Dieci errori tipici degli scrittori principianti

by

di giuliomozzi

Nota: tutto ciò che qui è presentato come errore può essere, in certi casi, vantaggioso espediente stilistico. L’errore spesso non sta tanto nella cosa in sé, ma nel farla senza rendersi ben conto di che cosa si fa. In ogni caso, questi sono errori rispetto a una scrittura-base. Ovviamente nei testi dei principianti non si trovano solo questi dieci errori. Gli esempi, dove non è indicato diversamente, sono di mia invenzione.

1. Commentano il dialogo

“Che strano!”, si stupì il signor Giovanazzi.

E’ evidente che il signor Giovanazzi, se dice “Che strano!”, si sta stupendo.

2. Commentano l’azione

Il signor Giovanazzi accorse velocemente sul posto.

Il verbo “accorrere” contiene, mi pare, l’idea di velocità. Se si vuol rendere l’immediatezza, si scriva: “accorse subito” o “si precipitò” (che contiene però una sfumatura di agitazione).

3. Mescolano discorso diretto e discorso indiretto

“Credi che dovremmo andare subito lì?”, disse il signor Giovanazzi.
Il dottor Bianchi rispose che secondo lui non ce n’era bisogno.
“Ma c’è della gente in pericolo!”, insistette il signor Giovanazzi.
Secondo il dottor Bianchi non c’era nessun pericolo.

4. Dicono dopo quello che succede prima o (più raramente) prima quello che succede dopo

Mario attraversò la strada dopo aver guardato a destra e a sinistra.

E’ evidente che prima si guarda a destra e a sinistra, e poi si attraversa.

5. Fanno frasi che vanno a campi

Camminammo per giorni e giorni senza incontrare anima viva, cercando di consumare ogni giorno non più di un decimo del cibo che ciascuno aveva con sé, nell’ipotesi che l’attraversamento della pianura avrebbe richiesto dieci giorni, poiché Abramo ci aveva detto che ne servivano almeno sei, e tutti sapevamo che Abramo era un camminatore formidabile, del quale si diceva che fosse capace di fare in un giorno la strada che una persona comune compie in un giorno e mezzo, ma al nono giorno ancora non si scorgevano le colline, così che la stanchezza ci cadde addosso come un mantello nero e pesante, dal quale non potevamo liberarci, e potevamo solo maledire Abramo che probabilmente per vanità ci aveva indicato una lunghezza del viaggio troppo breve. [esempio reale]

6. Esagerano con il soggetto “a senso”

Ancora prima di sentire qualsiasi stimolo a rialzarmi, una mano mi afferra vicino alla spalla destra e mi solleva forzandomi da sotto l’ascella. [esempio reale]

Dove, a rigore, il soggetto di “sentire” è “una mano”.
(Errore aggiuntivo: il personaggio sentì o non sentì uno “stimolo a rialzarsi”? Risposta: no, perché fu sollevato prima. E allora, perché nominare gli “stimoli a rialzarsi”?).

Mariuccia entrò in cucina senza salutare nessuno. La madre le chiese come stava ma non rispose. Mangiò in fretta. Si alzò e andò in salotto a guardare la tv. [esempio reale]

Leggendo le righe seguenti si scopre che fu la madre ad andarsene in salotto. Resta il dubbio su chi fu a mangiare in fretta.

7. Esagerano nelle indicazioni di tono nel dialogo

“Ciao, ragazze”, salutò Erminia entrando di corsa.
“Ma guarda chi si vede!”, esclamò Ginevra atteggiando la faccia a supremo stupore.
“Eh, chi non muore…”, commentò sottovoce, malignamente, Nasturzia.
“A morire si fa sempre in tempo”, bofonchiò Lapilla masticando la sua eterna gomma.
“Proprio una bella accoglienza!”, replicò Erminia mettendosi le mani sui fianchi.
“Ma insomma, sei sparita nel nulla per settimane…”, argomentò Ciccina con fare pretesco.
“Per nove settimane e mezza”, puntualizzò Deborella con un sorrisetto allusivo.
Ecc.

8. Abusano di frasi nominali

Fi. Ca. La. Sua. La sua. La, fica. La sua fica. La, la. Fi, fi. Sua. La, sua. [esempio reale]

Aggravante: palese tentativo di imitare l’incipit di Lolita (vedi).

9. Anziché mostrare o raccontare, rimandano a una generalità

Quando fu fuori dall’ufficio, e si rese conto della realtà della situazione, Adelmo cedette. Si sentiva come uno di quegli uomini che dopo aver tanto lavorato ed essersi sacrificati per la famiglia, un bel giorno tornano a casa e trovano la casa deserta, non più la moglie, non più i figli, gli armadi svuotati. [esempio reale]

Ovviamente Adelmo non è stato piantato dalla moglie. E’ stato battuto da un collega nella competizione per un certo incarico.

10. Vanno a capo casualmente, ci vanno troppo, non ci vanno mai

Alla fermata del tram un signore e una signora di mezza età si scambiano impressioni sul tempo. Lei: “Freddo anche oggi, eh?”. Lui (alzando il bavero del cappotto): “Ah, sì!”. Lei: “Dicono che martedì nevicherà”. Lui (guardando l’orologio): “Già”. Lei: “Basta che non ghiacci! Ho sempre paura di cadere sul ghiaccio!”. Lui, inarcando un sopracciglio: “Eh”. Lei: “E se andassimo a sciare sabato?”. Lui, stringendosi nelle spalle: “Mhm”. Qualche secondo di silenzio. Arriva il tram. I due salgono. [esempio reale, da un esercizio scolastico]

La vide.
Era lei.
Era proprio lei.
Camminava con leggerezza.
Camminava spedita.
Camminava con la leggerezza e la speditezza dei suoi sedici anni.
Camminava.
Gli veniva incontro.
Il suo passo inconfondibile.
La sua bellezza abbagliante.
Si nascose dietro una colonna del portico.
Gli passò accanto.
Sfiorava appena l’acciottolato.
Il cuore batteva a mille. [esempio reale]

Dove si presenta anche l’errore numero 6. (Nota: il romanzo è tutto così).

233 Risposte to “Dieci errori tipici degli scrittori principianti”

  1. massimocassani Says:

    Sento che mi sta venendo il blocco. Mi sta venendo, lo so. Ecco mi è venuto.

  2. Giuliana Salerno Says:

    “Lo sblocco dello scrittore” è un buon titolo per un corso di scrittura
    🙂

  3. Allegria di nubifragi Says:

    Regole interessanti e da seguire. Tuttavia non penso sia facile accorgersi di questi errori.In ogni caso, li terrò da conto nei miei tentativi di scrittura.

  4. aquanive Says:

    Reblogged this on Scarabocchi and commented:
    Di nuovo, me lo appunto per leggerlo meglio, con calma…

  5. Lucio Angelini Says:

    Ti va di correggere questo delizioso tema (“Una gita”)?

    TEMA: UNA GITA.

  6. giuliomozzi Says:

    Mi par lavoro inutile, Lucio. Credo che a quella classe siano già state consegnate le pagelle.

  7. Filippo Albertin Says:

    I primi due errori — cioè le prime evidenziazioni su ciò che non si deve fare — mi sembrano, più che altro, promemoria su un concetto di base: non ripetere due volte la stessa cosa (a meno che ovviamente la ripetizione non sia strettamente necessaria).

    Al n. 3 — Leggendo, però, come lettore non ho l’impressione di un errore. Ho l’impressione di una sostanziale diversità tra l’uno e l’altro soggetto che dialogano. Quindi (parlo per me, eh) un dialogo di questo genere mi induce ad avere una percezione diversa dei due: più introspettiva per quello che parla e viene citato indirettamente, molto meno per quello che parla e viene citato direttamente.

    Al n. 4 — Leggendo, però, come lettore non ho l’impressione di un errore. L’impressione che ho è che il protagonista dell’azione veda quel guardare a destra e a sinistra come un flashback. La cosa mi sembra, potenzialmente, interessante. (Che poi in un determinato contesto questo sia un errore, è, credo, un altro paio di maniche.)

    Al n. 6 — Il soggetto “a senso” penso debba avere, almeno, un senso. Se c’è ambiguità, il soggetto a senso non può avere un senso. Bisognerà pure ripeterlo al malcapitato lettore.

    Al n. 8 — L’esempio reale che proponi è, banalmente, fastidioso e illeggibile, indipendentemente dall’errore commesso.

    Al n. 10 — In effetti, andare a capo è un gesto molto significativo. Se un gesto significativo viene fatto a caso…

    Tutti questi esempi, però, indipendentemente da quello che mi sono permesso di dire (come lettore, ovviamente, ci tengo a sottolinearlo), sono estremamente utili, perché costringono in qualche misura a riflettere sulla necessità di una revisione del testo, di un tornare sui passi, di un rivedere sotto altra luce.

