3.
Abbiate pazienza.
4 dicembre 2010 alle 12:36
Ci sono, Giulio. Vedi tu come quando perchè.
sandra.
4 dicembre 2010 alle 13:27
Anch’io sono ben disposto ad aiutarti – tanto più che il mio ultimo romanzo è stato definito appunto “letteratura maschile” (non scherzo, proprio così!)… quindi a maggior ragione potete contare su di me…
4 dicembre 2010 alle 13:39
Per quel che vale il mio contributo, sarei felicissimo di collaborare. Anche per montare i tavoli e spostare le sedie. Insomma, anche per i lavori “da maschi”… 😉
4 dicembre 2010 alle 14:29
be’, non è male l’idea.
ma vorrei proporre un sondaggio più contorto. dicono che come scrittore ho un animo femminile. il femminile nella scrittura maschile, non sarà anch’essa “scrittura maschile”?
fammi sapere se posso fare qualcosa…
fc
4 dicembre 2010 alle 14:47
anch’io ci sto. ma non ho capito bene da che parte iniziare, se non che mi è venuto in mente il libro di Volponi dell’uomo che vorrebbe tornare in fabbrica ma sente di essere rigettato
4 dicembre 2010 alle 14:58
mi allego, sì, poi mi dirai i comequando e sopra tutto i dove
4 dicembre 2010 alle 15:11
Ma non so nemmeno ben io da che parte iniziare. Da una ricognizione degli studi esistenti (se ne esistono), immagino. gm
4 dicembre 2010 alle 15:17
Ad esempio c’è questo libro di Sandro Bellassai su “La mascolinità contemporanea”. Da vedere, credo. gm
4 dicembre 2010 alle 15:31
Mi piace, Giulio.
Ci sto anche riflettendo alla mia maniera, rileggendo Goethe (per il motivo che sai).
La cosa interessante (e cortocircuitante), per me, è che lo specifico maschile potrebbe emergere non tanto da come il maschio “racconta” la femmina (qui emerge l’ideologia, magari anche “femminista” dell’autore) ma come diversamente i due sessi interpretano le affinità che costituiscono (o il cui venir meno mette in crisi) la coppia. E’ un elemento più “sintomale”, proprio perchè meno esplicitamente identitario.
Magari è un po’ contorto, mi propongo di spiegar meglio l’idea come mio eventuale contributo.
4 dicembre 2010 alle 16:01
Anch’io ci sono.
Anche per me dovequandocomeperchècosachi lo dirà Giulio. Faccio lo specchio ad abcdeeffe e van bene per me anche i lavori “da donna”, quali distribuire caffè e tè caldi -o freddi, dipende dalla stagione-, andare al supermercato, fare panini (non cucino bene ma questo so farlo,Giulio ha già saggiato questa mia disposizione). Non mandatemi in giro in auto o a piedi o anche un autobus, perchè mi perdo: questo, invece, non so farlo, non mi hanno fabbricata con l’optional dell’orientamento. 🙂
Spero che l’idea vada in porto davvero, sarebbe fantastico.
4 dicembre 2010 alle 16:10
Il dibattito sullo specifico femminile ha un suo valore riconosciuto perché si è formato sulla volontà della collettività femminile e femminista e ha prodotto una bibliografia che oggi può dirsi non elitaria. Ha prodotto avanguardie come la narrazione cyber e ha continuato il lavoro degli osservatori sul linguaggio, sulla comunicazione e sulla letteratura in rete.
Come dire, sono state le donne (tante donne) a voler ragionare sul tema del femminile, e che “storicamente” si sono preoccupate di indagare la propria coscienza prima ancora che la propria scrittura (o in alcuni casi tramite la scrittura) a proposito.
A domanda “perché non viene mai in mente a nessuno di fare domande sullo specifico maschile”, mi verrebbe da riformulare la domanda: “perché non viene mai in mente a nessun uomo di fare domande sullo specifico maschile”? Il punto è che trovo la riflessione assolutamente non separata dalla propria prospettiva esistenziale, che per l’uomo si è rivelata nei decenni prescindibile da un’indagine sull’emotività, sull’aggressività, sulle proprie pulsioni. Ed è qui che trovo anche e forse il limite di un seminario che indaghi lo specifico maschile… come se fosse fuori tempo massimo! Intervengo a proposito non per sterile critica, ma perché è un’istanza che ha qualche punto di contatto con quella che ci ha visti approdare come Archivio Caltari a un tentativo di studio sulla narrazione lgbtq. In generale abbiamo ritenuto fondamentale, ora come ora, non focalizzarci su un solo genere, proprio perché rischieremmo di ritrovarci, a fine dibattito, troppo indietro non solo rispetto alla realtà, ma anche rispetto alla letteratura.
Scusate lo sproloquio.
G.
4 dicembre 2010 alle 16:21
Giulio, c’è anche da dire che “letteratura femminile” si dice a posteriori rispetto ad una certa produzione, e non come istanza definitoria (se non in rari casi, e dando per scontato che con “letteratura femminile” si possono intendere svariate cose, alcune delle quali inesistenti).
4 dicembre 2010 alle 16:21
Dalla letteratura in generale, quella maschile proprio non può differenziarsi – semplicemente perché ne è parte costituiva tanto quanto quella femminile o transessuale, gay etc. Da quella femminile si differenzia per la diversità delle caratteristiche, cioè date le già individuate specificità femminili (e gay, trans etc., per un quadro completo) quanto vi si discosta è la lett. maschile.
CiaU
4 dicembre 2010 alle 16:49
Avrei detto il contrario: la produzione letteraria è stata per secoli interi appannaggio maschile. La rete, che non ha profondità temporale, registra invece la grande partecipazione femminile di questi anni. E poi un grande romanziere come McEwan ci ricorda che sono le donne oggi le grandi lettrici. Gli uomini, evidentemente, si dilettano con altro. Detto questo, si dia inizio al dibattito…
4 dicembre 2010 alle 17:21
La letteratura è storicamente stata maschile.
Femminili possono essere state le storie di famiglia.
Ciononostante, e non sapendo quale sia un’ipotetico specifico maschile in letteratura, a me interessa moltissimo l’argomento dello specifico maschile tout court, così come dello specifico femminile tout court.
C’entra?
4 dicembre 2010 alle 18:18
I miei numeri dicono: su 25 studenti che hanno partecipato all’edizione 2010 del Cantiere delle parole (iniziativa che organizzo a Bolzano) 23 erano femmine e 2 maschi. Dei 45 allievi iscritti quest’anno alla mia scuola di scrittura, 9 sono maschi e 36 femmine. Su dieci scrittori coinvolti nelle suddette iniziative solo due sono donne.
Nella maggior parte delle case editrici, il direttore editoriale è maschio, ma gli editor sono prevalentemente femmine, più o meno la stessa cosa avviene con gli uffici stampa.
Durante la presentazione bolzanina del bellissimo Peregrin d’amore, il viaggio di Eraldo Affinati nei luoghi della letteratura italiana dalle origini a oggi, alcune mie colleghe e alcune mie studentesse hanno rimproverato a Eraldo che su 40 scrittori non c’è una scrittrice.
Che significa tutto ciò? C’è una spiegazione? E’ utile cercarla (e trovarla)? Anna Karenina e Emma Bovary riguardano lo specifico maschile o quello femminile? Lolita o Tropico del cancro potevano scriverli solo degli scrittori? E Paura di volare o Il delta di Venere solo delle scrittrici?
Non so se tutto ciò c’entri col tema proposto. Ma intanto l’ho scritto, come mio contributo alla discussione. Poi Giulio ci spiegherà come procedere, se ha voglia di guidarci in questa nuova avventura. O forse cercava delle guide?
4 dicembre 2010 alle 18:40
Le guide sono sempre ben gradite, Giovanni.
Il fatto è che non ne posso più di leggere nei giornali le interviste alle scrittrici con domande del tipo: “E come hai fatto a identificarti in un personaggio maschile?”, mentre mai nessuno domanda agli scrittori come fanno a identificarsi con i personaggi femminili (tipo Anna Karenina o Emma Bovary).
E’ una questione di potere, come sempre. Ma vorrei capire come funziona questo potere.
giulio
4 dicembre 2010 alle 19:00
Giulio,
un altro contributo che posso dare, qualora si volesse organizzare un convegno o una tavola rotonda, è quello di trovare uno spazio qui a Bolzano. Sono certo che sia l’UPAD (Università Popolare delle Alpi Dolomitiche) che la Libera Università di Bolzano volentieri offrirebbero i loro spazi gratuitamente e forse anche un contributo spese.
Resto in attesa di istruzioni su come procedere. Intanto spazio alle idee…
4 dicembre 2010 alle 22:31
io ci sto. Il libro che cita Monica è Corporale.
5 dicembre 2010 alle 00:25
OK, ci sto anch’io.
Credo, giusto per mettere in chiaro, che per letteratura maschile s’intenda quella prodotta da maschi e non già quella destinata ad un pubblico maschile, se anche di produzione femminile.
Questo potrebbe essere un successivo lavoro specifico.
Letteratura quindi prodotta da maschi, quindi generata all’interno di un immaginario maschile, ma non destinata a soddisfare appunto soltanrto un immaginario maschile.
