di giuliomozzi
[Questo testo fu scritto nel 2006, su proposta di Gabriele Dadati, per la rivista Ore piccole. L’immagine qui sopra è una fotografia di Calvino modificata da Keri Smith].
Mi ricordo di aver creduto a lungo che «Italo Calvino» fosse uno pseudonimo, come «Italo Svevo».
Mi ricordo che quando a scuola mi fecero leggere Marcovaldo mi divertì soprattutto la storia dei reumatismi curati con le punture delle vespe.
Mi ricordo che quando a scuola mi fecero leggere anche Il barone rampante mi immaginai che Italo Calvino fosse uno scrittore per le scuole.
Mi ricordo che la battuta migliore del Visconte dimezzato è: «Morto per morto, proviamo a riattaccarlo».
Mi ricordo che quando cominciai a leggere Il cavaliere inesistente, giunto al punto (circa a pagina tre) in cui Carlo Magno domanda al cavaliere inesistente come faccia a reggersi in piedi, visto che è inesistente, e il cavaliere inesistente gli risponde più o meno: «Sire, con la forza della fede e della volontà!», smisi di leggere pensando che una battuta migliore in tutto il resto del libro non l’avrei trovata.
Mi ricordo che una volta, mentre leggevo a letto Il castello dei destini incrociati, mi addormentai con la luce accesa e la faccia sul libro, e mi svegliai dopo un paio d’ore con il mal di testa.
Mi ricordo che durante il servizio civile lessi Una pietra sopra, e per qualche settimana pensai che Italo Calvino doveva essere una persona straordinariamente intelligente.
Mi ricordo che una volta, durante un’intervista alla radio, mi domandarono che cosa pensassi di Italo Calvino, e non fu capace di rispondere.
Mi ricordo che una volta mi domandai perché le avventure di Marcovaldo e della sua famiglia dovessero sempre finire male.
Mi ricordo di aver creduto a lungo che Italo Calvino fosse nato in Svizzera, e che quando scoprii che era nato a Cuba mi sembrò una cosa impossibile.
Mi ricordo che non ho mai capito bene se i genitori di Italo Calvino fossero giardinieri o botanici, ma ho sempre preferito pensare che fossero giardinieri.
Mi ricordo che una volta mi capitò di dire: «Ci sono situazioni kafkiane; ma ci sono anche situazioni calviniane», e poi non seppi spiegare che cosa intendessi.
Mi ricordo che una volta, a letto, dopo fatto l’amore con una ragazza che poi mi lasciò, le descrissi il suo stesso corpo come una topografia calviniana, e lei mi disse che ero davvero poetico.
Mi ricordo che una volta, a Palmanova, immaginai di essere Italo Calvino.
Mi ricordo di avere creduto a lungo che Italo Calvino fosse grasso.
Mi ricordo che quando lessi nei giornali che i diritti di tutti i libri di Italo Calvino erano stati acquistati da Mondadori, pensai: «Ecco, adesso faranno dei libri brutti da vedere».
Mi ricordo che quando andai fino a Torino per vedere e ascoltare l’opera di Luciano Berio Un re in ascolto, libretto di Italo Calvino, in treno mi addormentai e mi rubarono l’orologio che mi era stato regalato per la cresima.
Mi ricordo di non avere mai letto dall’inizio alla fine Le città invisibili, pur avendolo sfogliato e letto a tratti forse cinquanta volte.
Mi ricordo che quando lessi Se una notte d’inverno un viaggiatore, il Lettore e la Lettrice mi stavano antipaticissimi.
Mi ricordo di aver sostenuto più volte di aver letto libri o racconti di Italo Calvino che non avevo, e che non ho, mai letti (ad esempio: La giornata di uno scrutatore).
Mi ricordo che Italo Calvino firmò la quarta di copertina del libro d’esordio di Andrea De Carlo.
Mi ricordo di aver sostenuto, una volta, in un pubblico dibattito, che Italo Calvino non è uno scrittore italiano, bensì francese; così come Leonardo Sciascia è in realtà uno scrittore spagnolo, e Giacomo Leopardi un poeta elisabettiano.
Mi ricordo di aver detto una volta che i libri di Italo Calvino generalmente non mi piacevano, in presenza di un suo parente.