  8. NoraMarchini Says:

    leggo e penso : improvvisarsi o ritenersi scrittori sono due diverse forme di presunzione, ma anche di egocentrismo.

    Non tutti ci riescono bene, evidentemente.

  9. Alessandro Greco Says:

    Esempi calzanti e utili, sintetizzabili in “gli aspiranti non leggono” o “leggono spazzatura”.

  10. giuliomozzi Says:

    Alessandro, non condivido.

  11. Adam Calrk Says:

    Grazie per gli ottimi suggerimenti, davvero utili.
    Solo un piccolo dubbio…

    [Mario attraversò la strada dopo aver guardato a destra e a sinistra]

    personalmente, non lo trovo in contrasto con l’evidenza di “guardare prima di attraversare”, anzi! Sottolinea la premurosità di Mario nel compiere quell’azione.

    Al contrario:
    [Mario guardò a destra e a sinistra e (poi) attraversò la strada]

    verrebbe a creare un’esagerazione inutile dell’azione, in quanto
    è evidente che prima si guarda a destra e a sinistra, e poi si attraversa.

    Potrebbe essere:
    [Mario attraversò la strada.]

    Ma così l’autore non non riuscirebbe a sottolineare la premurosità di Mario.

    Credo che l’unica alternativa ovvia (secondo me), potrebbe essere:
    [Mario guardò a destra e a sinistra e attraversò la strada]

    (senza: “poi” attraversò la strada).
    Ma in questo caso (secondo me) si fondono i due distinti momenti dell’azione, in un unico momento.

    Non vorrei risultare “saputello”, non è mia intenzione e non sono all’altezza. Vorrei davvero solo capire questo punto, poichè lo uso spesso.
    Grazie per la risposta.

  12. Alessandro Greco Says:

    A me, Giulio, pare si tratti di errori talmente banali, in alcuni casi in particolare (7 e 10 su tutti), che l’impressione è quella di cui al mio commento precedente.

  13. librini Says:

    Leggendo gli esempi qua sopra, li capisco e li condivido. Un altro discorso è applicarli a quello che scrivo io. Mamma mia, quanto devo lavorare ancora…

  14. giuliomozzi Says:

    E io, Alessandro, ho visto persone intelligenti e colte che, alle loro prime prove, facevano errori di quel tipo.

    Il titolo del mio articolo dice: “scrittori principianti“.

    g.

  15. Filippo Albertin Says:

    Mi permetto di dire che, se gli aspiranti “leggono spazzatura”, significa che qualcuno ha ritenuto opportuno pubblicare spazzatura; e se si pubblica spazzatura, penso anche di poter facilmente dire che sarebbero in molti a desiderare di scrivere questa spazzatura per poi pubblicarla.

    Più attendibile la prima affermazione: gli aspiranti non leggono. Anche se non credo che basti leggere — leggere “da lettori”, intendo — per recepire regole e buone prassi. Migliore sarebbe a mio avviso un’affermazione del tipo: gli aspiranti non ri-leggono criticamente ciò che hanno letto e apprezzato da semplici lettori.

  16. Alessandro Greco Says:

    Per carità, Giulio. Non ho dubbi in merito, viste le centinaia di manoscritti che ricevi.

  17. Alessandro Greco Says:

    Filippo, la mia era una sintesi “estrema”. Condivido pienamente il tuo “gli aspiranti non ri-leggono criticamente ciò che hanno letto e apprezzato da semplici lettori.”

  18. giuliomozzi Says:

    Adam, all’inizio ho scritto: “tutto ciò che qui è presentato come errore può essere, in certi casi, vantaggioso espediente stilistico”. Ad esempio,

    Mario guardò a destra. Guardò a sinistra. Attraversò la strada

    è certamente un errore da un certo punto di vista (sminuzza un’azione semplicissima: a che pro?), ma potrebbe anche starci se si trattasse, che so, dell’ultima azione d’una storia minimalista. E poi, prova a pensare:

    Mario guardò a destra. Guardò a sinistra. Attraversò la strada. L’autobus lo travolse.

    Non ci sta a puntino, in questo caso, lo sminuzzamento? O addirittura:

    Mario guardò a destra. Guardò a sinistra. Attraversò la strada. Il rinoceronte lo travolse.

  19. giuliomozzi Says:

    Scusate, Alessandro, Filippo, ma: quale conoscenza avete degli “aspiranti”, per fare affermazioni come quelle che fate?

    Io mi smazzo centinaia di opere inedite, sono in contatto con decine di “aspiranti”; e non mi azzarderei mai ad affermare che “gli aspiranti non ri-leggono criticamente ciò che hanno letto e apprezzato da semplici lettori”.

  20. Filippo Albertin Says:

    L’ultimo esempio conferma quella che potrebbe essere la regole delle regole: valutare ogni singola scelta in relazione al contesto. (Da questo punto di vista, il signor Veneranda sarebbe un pessimo scrittore.)

  21. Andrea D'Onofrio Says:

    Condivido le considerazioni di Filippo Albertin ma, credo, che Giulio abbia già risposto nella nota.
    Non sono errori di per se, lo diventano per uso inconsapevole.

  22. Filippo Albertin Says:

    Ma infatti io non giudicavo la popolazione degli aspiranti scrittori (anche se ti posso assicurare che di aspiranti attori ne ho conosciuti molti, e facevano errori molto, molto simili, sia pure in un contesto diverso).

    E poi io commentavo solo una frase/affermazione di Alessandro, rendendola, come dire, più attendibile e (ehm) contestualizzata, ma sempre sulla base di sé stessa. Non per niente Alessandro ha confermato che la sua sintesi — magari sbagliatissima, magari lontana anni luce dal reale — voleva intendere quello che ho inteso io dipanandola.

    Più che un discorso sugli aspiranti, però, mi sembrerebbe utile un discorso sugli errori, e, appunto come suggerito, sul loro essere e non essere errori a seconda del caso.

  23. snoopyhood Says:

    Reblogged this on La Coperta Azzurra.

  24. giuliomozzi Says:

    Ma allora, se non parla degli aspiranti, di chi parla la frase: “Gli aspiranti non ri-leggono criticamente ciò che hanno letto e apprezzato da semplici lettori”?

  25. barbara Says:

    La perfezione formale non costituisce assolutamente un marchio di qualità: la letteratura è una forma d’arte. Molto spesso un bravo dattilografo muove le dita più velocemente ed efficacemente di un pianista…

  26. Marisa Salabelle Says:

    Bazzicando blog e concorsi in rete mi è capitato di leggere testi di aspiranti scrittori e riconosco buona parte degli “errori” segnalati da Giulio. In parte penso che dipendano da incompetenza: alcune persone candidamente confessano di non leggere niente, di non aver mai scritto niente prima del romanzo che hanno buttato giù in quindici giorni e nel quale, per l’appunto, è possibile riscontrare certe improprietà linguistiche e stilistiche. Altre volte l’aspirante autore desidera acquisire uno stile che lo contraddistingua e ingenuamente incorre negli errori tipo quelli segnalati al numero 2 e al numero 7. Per quanto mi riguarda, trovo l’eccesso di frasi nominali particolarmente esasperante. Va detto tuttavia che se leggiamo un certo tipo di gialli o thriller di successo notiamo che lo stile nominale imperversa. Il quesito che vorrei porre però è un altro: è chiaro che si deve scrivere correttamente, è chiaro soprattutto che si devono possedere gli strumenti essenziali della scrittura, ma quand’è che una scrittura personale smette di essere “sbagliata” e diventa “lo stile inimitabile dell’autore”? A chi è permesso sganciarsi un po’ dalle regole grammaticali e a chi no? Mi riferisco in particolare all’esempio 5, che viene riportato da Giulio come errore ma che secondo me non è affatto scorretto, è un po’ faticoso ma leggibile, e potrebbe essere il risultato di una scelta ben precisa dell’autore, criticabile o meno. In altre parole, l’aspirante scrittore deve fare “un tema”, e solo chi è già affermato può permettersi qualche sgarro?

  27. Carlo Capone Says:

    Le raccomandazioni di scuola vanno ascoltate e fatte proprie, if possible. Ma appena si mette penna su carta scordatevele e fate a capa vostra.
    Mi scuso con Giulio ma la penso così.

  28. vbinaghi Says:

    Giulio, non sono daccordo sulla 3.
    Chiaro che tutto può essere usato pedestremente, ma mischiare discorso diretto e indiretto può servire a focalizzare l’attenzione su poche battute di una conversazione che non si vuole registrare puntualmente. Io lo faccio, per dire.

  29. barbara Says:

    Brava Marisa: ritengo che piacevolezza sia l’unico fine da preseguire quando si crea qualcosa da proporre al lettore, e “il fine giustifica i mezzi”. Un bel temino, magari corretto ma scontato (anche linguisticamente) non piace a nessuno. Neppure a scuola.

