Handicap, emozioni e minimi eroi di comodo

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Federica e Francesco Sgaggio. Clicca sulla fotografia per leggere l'articolo di Federica Sgaggio.

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13 Risposte to “Handicap, emozioni e minimi eroi di comodo”

  1. ezio Says:

    Mah. Io non ho un fratello handicappato,né un figlio handicappato, ma nella classe di mio figlio sia alle elementari che alle medie ci sono stati (e ci sono) bambini/ragazzi handicappati con la famigerata “insegnante di sostegno”.
    Non sono mai (stati) fatti uscire dalla classe e – soprattutto alle elementari – è stata una fortuna averli, conoscerli, vederli recitare, giocare, vivere. Un arricchimento costante e reciproco. Che non ci sarebbe potuto essere se non ci fossero state queste adorabili, esperte, appassionate, normali, “insegnanti di sostegno”, che semplicemente arrivavano là dove le maestre, per motivi ovvi, non sarebbero potute arrivare.
    Rispetto l’esperienza della convivenza quotidiana e del dolore di una soluzione che è in contraddizione con questo effimero aiuto. Ma io non ho visto mai, nella presenza della insegnante di sostegno, nessuna speranza di migliorare le prospettive di vita di questi bambini, nessuna illusione, nessuna motivazione normalizzatrice (per giunta tarata male). Solo la cosa giusta da farsi in quel momento.
    Natalia era contenta, era chiaro, bastava vederla. Era sufficiente.

  2. federica sgaggio Says:

    Sì, Ezio.
    Sì.
    Non hai visto nessuna illusione.
    La cosa giusta da farsi.
    Adorabili insegnanti di sostegno.
    Sì.
    Hai ragione tu.

  3. federica sgaggio Says:

    Se anche non sono stati fatti uscire dalle classi in grazia della presenza di queste adorabili insegnanti di sostegno (che non ho criticato in se stesse, mi pare chiaro: ho detto che sono considerate insegnanti di serie b, ma magari nella scuola di cui tu hai fatto esperienza nessuno si sarà mai sognato di trattarle da insegnanti di serie b), tu credi veramente che queste meravigliose persone handicappate che è stata una fortuna conoscere – probabilmente perché non erano figli tuoi – avranno una vita adulta migliore, più autonomia?

    Non sono per niente ovvi – e non lo erano nel 77 – i motivi «ovvi» per i quali una maestra non può «arrivare» a un handicappato, Ezio.

    Non è vero che non avresti potuto avere la fortuna di conoscere queste persone handicappate se non ci fosse stata l’insegnante di sostegno.
    In primo luogo perché potevi andare a cercarne un po’ in giro (di handicappati, intendo), e li avresti conosciuti.
    In secondo luogo perché la necessità delle insegnanti di sostegno è indotta dalla legge; da una scelta, perciò. Non da un dato incontrovertibile. Non dall’«ovvio».
    Non c’è niente di ovvio.

    Quando parlo di ciò che sintetizzi con la formula efficace della «speranza normalizzatrice», non parlo di un sentimento che viene provato per forza da tutti. Parlo del sentimento che io ho visto vivere, e io ho vissuto. Parlo della semplicità con la quale le coscienze si acquietano vedendo un docente di sostegno e dicendo a se stesse «in fondo basta poco, no?».
    Non parlo dei sentimenti dei genitori degli altri compagni.

  4. paolocacciolati Says:

    Alle medie avevamo in classe Giovanni. La madre di Giovanni era vedova e aveva perso in un incidente l’altro figlio “sano”. Doveva lavorare e non aveva tempo per Giovanni, durante il giorno. Comunque Giovanni è stato un dono per tutti noi, ci ha aiutato, molto più di quanto noi abbiamo aiutato lui. Noi siamo stati il suo insegnante di sostegno, dentro e fuori la scuola. E finchè ha avuto noi se l’è cavata benissimo.
    Certo, forse Giovanni era meno sfortunato di altri sfortunati, aveva “solo” una lesione al cervello, poteva camminare, intereagire un poco con gli altri.
    Non è mai stato lasciato in un corridoio, almeno finchè ci siamo stati noi.

    ciao Federica

  5. Felice Muolo Says:

    Per un certo periodo, mia moglie è stata insegnante di sostegno. Si occupava di un bambino autistico, nella scuola. Il bambino fece notevoli progressi, relativi ma notevoli per la sua condizione, da quando mia moglie lo accudiva. La cosa non accadeva così per caso. Mia moglie si era già interessata di bambini handicappati precedentemente, in un istituto per handicappati. Quindi ‘sapeva come bisognava comportarsi per farli progredire’. Il ‘suo lavoro sul bambino’ però veniva considerato con indifferenza nella scuola. A un certo punto pensarono che fosse inutile e la spedirono da dove era venuta. Dopo un certo periodo, la pregarono in ginocchio di ritornare, la minacciarono anche. Il bambino in questione era regredito notevolmente, ‘il lavoro fatto da mia moglie su di lui’ era andato irrimediabilmente in fumo.
    Ciao, Federica.

