Come funziona, in pratica, il Reportage fotografico a parole

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a cura di giuliomozzi

In queste settimane ho pubblicato vari estratti dal Reportage fotografico a parole, un’esperienza di didattica della scrittura avviata da Scuola d’Autore, un progetto dell’Istituto per la ricerca e la sperimentazione educativa (Iprase) di Trento.
Ho pubblicato solo dei brevi testi scritti da me, tanto per dare l’idea di che cosa gli studenti sono invitati a fare. Ma la sostanza del Reportage sta nel lavoro di correzione, che viene svolto collettivamente dagli insegnanti delle classi coinvolte.
In pratica:
– i ragazzi devono scrivere delle “fotografie a parole”, secondo certe regole;
– ogni “fotografia” viene pubblicata, dai ragazzi stessi, in un blog dedicato e riservato;
– gli insegnanti, nello spazio dei commenti, inseriscono le loro osservazioni, danno suggerimenti, propongono riscritture;
– gli studenti riscrivono;
– e poi, se serve, fioccano nuove osservazioni, nuove riscritture.

Propongo qui un esempio di questo lavoro.

Per cominciare, le regole. Vengono spiegate agli studenti prima di cominciare il lavoro e sono sempre disponibili in un’apposita pagina del blog. Eccole:

Che cos’è questa cosa

Il Reportage fotografico a parole, realizzato dagli studenti e dalle studentesse della Provincia di Trento, ha lo scopo di raccontare le città e i paesi, i quartieri, le strade, quella parte della vita quotidiana che si svolge in pubblico.

Il Reportage funziona in base ad alcune semplici “regole del gioco”.

Le regole del gioco

Ciascun testo inserito nel Reportage dovrà

– descrivere scene, eventi, paesaggi realmente osservati e non inventati, personaggi anonimi a meno che la presenza del loro nome non faccia parte della scena descritta (Es.: «Annibale!» strilla una signora);
– essere scritto in maniera rigorosamente descrittiva, senza dar nulla per scontato (immaginiamoci un lettore venusiano del 2050 che non sa niente del nostro mondo e della nostra epoca), mai in prima persona (io, noi);
– essere sempre preceduto dalla data, dall’ora e dal luogo dell’osservazione;
– essere lungo più di 10 righe e meno di 100.

Più in particolare:
– in ogni “fotografia” compare almeno una persona;
– si usa sempre il tempo presente;
– si scrive sempre in terza persona;
– la narrazione è in ordine cronologico;
– vengono descritti l’evento, i personaggi e l’ambiente;
– non si danno mai mai valutazioni o giudizi, anche impliciti;
– non si fanno mai ipotesi sui pensieri o le intenzioni dei personaggi;
– non si usano mai metafore né paragoni, tranne quelli entrati nell’uso (“Il bambino corre come un razzo“);
– i dialoghi sono riportati sempre in discorso diretto (i dialoghi in dialetto vanno scritti in dialetto);

Come si lavora

In ogni classe l’insegnante assegna agli studenti il compito di “scattare” (cioè scrivere) almeno due volte al mese una “fotografia” (cioè un breve testo). Si potrà stabilire un preciso calendario, in modo che ciascuno studente sappia, per tutta la durata del lavoro, quale impegno minimo gli viene richiesto e in quali date.

Anche gli insegnanti hanno il loro turno di scrittura.

Le “fotografie” dovranno essere “scattate” in luoghi pubblici quali: angoli di strada, fermate dell’autobus, piazze, esterni di bar o negozi, giardini pubblici o così via.

Il “fotoreporter” di turno resta nel luogo da lui scelto per almeno quindici minuti; porta con sé materiale per scrivere e prendere appunti; scrive la propria “fotografia” immediatamente dopo l’osservazione, scegliendo tra tutto ciò che ha osservato quanto gli sembra più significativo o interessante.