  30. giuliomozzi Says:

    Barbara, a me pare che la perfezione formale garantisca appunto la qualità (non la bellezza). E’ una questione di termini, se si vuole, ma a me pare una questione di sostanza: come ho cercato di argomentare qui.

    Carlo: ho scritto nella nota iniziale: “In ogni caso, questi sono errori rispetto a una scrittura-base”.

    Marisa: “quand’è che una scrittura personale smette di essere ‘sbagliata’ e diventa ‘lo stile inimitabile dell’autore’? A chi è permesso sganciarsi un po’ dalle regole grammaticali e a chi no?”.
    Alla prima domanda rispondo: quando si forma un consenso intersoggettivo (sul fatto che quello sia lo stile peculiare dell’autore). Alla seconda rispondo: è permesso a tutti (tanto, poi, gli altri leggono e decidono se la cosa è riuscita o no).

    Ancora Marisa: “In altre parole, l’aspirante scrittore deve fare ‘un tema’, e solo chi è già affermato può permettersi qualche sgarro?”. Ho già risposto, ma aggiungerei (ed è anche un po’ un supplemento di risposta a Barbara): uno che non sappia fare due vasche in piscina, sarà in grado di attraversare la Manica a nuoto?

    Valter: sono d’accordo. Infatti ho scritto nella nota iniziale: “L’errore spesso non sta tanto nella cosa in sé, ma nel farla senza rendersi ben conto di che cosa si fa”.

  31. Marco Says:

    Però gli esempi bisognerebbe pescarli da autori pubblicati (dai famosi gialli, thriller, etc. che sarebbero l’origine di ogni male, secondo quanto spesso mi sembra di aver sentito dire in dibattiti come questo), perché questi esempi, così come sono fatti, è troppo evidente che siano esempi di brutta scrittura.

    E’ brutta scrittura soprattutto perché non c’è carattere, non parlano di niente di preciso. Questo penso. Poi che certe forme verbali siano meglio di altre, o altro della serie, questo è giusto. Ma quando c’è qualcosa di preciso che si sta cercando di dire, un punto che si vuole portare alla luce, se c’è questo, allora è diverso. Una prosa rozza con personalità è una prosa con personalità.

    L’errore di chi valuta è cercare la personalità nella prosa e non in ciò che la prosa sta cercando di portare alla luce.

    (Così ho detto tutto quello che volevo dire e buona notte al secchio)

  32. Antimisia Says:

    Niente di personale, ma sono più cervellotiche e incomprensibili le indicazioni che i presunti errori. Lei sarà un celebre scrittore, visto che può dare consigli ai “dilettanti”, ma se quando scrive usa gli accorgimenti che ha così dottamente enumerato, non credo che leggerò mai un suo libro, nemmeno sotto tortura.
    Senza offesa! 🙂
    Ad maiora!

  33. giuliomozzi Says:

    Eh, Marco, il guaio è che io non credo che i famosi gialli, thriller eccetera siano l’origine di ogni male.

    Antimisia, non è necessario essere “celebri scrittori” per dare consigli. Può darli chiunque.

    (Ah: io ho parlato di “principianti”, non di “dilettanti”).

  34. manu Says:

    @tutti: dieci conversazioni… / dieci risposte (che non condivido)… / 10 buoni motivi… / dieci errori tipici…

    a chi verrebbero dieci incipit di dieci righe sul numero 10 in dieci minuti?

  35. giuliomozzi Says:

    Si sa che la gente dà buoni consigli
    – sentendosi come Gesù nel tempio -,
    si sa che la gente dà buoni consigli
    se non può dare cattivo esempio.

    (vedi)

  36. Antimisia Says:

    @giuliomozzi
    Infatti è questo il problema: spesso dà consigli anche chi non ha titolo per farlo.
    (Ah! Se lei ha un libro dei sinonimi, può controllare che i termini “dilettanti” e “principianti” concettualmente si equivalgono. Ma sono certo che questo lo sa di Suo! 🙂 )

  37. Marisa Salabelle Says:

    Ammettiamo però che il nostro faccia egregiamente le sue due vasche e voglia avventurarsi nel Canale della Manica… Certo, sono d’accordo: chiunque può trasgredire e sarà poi chi legge a dire se la trasgressione ha avuto buon fine o no. Però a volte ho questa sensazione, che se tu non sei Il Famoso Autore, e per esempio usi un discorso indiretto libero o una punteggiatura leggermente difforme, chi ti legge non dice “Guarda, non condivido questa scelta, forse sarebbe stato più efficace…” ma alza il ditino rimbeccandoti: “Punteggiatura sbagliata! Non si può introdurre il pensiero di un personaggio senza apporre i necessari segni d’interpunzione!” E tu, che magari sei laureato in lettere e insegni italiano da una vita, ti trovi come uno scolaretto a dover giustificare una scelta che ti pareva plausibile, magari efficace, magari ardita… insomma: spesso lo scrittore dilettante è un semianalfabeta che incorre in errori grossolani, ma certe volte no.

  38. Giacomo Verri Says:

    Grazie!

  39. mauro mirci Says:

    E il famoso infodumping?

  40. Fedelma Says:

    Non che prima di leggerla mi sentissi una scrittrice, anzi. Sono ipercritica da far schifo anche a me stessa e lungi da me l’idea di saper scrivere in modo degno. L’ideale da raggiungere e l’emozione di poter giungere in porto prima o poi saranno miei sempre, forsanche protetti dall’innocenza e dalla semplicità di quel cassetto in cui si chiudono i desideri; l’obiettività di valutare le mie capacità e le mie potenzialità sono altro.
    Sto prendendomi cura di un romanzo da circa un anno (ho tempi estremamente lenti per la succitata incapacità di saper scrivere) e almeno la metà degli errori che ha citato sono anche i miei errori. E assicuro a lei e Alessandro e Filippo e agli altri che mi rileggo, mi scruto tra le righe con maniacale attenzione. Eppure qualcosa sfugge, non per distrazione, io credo, ma per diasbitudine a ragionare con mente scevra dalle inflessioni proprie del nostro vivere. Perché se io rafforzo un concetto, come lei fa nell’errore 7, lo faccio sovente perchè nella mia testa io così mi esprimerei, caricherei le parole di espressione facciale, di tono vocale, di emozione che si manifesta anche in linguaggi non verbali che, a livello scritto, devo descrivere e non sempre il concetto espresso rispecchia quello che abbiamo ipotizzato; spesso, con le “aggiunte da principianti”, invece di dare enfasi, distraiamo chi legge con altre informazioni che non fanno altro che crollare la potenza espressiva della nostra idea.
    Siamo energia nuova che va incanalata, con pazienza e dedizione. Con taaaanta calma anche. Siamo qui per imparare e creare la nostra personalità di scrittori, se mai lo diventeremo, o semplicemente realizzare una parte di noi attraverso la parola.
    Grazie per il post illuminante.

  41. Filippo Albertin Says:

    Ma sì, parla degli aspiranti. Ma degli aspiranti secondo Alessandro Greco. Attenuavo la sua frase proponendone una versione più ampia, da lui accettata.

    A questo punto sarebbe il caso di descrivere gli aspiranti secondo Giulio Mozzi.

  42. giuliomozzi Says:

    Antimisia, Antimisia. Secondo il Sabatini-Coletti, che è anche consultabile in rete,
    dilettante è “chi pratica un’attività, si dedica a uno studio non per professione ma per amore della cosa in sé o per passatempo” (vedi),
    principiante è “chi inizia un’attività, un’arte, una professione ecc. e quindi ha poca esperienza” (vedi).
    Quindi quello che tu hai scritto, ossia che “i termini ‘dilettanti’ e ‘principianti’ concettualmente si equivalgono”, non è vero.
    (Ah: il Sabatini-Coletti è autorevole).

    Marisa: guarda, a giorni sarà in libreria un romanzo del quale ho pubblicati in vibrisse alcuni estratti, per la pubblicazione del quale mi sono battuto, del quale ho curato l’editing. Dacci un’occhiata (qui). E poi dimmi se riesci a immaginarmi nei panni di quello che normalizza, normalizza, normalizza.

  43. Librolandosi Says:

    Ciao carissima!

    E vogliamo parlare delle “strizzatine d’occhio” ad opere e autori famosi un po’ troppo evidenti e della “punteggiatura a spaglio” (virgole, punti etc. messi dove, quando e, soprattutto, SE! capita!)?

    Ottimo lavoro!

    A presto!

    Con simpatia!

    Riccardo

  44. Marisa Salabelle Says:

    Non metto in dubbio, Giulio, il tuo lavoro di talent scout né la tua passione per tutto ciò che è stravagante, trasgressivo e “non normalizzato”; il mio commento era più generale, rivolto a chi nell’esordiente vede sempre e comunque un analfabeta importuno: cosa che, ripeto, certe volte è vera ma certe altre no; in fin dei conti, tutti quelli che pubblicano o hanno pubblicato libri sono stati a loro volta esordienti.