5 dicembre 2010 alle 09:39
pensavo, per esempio, La donna abitata, è un libro scritto da una donna e secondo me un ujomo non lo avrebbe scritto. esistono libri scritti da uomini che secondo me o noi una donna non avrebbe scritto? non dico che un uomo non ne sarebbe stato capace (o sì, non lo so), dico che non lo avrebbe scritto. diverso è il caso di libri come Anna Karenina (che non ho letto). voglio dire che io definirei libri di letteratura femminile i libri che non posso immaginare scritti da maschi (e libri di letteratura maschile libri che non posso immaginare scritti da femmine). gli altri sono letteratura e basta. ci sono? è possibile? io vorrei sì, perché sono tanti e troppi (in paragone) i libri scritti da maschi e se non potessimo sentirli come libri e basta mi sentirei esclusa da qualcosa di troppo grande.
pensavo anche al lettore. se leggere è anche immedesimarsi cosa succede a noi donne che da millenni leggiamo libri scritti da maschi? e ai maschi cosa succede?
5 dicembre 2010 alle 12:08
“Gli uomini fanno libri, le donne fanno bambini”. Lo dice la tradizione e in fondo sono molti a crederci. E se invece fosse proprio la maternità la metafora più moderna del pensiero creativo?
Di Monica Ceci citando (o parafrasando?) Francesca Rigotti
E di quest’ultima invece:
Esiste uno stretto parallelismo tra l’atto fisico più creativo – fare un figlio – e la più alta funzione mentale, elaborare un’idea. Non a caso si usa lo stesso verbo, «concepire». E non a caso per descrivere l’attività intellettuale si attinge a un campo metaforico che fa continuo riferimento alla generazione. «La metafora della generazione è così istintiva in noi che nemmeno rileviamo più l’etimologia del termine “concetto”, e non ci stupisce per nulla che il cervello venga inteso come luogo di concepimento». Lì si è originato l’archetipo della maternità maschile: gli uomini fanno con la mente ciò che non possono fare con il corpo, ossia diventare gravidi e partorire.
Qualsiasi gesto creativo, aggiungo io, viene fatto col corpo e gestito e generato nel binomio corpo mente. Sia esso cuocere un pollo e guardarlo lentamente dorare attraverso il vetro del forno o scolpire il marmo affondando gli utensili con la giusta forza per segnare la pietra unita alla ragionevole precisione per evitare che si sbricioli.
5 dicembre 2010 alle 12:23
Cosa intendi per lavorare? Al momento sono proprio povera di tempo. Interrogarsi sullo “specifico maschile” è una buona idea, in giro non si riesce più a individuarlo e stimo molto che il tema sia posto da un maschio (di solito è una lagnanza delle donne). Oggi c’è un’estremo bisogno di think tank, di una ripresa di teste pensanti attorno a tutto, e così finisce che mi ritrovo a pensare pure io, che di mio sceglierei la spensieratezza. Vediamo cosa ne esce da quest’idea.
Ciao a tutti. Paola
5 dicembre 2010 alle 15:27
Questa la mia risposta da tempo:
L’uomo
d’ogni maestria
che possiede ne fa
mestiere. La donna
passione.
5 dicembre 2010 alle 21:59
Solo per amore di statistica: la ricerca, in tutte le lingue, di “female literature” stacca 53200 pagine contro le 17200 di “male literature”, “litterature feminine” segna 7450 contro 2800 di “litterature masculine”.
E’ da chiedersi quali aspetti manchino, nell’evidente sproporzione, nelle pagine in lingua italiana.
Ma questo, forse, è ancora un altro argomento di ricerca.
6 dicembre 2010 alle 01:59
Piacevolmente stupito dalla qualità del dibattito, provo ad abbassarla con un contributo piuttosto cheap: ho organizzato per quattro o cinque anni un concorso (prima ad Asiago, poi a Pordenonelegge) sul tema SMSentimenti: fra i messaggini pervenuti (incentrati su amore, paura, odio etc) i femminili erano largamente prevalenti, e questo valeva ovviamente anche per i vincitori.
Ma ho scoperto anche che le donne sono di gran lunga la maggioranza fra i visitatori della pagina Sos Alluvione Veneto. Forse sono cose che aggiungono qualcosa alla questione della differenza di genere…
6 dicembre 2010 alle 10:14
Il libro di Volponi chiamato in causa da Monica secondo me non è “Corporale”, ma “Memoriale”. Scusate l’off topic!
6 dicembre 2010 alle 10:38
Ho notato una cosa. Per questa iniziativa, di tutti i commentatori/trici che hanno commentato fin qui, 9 maschi più Giulio che ha dato l’input si sono offerti attivamente di partecipare, di femmine, la metà, 5.
Anche questo sarà indicativo di qualcosa? Per parte mia, che sono femmina, dico che mi interessa tantissimo questa iniziativa e che però come da copione, preferisco rimanere passivamente a guardare. Sono una ‘ragazza del secolo scorso’. Bello però, e bravi tutti/tutte. Bravo Giulio. Vi tengo d’occhio!
6 dicembre 2010 alle 19:01
Dopo l’adesione al gruppo, ecco alcune riflessioni sparse.
Dal 2001 al 2003 sul mensile “La Voce della città del Piave” ho curato, tra le altre pagine, uno “Spazio donna”. Dal 2005 ad inizio 2010, sul mensile “Progetto Veneto orientale”, evoluzione di “La Voce”, ho curato uno spazio dedicato alla Famiglia, ma in realtà rivolto alle donne. Soprattutto in quest’ultima fase e seguendo un progetto di screening per la diagnosi precoce del tumore al seno, mi sono chiesta perché gli uomini non parlassero mai dei loro problemi, magari anche in materia di salute e prevenzione, ad esempio per il cancro alla prostata. Dopo tanti anni “al femminile”, avrei voluto lanciare una rubrica che si occupasse degli uomini, dei loro disagi, anche fisici, e dei loro agi. Ho rinunciato alla rubrica prima ancora di concepirla: impossibile proporla al Direttore. Riflettendo attorno a quela idea ho però capito alcune cose. Affinché un tema possa avere seguito è necessario che a porlo sia qualcuno di direttamente e intrinsecamente interessato e in questo caso l’iniziativa sarebbe dovuta partire da un maschio.E’ per questo che apprezzo l’iniziativa di Giulio, per trattare di “specifico maschile”; come si vede è da un po’ che pure io ne avrei voluto parlare. L’altra cosa, così palese da essere scontata e di conseguenza invisibile, è che gli uomini non parlano di se stessi, né tra loro né con le loro compagne o amiche, ma neppure con se stessi. Gli uomini parlano solo di altro da sé: il lavoro, la politica, il calcio, i libri, gli affari, le auto, ecc.
Cosa ha a che fare tutto questo con la letteratura, vi chiederete? Ebbene, credo che stia anche in questo “non farsi conoscere dei maschi” che si ritrova la difficoltà femminile ad immedesimarsi in un personaggio maschile. Da qui, forse, nasce la domanda stupita rivolta ad un’eventuale autrice:“E come hai fatto a identificarti in un personaggio maschile?”, che tanto irrita Giulio Mozzi.
Il seguito al prossimo post. Ciao a tutti. Paola
6 dicembre 2010 alle 23:29
Alessandra Dice:
6 dicembre 2010 alle 10:38
Ho notato una cosa. Per questa iniziativa, di tutti i commentatori/trici che hanno commentato fin qui, 9 maschi più Giulio che ha dato l’input si sono offerti attivamente di partecipare, di femmine, la metà, 5.
Anche questo sarà indicativo di qualcosa?
Forse – senz’altro- sono banale, Ale, ma non sarà per il solito discorso, che gli uomini (se sono impegnati) devono “solo” convincere la moglie/compagna a lasciarli andare, mentre le donne, oltre al “permesso”, devono anche sistemare proprio praticamente (nel lato pratico)chi lasciano a casa…? (mariti, genitori, figli…).
E’ una obsoleta obiezione di femminismo d’altri tempi ?
ciao a tutti, Feliciana
7 dicembre 2010 alle 09:41
scusatemi, tanto per sfatare un piccolo luogo comune. io ho una moglie e una figlia. Io faccio un lavoro che mi permette per motivi e ragioni diverse di essere a casa spesso la mattina, mentre mia moglie no fa un valore che implica che sta fuori casa da mattina a sera. Io di solito faccio la spesa, preparo la bimba che porto al nido, do un ordinata e una pulita in casa. Io non devo chiedere o non chiedere niente a mia moglie/compagna. semplicemente c’è un progetto che mi interessa e dico a lei: c’è questa cosa, ci organizziamo e vado. Così come quando lei per lavoro o per altro mi dice: c’è questa cosa, ci organizziamo e vado.
7 dicembre 2010 alle 09:43
bandini mi scuso e hai ragione. Però anche “corporale” di volponi ci potrebbe stare in questo discorso io credo.
7 dicembre 2010 alle 19:32
Giulio, questo è uno dei “miei” temi. Ho pure pubblicato una antologia sulla questione.
7 dicembre 2010 alle 22:59
L’antologia cui si riferisce Gianni Biondillo si intitola “Pene d’amore. Sette racconti erotici”, il titolo gioca ovviamente sul doppio senso tra cazzo e pena sentimentale. In copertina c’è ovviamente la sagoma di una donna, ovviamente è nuda, ovviamente è tettona, ovviamente è inginocchiata, e l’unico punto messo in evidenza dal geniale disegnatore Scarabottololo è, ovviamente, la figa, che ha reso con un ovale nero. Questo è quello che passa il convento.