Mi ricordo di avere immaginato più volte di scrivere dei libri che fossero come alcuni libri di Italo Calvino: Le città invisibili o Palomar. In alternativa, mi sarebbe piaciuto scrivere libri che fossero come quelli di Francis Ponge.
Mi ricordo che quando avevo diciott’anni spedii un poemetto a Italo Calvino, e lui mi rispose con una breve lettera molto cortese. Non possiedo più né il poemetto né la lettera.
Mi ricordo che quando uscirono le Lezioni americane non volli leggerle, perché ne parlavano tutti.
Mi ricordo che quando uscì Se una notte d’inverno un viaggiatore lo lessi subito, perché ne parlavano tutti.
Mi ricordo che una volta sentii un conferenziere dire: «Di Italo Calvino non resteranno le opere, ma le idee di opere».
Mi ricordo che un’altra volta sentii un altro conferenziere dire: «Nello stesso anno, il 1956, Italo Calvino si allontanò dal Partito comunista e pubblicò un libro di fiabe».
Mi ricordo che la figlia di Italo Calvino si chiama Abigail.
Mi ricordo che le Lezioni americane dovevano essere sei, ma Italo Calvino ne scrisse solo cinque: «Leggerezza», «Rapidità», «Molteplicità», «Esattezza», «Visibilità».
Mi ricordo un paio d’anni fa rilessi Il barone rampante, e pensai che quando me l’avevano fatto leggere a scuola non ci avevo capito proprio niente (e sì che me lo spiegavano, anche).
Mi ricordo che dal 1964 al 1970 Italo Calvino abitò a Parigi e lì, come c’è scritto nell’enciclopedia, «risentì delle turbolenze del clima culturale francese».
Mi ricordo che una volta in un forum o in un blog lessi questa frase, che misi in salvo nella mia cartella delle frasi sulle quali meditare: «Calvino è fantastico! L’unico rimpianto è arrivare alla fine dei suoi libri. Ho risolto il problema incollando la prima pagina con l’ultima e ottenendo così un libro circolare: sono due anni che leggo Le città invisibili senza stancarmi».
Mi ricordo che regalai Ti con zero e le Cosmicomiche a mio fratello minore, per il suo diciottesimo compleanno.
Mi ricordo che Antonio Debenedetti disse una volta: «Gli scrittori importanti corrono sempre un rischio quando vengono giudicati ancora più importanti di quello che in realtà non sono», e stava parlando di Italo Calvino.
Mi ricordo che Antonio Debenedetti disse anche: «Calvino è soprattutto un maestro di stile che diventa un manierista nelle mani dei suoi allievi».
Mi ricordo che una notte, al pub bavarese gestito dai cinesi dove stavo facendo tardi con Umberto, parlammo a lungo dell’impossibilità di essere allievi di Italo Calvino.
Mi ricordo che una volta, dovendo fare un lungo viaggio in treno, mi ero infilato in borsa Le città invisibili, perché mi era venuta l’idea di fare un libro intitolato Treni che non vanno da nessuna parte.
Mi ricordo che quando lessi Il castello dei destini incrociati mi comperai un mazzo di tarocchi, ma poi scoprii che non andavano bene perché le figure non erano le stesse dei tarocchi usati dai personaggi del libro.
Mi ricordo che quando i giurati del Premio Mondello decisero di dare a Italo Calvino un premio alla carriera, la serata fu presentata da Pippo Baudo: Calvino ricevette un assegno di dieci milioni di lire per la carriera, e Baudo un assegno di dieci milioni di lire per la serata.
Mi ricordo che una volta un amico softwarista mi regalò un programmino che misurava la “leggibilità” dei testi. Lo collaudai su una decina di pagine narrative di autori italiani, e Calvino risultò il più leggibile dal punto di vista del lessico, e il meno leggibile dal punto di vista della sintassi (però non avevo testato né Gadda né Manganelli).
Mi ricordo che una volta la mia amica Tiziana Agostini mi regalò un libro fotografico su Italo Calvino, e io lo dimenticai in un baretto dove mi ero fermato a mangiare un kebab.
Mi ricordo che una volta, mi pare nel 2000, feci parte della giuria del premio «Italo Calvino», e fu una cosa molto divertente.