  45. Filippo Albertin Says:

    Ok, ok. Però il termine principiante ha una comune connotazione piuttosto spregiativa. Idem dicasi per dilettante. Penso che, a parte qualsiasi corretta definizione da dizionario, la cosa non possa essere dimenticata.

    Potremmo usare apprendista.

  46. Antimisia Says:

    Questo è l’ultimo commento che Le lascio perché vedo che la polemica sta diventando veramente sterile e ridicola e che, come non era difficile capire, non la ritengo persona più indicata per dare consigli (e nemmeno esempi, anche se cattivi… a proposito di “Bocca di Rosa”). Ma questo è solo il mio modesto parere. La distinzione che lei riporta è assolutamente pretestuosa, visto che tra l’altro ha dovuto adoperarsi non poco per andare a cercare una definizione che Le desse ragione. Almeno avrà avuto uno stimolo per arricchirsi! Il significato non cambia e soprattutto non era assolutamente rilevante rispetto alla mia affermazione. Però capisco che a qualcosa bisogna attaccarsi per avere ragione! Il fatto che non ci sia riuscito… Beh! Anche questo non mi stupisce.
    Un caro saluto e buona fortuna con le Sue illuminate lezioni 🙂

  47. Antimisia Says:

    Ah! Dimenticavo!
    Sono onorato della Sua visita al il mio modesto blog! 🙂

  48. Antimisia Says:

    ERRATA CORRIGE
    Sono onorato della Sua visita al mio modesto blog!
    🙂 🙂 🙂

  49. Filippo Albertin Says:

    Scusate, ma questo tanka mi è venuto di getto. Mi perdonerete, vero?

    Ergo Antimisia
    non è donna come il suon
    intenderebbe,
    ma polemico maschio
    che il suo pensier difende.

  50. lamerikano Says:

    utile

  51. saravisentin Says:

    E’ strano postare qualcosa alle 20.40 quando il post prima del tuo segna le 21.20 dello stesso giorno. O forse è solo che ho la febbre.
    Io mi definisco una lettrice semiprofessionista, da anni oramai leggo una decina di volumi al mese, scegliendo alternativamente tra i classici e i contemporanei, quindi direi che sono una che legge. A volte cerco anche di scrivere, ma tutto quello che leggo non mi è di nessun aiuto. Questo per sottolineare come non sempre il problema degli aspiranti scrittori sia la mancanza di lettura o di rilettura, o l’incapacità aprioristica di scrivere. conosco bene le regole della grammatica e della sintassi, ho avuto modo di appropriarmi anche di qualche importante eccezione (i famosi scrittori che hanno potuto inventare un linguaggio nuovo, diverso, al di sopra delle regole). Il problema vero secondo me è che definirsi aspiranti scrittori è una cavolata. Uno o scrive o non scrive, non aspira a scrivere, perchè quando aspiri a scrivere sei talmente preso a cercare di dire qualcosa di potenzialmente interessante nel modo migliore che i dieci errori citati da Mozzi sono solo i primi di moltissimi altri.
    Io ho rinunciato, e leggo. Ogni tanto mi esce qualcosa che mi sembra buono, ma mi sono convinta sia solo un caso.

  52. Andrea D'Onofrio Says:

    “Questo è l’ultimo commento che Le lascio perché vedo che la polemica sta diventando veramente sterile e ridicola e che, come non era difficile capire, non la ritengo persona più indicata per dare consigli (e nemmeno esempi, anche se cattivi… a proposito di “Bocca di Rosa”).”

    Questa è bella. L’esordio di Antimisia è un accusa di incapacità al “celebre scrittore” ma lei – che è per le polemiche costruttive – lascia, perchè? Perchè la polemica di Giulio Mozzi sta diventando sterile dopo l’enormità di :

    1. una citazione dal dizionario
    2. una da De Andrè.

    Pare il Brunetta della peggior Italia!

  53. Fuffi Says:

    Ciao Giulio,
    quali sono stati gli autori, finora, che hanno avuto il privilegio di pubblicare in Einaudi dietro tuo prezioso consiglio e lavoro di talent scout?

  54. enricoelulu Says:

    Utili consigli. Avrei voluto partecipare al corso di scrittura e narrazione, e se lo scrivo vuol dire che non ho potuto farlo.
    Chissà in quanti di questi errori incorro, scrivendo i miei racconti brevi-brevissimi…

    Buon tutto!
    Lu

  55. Antonio Says:

    Domanda:
    se capita di imbatterti in alcuni errori di questo tipo nella lettura delle prime pagine dei manoscritti che ti arrivano, ti è sufficiente per capire che è meglio mettere da parte il testo e passare a qualcos’altro di più interessante?
    Grazie

  56. pensierioziosi Says:

    Sono quasi trent’anni che suono il piano, senza che ciò abbia a che fare con le mie attività professionali né regolari né occasionali.

    Sarò bene una pianista dilettante senza dover essere una pianista principiante.

    P.S. All’improvviso mi sento terribilmente vecchia…

  57. paolo Says:

    molti di questi errori sono di gente che non sa scrivere, e si trovano fra i principianti e i non principianti.

  58. amoleapi Says:

    grazie grazie grazie;

  59. amoleapi Says:

    (che non si pensi male, non pr polemizzare ma per lasciare un commento a tema, o si dice in tema?) 😀

  60. Filippo Albertin Says:

    Da pianista, mi permetto di rispondere a pensierioziosi. Non sei, in questo caso, né una dilettante né una principiante. Si tratta solo di capire se suoni decentemente. Ora, se è trent’anni che suoni, credo che il tuo output musicale sia almeno gradevole: se così non fosse, ti avrebbero già segato le mani.

  61. mauro mirci Says:

    @ Filippo Albertin.
    scrivi che principiante ha una connotazione piuttosto negativa. Quindi tutti i neo patentati con la P sul lunotto posteriore hanno una patente di discredito. E io, che sto iniziando a occuparmi ora ora di giardinaggio (sono in principio, quindi un principiante), dovrei smettere in difesa del mio amor proprio.
    “Idem dicasi per dilettante”. Sul significato ha già scritto Mozzi. Mi pare chiaro. Più o meno, il dilettante fa una cosa perché gli piace. Il termine non include un orizzonte temporale. Si può praticare uno sport (o suonare uno strumento – male o bene) per anni, e rimanere dilettanti lo stesso, per il semplice motivo che lo si fa per diletto e senza che sia la propria professione. esistono buoni dilettanti e cattivi diletanti, così come esistono buoni e cattivi professionisti. Dilettante e principiante hanno accezione negativa solo se rivolti a professionisti che, si suppone, siano esperti. “Caro Mauro, scrivi come un dilettante”, non ha accezione negativa, perché per campare faccio un mestiere diverso dallo scrivere. “Caro Filippo, suoni come un dilettante”, per te che ti definisci pianista, e immagino suoni guadagnandoci sopra qualcosa (se non è possa essere, come si dice qui da noi), avrebbe un’accezione negativa.
    Tanto è.
    A dire la verità, talvolta ho come la sensazione che i commenti di questo blog abbiano un contenuto psichedelico.

  62. Alessandro Greco Says:

    Rieccomi, Giulio e Filippo.
    Giulio, collaboro con una piccola casa editrice e il numero di manoscritti che ricevo è assolutamente modesto, imparagonabile alla mole di lavoro che immagino tu ti “smazzi”.

    Sulla base della mia piccola esperienza e, naturalmente, su alcune impressioni soggettive, mi pare di poter affermare quanto già detto, e cioè che buona parte degli aspiranti non legge. Con “non legge” intendo proprio non legge libri o se li legge legge spazzatura.
    Filippo faceva giustamente notare che “se esistono libri spazzatura è colpa di chi li pubblica” ed io concordo con lui, ma non mi sembra il nocciolo della questione (fermo restando che quella che io giudico spazzatura, e voglio fare un esempio concreto: Fabio Volo) per altri può essere l’eccellenza) anche se a mio avviso la spazzatura esiste e a pubblicarla non sono (solo) le piccole case editrici.
    Tornando sul pezzo, invece, sostengo che almeno un paio dei punti dell’elenco sono sintetizzabili in “gli aspiranti non leggono”. Non leggono perché se leggessero (con attenzione, cercando di cogliere il meglio dai “grandi”) noterebbero immediatamente che un dialogo:
    “Come stai?”, disse Mario.
    “Insomma, tu?”, rispose Luigi.
    “E, così così”, replicò Mario.
    “‘Sta crisi è nera!”, esclamò Mario.
    non può funzionare, eppure i manoscritti (almeno quelli che ricevo io) sono zeppi di questi errori (che tu – dico a Giulio – poni al punto 7).

    Che dire, la mia impressione, leggendo l’elenco, è stata questa ma non è mica una verità assoluta.

    Ps chiudo con una nota fuori tema ma “divertente”: ho ricevuto un manoscritto, qualche giorno fa, di 300 pagine word interamente scritto in maiuscolo.
    In minuscolo c’erano solo le lettere accentate.

