di giuliomozzi
Il sito del concorso è questo.
Martedì 19 maggio alle 18.30, a Milano presso lo Spazio Melampo (via Carlo Tenca 7) prima pubblica presentazione dei due volumi – La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore – pubblicati dall’editore Laurana: il primo a cura di Chicca Gagliardo, il secondo a cura di Gabriele Dadati. I due volumi prendono ispirazione dalle due rubriche pubblicate per diversi mesi in vibrisse, e intitolate appunto La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore.
[…] Delle storie vere non importa niente a nessuno.
Abbiamo già un simbolo.Abbiamo già le fazioni.
Polizia merda. No, polizia che esegue gli ordini.
Magistrato merda. No, magistrato che pensa al bambino.
Mamma merda. No, mamma che conosce il padre del bambino.
Padre merda. No, padre che conosce la madre del bambino.
E via così, senza nessun bisogno di sapere meglio.
Senza sapersi fermare a quel che si vede: e cioè che un bambino (e nessun altro, se è per questo) non si porta via così. […]
Qui sotto c’è il pezzo per il quale, in qualità di direttore responsabile, Alessandro Sallusti è stato condannato oggi con sentenza definitiva a quattordici mesi di reclusione, pena sospesa.
Leggetelo fino in fondo, anche quando vi si attorciglierà lo stomaco, per favore.
Decidete voi se è questo è un articolo giornalistico.
Decidete voi se c’entra la libertà di espressione, o se in questo pezzo non siano stati tutti trattati come se non fossero esseri umani, ma personaggi di una tragedia il cui autore aveva già deciso i ruoli dei buoni e dei cattivi fin dapprincipio, in barba a qualunque dovere di verifica.
Decidete voi se la complessità delle ragioni di una scelta così decisiva può essere brutalizzata con questa violenza verbale.
Decidete voi se questo articolo parla di circostanze vere, visto che l’«aborto coattivo» non esiste.
Decidete voi se romanzare una vicenda come questa è legittimo, sensato.
Decidete se è rispettoso dell’onorabilità delle persone di cui parla.
Decidete voi se le motivazioni dei genitori possono essere ridotte a un’etica delle Maldive, dove peraltro nessuno sa se questi genitori siano mai andati.
Decidete voi se si può scrivere tutto questo, parlare di una madre e di un padre (che peraltro pare non sia stato coinvolto nella decisione, ed ecco perché si è reso necessario l’intervento del giudice tutelare) nei termini in cui ne parla questo Dreyfus.
«Chi pensa di essere così piccolo da non poter fare la differenza, evidentemente non ha mai passato la notte in compagnia di una zanzara», dice un proverbio che ho letto da qualche parte e mi pare sia africano.
Il mio Paese mi sembra il luogo del «non si può».
Mi sembra un posto in cui il mandato principale delle organizzazioni e delle istituzioni è trasmettere il messaggio che tu, chiunque tu sia e qualunque cosa faccia, sei un frammento impotente di pulviscolo atmosferico.
Fin da quando siamo piccoli, di fronte a ogni nostro sogno la risposta di mamma e papà è perlopiù scettica, raggelante: un invito al buon senso, al piede sul freno.
[…] Ora che la frittata è fatta, la ragazza – comprensibilmente – si domanda come rimediare.
Non lo so, ragazza.
Prova a cominciare dal tuo diritto di scoprire il tuo corpo. Prova a cominciare dal tuo diritto di sbagliare. Prova a cominciare dalla consapevolezza che non hai niente per cui sentirti in colpa se non la tua ricostruzione dei fatti.
Son d’accordo: non è poco. È molto, al punto che qualcuno ha dato fuoco alle baracche. […]
Invito a leggere l’articolo di Federica Sgaggio intitolato Tangenzial- mente sul rogo, i rom e il sesso.
Consiglio di leggere, in sequenza, questi tre articoli di Federica Sgaggio: La premiata ditta, Numero uno e Il paese dei… (una dottoressa mi mette al mio posto).
Parto da qui: io ho scritto un libro nel quale in estrema sintesi contesto la semplificazione dualistica bene-male come coppia di concetti capace di esaurire e spiegare la realtà e di mettere in moto azioni autenticamente politiche e non semplicemente dichiarativo-identitarie.