Mi ricordo che una volta mi invitarono in una scuola media superiore a parlare di Italo Calvino, e io cominciai dicendo: «È un grande scrittore. In ogni suo libro ha sperimentata una forma nuova. Le sue forme sono spesso bellissime. A me, però, i suoi libri sembrano noiosetti». A questo punto l’insegnante che mi aveva invitato mi interruppe dicendo: «Non si permetta di dire queste cose. I libri di Calvino sono tutti capolavori». Allora io dissi: «Non nego che siano capolavori. Ho solo detto che a me sembrano noiosetti». E l’insegnante: «Guardi che sta parlando a dei ragazzi. Ha una responsabilità».
Mi ricordo di aver letto due libri scritti da Marco Belpoliti: uno è un saggio su Calvino, che si intitola L’occhio di Calvino, e l’altro è un romanzo che si intitola Italo.
Mi ricordo che recensii L’occhio di Calvino per il settimanale Avvenimenti, e iniziai la recensione citando questa frase di Belpoliti: «Stiamo per varcare la soglia del secondo millennio» (era il 1996) «e ci accorgiamo che uno dei pochi scrittori che può accompagnarci in questo passo è Italo Calvino, e non certo per meriti letterari – che pure non gli mancano – ma in virtù di un’idea di letteratura che egli ha coltivato nell’ultimo ventennio della sua lunga attività».
Mi ricordo che il protagonista di uno dei miei racconti si chiama Qwfwq.
Mi ricordo che quando uscì Palomar lo comperai dopo aver letto in libreria il primo pezzo (quello in cui il signor Palomar tenta di osservare un’onda). Poi, a casa, lessi il secondo (quello in cui il signor Palomar ha che fare con una signora in topless, in riva al mare) e rimasi così deluso che per un bel po’ non andai più avanti.
Mi ricordo che una volta, a Trieste, in una libreria di libri usati – la stessa dove, un’altra volta, mi ero imboscato così bene tra gli scaffali che il titolare, uscendo per andare a pranzo, mi chiuse dentro – vidi un esemplare della prima edizione del Sentiero dei nidi di ragno, ma non potevo permettermi di acquistarlo.
Mi ricordo che in Palomar, a un certo punto, il signor Palomar pensa: «Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile».
Tag: Italo Calvino, Keri Smith
17 agosto 2009 alle 18:34
°Mi ricordo di non avere mai letto dall’inizio alla fine Le città invisibili, pur avendolo sfogliato e letto a tratti forse cinquanta volte.
E’ capitato un po’ a tutti. Penso Calvino stesso non l’abbia mai letto dall’inizio alla fine.
°Mi ricordo che Italo Calvino firmò la quarta di copertina del libro d’esordio di Andrea De Carlo.
E chi lo scorda aihmè.
17 agosto 2009 alle 20:30
è un bellissimo modo per imparare qualcosa su un autore. Io ho imparato più leggendo questi ricordi che a studiarlo a scuola o a leggerlo…
18 agosto 2009 alle 10:27
Io, invece, ricordo di aver letto da qualche parte che Calvino toglieva tutti gli aggettivi (be’, non tutti, solo quelli superflui, che comunque dovevano sembrargli lo stesso un bel po’), ma poi di aggettivi ne metteva pure lui.
E mi pare di ricordare (ma sicuramente ricordo male) che i genitori (non sono sicuro la madre, ma quasi sì il padre) fossero agronomi che si trovavano a Cuba per qualcosa che c’entrava col farsi le canne con lo zucchero, o fare canne da zucchero, non saprei meglio.
E ricordo (questo lo ricordo bene) di avere sempre rimpianto che Calvino non abbia scritto un Grande Romanzo, quello che da solo identifica come grande e indimenticabile anche l’autore; e invece ha scritto tante cose, belle, per carità, ma bisogna citarle tutte (anche se, magari, te ne esci citando Il barone rampante) per far bella figura in società, mentre per Manzoni basta I promessi sposi, Per Mann I Buddenbrook, per Eco Il nome della Rosa e via discorrendo.
E ricordo che T con zero e le Cosmicomiche sono nella mia libreria ma non riesco a leggerli perché non mi piacciono.