8 dicembre 2010 alle 18:39
Ancora alcune riflessioni, per il momento a prescindere dai libri che leggeremo, rileggeremo, valuteremo, ecc. Perché non suscita stupore il fatto che un autore maschio si identifichi in un personaggio femminile? E’ questa la seconda domanda che Giulio Mozzi si pone. Le analisi sul “potere” le lascerei per ultime, anche se sono doverose. Ciò che rilevo dalla mia esperienza è che le donne si raccontano. C’è, da sempre, un ininterrotto racconto femminile. Le donne parlano tra di loro e parlano soprattutto degli aspetti più intimi:dalle mestruazioni alla menopausa, dalle gravidanze ai parti agli aborti; parlano dei mariti, dei figli, dei modi di prendersi cura dei disagi della famiglia e dei vari componenti la famiglia, degli agi, degli amori, dei matrimoni, dei tradimenti, degli amanti e delle amanti dei propri uomini, ecc. ecc. Questo “raccontare il femminile” che è antico come la civiltà, è determinato da una necessità di vita, in primo luogo per dare la vita ai figli e quindi per la vita di tutto il gruppo, sia esso famiglia, tribù, paese, ecc. Inutile dire che questo “racconto del femminile” nel ‘900 è divenuto anche pubblico, talmente pubblico da diventare “politico” attraverso tanti provvedimenti legislativi, uno per tutti, la normativa sull’aborto e la prevenzione delle nascite, icona di questo “privato femminile reso pubblico”, che ha segnato bene le istituzioni con l’apertura di Consultori familiari, gli adeguamenti degli ospedali e con, non ultimo, la recente adozione della cosiddetta “pillola del giorno dopo”. Ma al di là dell’oggi, in cui questo è diventato evidente a tutti, ciò che voglio sottolineare è l’esistenza di un “racconto del femminile” che un maschio può, e anche in passato ha potuto, cogliere con facilità, bastava e basta un pizzico d’attenzione. Saranno state “Cose da femmine”, ma si sapevano, giravano nelle famiglie, nei gruppi. “Cose da uomini “ erano , e sono,la guerra, la politica e ogni “altro da sé” come già detto.
Ciao a tutti. Paola
9 dicembre 2010 alle 11:16
@Feliciana e Demetrio: Felix, è così. Demetrio, sei un’eccezione, accettalo.
9 dicembre 2010 alle 20:55
Se le persone (comprese quelle di sesso femminile a causa di un’interiorizzazione degli stereotipi di genere) non trattassero Demetrio come un'”eccezione”, e iniziassero a trattare chi non fa come Demetrio al modo di mentecatti/e, allora quella che viene dipinta come “differenza sessuale” si scioglierebbe come neve al sole.
9 dicembre 2010 alle 23:23
@andrea barbieri: infatti, quando ho tentato di fare come dici tu, il mio matrimonio si è sciolto come neve al sole. Ma fermiamoci qui, l’argomento è -come si dice -off topic, non è luogo per queste trite e ritrite diatribe.
10 dicembre 2010 alle 02:43
Feliciana, immagino. Una mia amica dopo qualche anno ha sbattuto fuori di casa il marito-padroncino. Le sue cose le ha spedite al nuovo indirizzo con un Traco.
10 dicembre 2010 alle 11:15
il pensiero della differenza è un’attività esotica?!?!
10 dicembre 2010 alle 22:28
Non è un’attività esotica, ma è un pensiero che attraversato dalle teorie di genere degli ultimi quindici anni, cambia radicalmente.
Comunque non vorrei buttarla sul filosofico, anche perché su un blog non sarebbe il caso. Facevo considerazioni più terra terra. Se si dice che il comportamento di Demetrio – che io condivido – è ‘eccezione’, si presuppone che il resto sia ‘regola’, e dalla regola si passa alla norma, quindi tornando a Demetrio, ciò che fa potrebbe essere interpretato come bizzarro, non normale. Invece è normale proprio ciò che fa lui, e il resto è un’attitudine da mentecatti.
11 dicembre 2010 alle 23:10
Ciao Feliciana, io speravo che tu mi dessi man forte in queste mie elucubrazioni, dato che ci siamo incrociate al Seminario “dalla notizia al racconto” di ottobre e, soprattutto, perché sei stata tu a “tirarmi” nel blog, con il tuo avviso “per chi non è in facebook”. Ti manderò la mia foto: il mio miglior scatto 2010, così forse mi ricorderai. Fatti viva! Io intanto continuo con le mie riflessioni, a puntate.
A mio avviso c’è un altro racconto del femminile, ininterrotto, che sta alla base della facilità che uno scrittore maschio può avere nell’immedesimarsi in un personaggio femminile, ed è quello che possiamo definire “del potere”. È un discorso che parte da lontano, lo troviamo nella Genesi ( o almeno nel modo in cui la traduce il Cattolicesimo) ed è quello che vede la donna come modellata dall’uomo. Questo modellata/creata a mio parere va visto in una doppia accezione: modellata a partire (dalla necessità) dell’uomo e modellata per l’azione( propria) dell’uomo. Si tratta di un “femminile creato dal maschile” che oggi è divenuto visibile a tutti come, penso, non era mai successo prima, e questo soprattutto in Italia, in seguito all’avvento della televisione commerciale. Mi riferisco, per spiegarmi meglio, a quella caricatura del femminile che oggi si chiama “velina” e la cui portata sociale è stata ben analizzata da Lorella Zanardo nel suo documentario, “Il corpo delle donne”. La velina o escort o più comunemente la prostituta, è prima di tutto il frutto di un immaginario maschile che vuole la donna quale oggetto per le sue necessità (per dare all’uomo una compagna, sic!) e modellata così come si fa per ottenere una bambola (di creta). Un oggetto che nella realtà viene ad esistere soprattutto per effetto dei soldi, che sono l’aspetto visibile del “potere maschile” (ed oggi anche manipolando le menti, attraverso i media). Chiuse le Case di tolleranza, l’ambiente che lì accoglieva i maschi con denaro in tasca è stato trasferito negli studi televisivi e fatto diventare, volutamente, modello per i salotti, le discoteche, i luoghi di lavoro, ecc. Di là dell’oggi, particolarmente devastante, ciò che volevo evidenziare è che le “donne perdute” vale a dire quelle create dall’uomo per l’uomo, forniscono un altro “racconto del femminile” che i maschi praticano da sempre. Per costruire il personaggio di Anna Karenina (che dovrei rileggere) ci vogliono certamente il genio, la capacità d’introspezione, l’abilità a mescolare varie narrazioni che è propria di Tolstoj, ma lui ha potuto “pescare” dai “racconti del femminile” (quello realizzato dalle donne, di cui parlavo nel post precedente e questo presente delle donne create dal potere maschile) che sono giacimenti di cui l’uomo dispone da sempre.
Feliciana dimmi, ti prego, che ne pensi? Naturalmente, sono ben gradite anche tutte le altre opinioni. Ciao a tutti. Paola
12 dicembre 2010 alle 12:21
@Barbieri e Demetrio: i nostri nonni battevano i pugni sul tavolo se quando tornavano da lavoro non avevano la minestra fumante nel piatto; i nostri padri non battevano più i pugni, nonostante ciò, se la minestra non c’era, aspettavano senza muovere un dito. I nostri mariti si adoperano abbastanza; un 20% in media di quello che c’è da fare di roba domestica, la fanno. A mia figlia dico sempre che lei sarà ancora più fortunata. Magari arriverà, con il suo ‘lui’, se sarà e quando sarà, ad un 50%. Roma non s’è fatta in un giorno, l’evoluzione sociale e di genere, meno che mai. Oggi Demetrio è una positiva eccezione, affatto bizzarra, certo non frequente, ma auspicabile per entrambe i sessi, speriamo il più presto possibile.
Noto comunque che Demetrio ci dice che sua moglie è fuori casa dalla mattina alla sera e lui no, dunque si fa carico di faccende quotidiane che lei non potrebbe svolgere. Oggi spesso nella coppia si lavora in due e spesso si sta fuori casa in due per lo stesso numero di ore. E’ lì che si vede se davvero c’è equa divisione dei compiti domestico-familiari. E’ lì che ancora non c’è parità, ma arretratezza e discriminazione.
Con ciò Demetrio, non voglio toglierti meriti, la tua testimonianza è più che positiva.
12 dicembre 2010 alle 12:28
Comunicazione di servizio:
faccio parte dell’associazione DEA (donne emigrate associate), aperta a tutte le donne, anche alle indigene.
Se a qualcuna interessa e se possiamo fare al caso per questo progetto, il recapito è: deadonne@hotmail.com
12 dicembre 2010 alle 14:25
a me interessa ad esempio, nel racconto e nella narrazione, l’uso del corpo e il rapporto tra il corpo e il male (che è un mio vecchio pallino ovviamente). una volta credo parlandone con giulio era uscita fuori una bizzarra ma interessante riflessione. cioé legata al fatto che il rapporto tra corpo e male negli scrittori uomini (in buona parte) è risolto in senso religioso e nelle donne assume una sfumatura magica, stregonesca.
intermediario tra il male/il bene e il corpo proprio/altrui negl uomini assume i panni del sacerdote, nelle donne assume i panni della maga/strega.
13 dicembre 2010 alle 08:39
Buondì.
Sono stato troppo in viaggio in questi giorni per riuscire a seguire questa discussione. Ringrazio i partecipanti e mi riprometto di intervenire entro qualche giorno.
giulio mozzi
13 dicembre 2010 alle 16:25
Ho seguito la discussione e, per quel che può valere, do mia piena adesione al gruppo.
Recentemente ho letto “I giorni nudi” di Claudio Piersanti, che, io credo, possa essere un romanzo modello in cui andare a indagare lo specifico maschile.
Ho letto anche, però, “Un uomo solo” di Christopher Isherwood, libro che, pur raccontando le ultime ventiquattro ore di un professore omosessuale, non credo sia ascrivibile alla cosiddetta letteratatura gay.