  6. federica sgaggio Says:

    Perché in effetti, Felice, occorrerebbe un’attenzione continua totale assorbente esclusiva perpetua.
    Mia madre faceva fisioterapia a Francesco per ore e ore al giorno, per dire. Le avevano insegnato come, e lei faceva.
    Che fatica.
    Lui piangeva. Detestava mia madre, che era diventata la sua carnefice, quella che gli impediva il diritto all’ozio.
    Mia madre stava male perché non poteva neanche andare a fare la spesa perché se non era la ginnastica Doman era il metodo Bobath o il tavolo da statica o i massaggi.

    E poi – pensa che mi ricordo il giorno esatto – lei disse basta.
    Eravamo vicino al tavolo imbottito dove non potevamo più pranzare o cenare perché era diventato il tavolo della ginnastica di Francesco.
    Facendo le digitopressioni di non so più quale metodo, lo stava soffocando.
    E urlò: «Bastabastabasta. Io voglio vivere. Io voglio che mio figlio non abbia paura di me quando vede che mi avvicino».

    Mi sembrava equo, ma temevo che senza ginnastica mio fratello sarebbe morto a poco a poco.
    Da che parte dovevo stare?
    Chi era il nemico di chi?
    Chi il carnefice?
    E io cosa c’entravo?
    Perché a sei o sette anni dovevo conoscere il peso di certe decisioni?
    Perché?

    E non è servito a niente.
    Come dici tu: se ne va tua moglie, e il bambino autistico «decade», si corrompe.
    Vedi?
    Si può sperare, e fare, e lottare, e disperarsi: non cambia niente.
    I Franceschi finiscono in istituto, vite a disposizione.
    E se non finiscono in istituto, i loro genitori o i loro fratelli smettono, semplicemente, di vivere.

  7. federica sgaggio Says:

    E smettono di vivere anche se i figli vanno in istituto, Felice. Perché un genitore che abbandona un figlio non riesce a perdonarsi, o anche solo a dire «vabbè, è andata così e non c’era alternativa».

  8. Felice Muolo Says:

    Capisco perfettamente, Federica. Mia moglie portava a casa ogni giorno, spesso con le lacrime agli occhi, i problemi degli handicappati di cui si occupava e quelli delle loro famiglie. Ma principalmente intendevo dire che questi pazienti, gli handicappati, li devono assistere le persone specializzate, non una qualsiasi maestra di sostegno giunta all’ultima ora. O un direttore di scuola che non capisce nulla delle loro problematiche. O un maestro dal cuore tenero come Cacciolati, che pure non bisogna disdegnare. Anzi.

  9. federica sgaggio Says:

    Non sono d’accordo con te, Felice.
    Tra l’altro non capisco come si possa definirli «pazienti».
    Che abbiano pazienza non c’è dubbio.
    Che la loro identità sia definibile in chiave prioritariamente medica è per me incomprensibile.
    Un handicappato è malato quando ha una malattia, non quando è handicappato.
    L’handicap non è una malattia.
    È una condizione.
    A meno che, ovviamente, non sia la malattia a produrre l’handicap, come – per esempio – nel caso della sclerosi multipla, per dire.

    Infine, un invito: se vi va, a me farebbe piacere se a discutere di queste cose ci spostassimo anche un po’ sul mio blog. Per una questione d’affetto verso queste cose, non so.

  10. Felice Muolo Says:

    Con ‘pazienti’ intendevo unicamente dire persone che hanno bisogno di assistenza. Infinita, in questo caso.

    In quanto a continuare, non credo che l’argomento alletti se non chi è coinvolto. Qui siamo lontani dai consueti ‘pettegolezzi’ letterari.

  11. fabio bussotti Says:

    Di solito leggo i dibattiti sui blog con grande velocità. Questa volta no. Ho letto la testimonianza di Federica e poi gli altri interventi con grande attenzione. Sono impreparato di fronte a certi argomenti, ma ascolto, partecipo e cerco di capire…non ho un’opinione, ascolto e rifletto…
    Felice Muolo dice che l’argomento non è allettante. Forse, ha ragione. L’argomento non sarà allettante, ma è decisivo: fondamentale. Un abbraccio.

  12. federica sgaggio Says:

    Felice, dicevo solo che se vi va di dire dell’altro, mi piacerebbe che lo diceste anche un po’ da me.
    Ma se non c’è più niente da dire, va bene così; non è che voglio proseguire per forza.
    Grazie a tutti.
    Ciao, Fabio.

  13. Felice Muolo Says:

    C’è molto da dire, Federica, ma a chi? Mia moglie, che ha lavorato una vita con gli handicappati, ne avrebbe da raccontare di cotte e di crude. Sta di fatto che quando, spesso, tira fuori l’argomento, smette subito dacchè i presenti le fanno capire che ne hanno le palle piene. Ora si occupa di bambini abbandonati e adozione internazionale e succedede la stessa cosa, appena apre bocca. In conclusione, la sofferenza, quella vera, come la morte, in questi tempi è stata rimossa.

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