18 agosto 2009 alle 10:31
Ah, ricordo anche che nell’83 ho comprato La boutique del mistero, e di essermi convinto che fosse di Calvino, anche se il nome dell’autore era bello grande in copertina.
18 agosto 2009 alle 13:55
Salvo la Trilogia e il Marcovaldo i suoi libri mi annoiano. Al liceo, anni 60, pensavo fosse un autore di favole. Eppure, quando vado a Parigi ed entro a curiosare in libreria, trovo solo lui, Eco e Pasolini.
18 agosto 2009 alle 19:48
Voglio il software per misurare la leggibilità dei testi!!
18 agosto 2009 alle 22:08
Mi ricordo di quando Italo Calvino partecipò al premio Italo Calvino con il racconto “L’elefangelo”. Non ricordo se fu proprio Giulio Mozzi a farlo fuori*-°
http://www.lucioangelini.splinder.com/post/10146534
19 agosto 2009 alle 07:48
Paolo, io il programmino te lo potrei anche dare. Devo solo cercarlo. Ma tu sei in grado di leggere un floppy da 5 pollici e un quarto?
(In alternativa, basta cercare due-tre minuti con un motore di ricerca, e ne trovi finché vuoi).
gm
19 agosto 2009 alle 08:03
Giulio, ammetto: non ho neppure il lettore dei floppy da tre e mezzo. Cerco in Internet, e ti faccio sapere se trovo qualcosa. Sapevo dell’esistenza di un software, in inglese, che valutava l’aggressività delle mail, per evitare di inviare cose di cui poi ci si potesse pentire: ma non l’ho mai visto in giro, da nessuna parte.
Questa cosa, però, mi ha fatto venire in mente (i miei “mi ricordo” sono, purtroppo, meno letterari) che all’esame di calcolo automatico, ad Ingegneria, avevo portato un programma che avevo realizzato (in TurboPascal: povero Blaise, se sapesse…) che elaborava statistiche su lettere e sillabe: il risulltato era una specie di “spettrogramma sonoro” del testo. Non c’era alcuna applicazione pratica, ma: 1. dopo aver ricevuto in pasto un po’ di testi in diverse lingue, e aver così creato un piccolo archivio statistico, il programma era in grado di individuare con buona approssimazione la lingua di un nuovo testo sulla base delle occorrenze delle lettere e delle sillabe e 2. era possibile chiedere di creare un testo “come se” fosse in una delle lingue delle quali possedeva lo spettrogramma: qualcosa che, ad esempio, suonasse come italiano, o inglese (avevo creato anche la lingua “italiano di Dante” mettendo dentro i primi canti dell’Inferno: e lo spettrogramma era diverso dall’Italiano corrente). Sai quale è stata la prima parola che ha buttato fuori, in Italiano? “Mamma”. Mi sono quasi commosso.
19 agosto 2009 alle 11:04
Sei un cuore di pietra. Io mi sarei commosso senza quasi. gm
19 agosto 2009 alle 11:32
Eh eh, ma ingegneria oblige!
19 agosto 2009 alle 11:38
Io invece mi ricordo di una volta che mi è successo di presentare una biografia fotografica di Italo Calvino alla Feltrinelli insieme a un Marinelli marlowesco e costantemente di profilo, che avanti l’inizio mi offriva furtivamente un caffè per metterci d’accordo su chi parlava per primo – io – e sapere se pensavo di leggere qualcosa, perché lui era del parere di fare una cosa rapida, pulita, senza cazzate intellettualoidi casomai citare qualche riga dal libro che presentavamo; e invece è andata che ha iniziato lui, ha letto dei passi dagli amori impossibili, ha presentato Calvino come uno degli autori più sensuali della storia della nostra letteratura e a un certo punto, sottovoce, alzando il bavero del soprabito crema, mi ha domandato, di profilo, se potevo andare avanti da solo perché aveva premura, e mentre io contraddicevo tutto quel che aveva appena detto, lui si faceva intervistare frontalmente da Rai3, per tornare con un bel: “dicevamo?”, riprendendo da dove aveva interrotto – la scena lui-lei arrapati e soli nello scompartimento – ondeggiando nuovamente di profilo, con il libro nel palmo come un teschio.