Voglio dire che esiste uno specifico che trascende appartenenza e inclinazione sessuale e concerne specificatamente l’essere mortali.
13 dicembre 2010 alle 23:14
Salve, sono stata pure io in giro, in questi giorni, e, quando ero a casa, variamente indaffarata dalle faccende quotidiane, per cui mi scuso se accolgo solo ora l’appello di Paola ad intervenire.
Non sono al tuo livello, Paola, nè come esperienza nè come conoscenza, ma mi ispiro al, diciamo, buon senso, alla mia personale esperienza e a quella delle persone che ho avuto vicine e a cui ho potuto quindi assistere di persona.
Credo che gli uomini solo da poco comincino a parlare di sè, a guardarsi dentro. Infatti, i pazienti degli psicoanalisti e psicoterapeuti sono in gran parte donne.
Come dice Alessandra, e io condivido, Roma non s’è fatta in un sol giorno e sono cose che mutano lentamente, hanno bisogno dei loro tempi.
Da un post di Paola:
Per costruire il personaggio di Anna Karenina ci vogliono certamente il genio, la capacità d’introspezione, l’abilità a mescolare varie narrazioni che è propria di Tolstoj, ma lui ha potuto “pescare” dai “racconti del femminile” (quello realizzato dalle donne, di cui parlavo nel post precedente e questo presente delle donne create dal potere maschile) che sono giacimenti di cui l’uomo dispone da sempre.
Su questo non sono molto d’accordo, Paola: se oggi una donna che scrive è guardata come un evento eccezionale, ai tempi di Tolstoj questo era molto, molto più eccezionale. Non credo abbia potuto pescare granchè nei racconti femminili, almeno non in quelli scritti. Forse ha osservato le persone intorno a sè. A questo specifico riguardo, cade come cacio sui maccheroni il gran poco conosciuto e interessantissimo libro della moglie di Tolstoj, “Amore coniugale”, di Sofja Tolstaja. Sofja ha voluto rispondere, con questo libro, a Sonata a Kreutzer del marito sull’argomento della gelosia. Ma è altrettanto interessante la parte di diario finale nell’edizione La Tartaruga perchè mostra come una donna d’allora, o comunque come Sofja sacrifichi le proprie capacità per occuparsi di tutte le faccende pratiche e permettere così al marito di dedicarsi interamente alla scrittura, e come Sofja sia cosciente di questo e sia una scelta consapevole. Benchè dolorosa.
13 dicembre 2010 alle 23:27
Riguardo la scrittura maschile/femminile, io mi rendo conto che il mio modo di scrivere è prettamente femminile (introspettivo, molto basato sul “sentire” e poco su accadimento di fatti). Infatti, quel poco che ho fatto leggere, piace immediatamente alle donne perchè vi si identificano, lascia indifferente e freddo il pubblico maschile. Mentre ho notato che spesso nel modo di scrivere maschile c’e’ un susseguirsi di fatti, avvenimenti, avventure, e poco sentire. Questa è una generalizzazione, tengo a precisarlo.
Questa differenza è stata lampante e, chiacchierando con Giulio, lui ha concordato su ciò e mi ha detto che non mi dovevo certo stupire, durante un laboratorio con lo stesso Giulio in cui partecipavamo 3 donne e 9 o 10 maschi (non ricordo esattamente il numero) e dove ciascuno aveva portato un suo consistente (come pagine) lavoro.
Io so che avrei una difficoltà enorme a calarmi in un personaggio maschile, ma difficoltà soprattutto per il fatto che non mi interessa farlo: se mi interessasse/incuriosisse questa esperienza, penso che almeno potrei provarci.
Mi stupisco piacevolissimamente, ma credo che qui si tratti soprattutto di enormi capacità e tanto lavoro, quando mi trovo davanti a un testo quale La Storia di Elsa Morante, capolavoro che ritengo “asessuato” : o, per suscitare un po’ di vespaio, scritto così bene che sembrerebbe scritto da un uomo.
13 dicembre 2010 alle 23:35
Avrei altre cose da dire e commenti da fare sui post, ma devo rimandare ad un altro momento.
Paola, non sentirti però obbligata solo perchè ho inviato una mail “per chi non è su facebook” : lo faccio quando voglio comunicare qualcosa che ritengo interessante, ma è lontanissimo dalle mie intenzioni far sentire chicchessia in obbligo di partecipare
14 dicembre 2010 alle 12:42
“Voglio dire che esiste uno specifico che trascende appartenenza e inclinazione sessuale e concerne specificatamente l’essere mortali.” [Gianluca Minotti]
Più in generale ‘l’essere mortali’ rientra nella nozione di ‘umano’ (i diritti umani per esempio) che supera identità e orientamento sessuale.
Bisogna aver presente però che qui si parla di ‘stereotipi di genere’. Una ricerca sulla ‘mascolinità’ (o sulla ‘femminilità’) descrive oggettivamente (attraverso immagino le loro rappresentazioni) i cambiamenti di questi stereotipi a seconda dell’epoca, del luogo, della condizione sociale, eccetera.
Gli stereotipi non vanno essenzializzati in una teoria genderista che sarebbe scientificamente infondabile (la scienza dimostra esattamente il contrario). L’individuo è sempre differente dallo stereotipo con cui, per così dire, deve fare i conti, anche dall’interno perché lo introietta attraverso l’educazione, la vita sociale, il linguaggio. Questo ‘dover fare i conti’ rende importante lo studio degli stereotipi di genere.
16 dicembre 2010 alle 00:50
G. Mozzi :La domanda fondamentale potrebbe essere: in che cosa si distingue la letteratura maschile, la scrittura dei maschi, dalla letteratura in generale e dalla scrittura in generale?
E’ difficile dirlo perchè, a mio parere, quasi sino ai nostri giorni (o senza quasi..) la letteratura maschile e la scrittura dei maschi è stata identificata tout court con la letteratura in generale e la scrittura in generale.
La letteratura maschile E’ la letteratura.
E la letteratura femminile, cos’è per molti, per troppi? Un evento eccezionale, un ghirigori, uno svolazzo improvviso e isolato… una ciliegina su una torta maschile.
16 dicembre 2010 alle 17:54
Sto legggendo “Tutti i viventi” di C. E. Morgan (Einaudi) e mi sta accadendo una cosa strana. C. E. è una scrittrice, donna, americana e dunque la sua scrittura dovrebbe essere femminile. Eppure a tratti il me lettore perde di vista il sesso della penna e non so se questo mi succede perché non so il nome di battesimo che si nasconde dietro la C. e la E., che potrebbe benissimo essere, non so, Carl Ernest o se ciò dipende dal fatto che una scrittrice è tale soltanto quando è al contempo femminile e maschile così come uno scrittore uomo è tale quando è sia maschile che femminile.
Mi rendo conto che neanche questo mio intervento contribuisce però a rintracciare lo specifico maschile in letteratura…
16 dicembre 2010 alle 19:08
@Gianluca Minotti: io invece ho letto “Elegia per un americano” di Siri Hustvedt, la moglie di Paul Auster. La voce narrante è maschile, cioè la scrittrice si è calata in un personaggio maschile che racconta: ma me lo deve ricordare ogni due per tre che è un uomo, perchè io “sento” una penna di donna, che scrive e che racconta.
@Paola: io non credo, paola, che gli uomini possano immedesimarsi/calarsi facilmente nel mondo femminile perchè le donne si raccontano e si sono sempre raccontate – almeno oralmente-con facilità. Innanzitutto non trovo sia poi così vero che ci siamo svelato e ci sveliamo tuttora così facilmente: esempio banale, le ragazze che in un locale pubblico vanno in bagno sempre in due. Perchè si dicono quel che davanti al gruppo non direbbero. Poi, perchè non basta ascoltarci per calarsi facilmente nei nostri panni, ci vuole una sensibilità enorme. E c’e’ differenza anche nel farlo nella scrittura e nella vita: non coincidono. Infatti, Tolstoj nella vita è stato un marito dei suoi tempi, autoritario e maschilista. E’ vero che i maschi non parlano nemmeno a se stessi, stanno appena iniziando ora – anche se, in realtà, qualche frase nell’intimità delle lenzuola o della vita in comune è sempre uscita, qualche frase che fa capire. Ma non per questo non possiamo calarci in un personaggio maschile. Solo perchè non li conosciamo, perchè non parlano di loro stessi. Basta indossare i panni di un qualcuno che parla sempre di esterno e mai di interno. O con gran fatica, a smozziconi.
Forse i maschi presenti protesteranno, ma ricordiamoci che questo è un ambiente di nicchia, elitario, colto, che legge. I maschi qui presenti non sono esattamente gli stessi che entrano allo stadio con i manganelli o quelli che si spiaccicano alle quattro del mattino, pieni di alcol.
16 dicembre 2010 alle 20:06
Cormac McCarthy è uno scrittore mascolino.
Stiliamo un elenco di scrittori che, anche senza saperlo ben definire, hanno buone probabilità di essere portatori (sani?) di uno specifico maschile.
Raymond Chandler, Hammett, Cain e tutti gli scrittori hard boiled americani, fino a James Ellroy, sono mascolini.
La butto lì: il genere noir può essere un luogo dove andare a indagare lo specifico maschile essendo tipicamente un genere scritto da uomini? Con eccezioni, però. Penso non tanto alla Cornwell, quanto, ad esempio, alla Anne Holt. Insomma, può rappresentare un campo d’indagine, oppure è troppo “genere” per rintracciarvi sensibilità diverse? O meglio: le donne che si cimentano con questo genere, pur di essere competitive, si costringono a uno specifico maschile rinunciando a quello femminile?