Ho scritto che il giornalismo è l’agenzia principale della polarizzazione del mondo in opposte tifoserie (buoni/cattivi).
Ho scritto che il «brand» è una delle «scorciatoie» commercial-identitarie che il giornalismo che si fa show percorre per fare manutenzione della comunità di lettori che vuole/sa/pretende di render omogenea.
Ho scritto che ciò che va sotto il nome di «meritocrazia», guardato da vicino, rivela una natura decisamente meno incontestabile e pacifica di quanto ci fa piacere ritenere, e che «meritocrazia» – contrapponendosi all’egualitarismo – è un concetto sul quale avrebbe senso che la sinistra si interrogasse.
La mia stima per Federica Sgaggio è nota. Nessuno si stupirà, dunque, se consiglio il suo libro Il paese dei buoni e dei cattivi, edito da minimum fax, in libreria tra un paio di giorni. Potete leggerne un assaggio qui.
di Demetrio Paolin
[Pubblico di seguito un breve intervento che riprende le cose che ho detto a Roma durante il seminario TQ, organizzato da Laterza. Al fondo ho preparato una breve “linkografia” così che tutti – anche chi non c’era – possano orientarsi. dp]
Aneddoti & citazioni. C’è una vignetta di Charlie Brown che io tengo sempre nel mio portafoglio, l’ho ritagliata parecchio tempo fa e ora è praticamente lisa e consunta, ma non ho bisogno di leggerla tanto l’ho imparata a memoria. Nella vignetta viene posta a Charlie Brown la seguente domanda: Cosa vuoi fare da grande?. E lui, senza neppure pensarci troppo, risponde: Essere vergognosamente felice.
Questa cosa mi è tornata in mente pochi giorni fa al lavoro. Io per lavoro mi occupo di immigrazione: lavoro in un ufficio che aiuta le persone straniere a compilare le domande di rinnovo dei permessi di soggiorno, li assiste nei passaggi complessi e astrusi delle leggi e dà consulenza per le vertenze del lavoro domestico.
Insomma, dicevo, un giorno nel mio lavoro sto finendo di compilare uno dei soliti permessi di soggiorno, quando alla ragazza che mi stava davanti dico: Ecco fatto, vedi? Non ci è voluto niente. Cosa vuoi di più?
Lei mi guarda. Forse è stufa o stanca, è pomeriggio tardi, certamente deve andare a fare la notte a qualche vecchietta e mi dice: Essere felice.
[…] L’idea che il corpo sia tramite per il ritorno alla vita, che sia salvazione e dannazione, è archetipica ed esplosiva.
È consolatoria ma anche tragica: niente è mai sufficiente, da solo, a farci uscire dall’imbuto appuntito di un lutto. Ma tutto ciò a cui ci si può aggrappare per ritrovare la realtà materiale di sé, per dirsi che non ci si è persi nella dissoluzione di una morte altrui, è veramente – credo – il corpo. […]
Leggi tutto l’articolo di Federica Sgaggio su Ultimo tango a Parigi.
Mi sconcertano in modo particolare la leggerezza e la serenità d’animo con le quali – nel momento stesso in cui si nega l’identità individuale di una persona proprio perché la si rende simbolo indifferenziato di un tema scelto a piacere, e possibilmente fra quelli più «sexy» per la cosiddetta opinione pubblica – si finge di tributare a questa singola persona il massimo dell’onore possibile.
Invito a leggere, perché mi sembra molto interessante, l’articolo di Federica Sgaggio Sakineh, il personaggio e l’ideologia del simbolo.
[…] Ma questa cosa – che può perfino avere una sua efficacia – si chiama marketing. Che a nessuno venga in mente di chiamarla politica, e forse nemmeno mobilitazione civile. […]
Questo articolo di Federica Sgaggio è molto interessante. Vi invito a leggerlo attentamente. gm
[…] Pensare che le cose siano da affrontare in termini di democrazia diretta – appelli, firme, petizioni – è uno degli equivoci più esiziali di questi tempi: per fare della strada politicamente occorre fare della strada politicamente, appunto, e non lanciare proclami modernisti; occorre mediare, capire, ascoltare, negoziare, progettare, condividere, avere un’idea di società su cui raccogliere consensi.
