[…] L’idea che il corpo sia tramite per il ritorno alla vita, che sia salvazione e dannazione, è archetipica ed esplosiva.
È consolatoria ma anche tragica: niente è mai sufficiente, da solo, a farci uscire dall’imbuto appuntito di un lutto. Ma tutto ciò a cui ci si può aggrappare per ritrovare la realtà materiale di sé, per dirsi che non ci si è persi nella dissoluzione di una morte altrui, è veramente – credo – il corpo. […]
Leggi tutto l’articolo di Federica Sgaggio su Ultimo tango a Parigi.
3 gennaio 2011 alle 12:00
Stavo cercando su internet qualcosa su questo post e trovato il tuo blog ora, posso solo ringraziarvi
3 gennaio 2011 alle 12:14
cara Federica
leggendo il tuo articolo, condivisibile, mi è tornato in mente un pessimo (a mio giudizio) film del grande Bertolucci, “The dreamers” (2002) che mi parve stralciato da una rivista di moda vintage, Vogue Paris.
E mi sono ritrovato a pensare: quanta superficiale estetizzazione, anche del dolore e anche della rivolta e del corpo, e civettuolo citazionismo, ci potesse essere nell’Ultimo tango… che ha una resa artistica certo molto superiore di The dreamers… Poi penso a quanto ho amato “Il tè nel deserto”…
3 gennaio 2011 alle 12:30
… volevo aggiungere solo che di due registi “maschi” le figure femminili (Giulio direbbe le “donne ideali”) mi hanno sempre lasciato perplesso: Bertolucci, e Lars Von Trier
4 gennaio 2011 alle 00:22
Enrico, ciao. Io non ho sufficiente cultura cinematografica per dibattere con te su questo. Però una minima cosa la dico: non so se parlando di estetizzazione tu ti riferisca anche in parte alla fotografia di Storaro in Ultimo tango (se non è così, non tenere nemmeno conto di questo mio commento); però a me sembra che la fotografia sia una delle cose da salvare, nel film.
4 gennaio 2011 alle 10:49
ciao Federica. No. Direi che non c’entra la fotografia. Non vedo Ultimo tango da tempo, e non vorrei dire sciocchezze… il pensiero della estetizzazione mi ha toccato vedendo piuttosto The dreamers, e in parte anche Io danzo da sola. E direi che – forse – risiede in una ossessione di Bertolucci: il corpo della donna e non solo il suo, è quello della danza e dell’attrice, della “piccola perversa”, ma questo in fondo non piace al regista, non lo vuole, lo vuole “tirare giù” dalla scena: cioè ne è attratto e ne prova repulsione e rabbia. Si rimpiange un corpo adolescente, svagato, ma anche il corpo appena non più bambino in realtà viene visto come autistico… elusivo e un poco scemetto (l’uomo-eroe, Marlon, è invece serio e compreso in una maschera da perenne inquieto con impermeabile)… la fine di Io danzo da sola, ce l’hai presente: l’eden del primo rapporto sessuale tra ragazzo e ragazza sotto l’albero toscano: come se si cercasse infine una composizione… ma davvero lo è? Il dramma bertolucciano dei corpi che si seducono ma non si incontrano, si sodomizzano ma non si trattengono, nella loro perversa danza (estetizzazione), vedi anche Il conformista, è definitivamente tramontato?