Ciao. Umberto
19 agosto 2009 alle 23:40
“Maaammaaa”, mormora il programmino…
19 agosto 2009 alle 23:42
Io mi ricordo che tra i 15 e i 20 anni ho letto tutto di Calvino, ma proprio tutto tutto tutto, e mi ero quasi convinto di essere lui.
Poi ci ho fatto la tesi di laurea.
Poi ho smesso di leggerlo e non apro un suo libro da almeno 10 anni.
21 agosto 2009 alle 14:03
Mi ricordo che anni fa, di sfuggita dentro un bar, ho sentito un tipo che diceva che i libri di Calvino sono noiosetti; poi però ho scoperto che aveva letto solo qualche capitolo di Palomar, e non era arrivato nemmeno a quel capolavoro di sintesi che dice che “la superficie delle cose è inesauribile” (una frase che cito spesso anch’io).
Detto questo, trovo anch’io Calvino formalmente ineccepibile e spesso duro da leggere, soprattutto nei primi racconti di stampo neorealista, come dir si suole (ma escluderei dal novero dei libri noiosi Se una notte d’inverno un viaggiatore, Palomar e Il cavaliere inesistente).
Piaciutami la recensione a frammenti.
22 agosto 2009 alle 12:36
Mi ricordo che Italo Calvino esaminò nel 1979 il dattiloscritto di un romanzo inedito di un ex-bibliotecario che viveva a San Biagio della Cima. Glielo aveva portato in Einaudi Nico Orengo. Lo lesse, e gli scrisse che ne era rimasto favorevolmente colpito. Due anni dopo quel romanzo fu pubblicato: era “L’angelo di Avrigue” di Francesco Biamonti. Uno dei più bei libri che abbia mai letto in assoluto. E che ricordo ancora adesso con un po’ di emozione. Perchè parla delle terre, dei luoghi in cui ora vivo, e che Francesco ha saputo narrare con una delicatezza e uno stile unico.
14 dicembre 2009 alle 19:22
Mi ricordo che Italo Calvino è uno dei più grandi autori di racconti di tutti i tempi (il più grande italiano, o francese), anche se anch’io non leggo più niente (dopo aver letto tutto tutto) da una decina d’anni (a parte “Il sangue, il mare”). E mi ricordo che era amico di Georges Perec.
29 dicembre 2009 alle 14:31
Mi ricordo che un amico che mi chiama “la mia amica morettina” una mattina mi ha detto di aver letto cinque o sei volte Il barone rampante. Mi ricordo che a casa, qualche giorno dopo, ho preso Il barone rampante e ho cominciato a rileggerlo. Mi ricordo che, prima, ho letto Il visconte dimezzato, e mi ricordo che mi è piaciuto molto di più della prima volta che l’ho letto. Mi ricordo che Il cavaliere inesistente non l’ho mai finito. Mi ricordo dello scritto di Italo Calvino su Giorgio Caproni, in fondo al libro Poesie 1932-1986, e ricordo che ho pensato tante cose che adesso non so ricordare e se le ricordassi non saprei scriverle.
18 febbraio 2012 alle 19:32
io ricordo che alle medie ho lasciato il barone rampante a pagina venti perchè mi sembrava un’idiozia per bambini e io ero già un po’ adolescente. L’ho poi riletto oltre i trenta e l’ho trovato meraviglioso (ma perchè Calvino lo spingono così tanto e in modo così anaffettivo a scuola? Perchè tutte le persone che conosco e che non hanno studiato lettere all’università mi dicono “ah si, calvino l’ho letto a scuola ma non me lo ricordo..marcovaldo mi pare…o quello che sale sull’albero”. Così si perde un tesoro a mio parere, è questione di tempi…)
La giornata dello scrutatore è stato il mio primo calvino di adulta e mi è parso un gioiello, mozzi, non lo perda se può.
11 novembre 2012 alle 14:51
Bellissima intervista!
Io cerco il testo, il libretto, di un’operetta costruita sul Visconte dimezzato e di cui Calvino ha scritto almeno una parte se non tutto il testo. Potete aiutarmi? Cito a memoria, forse non con totale precisione un pezzettino: “Negli alberi qui crescono pere spaccate in due, per le brughiere guizzano lucertole a metà…” Daniela Marretti
12 novembre 2012 alle 07:59
Ti serve per questa cosa qui?