Non lanciare appelli e proclami.
Perché a firmarli ci vuol poco. […]
Questo è solo un frammento. L’articolo intero (di Federica Sgaggio), Libertà d’espressione e libertà d’informazione, è qui.
A proposito di questo fotomontaggio apparso nel mensile Max – e definito una “speculazione di cattivo gusto” dal diretto interessato, qui -, mi sembra interessante ciò che ha scritto Benedetta Tobagi (qui), ciò che ha scritto Federica Sgaggio a partire dall’articolo di Tobagi (qui, e forse conviene dare un’occhiata al post scriptum prima dell’articolo), e poi ancora ciò che Federica Sgaggio ha scritto, qui, riassumendo la discussione avvenuta nel suo blog e concentrando l’attenzione sull’ “argomento dell’invidia“. gm
(E vedi anche, già che ci siamo, l’editoriale di Carmilla e il commento che ne fa Valter Binaghi).
Ieri sera mio cugino è andato di corsa a prendere il pane al supermercato, verso l’ora di chiusura.
Il sorvegliante (un ragazzo di colore) del supermercato ha fatto spogliare nudo davanti a tutti, facendogli togliere anche le mutande, un signore straniero che sospettava – ma alla luce degli sviluppi successivi, i sospetti sono sembrati infondati – avesse rubato qualcosa.
L’uomo che è stato fatto spogliare era probabilmente ubriaco, o poco presente a se stesso.
In due – solamente in due, fra tutti quelli che affollavano il supermercato – hanno tentato di bloccare il sorvegliante, consentendo al cliente – perquisito senza mandato, naturalmente – di ricollocare al loro posto le mutande che erano già scese fino alle cosce.
Questa città [Milano], diventata così succube di Roma che ha visto i suoi uomini politici sempre più risucchiati e integrati nella macchina del potere romano, che ha assistito impotente allo svuotamento di Malpensa e al quasi commissariamento dell’Expo 2015, che si sta sfinendo in un interminabile dibattito sul piano di governo del territorio, questa città, dicevamo, che ha ancora nelle sue viscere l’energia, l’intelletto e la conoscenza per fermare uno scivolamento verso il basso, può rilanciare il merito, l’efficienza, lo spirito solidale e farli diventare punti di forza per il rilancio.
A chi appartiene questa retorica? Al Corriere della sera, nientemeno (qui). Da leggere il commento di Federica Sgaggio, qui. gm
[Questo articolo è apparso oggi nel blog di Federica Sgaggio] [Vedi anche questo articolo successivo]
Molto a caldo.
Io penso che il risultato elettorale abbia certificato l’inutilità del giornalismo.
Mi spiego meglio.
Chiunque affronti la lettura di un articolo o l’ascolto di un servizio radiofonico o televisivo non chiede che di leggere o sentire ciò che pensa già.
Non interessano prove a confutazione, o argomenti a sostegno di interpretazioni diverse.
Se, per ipotesi, uno avesse le prove che un tale qualunque è violentatore di bambini, stupratore di donne, frequentatore di trans, ladro, ricettatore, spacciatore di droga, rapinatore, estorsore e assassino, le reazioni si dividerebbero sostanzialmente in tre gruppi.
Un po’ di gente direbbe che non è vero, e loro lo sanno.
Un altro po’ di gente direbbe che è vero, e in molti casi senza nemmeno la necessità di venire persuasi dalle prove giornalisticamente raccolte.
Un altro po’ di gente direbbe chissenefrega, i giornali dicon sempre quel che vogliono.
[…] Se io mi domando quale sia la differenza istituzionale fra «siamo tutti osservatori» e le ronde leghiste è perché in realtà la differenza politica non mi sfugge affatto. […]
Trovo interessante e importante la riflessione di Federica Sgaggio intitolata L’Ocse de noantri, a proposito dell’iniziativa Siamo tutti osservatori lanciata da La Repubblica. gm