Ecco dunque un esempio di “fotografia a parole” scritta da una studentessa:

Piazza Duomo, Trento, 2 marzo 2013, ore 16.45

Il sole sta calando e le nuvole colorano il cielo di rosa e rosso.
La piazza è un formicaio di gente, e la fila per un gelato al Grom la taglia a metà.
“No, Jac.. io tutta sta coda non me la faccio”.
“Tanto dobbiamo aspettare l’Ale”.
“No, no… gli andiamo in contro”.
“Guarda, eccolo!”.
I due ragazzi, uno alto, occhi azzurri e un cappello a righe rosse e blu e l’altro un po’ più basso , con una giacca nera della napapijri e un ciuffo di capelli biondi, camminano verso un terzo ragazzo, riccio con delle scarpe blu, e gli battono il cinque.
“Ciao”.
“Ciao, Ale!”.
“Allora? Dove andiamo?”.
“Ah… non so. Qual è la nostra meta As…? Jac dov’è la Lorenza!?”.
“Bo? Era qui fino ad un momento fa!”:
“Ahahaha!! Se l’avete persa la Sof vi uccide!”.
“Secondo me si è nascosta dentro quel bidone”.
“Jacopo…”.
“ E’?”.
“Zitto e cerchiamola!”.
I tre ragazzi si dividono: uno s’incammina verso un’ enorme fontana bianca al centro della piazza, mentre gli altri cercano in bar differenti.
Le persone entrano ed escono dai locali e un gruppo di bambini rincorre uno stormo di piccioni.
Una ragazza seduta su una panchina, dietro una siepe, si alza, mette un taccuino nella borsa e urla al ragazzo col cappello a righe:
“Ehi, Brusaaa!! Sono qui!”.

Lorenza

* * *

Interviene l’insegnante Paola:

Ciao Lorenza,
bravissima, bella scena vivace!

Ci sarebbe qualche ritocco da fare:
– togliere “stare+gerundio” –> verbo coniugato;
– “attaccare” la virgola alla parola che la precede e inserire lo spazio dopo, niente spazio invece dopo l’apostrofo.

Questione di maggiore rilievo è invece la chiarezza nelle seguenti frasi:

La piazza è un formicaio di gente, e la fila per un gelato al Grom la taglia a metà.

Sembra quasi sia tagliata a metà la gente …

I tre ragazzi si dividono: uno s’incammina verso un’ l’enorme fontana bianca al centro della piazza, mentre gli altri cercano in bar differenti (?).
Le persone entrano ed escono dai locali e un gruppo di bambini rincorre uno stormo di piccioni.

Il secondo periodo “Le persone …”, secondo me, crea confusione e interrompe il discorso, lo eliminerei, mi sembra superfluo.
Terrei invece la bella immagine dei bambini, anticipandola per esempio all’inizio.

Che dici? Mi sbaglio?
Buon proseguimento!

* * *

Già qui si vede la struttura generale dell’intervento degli insegnanti: si comincia sempre (se possibile) con un complimento e/o un incoraggiamento; si finisce con una domanda e un augurio. Non ci si dà il compito di correggere ogni cosa: ogni insegnante può anche lasciare singole, spicciole osservazioni.

Interviene l’insegnante Gianluca:

Lorenza, noto nelle tue istantanee una tendenza tipica di un geniale regista che di chiamava Alfred Hitchcock: a un certo punto, in tutti i suoi film, per un secondo fa la comparsa un signore, che altri non è che Alfred Hitchcock.
La tua immagine, è vero, è scritta molto bene ed è bella. Anzi, forse è anche scritta troppo bene. Nel senso che, in almeno un punto, c’è una rottura delle regole del Reportage: quella che impone di non usare figure retoriche. Questo perché, evidentemente, una figura retorica mette molto in rilievo lo stile dello scrittore, e quindi, di riflesso, del narratore.
All’inizio:

La piazza è un formicaio di gente, e la fila per un gelato al Grom la taglia a metà.

Che dire? È una immagine molto bella, e ha anche un nome specifico: è una metafora. Ma, soprattutto, è una bella metafora, perché, come tutte le buone metafore, si espande oltre i propri confini. Tu dici che la piazza è un formicaio, poi metti a fuoco la fila per il Grom: e noi lettori non possiamo che avere in mente la fila di formichine che si diparte da un formicaio. Insomma, un colpo da maestri: però, purtroppo, rompe le regole, e precisamente questa:

– non si usano mai metafore né paragoni, tranne quelli entrati nell’uso (“Il bambino corre come un razzo“)

Insomma, a malincuore, temo che tu debba rinunciare alla bella figura retorica.
Poi piccole imprecisioni:

“No, Jac.. io tutta sta coda non me la faccio”.