16 dicembre 2010 alle 22:14
Patricia Highsmith: in libreria, la mettono tra i gialli/noir. Io la cercavo tra i romanzieri o scritture femminili…
Infatti è una giallista …. molto poco giallista e molto scrittura donna (a me non piacciono nemmeno, gialli e noir, però P. Highsmith mi piace).
16 dicembre 2010 alle 22:26
Calarci in un personaggio maschile dice Feliciana…
Maschera, muta, pinne, bombole, immersione:
andare in giro a qualsiasi ora del giorno e della notte senza timore di niente e di nessuno, andare in giro in qualsiasi posto, anche luoghi isolati o malfamati, e non temere violenze sessuali, mostrare le mutande o i boxer dai jeans e non dover subire fischiate, complimenti pesanti, avances, diventare più belli dagli -anta in poi, perché la pancetta è sexy, la brizzolatura è figa, l’occhiale da presbite fa interessanti, non passare mai da porco mignotto neanche se lo infileresti pure nei buchi del groviera, non venire mai incluso nelle offese tipo “La maiala della tu’ mamma”, non avere impegni domestici (escluso eccezioni), non rischiare mai di rimanere incinto, non avere le ‘cosette’ mensili; non poter piangere, dover sempre dimostrare di avercelo duro, grosso, durevole, passare per omosessuale se sei troppo educato, subire le vigliaccate del ‘branco’ se sei omosessuale davvero, non potere indossare abiti troppo rosa o violetti, parlare per forza di calcio, giocare per forza a calcio, avere l’obbligo di realizzarti nella vita lavorativa, dunque avere anche una macchina di grossa, grossissima cilindrata, al contrario, passare da fallito, non poter fare certi mestieri come il maestro alla materna o alle elementari perché sono lavori da donne, non poter alimentare una vita dentro il proprio corpo, generare, allattare, essere dolce, passivo, sensibile, venire incluso in offese del tipo “il becco del tu’ babbo”.
16 dicembre 2010 alle 22:41
@Alessandra: bello 🙂 Lo so che ti inalbererai :=), ma mi ricorda la lista di Saviano, in Vieni via con me, del cosa deve fare e dire un maschio del suo paese per essere considerato vero maschio. Un sacco di cose divertenti, tra cui non lavarsi più di due volte la settimana ( ciumbia! come riescono a trovare una ragazza che gli si avvicini…?) e naturalmente non usare il deodorante, non usare i cotton fioc (i veri maschi usano gli stuzzicadenti), non essere vegetariano, non preferire gli alimenti biologici….. e tante altre cose buffe. Se non le rispetta, viene considerato gay.
17 dicembre 2010 alle 00:05
Provo a rispiegare tornando alla domanda iniziale di Giulio:
“La domanda fondamentale potrebbe essere: in che cosa si distingue la letteratura maschile, la scrittura dei maschi, dalla letteratura in generale e dalla scrittura in generale?”
Posta così la domanda sembra presuppore una qualche ‘essenza maschile’ di cui lo ‘specifico maschile in letteratura’ sarebbe un epifenomeno. Ma dato che non c’è un fondamento scientifico alla differenza cognitiva tra cervello maschile e femminile, la risposta alla domanda può essere soltanto questa: si distingue per essere scritta da maschi (una petizione di principio).
Ciò che può orientare diversamente la risposta non è il dato biologico ma quello culturale, cioè il genere. Il genere esiste fuori di noi come stereotipo variabile a seconda del tempo del luogo ecc. Per esempio la donna fragile e sensibile – l’uomo coriaceo e razionale. La donna serva – l’uomo che batte il pugno sulla tavola. Sono appunto costruzioni, ma possono orientare il comportamento e anche l’espressione artistica. Se le donne sono educate a rappresentarsi fragili e sensibili avranno più remore a scrivere hard boiled rispetto agli uomini supposti coriacei e razionali. Lo stereotipo di genere entro certi limiti contribuisce a produrre la letteratura. Allora ricostruire questi stereotipi mi pare utile e innovativo.
17 dicembre 2010 alle 00:13
Esatto Feliciana, la lista di Saviano ricostruiva alcuni stereotipi di genere e quegli stereotipi rimandavano a un orientamento sessuale.
17 dicembre 2010 alle 08:25
ci sarebbe anche da riportare il fatto che l’aumento del consumo di beni legati alla cosmesi è dovuto in gran parte agli uomini. cioé per dire che la lista di Alessandra per quanto divertente a me pare un po’ datata (lasciando da parte le differenze biologiche che rimangono intatte).
detto questo vorrei fare una domanda: quanto è necessario lo stereotipo il luogo comune, il pregiudizio per iniziare uno studio di questo tipo.
si può trovare un aggettivo o un termine diverso da maschile?
ci ripensavo ieri riguardando il Principe di Macchiavelli. Leggendolo ho pensato che fosse un libro virile.
Il termine virile mi convince di più di maschile, che pur essendo neutro in teoria, in pratica gira accoppiato con termini tipo maschilismo, machismo etc etc.
17 dicembre 2010 alle 12:04
Demetrio, non so se si è capito, ma non c’è nient’altro oltre lo stereotipo di genere. Non esiste un genere non stereotipato. Poi sta a noi riconoscerci o meno ed eventualmente modificare gli stereotipi (tu lo fai per esempio dicendo che ti incarichi di parte del tempo di cura).
Comunque la discussione è assolutamente oziosa se non ci si impadronisce della materia degli studi di genere e della teoria di genere. Libri come quello linkato sopra da Giulio [Sandro Bellassai “La mascolinità contemporanea”] sono fondamentali er capire “come” pensare queste cose.
17 dicembre 2010 alle 12:10
Non è del tutto esatto dire che: “le differenze biologiche rimangono intatte” (Demetrio). La portata normativa del genere si è fatta sentire anche sul dato biologico. La chirurgia cosmetica sui corpi intersessuali per esempio.
17 dicembre 2010 alle 22:20
Riporto il testo di una mail arrivatami or ora da Paola Martini:
Ciao Feliciana. Sono molto contenta che tu sia rientrata nella discussione e che ai tuoi commenti se ne siano aggiunti molti altri. Purtroppo io sono assente dalla discussione a causa di Teletu che da mercoledì mi sta dando gravi problemi . Funziona solo questa mail che normalmente non utilizzo, e
riesco ad accedere a pochissimi siti, Vibrisse mi è interdetto . Dal computer dell’ufficio ho potuto leggere i Post ma, purtroppo, non posso partecipare al blog. La discussione, però, mi sembra proprio interessante. Spero di poter
intervenire la prossima settimana. Se puoi, giustificami tu con gli altri e salutami tutti. Non mi piace aver gettato il sasso e poi sembra che mi sia eclissata. Saluti, Paola Martini
17 dicembre 2010 alle 22:28
Demetrio :ci sarebbe anche da riportare il fatto che l’aumento del consumo di beni legati alla cosmesi è dovuto in gran parte agli uomini.
Questo fa parte del cambiamento che, pian piano, prima avviene senza che nessuno ne parli e poi finisce sui giornali, pian piano sta cambiando il ruolo maschile, l’atteggiamento maschile.
Paola parlava di come non era riuscita a parlare di problemi di prostata su un giornale: tuttora, per molti maschi parlare con loro di problemi di prostata significa (lo traducono con) dargli del vecchio e del mezzo impotente.
Lo dice una (io) il cui padre è morto per un tumore alla prostata diagnosticato in ritardo perchè il medico di base non si era preoccupato di fargli fare gli esami di controllo dopo i 50 anni ( e ho tuttora tutti i denti avvelenati contro quel c…o di medico).
Questo problema è legato a un delicatissimo argomento per il popolo maschile, quello del funzionamento del pene e cosa significa questo per il loro vissuto.
Però ora, e sempre più, se ne sta parlando, ora e sempre più i maschi non troveranno umiliante parlare di questo. Per i cambiamenti ci vuole tempo, basta che ognuno, nel suo piccolo, faccia la sua parte. Sia da parte maschile che da parte femminile.
17 dicembre 2010 alle 22:31
@Gianluca Minotti: Cormac McCarthy è uno scrittore mascolino.
Stiliamo un elenco di scrittori che, anche senza saperlo ben definire, hanno buone probabilità di essere portatori (sani?) di uno specifico maschile.
Raymond Chandler, Hammett, Cain e tutti gli scrittori hard boiled americani, fino a James Ellroy, sono mascolini.
Gli scrittori che citi mi fanno pensare che tu sia giovane: io mi ritrovo in scrittori più “antichi”.
Per il femminile mi viene da pensare a Dacia Maraini, Oriana Fallaci. Per il maschile, beh, la Maraini mi riporta subito ad Alberto Moravia.
18 dicembre 2010 alle 11:02
Feliciana, perché non ti chiedi quali scrittrici maneggiano stereotipi di genere maschile significativi, perché la lista è limitata agli scrittori?
Cavolo, il genderismo incistato nel cervello. Guarda che per i cambiamenti non basta il tempo, bisogna ragionare sui meccanismi di pensiero, sul linguaggio. Niente piove dal cielo.
18 dicembre 2010 alle 12:34
@andrea barbieri: concordo che non basta il tempo, nulla cade dal cielo. Ma vi sono spinte che devono continuare ad esserci perchè qualcosa cambi: e mi pare che ci siano. Almeno nella vita pratica: in letteratura, non so.