  63. giuliomozzi Says:

    Artimisia, scrivi: “La distinzione che lei riporta è assolutamente pretestuosa, visto che tra l’altro ha dovuto adoperarsi non poco per andare a cercare una definizione che Le desse ragione”.
    “Adoperarsi non poco”? Suvvia, ho solo fatto quello che tu mi hai suggerito: ho consultato il dizionario. Ci ho messo qualche secondo.

    Filippo: apprendista è “chi impara un mestiere e riceve una qualifica lavorando in un laboratorio artigianale o in una fabbrica” (sempre il Sabatini-Coletti, qui). Sicuramente non è quindi un dilettante (perché è in una situazione professionale), probabilmente è un principiante (ma ci sono anche i principianti che non vanno a bottega).

    Antonio, scrivi: “se capita di imbatterti in alcuni errori di questo tipo nella lettura delle prime pagine dei manoscritti che ti arrivano, ti è sufficiente per capire che è meglio mettere da parte il testo e passare a qualcos’altro di più interessante?”.
    Se ne trovo proprio tanti, tipo una dozzina per pagina, sì.

    Alessandro, ora scrivi: “buona parte degli aspiranti non legge”. Prima avevi scritto: “gli aspiranti non leggono”. Sono due cose diverse. L’affermazione attuale concerne una parte (“buona”: ovvero consistente, rilevante, importante; non necessariamente maggioritaria) degli aspiranti. L’affermazione precedente, che non conteneva nessuna formula di limitazione, poteva concernere solo tutti.
    Con quello che dici ora son d’accordo. Con quello che dicevi prima no.

    Se esistono libri-spazzatura è perché c’è chi li legge. Ma forse potremmo capirci meglio se chi parla di libri-spazzatura spiegasse meglio che genere di libri intende. Magari facendo degli esempi.

  64. Alessandro Greco Says:

    Giulio, certo “buona parte”.

    Quanto ai libri spazzatura il mio esempio l’ho già citato. Non mi sono dilungato perché questo in tuo articolo il tema sono gli errori degli aspiranti scrittori e non volevo andare fuori tema più di tanto. Che ci sia un mercato di lettori di quella che io reputo spazzatura è evidente. Voglio precisare che non ho pregiudizi nei confronti di Fabio Volo. Reputo i suoi libri spazzatura dopo essermi preso la briga di leggerne due. Reputo spazzatura, e qui ammetto di aver pregiudizi derivanti probabilmente dalla lettura di Fabio Volo, tutti i be(a)st seller costruiti a tavolino, scritti (o firmati?) da autori-brand quali appunto i Volo, i Cassano, Ibrahimovic, Veline, BruniVespe, Clerici, Parodi nani e ballerine. Tutti “libri” che vendono milioni di copie.

  65. Marco Says:

    Sì, che è quello che ho detto io… Però nel fare l’elenco che si elenchino libri anglossassoni e stranieri o libri italiani di successo…

  66. Marco Says:

    … per piacere!

  67. salinaversosud Says:

    Post interessante.
    Credo sarà molto utile non solo per gli scrittori in erba, ma anche per chiunque intenda scrivere senza pretese.
    In fondo, la scrittura è comunicazione e l’ obiettivo della comunicazione è quello di farsi capire (senza troppe difficoltà, magari!)
    Grazie, Marianna.

  68. wannabe Says:

    Sono uno scrittore principiante e voglio ringraziare Giulio Mozzi per questo post che per me è prezioso. Infatti, rileggendo le ultime cose che ho scritto, mi sono accorto di aver commesso spessissimo l’errore 1: ad esempio, ho scritto “Tizio rispose” per introdurre una battuta di dialogo che è palesemente una risposta, ecc.
    Penso dipenda dal fatto che preferisco sempre enunciare chi sta parlando, specie nelle sequenze di dialogo più lunghe (dove c’è il rischio che il lettore “perda il conto”), e d’altra parte vorrei trovare dei sinonimi a “disse”, per evitare di ripetere ad ogni battuta “Tizio disse”, “Caio disse”. Ma mi rendo conto che la pezza è peggiore del buco.

  69. giuliomozzi Says:

    Fuffi (Fuffi?): “quali sono stati gli autori, finora, che hanno avuto il privilegio di pubblicare in Einaudi dietro tuo prezioso consiglio e lavoro di talent scout?”.
    La parola privilegio significa: “Diritto, facoltà, vantaggio particolare di cui gode una persona, una categoria o una classe di persone” (sempre il Sabatini-Coletti, qui).
    La risposta quindi dovrebbe essere: nessuno.

    Ho avuto l’onore di essere il primo a leggere, o tra i primi a leggere, Laura Pugno, Mariolina Venezia, Diego De Silva, Tullio Avoledo, Giorgio Falco, Alberto Garlini, Alessandra Sarchi, Vitaliano Trevisan.
    Dopodiché, le opere letterarie di costoro sono state pubblicate perché sono buone opere letterarie; non perché costoro godessero, grazie a me, di un privilegio.
    C’entro un po’ anche in alcuni esordi saggistici: Gilberto Squizzato, ad esempio.
    Certo, i percorsi non sono stati sempre lineari. Quasi tutti questi hanno cominciato con editori piccoli. Come anche Veronica Tomassini, Enrico Macioci, Umberto Casadei ecc., che non hanno ancora trovato un grande editore. Ho avuto che fare (non necessariamente per il primo libro) con autori secondo me assai notevoli, e che tuttavia non riescono ad avere la considerazione che, secondo me, meritano: Giovanni Accardo, Marco Candida, Giacomo Sartori.
    Altri autori sono finiti o passati altrove: Leonardo Colombati in Rizzoli prima e in Mondadori poi, Alberto Garlini per Mondadori prima di arrivare in Einaudi, Antonio Pagliaro che è annunciato in Guanda. In queste cose io non c’entro (ma ne sono ben contento).
    C’è anche qualche caso di autore che ha avuto da me, in qualche caso, una “spinta” non so se decisiva ma comunque di una qualche importanza: e nemmeno lo sa. (Perché a volte ci si consulta segretamente tra dipendenti e consulenti di diverse case editrici, al di là dei vincoli di esclusiva). Per questa ragione non posso fare questi nomi.

    Quello che vorrei si capisse, è che talvolta vi sono percorsi che durano anni. Anni nei quali si parla, si ragiona, ci si scambiano libri, si cresce insieme, e così via. Conobbi Laura Pugno nel 1988, quando non m’immaginavo neanche lontanamente che la mia vita potesse diventare quello che è oggi.

  70. Fuffi Says:

    Grazie della risposta, giulio.
    Ovviamente Fuffi è un nome inventato, il primo che mi è venuto in mente. Uno vale l’altro. La parola privilegio era intesa nel modo in cui l’hai poi spiegata tu, quindi era inappropriata e mi correggo. In effetti detta così dà di “raccomandazione” e non mi riferivo a quello.

    Va bene, allora. Quindi devo smetterla di pensare ad un esordio in stile Licia Troisi o altri boom di vendite (tipo Melissa P, per dirne una a caso). C’è la gavetta, e questo lo sapevo. Ma se un libro di un giovane scrittore, tipo di 25 anni, ti piace tanto, che si fa? La casa editrice spenderebbe soldi per la campagna pubblicitaria in modo tale da assicurare al prodotto un successo “quasi” (non sempre) assicurato? So benissimo che pubblicità non è sinonimo di successo, però, e non so se vergognarmene, degli autori sopra citati non ne conosco manco uno, pur avendo pubblicato le loro opere in Einaudi! Di loro ho il massimo rispetto, s’intende.

  71. DevastaTORO Says:

    http://www.devatatoro.wordpress.com
    Sento il numero 5 e il numero 6 come miei errori, però non riuscirei a concepire un testo senza di essi. E’ lo stream of consciousness che mi porta a commettere questi errori e mi conduce ad un utilizzo incompleto della punteggiatura.
    Al momento della correzione, però, se cambio qualcosa, il ritmo si spezza e l’incantesimo svanisce.
    Forse gli altri non vedono la stessa magia e lo stesso significato, non riescono ad afferrare quel segreto che sta dietro le mie parole.
    Principalmente scrivo per non dimenticare un’idea, un ragionamento, una riflessione, una visione. Ritengo che anche piccoli cambiamenti possano inficiarene la purezza.
    In ogni caso aspetto un vostro giudizio su questo semplice racconto da me scritto, http://www.devastatoro.wordpress.com pubblicato apportando correzioni minime alla stesura avvenuta di getto, sotto l’effetto dei fiochhi di neve notturni!

  72. ziacassie Says:

    sono sconvolta dal mio errore:
    io in genere, prima di attraversare la strada guardo a sinistra e poi a destra…

  73. Francesco Says:

    Dico una banalità, forse: mi piacerebbe vedere (e leggere, ovviamente) qualche pagina di un ‘principiante’ in cui Giulio ha creduto con le correzioni discusse -presumo – e apportate.