L’abbreviazione di “questo” si scrive con un apostrofo davanti, a segnalare l’elisione (‘sto, ‘sta, ‘sti, ‘ste).
E poi qui:

I due ragazzi, uno alto, occhi azzurri e un cappello a righe rosse e blu e l’altro un po’ più basso , con una giacca nera della napapijri e un ciuffo di capelli biondi, camminano verso un terzo ragazzo, riccio con delle scarpe blu, e gli battono il cinque

Prova a vedere tra la prima e la seconda riga quante congiunzioni “e” ci sono; nulla di male, tranne che sono su livelli diversi: le prime due collegano elementi molto collegati tra loro, e va bene che non ci sia una virgola tra loro (anzi, sarebbe un errore); la terza, invece, connette un nuovo personaggio, c’è uno stacco maggiore. E allora, per meglio marcare questa differenza, è meglio mettere una virgola prima della “e”.
Altro problemino nel finale:

Una ragazza seduta su una panchina, dietro una siepe, si alza […]

Ecco, qui le virgole vanno tolte, il “dietro una siepe” non è accessorio, è una specificazione necessaria della panchina (“una panchina dietro una siepe”). E, al di là di questo: dov’è questa panchina? Dovresti farcela vedere meglio, farci capire dov’è, rispetto alla scena che stiamo vedendo.
Buona riscrittura. Ciao.

* * *

Interviene Lorenza:

Grazie.
Appena posso correggo. 🙂

* * *

E la promessa è mantenuta il giorno successivo:
E’ il tramonto e le nuvole colorano il cielo di rosa e rosso.
La piazza è affollata, ci sono bambini ovunque, e la fila per un gelato al Grom pare infinita.
“No, Jac.. io tutta ‘sta coda non me la faccio”.
“Tanto dobbiamo aspettare l’Ale”.
“No, no… gli andiamo in contro”.
“Guarda, eccolo!”.
I due ragazzi, uno alto, occhi azzurri e un cappello a righe rosse e blu, e l’altro un po’ più basso, con una giacca nera della napapijri e un ciuffo di capelli biondi, camminano verso un terzo ragazzo, riccio con delle scarpe blu, e gli battono il cinque.
“Ciao”.
“Ciao, Ale!”.
“Allora? Dove andiamo?”.
“Ah… non so. Qual è la nostra meta As…? Jac dov’è la Lorenza!?”.
“Bo? Era qui fino ad un momento fa!”.
“Ahahaha!! Se l’avete persa la Sof vi uccide!”.
“Secondo me si è nascosta dentro quel bidone”.
“Jacopo…”.
“ E’?”.
“Zitto e cerchiamola!”.
I tre ragazzi si dividono: uno s’incammina verso l’enorme fontana bianca al centro della piazza, mentre gli altri cercano nei bar.
Un gruppo di bambini rincorre uno stormo di piccioni.
La fila del Grom non diminuisce. A pochi metri dalla gelateria, una ragazza seduta su una panchina dietro una siepe si alza, mette un taccuino nella borsa e urla al ragazzo col cappello a righe:
“Ehi, Brusaaa!! Sono qui!”.

Così va meglio?

* * *

Il bello è, per l’appunto, che il gioco non si ferma qui. Interviene l’insegnante Gianluca:

Lorenza, “la fila pare infinita”: a chi è che pare? A qualcuno? Quindi: no oggettività.
Insomma: ‘sta fila continua a darci problemi.
tra l’altro, subito dopo c’è la battuta di dialogo di uno dei personaggi che ci fa capire che la fila è molto lunga: perché insistere tanto?
Ciao.

* * *

E Lorenza comincia a disperarsi un po’:

Uffa..
Okay, ci rinuncio!! 🙂
La tolgo e basta.