18 dicembre 2010 alle 13:09
Ma non hai risposto alla domanda…
Non so se ci sono le spinte. E’ la minoranza morale che dovrebbe combattere, invece in questo colonnino sono io a liberare le possibilità delle donne (intese come sesso), mentre le donne le limitano. Speriamo non sia ovunque così.
18 dicembre 2010 alle 13:26
E’ curioso, ho smesso il pregiudizio genderista grazie alla letteratura.
Leggevo dei dattiloscritti per un premio letterario. Non conoscevo ovviamente il nome dell’autore/autrice, non sapevo se il testo fotocopiato che tenevo in mano fosse scritto da un maschio o da una femmina. Alla fine della lettura ero convinto che un certo libro fosse scritto da un maschio. “Una femmina non può scrivere questo” mi dicevo. Scelti i testi vincitori, la giuria ha aperto le buste coi nomi. Beh, era una donna. La verità è che solo un imbecille pensa “una femmina non può scrivere questo”, e a me scoccia essere imbecille. Ci sono tante cose che non mi scocciano, ma essere imbecille sì. Fine del pregiudizio genderista da parte mia.
18 dicembre 2010 alle 15:27
@andrea barbieri: sì,non ho risposto alla domanda perchè non ho capito. Devi (perdona) tradurmela in parole semplici.
Cosa significa : maneggiano stereotipi di genere maschile significativi, perché la lista è limitata agli scrittori?
Soprattutto: maneggiare stereotipi di genere maschile significativi. (cosa significa significativi, quali sono e quali sono i non significativi)
Cosa significa genderismo? come c’entra ?
Guarda che per i cambiamenti non basta il tempo, bisogna ragionare sui meccanismi di pensiero, sul linguaggio
Questo è molto intellettuale, ma ai grandi numeri (vogliamo dire alle masse? mi sembra snob però) non ci si arriva in questo modo. Alla vita di tutti i giorni, al tran tran di una famiglia composta da lui, lei, figli e divisione dei compiti.
Temo di dover chiederti di parlare più semplicemente, se vuoi che anch’io capisca…:(
ciao, Feliciana
18 dicembre 2010 alle 15:28
P.S. Le donne non sono ancora molto amiche di se stesse, purtroppo. La cultura della crocerossina e dell’autoimmolazione è ancora ben radicata nell’inconscio. Nè sono molto amiche le une con le altre.
18 dicembre 2010 alle 15:52
“Una femmina non può scrivere questo” mi dicevo.
Freud e il mio psicanalista 🙂 direbbero che in quel femmina, scritto immagino senza pensarci, d’impeto, è un bel lapsus chiarificatore.
Dopo dici “donna”, ma l’istinto ha detto femmina.
18 dicembre 2010 alle 17:23
Se può servire uno che sta scrivendo una tesi di dottorato in filologia sulle donne e l’editoria eccomi. E, a proposito, prima di arrischiarsi in una – penso imprescindibile – analisi anche sociologia, indagherei quanto incide su un testo, piuttosto che il genere di chi lo scrive, quello di chi ne fa l’editing.
18 dicembre 2010 alle 18:12
‘Donna’ è il genere (gender, in inglese), ‘femmina’ è il corpo sessuato (sex). La parola ‘genere’ viene usato come sinonimo di ‘corpo sessuato’ nel linguaggio comune, in gran parte di quello giuridico, e nella dottrina cattolica.
Gli studi di genere invece li hanno separati, e un modo di dire spiritoso per spiegare la differenza è: sesso è ciò che sta sotto la cintura, genere è ciò che sta sopra, nella testa. Il genere cioè è il ruolo sociale, i comportamenti che socialmente vengono attribuiti all’uomo e alla donna.
Tu nasci con un corpo femminile e ti portano i confetti rosa. Che cosa ci azzeccano i confetti rosa col tuo corpo, con la tua descrizione biologica? Nulla. Ma il genere femminile attualmente è associato al rosa (mentre secoli fa all’azzurro), tu dovrai essere circondata da confetti rosa anche se magari prediligi il blu di prussia o il giallo limone.
Crescendo tu impari dei comportamenti che attengono secondo norme sociali al genere femminile. Se per esempi ami la matematica, qualcuno ti dirà che il genere femminile non è portato per la matematica quanto quello maschile, così tu avrai delle remore a studiare matematica. Se tu dirai che non vuoi figli, qualcuno ti dirà che il tuo destino biologico e compimento religioso è la maternità. E così via.
Il genere insomma è una costruzione sociale (uno stereotipo) che viene arbitrariamente collegato al sesso biologico. Tu hai una cosa tra le gambe e qualcuno deduce chissà che, e questo chissà che ha un valore normativo. Il collegamento tra sesso è genere contrabbandato per ‘naturale’, quando è tutto meno che ‘naturale’. Il contrabbando arriva a rendere quei termini sinonimi.
Il genderismo è questo pregiudizio.
(In realtà è anche altro ma mi fermerei qui ché mi pare abbastanza).
Questa è semplicemente educazione sessuale. Dovrebbero farla nelle scuole.
18 dicembre 2010 alle 18:16
Correggo:
…il collegamento tra sesso E genere E’ contrabbandato per ‘naturale’…
19 dicembre 2010 alle 14:25
Mi autocito: “Questa è semplicemente educazione sessuale. Dovrebbero farla nelle scuole.”
Infatti, per esempio, la Facoltà di scienze della formazione dell’Università di Bologna prevede un insegnamento sulla “Teoria della differenza sessuale” in cui – guardacaso! – si insegna quel che sto scrivendo qui.
http://www.scform.unibo.it/Scienze+della+Formazione/Didattica/Insegnamenti/dettaglio.htm?AnnoAccademico=2007&IdComponenteAF=126243&CodDocente=014396&CodMateria=48584
19 dicembre 2010 alle 18:29
Ehm, scusate, ma da quando ci si interroga sul pensiero unico?
Chi da solo gestisce l’esistente non ha tempo per l’autoriflessione.
Ad ogni modo, se può servire, “letteratura gay” su google si piazza a 14.900…
19 dicembre 2010 alle 21:16
Ciao a tutti e grazie a Feliciana che mi ha giustificata per l’involontaria assenza. Teletu ha finalmente smesso di tenermi in isolamento. Vedo che il dibattito è proseguito vivace, con molti botta e risposta. La cosa che mi balza agli occhi è che la comunicazione uomo/donna resta un terreno difficile su cui cimentarsi. Certamente, quando parlavo di “racconto del femminile” intendevo una narrazione orale, un’abitudine a parlarsi delle donne tra di loro, sicuramente più importante fino a tutta la prima metà del novecento. Il massiccio intervento dei media e della pubblicità, nelle nostre vite, ha modificato anche questo tipo di comunicazione. Ormai tutti sanno di pannolini, tamponi, depilazione, gravidanze, ecc. E le donne vengono a sapere di come ci si fa la barba, dei preservativi, del cuore debole e del colesterolo maschile, ecc. In precedenza, però, le cose funzionavano diversamente e le donne coltivavano una vivace narrazione attorno al loro sesso/genere (i due aspetti erano collegati anche per necessità vitali). Io penso, infatti, che i collettivi femministi degli anni sessanta/settanta del novecento, che tanto hanno contribuito al cambiamento della società, siano stati possibili solo perché le donne erano già abituate a parlare/si tra di loro, seppure in forme, diciamo, appartate, nascoste, bisbigliate. Di contro, fate una prova e cercate di immaginarvi un collettivo maschile di autocoscienza: ci riuscite? Da questo “non parlare/si” degli uomini, secondo me, si potrebbe partire anche per capire le ragioni per cui, oggi, lo “specifico maschile” appare così in crisi. Volevo però ritornare su questa mia idea, forse sbagliata, non lo so, di una lunga “narrazione delle donne” perché mi serve per cercare di capire come, ad esempio, Guy de Maupassant abbia potuto scrivere “Una vita”. Al di là di tutti gli aspetti della biografia dello scrittore che aveva Fluabert come padrino, ciò che mi chiedo è come potevano questi uomini conoscere così bene l’animo e la vita delle donne da potersi calare appieno in un personaggio femminile? Secondo me, per somiglianza con quanto è avvenuto per Omero, questi scrittori dovevano disporre di una narrazione, che esisteva, da cui attingere.
Se permettete, però, devo lamentare che a questo punto del dibattito, l’assenza di Giulio Mozzi, come moderatore, incomincia a pesare.
Ciao a tutti. Paola
19 dicembre 2010 alle 22:04
“Fate una prova e cercate di immaginarvi un collettivo maschile di autocoscienza: ci riuscite?” chiede Paola Martini.
Sì.
19 dicembre 2010 alle 22:26
Poi scrive “E le donne vengono a sapere di come ci si fa la barba”.
A rivelare questo segreto non è stato un maschio, ma una femmina colpita da irsutismo, tale Giuseppina Parblè, vissuta in Italia nel XVIII secolo. Gli studi di genere attestano questo dato inequivocabilmente. A quel tempo – il tempo in cui le femmine accanto al focolare si tramandavano racconti sul mestruo – il taglio della barba maschile avveniva segretamente, esistevano anche norme penali che vietavano alle donne di spiare i mariti dal barbiere o nel bagno di casa. Giuseppina quasi casualmente scoprì da sè una tecnica depilatoria utilizzando il coltello con cui puliva le canocchie. Quando usci dalla cucina il brodetto era ancora da preparare, ma esponeva al mondo un volto bellissimo. Durante un collettivo femminile di autocoscienza rivelò alle amiche il segreto che il pelo può essere tagliato oltre che estirpato, ed esibì il coltello per le canocchie. La notizia fece il giro del mondo.