12 novembre 2012 alle 08:55
Mi ricordo che comprai I Promessi Sposi della Mondadori in ebook perché la copertina diceva “con un saggio di Italo Calvino” e invece dentro c’era solo I Promessi Sposi, e mi arrabbiai moltissimo. (Che poi, per carità, averci I Promessi Sposi sull’iPad a quel prezzo ne valeva anche la pena).
12 novembre 2012 alle 14:30
Rispondo a Giulio Mozzi. Hai pescato dal nostro vecchio sito! Guarda il nuovo è più consono alla nostra “età”… Ah!,
Comunque sì, ancora una volta mettiamo in scena, internamente alla Scuola, con un gruppo di insegnanti della materna, la fabula di questo complesso racconto. Cercavo nuovi imput. Puoi aiutarmi? Daniela Marretti
12 novembre 2012 alle 15:07
E allora, Daniela, non capisco quale sia la richiesta. Il testo dal quale citi, ce l’hai. Quindi cosa cerchi?
12 novembre 2012 alle 15:24
Esiste un’operetta, qualcuno l’ha messo in musica, Calvino ha scritto il libretto o parte di questo. L’ho letto in una qualche introduzione, di una qualche edizione, di “un qualche” anno fa…“Negli alberi qui crescono pere spaccate in due, per le brughiere guizzano lucertole a metà, ciò che si vede dovunque si vada pare un afiaba, pare una fiaba…” è l’incipit…
L’avrò sognato? grazie!
15 ottobre 2013 alle 14:45
Mi ricordo che “Le città invisibili” cambiarono il mio modo di concepire la letteratura, che “Il cavaliere inesistente” mi fece sentire in compagnia, nella mia inesistenza, e che “Una pietra sopra” mi ha insegnato a non piegarmi agli altri nella scelta dell’argomento su cui scrivere (soprattutto quando non mi è congeniale).
16 ottobre 2013 alle 09:35
La “grandezza” di molti autori (spesso) è nella “voce amica” dei soliti “noti” critici. La “piccolezza” di molti altri è nel silenzio dei medesimi! Ritengo che “Palomar” sia il libro migliore di Calvino. Al narratore, tuttavia, preferisco il saggista.
16 ottobre 2013 alle 09:41
Di quali autori e di quali critici stai parlando, Guglielmo?
16 ottobre 2013 alle 10:03
mi ricordo che lessi alcune righe del primo pezzo di “Palomar” (Lettura di un’onda) ad un bagnino sulla spiaggia di Jesolo e che lui mi chiese perchè perdessi il mio tempo su cose così
16 ottobre 2013 alle 10:13
Un autore è, ovviamente, Calvino; un altro, ad es., è Consolo, un altro ancora è Giordano (quello dei “numeri primi”)…ma non posso citarli tutti! Quanto ai critici, mi riferisco a quelli che sono amici di certi autori e a quelli che non hanno spesso il “coraggio” di giudicare negativamente le opere di certi “mostri sacri”, sia della letteratura che del cinema….
16 ottobre 2013 alle 10:38
Giulio, proprio La giornata di uno scrutatore non hai letto…
16 ottobre 2013 alle 14:55
Non avevo letto nel 2006.
16 ottobre 2013 alle 17:06
Ah, ecco. Sennò ti accusavo di avermi mentito, a fine agosto dell’anno scorso, quando a un’altitudine di circa mille metri mi facesti intendere che lo avevi letto. Trovo questo je me souviens molto bello. Nel paragrafo sulla pietra sopra ti è scappata una R di troppo: sarà quel leggero accento francese che la mente acquisisce quando pensa a Calvino.
16 ottobre 2013 alle 18:49
Ma che bello questo post che mi era sfuggito. E son d’accordo sul “noiosetti”. A me sono sembrati meno “noiosetti” i racconti e i romanzi realistici, ma soprattutto i racconti: molto poco noiosetto La nuvola di smog e anche La formica argentina.
E mi ricordo, quando quattro o cinque anni fa lessi le Lezioni americane, e aspettandomi chissà quale profezia sulla letteratura di questo millennio, costatai invece che ci aveva azzeccato molto poco e credo di aver pensato alla parola fregnaccia, un po’ volgare sì, ma ho sempre avuto un cuore volgare, e poi tornai a leggere il mio “anti-calviniano” preferito, Moresco, e poi Busi.