E’ il tramonto e le nuvole colorano il cielo di rosa e rosso.
La piazza è affollata, ci sono bambini ovunque, e la fila per un gelato al Grom è lungo una ventina di metri.
“No, Jac.. io tutta ‘sta coda non me la faccio”.
“Tanto dobbiamo aspettare l’Ale”.
“No, no… gli andiamo in contro”.
“Guarda, eccolo!”.
I due ragazzi, uno alto, occhi azzurri e un cappello a righe rosse e blu, e l’altro un po’ più basso, con una giacca nera della napapijri e un ciuffo di capelli biondi, camminano verso un terzo ragazzo, riccio con delle scarpe blu, e gli battono il cinque.
“Ciao”.
“Ciao, Ale!”.
“Allora? Dove andiamo?”.
“Ah… non so. Qual è la nostra meta As…? Jac dov’è la Lorenza!?”.
“Bo? Era qui fino ad un momento fa!”.
“Ahahaha!! Se l’avete persa la Sof vi uccide!”.
“Secondo me si è nascosta dentro quel bidone”.
“Jacopo…”.
“ E’?”.
“Zitto e cerchiamola!”.
I tre ragazzi si dividono: uno s’incammina verso l’enorme fontana bianca al centro della piazza, mentre gli altri cercano nei bar.
Un gruppo di bambini rincorre uno stormo di piccioni.
La fila del Grom non diminuisce. A pochi metri dalla gelateria, una ragazza seduta su una panchina dietro una siepe si alza, mette un taccuino nella borsa e urla al ragazzo col cappello a righe:
“Ehi, Brusaaa!! Sono qui!”.

* * *

Ma dopo pochi minuti Lorenza stessa ha un ripensamento:

No, non potevo toglierla del tutto, serviva.

* * *

E l’insegnante Gianluca:

Appunto… 😉

* * *

Ma Lorenza ormai è un po’ persa:

..Adesso?

* * *

E l’insegnante Gianluca arriva con un’indicazione:

Adesso puoi dedicarti alle piccole imprecisioni (errori di distrazione che si correggono facilmente, piccole imprecisioni, ecc.).
Esempio: “la fila…è lungo” (concordanza errata), “in contro” (va tutto attaccato).
Ciao.

* * *

E Lorenza riscrive ancora:

E’ il tramonto e le nuvole colorano il cielo di rosa e rosso.
La piazza è affollata, ci sono bambini ovunque, e la fila per un gelato al Grom è lunga una ventina di metri.
“No, Jac.. io tutta ‘sta coda non me la faccio”.
“Tanto dobbiamo aspettare l’Ale”.
“No, no… gli andiamo incontro”.
“Guarda, eccolo!”.
I due ragazzi, uno alto, occhi azzurri e un cappello a righe rosse e blu, e l’altro un po’ più basso, con una giacca nera della napapijri e un ciuffo di capelli biondi, camminano verso un terzo ragazzo, riccio con delle scarpe blu, e gli battono il cinque.
“Ciao”.
“Ciao, Ale!”.
“Allora? Dove andiamo?”.
“Ah… non so. Qual è la nostra meta As…? Jac dov’è la Lorenza!?”.
“Bo? Era qui fino ad un momento fa!”.
“Ahahaha!! Se l’avete persa la Sof vi uccide!”.
“Secondo me si è nascosta dentro quel bidone”.
“Jacopo…”.
“ E’?”.
“Zitto e cerchiamola!”.
I tre ragazzi si dividono: uno s’incammina verso l’enorme fontana bianca al centro della piazza, mentre gli altri cercano nei bar.
Un gruppo di bambini rincorre uno stormo di piccioni.
La fila del Grom non diminuisce. A pochi metri dalla gelateria, una ragazza seduta su una panchina dietro una siepe si alza, mette un taccuino nella borsa e urla al ragazzo col cappello a righe:
“Ehi, Brusaaa!! Sono qui!”.

* * *

Di nuovo l’insegnante Paola:

Ce l’hai fatta, ne valeva però la pena!
Complimenti, ne è uscita una bellissima scena narrata con un ritmo vivace.
Brava!