19 dicembre 2010 alle 22:34
Un’amica mi fa osservare che, se può servire, “letteratura gay” su google si piazza a 14.900.
20 dicembre 2010 alle 11:15
Giulio Mozzi tace. Ma l’idea è bellissima, basta solo dotarla degli strumenti concettuali giusti.
Sarebbe bello coinvolgere chi fa studi di genere (che sono pochissimi e si fa presto, credo).
20 dicembre 2010 alle 15:49
Salve, mi sono appena iscritto dopo aver guardato questa bella discussione, arrivandoci in realtà per puro caso.
Mi occupo di storia del maschile, faccio parte di un gruppo di “autocoscienza” (ma ho qualche perplessità sull’uso al maschile di questo termine) maschile da vari anni, sono in una rete di riflessione maschile diciamo – par capirci – antisessista (lo specifico perché ci sono anche gruppi maschili neomaschilisti), faccio parte da anni di vari gruppi politici “misti”, uomini e donne, che si interrogano sulla politica e il genere. Ecc. Ecc. Fra l’altro qualcuno di voi ha citato giorni fa un mio libro…
Scusate la presentazione pomposa, ma era solo per dire che avrei un milione di cose da dire, e forse anche varie piste di approfondimento da suggerire, sulle questioni sollevate.
Purtroppo però per miei limiti personali che qui non sto a spiegare non riesco a seguire i blog.
Se non sembra troppo scorretto, vorrei quindi invitare chi fosse interessato/a a uno scambio su questi temi a scrivermi (sandro.bellassai@unibo.it).
Scusate l’egocentrismo, ma mi sembrava che questa volta un simile aborrito (giustamente!) atteggiamento potesse tornare utile a qualcuno/a di voi.
PS: Guarda un po’: sono un lettore e apprezzatore (facciamo finta che questa parola esista?) della prima ora di Giulio Mozzi, nei cui romanzi e racconti ho spesso trovato materiale a pacchi per un’analisi “al maschile” della letteratura… Esattamente in quest’ordine: analisi “al maschile” della letteratura, un’espressione programmatica a mio modesto avviso molto più feconda che analisi della letteratura “al maschile”…
23 dicembre 2010 alle 21:08
Faccio, a tutti, gli auguri di Buon Natale, poi mi immergo nella preparazione del tradizionale pranzo. La storiella di Andrea Barbieri è sarcastica e divertente, ma che ne diresti, Andrea, di provare a redigere il verbale “serio” di una riunione di un collettivo maschile di autocoscienza? Mi piacerebbe capire di che cosa parlereste voi maschi (donne e motori inclusi o esclusi?) Patrizia Giulia Parisi dice che “letteratura gay” fa 14.900 su Google; si rileva che anche loro si interrogano un sacco e capiamo pure il perché. Sembra che tu abbia proprio ragione, quando mai il pensero unico si interroga? e chi da solo gestisce l’esistente non ha tempo per interrogarsi. Bene, ne riparliamo dopo Natale. Auguri ancora a tutti e in particolare a Feliciana che mi ha segnalato questa bella discussione. Auguri anche a Giulio, seppur assente. Ciao, Paola
23 dicembre 2010 alle 23:05
Auguri a tutti anche da parte mia – continuo a leggere anche se non intervengo. Anche a me farebbe piacere un pensiero di Giulio, a questo punto. Ciao, Feliciana
4 gennaio 2011 alle 20:32
Cara Paola Martini, forse tu vivi in un mondo piccino, giacché fuori del confine di quel mondo piccino ci sono donne (femmine) che amano i motori quanto Capirossi, e donne (femmine) che amano altre donne (femmine) e parlano di loro dei loro corpi della loro bellezza.
Stammi benone (se puoi fa’ un biglietto per il mondo grande).
9 gennaio 2011 alle 11:11
Buondì!
Ci sono Giulio.
s.
9 gennaio 2011 alle 15:14
mi piacerebbe partecipare a questo progetto in qualche modo. purchè siano soprattutto le donne a parlare di letteratura maschile ;). una riflessione: gli uomini non hanno bisogno di una stanza tutta per sè per scrivere. non nel senso woolfiano. di che cosa hanno bisogno gli uomini per scrivere?
interessanti le riflessioni sulla narrazione femminile che si fa racconto orale, lingua e linguaggio in codice. Leggete questo:
La Cina riscopre la lingua segreta delle donne. Sopravvissuta al bando di Mao Zedong, si pensava estinta l’anno scorso, alla morte di Yang Huangyi, 92 anni, ultima cinese ad essere stata allevata da una madre che conosceva gli ideogrammi preclusi agli uomini. Il misterioso Nushu, unico linguaggio di genere creato sulla terra, è invece miracolosamente risorto. Un gruppo di donne dello Hunan, la regione meridionale del Paese dove è nato questo “dialetto delle confidenze”, è riuscito a trascrivere centinaia di versi fino a oggi sconosciuti e a recuperare migliaia di diari segreti tenuti da spose decise a non rivelare ai mariti le proprie sofferenze. I testi, per salvarli dalla distruzione delle Guardie Rosse e dai roghi della Rivoluzione culturale, per decenni sono rimasti sepolti sotto terra, o nelle tombe delle autrici. Raffinate linguiste hanno tradotto i 2800 ideogrammi della minoranza Yao e pubblicato il primo alfabeto Nushu.
si potrebbe mai immaginare una cosa del genere al maschile?
9 gennaio 2011 alle 17:55
Piacerebbe anche a me partecipare.
Enrico
10 gennaio 2011 alle 04:05
“si potrebbe mai immaginare una cosa del genere al maschile?” [emilia]
Sì. Sicuramente sono esistiti linguaggi segreti destinati soltanto a gruppi di persone di sesso maschile. Del resto dato che non esiste (non è provata) dal punto di vista cognitivo una differenza tra maschi e femmine, perché mai i loro cervelli, per una misteriosa connessione col pene o la vagina, dovrebbero dare frutti diversi? Basta prendere in considerazioe un arco di tempo abbastanza lungo e una ampiezza geografica abbastanza grande da annullare le differenze culturali.
Non so gli altri, ma a me questa ansia di creare delle differenze cognitive che hanno l’epicentro sotto le mutande mi fa sorridere, e mi dà l’idea di quanto si resti appiccicati anche da adulti a tabù infantili. Non è un giudizio morale sia ben chiaro, ognuno/a ha i suoi piccoli tabù. Però fa sorridere forte il pensiero che alcuni/e pensano che esiste l’intelligenza ‘a patata’ e l’intelligenza ‘a pisello’.
10 gennaio 2011 alle 12:26
Mi viene segnalato questo interessante sito bibliografico:
http://mensbiblio.xyonline.net/
10 gennaio 2011 alle 13:06
Mi occupo, insieme ai soci del Women’s Fiction Festival, dell’unico evento in Europa dedicato alla narrativa femminile, ospitato ogni anno a Matera, in cui proponiamo: un congresso internazionale per scrittori, incontri con editor e agenti letterari, briefing for thriller writers, master class, presentazioni di libri, incontri con autori, concorsi e attività di promozione della letteratura, non solo femminile. Sarebbe interessantissimo ospitare la tua proposta all’interno del WFF di Matera. Che ne pensi? Magari è il posto ideale per sviscerare le specificità maschili e femminili nella letteratura.
11 gennaio 2011 alle 05:17
lodevole iniziativa.
sarebbe bello che si realizzasse un convegno.
in qualunque modo, mi piacerebbe dare una mano.
11 gennaio 2011 alle 09:33
Andrea, non vedo nulla di male a immaginare differenze dal punto di vista cognitivo tra maschi e donne. Vedo molto di male, casomai, nel sostenere che la cognizione maschile sia più meglio di quella femminile, o viceversa (ma il viceversa si dà, storicamente, assai meno).
12 gennaio 2011 alle 13:07
Giulio, le presunte differenze cognitive su base sessuale devono essere provate scientificamente, non basta immaginarle. Di immaginazioni di questo tipo purtroppo è pieno il mondo, persino quello scientifico, e le prove non reggono. Il genere è il campo del sapere in cui più di altri si dà spazio a farneticazioni. Ad iniziare dal binarismo sessuale propagandato da varie religioni, fino alle piccole credenze di ognuno/a di noi, che consolidano stereotipi identitari bislacchi orientati a separarci in base al contenuto delle mutande. Un libro recente di Raffaella Rumiati, disamina scientifica dell’inadeguatezza delle prove della differenza cognitiva sessuale, porta in copertina due icone, una maschile e una femminile, separate da un muro. Quel muro non ha ragione di esistere: cioè non esiste secondo ragione. Il destino delle persone non è nelle mutande, è nel cervello, e il cervello – maschile o femminile o transessuale o intersessuale che sia – può portare ciascuno ovunque.
12 gennaio 2011 alle 13:16
Comunque Giulio, se tu non hai alle spalle di questa iniziativa un quadro teorico ben chiaro, sulla base del quale muoversi, non si va molto in là, cioè non si esce da credenze, stereotipi eccetera.
Per avere un quadro teorico ben chiaro occorre rivolgersi alle pochissime persone in Italia che studiano queste cose con strumenti adeguati: teoria di genere e studi di genere.
12 gennaio 2011 alle 17:11
Andrea, se intendi il “Si nasce o si diventa?”, di Raffaelle Rumiati (il Mulino), a me è sembrato molto convincente. Tuttavia, continuo a non vedere niente di male nell’immaginare.
Alle spalle di questa iniziativa non ho alcun quadro teorico. Però conosco piuttosto bene le credenze e gli stereotipi; e so benissimo che esistono gli specialisti.