  74. prestiti on line Says:

    Non sono una scrittrice per niente, e forse non lo sarò mai, ma mi piace scrivere. Inoltre, sono spagnola, per cui sono dovuta partire da zero per scrivere in italiano, queste regole e consigli mi sono molto utili. Grazie mille, cercherò di essere molto attenta a queste cose.
    Sara M.

  75. enrico Says:

    Da insegnante di scrittura creativa, un poco mi infastidisce la spocchia di chi “trancia giudizi” sui principianti, su chi si approccia (bello il commento di Mauro sul “profilo” di principianti e dilettanti, grazie!) dicendo: “leggono tutti schifezze” e cose di questo genere: chi si mette nella posizione del “non sapere” e in quella del “voler sapere” va rispettato, appoggiato, accompagnato… anzi: chi si avvicina alla scrittura creativa vuole, spesso, anche imparare a leggere, “con occhi nuovi”, e guardando da altre parti; e questo è un elemento della formazione alla scrittura… dovremmo diventare dunque più “rispettosi” degli errori e di chi li compie. Facile essere buoni con le eccellenze. Facile essere “indignados” con i best seller dei calciatori o giornalisti che non sanno scrivere. Forse più difficle è vedere insieme a chi inizia quale sono i loro “vuoti”, ma anche i loro “pieni”, sospendendo il giudizio “complessivo” (scrive da cani!) in una sana epoché…

  76. giuliomozzi Says:

    Fuffi: tra i tanti dattiloscritti che ho ricevuti nel tempo, c’era anche quello di Melissa Panarello. Che lessi, e non proposi a nessun editore. Non perché non ne vedessi le potenzialità commerciali. Ma perché mi pareva che la pubblicazione d’un libro del genere potesse solo far male alla ragazza.

    “Ma se un libro di un giovane scrittore, tipo di 25 anni, ti piace tanto, che si fa?”.
    Lo propongo all’editore. Io sono un consulente: ho potere di proposta, non di decisione. Ovviamente un editore non pubblica un’opera letteraria solo perché piace a me.

    “La casa editrice spenderebbe soldi per la campagna pubblicitaria in modo tale da assicurare al prodotto un successo ‘quasi’ (non sempre) assicurato?”.
    Ma: le campagne pubblicitarie per i libri sono rarissime. La stessa Rcs, ai tempi di “Acciaio”, non ha saputo fare altro che riprodurre ossessivamente la copertina del libro nell’ultima pagina dei suoi house organ (“Corriere della sera” ecc.).
    Si fa spesso promozione (che è tutt’altra cosa dalla pubblicità) per i libri. La differenza fondamentale è che la pubblicità si paga, mentre per fare promozione bisogna cercare, e trovare, la complicità di altri soggetti. E la promozione può anche costare pochissimo (ovvero: costare solo lavoro). Vedi infatti i buoni risultati di promozione che riescono ad avere anche editori assai piccoli e scarsi di risorse (quegli editori il cui bilancio annuale è inferiore al costo di una singola ultima pagina del “Corriere”…).

    “Degli autori sopra citati non ne conosco manco uno”. Sta di fatto che alcuni tra loro hanno vinto premi importanti (Venezia, Campiello), altri sono tradotti in più lingue (Venezia, Garlini, Trevisan, De Silva, Avoledo), alcuni fanno svariate decine di migliaia di copie, eccetera. Voglio dire: non è mica robetta. Al di là sul giudizio sulla bellezza delle loro opere, hanno portato robusti profitti all’editore.

    Ovviamente non devi vergognarti di non conoscerli. Ma se non hai mai sentito nominare nemmeno Vitaliano Trevisan, che tra questi è quello che pubblica da più tempo, che ha fatto più libri (e teatro, e cinema), e che forse rappresenta tra tutti qelli che ho citati il “valore” più sicuro, vuol dire che non hai un’idea precisa di che cosa sia la letteratura italiana “mainstream” del nostro tempo.

  77. giuliomozzi Says:

    Enrico: condivido. Eviterei però anche il luogo comune: “i calciatori non sanno scrivere”.

  78. Filippo Albertin Says:

    Se dico a uno “sei un dilettante”, gli sto dicendo che è [inserire definizione ex dizionario]? Se dico che è un “principiante”, gli sto dicendo che è [inserire definizione ex dizionario]? Suvvia, un po’ di elasticità.

    Ma effettivamente non è questo il tema. Chiamiamoli come vogliamo, abbiamo capito che qui si parla di degnissime persone (e ci mancherebbe altro) che iniziano a fare qualcosa; nello specifico, scrivere narrativa.

    Mi interessa però l’incunearsi dell’argomento “spazzatura”, richiamato da Alessandro Greco. Penso infatti che l’azione indiretta di questo pattume, parziale ma, mi pare, presente, getti una luce nuova — e strana — sul concetto stesso di errore.

    Mi incuriosisce poi questa affermazione del Mozzi: “Se esistono libri-spazzatura è perché c’è chi li legge.” Un libro non penso possa dirsi esistente perché qualcuno lo legge; al limite perché qualcuno lo pubblica. La lettura di un libro-spazzatura che ex post viene valutato effettivamente come spazzatura non mi pare possa incidere sulla sua esistenza. Credo però che stiamo parlando di fenomeni libreschi molto diversi, e che sia appunto questa diversità a generare l’equivoco.

    Per Mozzi un libro è un libro. Per Greco un libro è un prodotto composto da una copertina cartacea e da una serie di fogli stampati. Evidentemente, in libreria, si trovano entrambe le cose: libri-libri, e prodotti di marketing “in forma di libro”. Questi ultimi sono — evidentemente — i “libri personaggio” di cui parlava appunto Greco. Il fatto che questi libri contengano spazzatura (intendo con questo termine qualcosa che sia pieno di errori, e non semplicemente “spazzatura tematica”, visto che anche il messaggio più bieco e incivile può essere espresso nella migliore e più efficace delle forme letterarie) mi sembra abbastanza ovvio: perché massimizzare la qualità di un prodotto che vende senza aver bisogno di alcuna qualità? Mi pare stupido.

  79. Alessandro Greco Says:

    Enrico, perdonami ma se vedi spocchia nel mio affermare che, secondo me, gli aspiranti leggono poco e male o non leggono, è un problema tuo.
    È una mia convinzione, supportata da esperienze, non spocchiosa né offensiva.
    Quanto all’imparare a leggere, mi trovi pienamente d’accordo e sono certo che tu, come docente di scrittura creativa, proponi anche “la lettura attiva e partecipativa”.
    Circa il rispetto “degli errori e di chi li compie” non vedo come tu possa affermare che da parte mia questo manchi.
    Io ricevo dei dattiloscritti che recano errori e non rispondo certo all’autore con “vergognati”.
    Semmai, se riconosco un valore nell’opera, cerco di sistemarli insieme all’autore.
    Inoltre, sarà anche facile prendersela con i best seller dei calciatori ma se Giulio Mozzi mi chiede espressamente cosa intendo per “spazzatura” e io intendo “quella spazzatura”, cos’altro dovrei rispondere?
    Saluti.

  80. Katinkawonka Says:

    davvero interessante!

  81. Alessandro Greco Says:

    Giulio, visto che lo hai citato, approfitto per sottoporre all’attenzione di questo pubblico, qualcosa che più volte ho segnalato altrove ma che, “curiosamente”, viene pressoché ignorato.
    È curioso, infatti, notare come si facciano le pulci (giustamente) agli aspiranti (io stesso nel mio piccolo, anzi, minuscolo, mi infastidisco quando leggo personaggi che si chiamano Marco a pag 3 e Paolo a pag 5) ma non si parli affatto degli strafalcioni presenti nei campioni di vendite.
    Mi riferisco ad Acciaio – Rizzoli.
    Romanzo campione di vendite, tradotto in svariate lingue e candidato a molti premi letterari (vincitore di alcuni).
    Mi pare che l’editor sia Michele Rossi. Non proprio l’ultimo arrivato.
    Bene.
    Premessa doverosa: Acciaio è ambientato nel 2001/2002.
    Bene.
    – Nel romanzo appare una Porsche Cayenne: è del 2003; http://it.wikipedia.org/wiki/Porsche_Cayenne
    – Su una panchina c’è scritto: “Jennifer e Cristiano tre metri sopra il cielo”, ben tre anni prima del boom di Federico Moccia. Tre metri sopra il cielo pur essendo stato pubblicato nel 1992 rimase del tutto sconosciuto fino al 2004, anno in cui Feltrinelli lo ripubblicò;
    – In una scena una ragazza balla la lapdance e i commenti degli avventori sono: “Finirà dritta dritta a Canale 5!”. “Altro che Canale 5, questa la voglio in Parlamento!”. “Ministro! Ministro del welfare!”.
    Ministero che esiste dal 2008/2009.