* * *

E Lorenza tira il fiato:

Grazie mille per l’aiuto. 🙂

* * *

Vorrei attirare la vostra attenzione su quest’ultima battuta della discussione. Lorenza ringrazia per l’aiuto. Una delle cose belle del Reportage è, per l’appunto, che tra insegnanti e studenti nasce un sentimento di collaborazione. La correzione non è la premessa a una valutazione: è il lavoro comune per arrivare al testo migliore possibile – o, almeno, a un testo migliore rispetto a quello iniziale.
Così succede che si scherzi, che ci si prenda un po’ in giro, che si esprimano liberamente il disorientamento o la stufaggine, eccetera: ma poi il lavoro viene fatto.
Certo: il testo finale di Lorenza non è perfetto; tutt’altro; ma possiamo dire che Lorenza ha, attraverso la correzione, imparato qualcosa? Io penso di sì.
Tra l’altro, non è privo d’importanza il fatto che gli studenti si leggono (e talvolta si commentano: nel blog, ma anche di persona), e quindi ciascuno può imparare dagli errori e dalle correzioni e dalle riscritture degli altri; e non è privo d’importanza il fatto che gli insegnanti stessi si leggono, e possono osservare ciascuno lo stile di correzione dell’altro. Possono anche trovarsi in disaccordo, proporre soluzioni diverse, valorizzare o criticare punti diversi delle “fotografie”, eccetera.
Questo è istruttivo, mi pare. Per tutti.

Per chi volesse saperne di più, c’è la pubblicazione disponibile gratuitamente in pdf nel sito dell’Iprase (qui). Si può anche chiedere il libro stampato (fino a esaurimento delle scorte), scrivendo ad Antonella Fambri, responsabile della documentazione presso l’Iprase.

8 Risposte to “Come funziona, in pratica, il Reportage fotografico a parole”

  1. Morena Silingardi Says:

    A me sembra un progetto veramente interessante e l’ho segnalato ad alcune mie amiche insegnanti. Io lo propongo ai ragazzi a cui do lezioni di italiano, ma mi manca l’aspetto della correzione collettiva che ritengo particolarmente stimolante. Ho in mente di proporlo agli amici, per una sorta di gioco di scrittura collettivo.

  2. monicaschettino Says:

    ho saputo del progetto tramite una mia docente universitaria; molto molto interessante. L’ho riproposto, per ora, ai miei studenti (universitari e scolastici) per la correzione collettiva delle prove di italiano e per le parafrasi. Aspettiamo di vedere i risultati….
    Mi riservo, l’anno prossimo, di provare a sperimentare qualcosa del genere….GRAZIE!!!!

  3. antprof Says:

    Come sempre, copierò l’idea, si sposa bene con il mio modo di vedere la scrittura a scuola, la parte della correzione è proprio come mi viene spontaneo agire…l’Iprase è una bella risorsa che dovrebbe essere più condivisa sul territorio Italiano… (e meno male che c’è la rete)

  4. fausta68 Says:

    Mi piace molto, un ottimo aiuto anche per chi vuol semplicemente scrivere qualche pensiero personale ……

  5. Francesco Terzago Says:

    Il fatto che in un reportage non si debba ricorrere a metafore, e ad altre forme retoriche, non deve essere una prescrizione – alcuni dei reportage che reputo migliori sono anche, anzi soprattutto, buona letteratura. Non credo che si possa ignorare, ad esempio, l’esperienza del New ‘Journalism’ o di quello ‘gonzo’

  6. Giulio Mozzi Says:

    Francesco: nel basket si vieta di giocare la palla con i piedi, benché il football sia un bellissimo gioco.
    Ovvero: questo esercizio qui, questo “gioco” qui, ha queste regole. Ciò non significa che non si possa, in altre occasioni, giocare diversamente.
    I ragazzi (questo gioco viene praticato nella scuola secondaria) tendono a una scrittura autocentrata, ipercommetaria, multimetaforica, eccetera. Per questo ha senso farli giocare a una scrittura che sia tutto il contrario.

  7. Giulio Mozzi Says:

    Se ci sono insegnanti interessati a fare il Reportage, o ad associarsi a quello attivo a Trento, possono farsi vivi con me (giuliomozzi@gmail.com).

    Da un po’ di tempo, Morena, ci ho una mezza idea di fare un Reportage per adulti, su scala nazionale…

    Intanto, invito a guardare il nostro modello: il Journal intime collectif.

  8. Morena Silingardi Says:

    L’idea del Reportage per adulti la sottoscrivo da subito, sono certa che molti la troverebbero stimolante e io sarei senz’altro tra questi. Sono altrettanto certa che se ne potrebbero vedere delle belle, soprattutto per quello che riguarda la correzione collettiva.

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