12 gennaio 2011 alle 18:20
Giulio, allora non c’è niente di male nemmeno nell’immaginare – senza darsi la pena anche di verificare – differenze cognitive fondate sull’appartenenza a razze umane? (Tieni presente che il paragone non è affatto infondato: l’art 3 della Costituzione si riferisce allo stesso tempo agli elementi biologici del sesso e della razza).
‘Specialisti’ forse non è la parola giusta in un campo tra i più votati alla multidisciplinarità. Esistono strumenti concettuali. Di default, con quello che si crede di sapere, non si va da nessuna parte.
Il titolo è: “Donne e uomini. Si nasce o si diventa?”, R. Rumiati, Il Mulino.
12 gennaio 2011 alle 18:46
Spieghiamo per tutti.
L’asserzione in cui di “immagina” una differenza cognitiva in base al sesso o alla razza sul piano ‘locutorio’, cioè quello dello stretto significato, non ha nessuna controindicazione: si tratta di immaginazione, non di realtà, quindi non è necessario provarla.
Ma le asserzioni producono effetti anche sul piano cosiddetto ‘illocutorio’, cioè rispetto alla loro, chiamiamola così, ‘forza’ (che può portare in direzione molto diversa dal significato). Se dicessi: “immagino che il cervello africano non sia portato per la filosofia”, produrrei un discorso che alcuni, invece che come mera ‘immaginazione’, riterrebbero una ‘ipotesi’, e a quel punto una qualche credenza sul piano della realtà verrebbe generata.
Siccome non voglio generare sciocchezze discriminatorie in alcun modo, né sul sesso né sulla razza, non ‘immagino’ se non delle vere e proprie ipotesi di cui mi curo allo stesso tempo di verificare lo statuto di verità.
12 gennaio 2011 alle 19:39
@ andrea barbieri
il “male” sta nel punto di partenza. Le razze non esistono, ma se esistessero evidentemente si potrebbero riscontrare differenze cognitive ( il problema degli scienziati razzisti era quello di voler cercare le prove dell’inferiorità nei cervelli di quelli che secondo loro facevano parte di un’altra razza ). Il cervello africano non esiste, per quello che tu intendi per cervello africano, ma non è per questo che pensiamo che non si debba essere razzisti. é che bisogna togliere peso al concetto di “differenza”.
13 gennaio 2011 alle 00:08
“é che bisogna togliere peso al concetto di ‘differenza’” [paperinoramone]
Sono d’accordo.
13 gennaio 2011 alle 16:55
Andrea, c’è parecchio di male “nell’immaginare […] differenze cognitive fondate sull’appartenenza a razze umane”, perché non esistono “razze umane”.
Però esistono culture diverse. In culture diverse vengono sviluppate capacità cognitive diverse.
Che sia lècito immaginare “senza darsi la pena anche di verificare”, io non lo direi proprio. Immaginare serve per avere ipotesi da verificare; sennò, non serve a niente.
(L’immaginazione dell’Ariosto è un’altra cosa).
Non è che abbiamo solo un problema nominale?
14 gennaio 2011 alle 11:50
Giulio, nel senso in cui tu dici che non esistono ‘razze umane’, non esiste nemmeno la suddivisione in ‘maschio’ e ‘femmina’. Cioè la genetica, che tenta la descrizione delle etnie come del sesso (sex), non è in grado di distinguere, può soltanto tracciare un continuo tra corpi, come tra popolazioni. Noi siamo abituati a pensarla diversamente, a suddividere in modo binario, salvo poi non sapere che pesci prendere in casi come quello di Caster Semenya (infine il suo gender test è stato secretato, la soluzione è il silenzio).
Benvenga che ‘immaginare’ sia da ritenere sinonimo di ‘ipotizzare scientificamente’. Ma a me pare che immaginare senza curarsi di verificare è ciò che si è visto in questo colonnino, dove sono state proposte domande retoriche la cui risposta negativa è fondata su pregiudizi (immaginate i gruppi di autocoscienza maschile? immaginate un linguaggio segreto maschile?).
Tu dici: “esistono culture diverse. In culture diverse vengono sviluppate capacità cognitive diverse.”
Trovo che la questione più complessa: esistono culture diverse che sviluppano norme di riconoscimento diverse delle capacità cognitive.
15 gennaio 2011 alle 23:08
Ciao a tutti. Sono rimasta assente per un bel viaggio, lontano e al caldo, ed intanto il dibattito si è rianimato, la community si è allargata e Giulio Mozzi è tornato a farsi sentire. Tutto questo mi fa piacere. Credo che nel cercare di comprendere il mondo che ci circonda e le ragioni del nostro esistere, cosa sempre più difficile, a dire il vero, si possa oscillare tra due metodi d’approccio: la massima semplificazione e la minuziosità massima. Nel primo caso, con un esempio un po’ rozzo, l’essere umano potrebbe essere definito come un bipede che deambula in posizione eretta, fornito di due arti superiori con funzione prensile, i quattro arti si dipartono da un tronco coronato da un capo a forma ovale, collegato ad esso mediante un tronco breve, esile e molto flessuoso. Naturalmente, le semplificazioni massime servono per definire delle categorie, o gruppi, entro cui ricondurre la collettività dei soggetti o degli oggetti. Aggiungendo via via dettagli di ogni genere, dagli occhi, ai capelli, alle unghie, ecc. si rende minuziosa la descrizione e s’individua in modo preciso il singolo soggetto (od oggetto) della collettività. Ambedue i metodi d’approccio sono legittimi. Volendo farne anche un’altra lettura, tutti e due hanno anche un corrispondente politico, soprattutto quando sono esasperati. La semplificazione massima è confacente ai regimi totalitari, penso al maoismo o al nazismo; la sollecitazione infinita delle differenze è confacente al consumismo che su essa basa la possibilità di vendere di tutto e di più. Restando in una posizione meno estrema, credo che nella collettività degli esseri umani vi siano alcuni elementi distintivi che non possono essere evitati. E’ indubbio che il colore della pelle, bianco o nero, sia un elemento di assoluta evidenza e che rilevarlo non sia affatto razzista. Razzismo, invece, è far discendere un diritto di supremazia insito nel colore della pelle! Ma l’elemento principe che differenzia gli essere umani, e non solo, e che attraversa “trasversalmente”, come si usa dire oggigiorno in modo piuttosto brutto, ogni gruppo umano, è certamente il sesso. Discriminare significa far discendere da questa differenza una supremazia insita in uno dei due sessi, rilevarlo, invece, è un atto dovuto; tanto più che fino a quando non prende il sopravvento un essere ermafrodita prefetto, in grado di auto riprodursi, è all’incontro di queste due diversità, per altro complementari, che è affidata la conservazione della specie. Questo lungo preambolo mi serve, con ogni evidenza, per sostenere che se altre differenze possono essere tralasciate, quella sessuale, invece, non può essere cancellata. Certamente turba. Certamente non si capisce dove inizi e dove termini. Certamente, cercare di capire, se e come essa segni la letteratura, richiede un lavoro di ricerca. Tornando all’interrogativo di Giulio Mozzi circa lo “specifico maschile in letteratura”, provocazione culturale piuttosto avvincente, a quanto si constata, forse si potrebbe cercare di selezionare romanzi di autori il cui personaggio protagonista sia una donna e individuare romanzi o racconti di autrici il cui personaggio protagonista sia un uomo. Leggerli e poi procedere da questi per un’analisi e un dibattito. Queste, però, sono strategie che competono a Giulio Mozzi. Io mi fermo qui. Perdonatemi l’intervento, decisamente troppo lungo. Ciao, Paola
16 gennaio 2011 alle 14:15
Concordo in buona parte con la proposta di Paola Martini. Piuttosto che addentrarsi nelle differenze cognitivite, e liquidarle, partirei dai testi: temi e stile, cioè.
“Paura di Volare” scritto da un uomo sarebbe stato “Voglia di atterrare”?, la sorella di Salgari avrebbe scritto il Corsaro Rosa? Quanto divina sarebbe stata la commedia di Beatrice?
Come sono i periodi scritti dagli uomini? Si riconoscono? Da cosa?
C’è un pubblico di riferimento specifico?
E a quel punto, colte le differenze, guardarsi attorno e provare a comprendere perchè Parodi svetta nelle classifiche con un libro di cucina o 100 colpi di spazzola scritto da un uomo non avrebbe suscitato nessuna attenzione morbosa.
17 gennaio 2011 alle 09:59
Paola, come tu certamente sai la parola ‘sesso’ è ambigua. Nella nostra lingua viene utilizzata sia per significare il sesso genetico (sex), sia per riferirsi a un genere (gender). Sono due piani che non vanno confusi. Il salto da un piano all’altro nel discorso – che pare tu faccia continuamente – è una fallacia logica, dato che sono concetti con ambiti assolutamente diversi.
La ‘differenza sessuale’ se intesa come differente descrizione del corpo in base ai cromosomi sessuali, ci parla non di una differenza polarizzata (binarismo maschio – femmina), ma di varie possibilità intermedie. Far discendere come fai tu una sorta di supremazia dei corpi portatori di cromosomi sessuali xx e xy sostenendo che a loro è “affidata la conservazione della specie” è un’altra fallacia logica, perché la conservazione della specie non dipende soltanto dalla possibilità di riprodursi (tant’è che specie in grado di riprodursi oggi non esistono più). E’ anche un discorso sgradevolmente discriminatorio verso tutti quei corpi che per qualche ragione non sono in grado di riprodursi, tra cui anche corpi femminili, ma non serve nemmeno stare a sottolinearlo.