    Ecco, perché questo non viene additato dagli addetti ai lavori?
    Ne parliamo?
    Non necessariamente in riferimento ad Acciaio, ci sono caterve di esempi. Ne cito solo un altro al volo: Tu sei il male – Roberto Costantini – Marsilio.

    Cito testualmente:
    «In mezzo a quella baraonda, l’uomo coi lunghi capelli neri lisci, il berrettino della Lazio e i grandi occhiali con le lenti scure se ne stava seduto da oltre un’ora per conto suo nell’angolo più buio del locale, accanto ai bagni. Aveva bevuto pochissimo, solo mezza birra. In un sacchetto bianco aveva però due bottiglie chiuse di ottimo whisky, che lui non avrebbe toccato. E nella tasca dei jeans qualche bustina di coca, che non avrebbe sniffato.
    Tirò su il boccale di birra e fece l’occhiolino ai tre connazionali sui diciotto anni che uscivano dal bagno. […]»

    Chiedo: come si fa a fare l’occhiolino con dei “grandi occhiali scuri”?

  82. giuliomozzi Says:

    Filippo: “…abbiamo capito che qui si parla di degnissime persone (e ci mancherebbe altro) che iniziano a fare qualcosa…”.
    Questi sono i principianti. I dilettanti (vedi l’auto-esempio di Pensieri Oziosi) sono un’altra cosa.

    “Un libro non penso possa dirsi esistente perché qualcuno lo legge”.
    Ma certamente un libro che nessuno legge è inesistente.

    Quello che voglio dire è che nel momento in cui ci sono opere che vendono, bisogna pur ammettere che vendono perché qualcuno le compera. E questi che comperano avranno le loro ragioni, i loro motivi, i loro gusti, eccetera.

    Ogni tanto ho l’impressione che chi parla di libri-spazzatura, di libri fatti “a tavolino” (come si fanno direi quasi tutti i libri, praltro), eccetera, riduca il lettore a un fantasma.

    “Per Mozzi un libro è un libro”. Probabilmente è così per chiunque. Per me un libro è un libro, ovvero un oggetto contraddistinto da un codice Isbn, composto di pagine copertina inchiostro colla (e, se va bene, anche filo), prodotto al fine di essere smerciato nel mercato detto appunto librario attraverso distributori, grossisti, dettaglianti, grandi superfici eccetera; recentemente si è affacciata una variante del prodotto detta “libro digitale” (in italiano: ebook): le caratteristiche merceologiche del libro digitale sono però ancora tutto sommato misteriose.

    E’ del tutto insensato parlare del libro solo come di qualcosa che l’autore scrive; o solo come di qualcosa che l’editore produce; o solo come qualcosa il sistema commerciale distribuisce e vende; o solo come di qualcosa il lettore acquista e legge: bisogna ragionare tenendo presenti tutte queste cose insieme (e anche altre, se càpita).

    Ad esempio: parlare di libri-spazzatura significa parlare di lettori-spazzatura.

    Siamo sicuri di voler parlare di lettori-spazzatura? Di centinaia di migliaia di lettori-spazzatura?

    “Perché massimizzare la qualità di un prodotto che vende senza aver bisogno di alcuna qualità? Mi pare stupido”.
    In parte giusto e in parte sbagliato. Sbagliata è la premessa: che certi libri vendano “senza aver bisogno di alcuna qualità”.
    Quei libri vendono perché hanno delle qualità che Filippo Albertin non apprezza (e nemmeno io): tuttavia Filippo Albertin (o chi per lui, quindi anch’io) non deve illudersi che ciò che lui non apprezza non esista.
    E quelle qualità lì, quell che F. A. e io non apprezziamo, sono massimizzate. Con grandi investimenti, se càpita. Le altre, sono trascurate.
    E’ possibile, ad esempio, vendere “David Copperfield” in un’edizione stampata in piccolissimo, su carta pessima eccetera: addirittura in traduzione pessima, addirittura in edizione ridotta.
    L’autobiografia di Ibrahimovic, invece, ha bisogno di caratteri grandi, copertina dorata eccetera. Non di carta di grande qualità, perché il compratore ideale non sa distinguere le qualità della carta.
    E dentro l’autobiografia di Ibrahimovic devono essere massimizzate varie cose: ad esempio, il libro deve confermare ciò che tutti pensano di Ibrahimovic, e tuttavia contenere delle sorprese; deve confermare I. come star, e insieme far intendere che lui è “contro”, eccetera. Mica facile.

  83. Fuffi Says:

    Giulio sei stato chiarissimo e ci hai azzeccato in pieno sulla mia poca cultura riguardo la letteratura mainstream contemporanea. Ho dato una scorsa alla mia libreria in cameretta. Pur essendo giovane (non supero i trenta) ho notato che sono quasi tutti libri americani e russi. Di italiano ho i “soliti noti”. Camilleri, Ammaniti e un libro bellissimo di Pino Aprile (Terroni). Chissà come avrà fatto Melissa a pubblicare nonostante tu non abbia creduto nella sua opera. Sicuramente esistono altri consulenti editoriali (dove??) Dico, adesso cosa pensi? Te ne penti? Potresti dire “ho fatto un errore”? Sia chiaro, non è per fare polemica! Dico, avete anche voi talent scout dei rimorsi tali da farvi mangiare le mani? Diamine, avreste potuto guadagnarci su.

  84. giuliomozzi Says:

    Alessandro: “È curioso, …, notare come si facciano le pulci (giustamente) agli aspiranti […] ma non si parli affatto degli strafalcioni presenti nei campioni di vendite.”

    Be’: il sottoscritto, curatore di questo blog, si occupa professionalmente di aspiranti, di esordienti, di primi libri. Tant’è che poi, se tutto va bene, se l’autore diventa “importante” – i contatti spesso si perdono.

  85. Alessandro Greco Says:

    Giulio, so bene di cosa ti occupi.
    Resta però un fatto: nessuno se ne occupa. Perché? È davvero così poco interessante? Lo chiedo così, senza polemizzare.

  86. giuliomozzi Says:

    Fuffi, a me dispiace che Melissa sia stata massacrata a quel modo. Il romanzo non doveva essere pubblicato. Ma ha incontrato un editore cinico.

  87. iezz Says:

    c’entra, forse, che l’editore fosse il padre del suo (ex) fidanzato?

  88. giuliomozzi Says:

    Alessandro: credo che nessuno se ne occupi perché non serve a molto occuparsene. Le prime due pagine del “Robinson Crusoe” sono piene di “strafalcioni” (se non ricordo male, il fratello di Robinson viene fatto morire o nascere in una data incompatibile con altri eventi): ciò non toglie molto al valore del romanzo, direi quasi nulla. Gli errori su Porsche e welfare, tolgono o aggiungono qualcosa al romanzo di Avallone?

    C’è una differenza sostanziale tra gli errori di fatto e la cattiva scrittura. La cattiva scrittura, per farsi sopportare, ha bisogno di un’immaginario davvero potentissimo (uno dei romanzi che ho più volte riletto, “Dune” di Frank Herbert, è scritto malissimo: ma che immaginario!). Invece gli errori di fatto scorrono via, spesso non si fanno neanche notare.

    Fuffi: dimenticavo di dire che io ho sempre lavorato, come scout, a stipendio fisso. Non sono un agente.

  89. giuliomozzi Says:

    Iezz: mi risulta che il fidanzamento sia successivo alla pubblicazione. Cioè: è falso che Melissa Panarello abbia pubblicato perché il babbo del fidanzato faceva l’editore; è vero che, avendo l’autrice conosciuto il figlio dell’editore del suo romanzo, ci fu un amore.

  90. Alessandro Greco Says:

    Giulio: dipende. Tolgono o aggiungono qualcosa? A mio avviso, sì. Rendono ancora meno valido un romanzo che, sempre a mio modesto parere, è banale, stereotipato e piatto.
    A quanto pare, però, dal punto di vista dei milioni di lettori, no. Non tolgono nulla.

  91. giuliomozzi Says:

    Immagina, Alessandro, errori consimili in un romanzo molto bello; e rifatti la domanda: aggiungono o tolgono molto?

    Mi interessa l’unica cosa che hai scritto. Come hai fatto a conoscere “il punto di vista dei milioni di lettori”?

  92. Alessandro Greco Says:

    Giulio, provo a immaginare un romanzo molto bello contenente quel tipo di errori ma onestamente non so come reagirei. Provo a immaginare un Foster Wallace che, nel 2008, scrive di trovarsi sulle Torri Gemelle e, se non si tratta di un fantasy, posso solo pensare che sia lui che il suo editor si siano bevuti il cervello.

    Non conosco il punto di vista dei milioni di lettori, ma posso supporre leggendo gli innumerevoli complimenti pubblici (anobii, facebook, siti vari, blog letterari) nonché i riconoscimenti della critica (sulla quale si potrebbe aprire un altro chiacchiericcio) che quegli errori non tolgono nulla (secondo moltissimi punti di vista) al romanzo.