17 ottobre 2013 alle 07:22
Grazie, Gatto. Ho corretto.
Giordano: hai citato tre autori; ora mancano i critici. Scrivi:
Ma, santiddio, è così difficile per te dire esattamente di chi stai parlando? Dobbiamo indovinare noi?
(Ah: i “critici” italiani, in massa, hanno stroncato il romanzo d’esordio di Giordano e hanno ignorato il successivo. Quello di Giordano è stato un successo giornalistico, non critico).
17 ottobre 2013 alle 09:47
Ci sono giornalisti che si occupano di critica letteraria, cinematografica…Che siano stati loro a determinare il successo di Giordano e non i critici “accreditati”, è meglio così. Quanto a questi ultimi c’è chi fa parte, lo sappiamo tutti, di una cerchia di poeti e scrittori che si “lodano” a vicenda, sicché ciascuno è critico dell’altro! Purtroppo, non possiamo negarlo, esistono ancora le baronie della cultura!…E non occorre fare nomi quando si parla di un “fenomeno” a tutti noto. E quando ho parlato di “noti” critici, mi riferivo proprio a questo.
17 ottobre 2013 alle 10:01
Però, perdonami, non voglio intromettermi: ma se dici “son noti”, allora di’ per favore i nomi. Sennò, permettimi, mi sembra il solito gioco ad alludere senza veramente specificare. Lo dico da lettore forse ignorante: proprio perché quando tu scrivi “a tutti noti”, ecco, a me non lo sono, forse, appunto, per mia profonda ignoranza.
17 ottobre 2013 alle 13:37
Forse mi sono espresso male, ma ho specificato che con “noti” critici intendevo riferirmi genericamente alla realtà delle “baronie” culturali, che è sotto gli occhi di tutti! Io stesso ignoro i nomi di coloro che “favoriscono” solo gli amici o che si “favoriscono” tra di loro, e se ne ho una vaga idea, questa resta tale e me la tengo per me finché non potrò dimostrarlo!
17 ottobre 2013 alle 22:19
D’altra parte, Guglielmo, come tutti sanno, c’è anche chi, senza nemmeno sapere di che cosa parla, si permette di emettere pubblicamente giudizi su persone delle quali non sa nulla.
18 ottobre 2013 alle 00:48
Di quali persone stai parlando, Giulio? Santiddio, è così difficile per te dire i nomi di queste persone? Se tu le conosci e le nomini, quel tizio forse saprebbe di chi parlare e che cosa dire e, soprattutto, potrebbe emettere quei giudizi, che dubito abbia potuto esprimere non avendo nominato persona alcuna.
18 ottobre 2013 alle 06:39
Eh, sai, Guglielmo: mi sono divertito a fare il verso a una certa persona. La quale, secondo me, ha capito benissimo che si parlava di lui.
Ovvero: parlavo di te; e, come spero tu abbia capito, volevo far notare come quel modo allusivo di parlare di cose che non si conoscono (l’hai detto tu, che non le conosci) è ciò che comunemente si chiama maldicenza.
18 ottobre 2013 alle 09:47
Da una mia semplice opinione, peraltro non solitaria, in quanto sono tantissimi a pensarla come me, che avrebbe potuto e dovuto dare inizio a un civile e costruttivo dibattito, sono venute fuori ingiustificate accuse nei miei confronti e un processo al quale, da questo momento in poi, non intendo più sottopormi. Spiacente, ma non era proprio nelle mie intenzioni dare adito a tante inutili e sterili polemiche.
18 ottobre 2013 alle 12:38
Guglielmo, tu non hai espressa nessuna opinione: hai detto che certe persone fanno certe cose.
E’ un’opinione, questa? Un’opinione è sempre un’opinione su qualcosa o su qualcuno.
Ma non si capisce di chi stai parlando. Tu stesso dici di non saperlo.
E dunque?
Che “tantissimi” la pensino come te, è un argomento piuttosto debole. “Tantissimi”, una volta, pensavano che il sole girasse attorno alla terra: ma avevano torto.