  93. masticone Says:

    L’unica regola aurea che resiste imperitura nel tempo è che, senza discussioni, come si mette si mette, Giulio Mozzi ha sempre ragione. Prosit 🙂

  94. Filippo Albertin Says:

    Tutto verissimo, tutto molto ragionevole.

    Tuttavia dici: “Ma certamente un libro che nessuno legge è inesistente.”

    Non mi pare. Cioè, questa affermazione andrebbe un po’ relativizzata. Certo, alla fine un libro esiste nel mercato letterario se qualcuno lo legge, anzi, se in molti lo leggono. Ma che dire di libri costruiti ad hoc per essere venduti in quantità al primo colpo? Magari fanno schifo e POI nessuno li legge più. Eppure sono esistiti, e hanno magari fatto l’interesse dell’editore più di tanti altri. (Ovviamente sto esponendo un caso limite.)

    Certo però che definire Frank Herbert — vincitore di due Premi Nebula negli anni sessanta e autore del libro in assoluto più grandioso nella storia delle saghe sci-fi — come uno che ha prodotto “cattiva scrittura” mi sembra un tantino sconcertante, tanto che mi chiedo: sono certamente quelli che elenchi tu i veri errori nella scrittura? Intendiamoci, è una domanda che sorge a un profano lettore. Io ho letto Herbert (racconti, però), e l’ho trovato raffinatissimo e capace di padroneggiare perfettamente la parola. Tutto qui. Insomma: a parte gli errori evidenti, sulla base di cosa un errore non evidente è un errore?

    (Capita anche a me, però, di stroncare — in un ambito diverso, però: musica e composizione — autori ritenuti geniali. Per esempio, Philip Glass è piacevole all’ascolto, ma compositivamente parlando secondo me non vale neppure un decimo, che so, di un John Adams. Ok, ma questa è un’altra storia.)

  95. Alessandro Greco Says:

    Ci ho pensato un po’, Giulio.
    Sì. Tolgono. Tolgono molto, per me. Nella stessa misura in cui se io fossi un editore e tu mi proponessi una serie di romanzi a mio giudizio brutti, probabilmente rivaluterei il mio rapporto con te, in negativo, s’intende. E se la cosa si ripetesse ancora, forse deciderei di fare a meno della tua consulenza vista la tua compromessa credibilità.

    Allo stesso modo, per me, quegli errori tolgono credibilità: all’autore, all’editor e pure alla casa editrice. In definitiva, tolgono “clienti”.
    Almeno 1: io.
    Non acquisterei mai più un Foster Wallace “reo” di errori di quel tipo;
    Non acquisterò mai più Silvia Avallone (che continuerà a vendere milioni di copie);
    Non acquisterò mai più Roberto Costantini.
    Non acquisterò mai più libri realizzati senza la massima attenzione e cura perché Importanza per i dettagli significa non considerarli tali.

    Aggiungo, un po’ presuntuosamente, che se imparassimo un po’ tutti ad essere più esigenti dal “mercato”, lo stesso sarebbe “costretto” a migliorare. Ma questo è il punto di vista (presuntuoso) di chi ritiene che una grossa fetta di “mercato” sia di bassissimo livello.

  96. giuliomozzi Says:

    Non dunque, Alessandro, “dal punto di vista dei milioni di lettori”, ma dal punto di vista di una serie di soggetti che tu hai osservati. La cosa che mi colpisce, però, è che di quel romanzo io ho sentito quasi solo parlar male. Ho letto articoli di critici che lo stroncavano, ho trovato in rete una quantità di liste di errori (sul tipo di quelli che tu qui hai segnalato).

    Peraltro: se errori di quel tipo tu li trovassi, invece, in un romanzo molto bello?

    Filippo, confermo che “Dune” mi pare scritto malissimo. I due traduttori (ne conoscevo uno, Sandro Sandrelli) erano disperati. Ho anche detto che quello è uno dei libri che ho più volte riletti.

    Masticone: hai torto.

  97. Alessandro Greco Says:

    Sì, Giulio, accetto “una serie di soggetti”, comunque molti, davvero molti.

    Ho cercato un po’ in rete ai tempi e grosse stroncature (a parte GP Serino) non ne ho trovate. Quanto alle liste di errori, forse le hai trovate in più siti ma sono sempre io che le segnalo 🙂

    Peraltro: se errori di quel tipo tu li trovassi, invece, in un romanzo molto bello? Vedi mio commento precedente.

    Grazie per lo scambio.
    A presto!

  98. giuliomozzi Says:

    E quindi io, Alessandro, avendo letto questa frase nel tuo commento:

    Non acquisterò mai più libri realizzati senza la massima attenzione e cura perché Importanza per i dettagli significa non considerarli tali.

    dovrei smettere di leggere i tuoi commenti?

  99. Alessandro Greco Says:

    Scusami, ma colgo, Giulio.

  100. philomela997 Says:

    (Scusate la parentesi nel dibattito: grazie di questo decalogo! Mi ha messo di ottimo umore perché di alcuni errori mi ero già sbarazzata da sola. 😀 Non credo che questo tipo di errori sia dovuto alla scarsa lettura o alla lettura di bassa qualità. Credo piuttosto che siano frutto della scarsa dimestichezza con una dimensione critica nei confronti della forma di un romanzo, oltre che del contenuto e dell’immaginario. Ovviamente parlo solo per la mia esperienza di lettrice e aspirante/dilettante/principiante scrittrice)
    🙂

  101. Alessandro Greco Says:

    Ah, ok. Ho colto. Beh, Giulio, qui non ho l’editor, il caporedattore, il correttore di bozze. 🙂

    Ora scappo!

  102. Alessandro Greco Says:

    Inoltre, Giulio, i miei commenti sono gratis 😀

  103. giuliomozzi Says:

    Perché, Alessandro: tu, se fai un regalo, dài via la roba meno buona?

  104. Alessandro Greco Says:

    Giulio, qui non è in discussione la qualità dei miei interventi, fermo restando che mi rendo perfettamente conto di aver postato alcuni strafalcioni.
    Qui, mi pare, si discuteva di errori presenti nei libri o in quelli che intendono diventalo.
    Se, invece, vuoi metterti a fare editing ai miei post, fai pure.
    Prendo atto che “nessuno se ne occupa (degli errori nei best seller) perché non serve a molto occuparsene” mentre è interessante per te occuparti dei miei refusi nel tuo blog.
    E vabeh.
    Ora davvero devo uscire.
    Grazie ancora per gli scambi.

  105. giuliomozzi Says:

    No, è interessante notare che chiunque è fallibile.

  106. La squadra e il compasso Says:

    Fantastico, da salvare e stampare, grazie

  107. La squadra e il compasso Says:

    Se mi è concesso, aggiungerei anche la bulimia avverbiale, malattia tipica di chi fa uso di troppi avverbi. Poi ci sarebbe da aprire un capitolo sugli scrittori non dilettanti. Se lo facessi, citerei Lucarelli, che ama le avversative, inserisce il soggetto alla fine del periodo e impollina il tutto di “Ma non basta” e “Ma non finisce qui”. Ciao

  108. massimocassani Says:

    Oltre agli avverbi e le avversative, segnalo anche l’insidia dei troppi “che”: ci si casca spesso quando si desidera introdurre troppe subordinate e o si tende al periodo lungo. A me i “che” scivolano dalle mani nel testo come le briciole sul tavolo…e poi perdo un sacco di tempo a ripulire…

  109. furisse Says:

    Ma non ci si chiede mai di cosa sia sintomo tale affermare e ribadire il corretto uso della lingua, dello scrivere? Ma perché rimproverare altri per il fatto di non saper scrivere? Io ci vedo della frustrazione professorale diretta verso, o contro, autori che hanno trovato fortuna non essendo dei grandi conoscitori della lingua…

  110. francesco Says:

    “Ripulire”, ecco: rileggere e ripulire.

  111. paperinoramone Says:

    @ Filippo Albertin

    provo a darti una regola aurea che secondo me conosci ma che per strani motivi ti sta sulle palle: L’importante è che funzioni.

    qualsiasi espressione può essere chiamata errore se collocata in un dato ambito. “perchè” contiene almeno due errori ( almeno quelli che conosco io ) però tu adesso mi capisci lo stesso, dunque “perchè” funziona. Philip Glass funziona, poi che non valga quel che vale sul piano compositivo nn frega evidentemente niente a nessuno, non frega neanche a te.

    un errore è un errore se e solo se danneggia l’opera che lo contiene.

  112. giuliomozzi Says:

    Fuisse, scrivi: “Ma non ci si chiede mai di cosa sia sintomo tale affermare e ribadire il corretto uso della lingua, dello scrivere? Ma perché rimproverare altri per il fatto di non saper scrivere? Io ci vedo della frustrazione professorale diretta verso, o contro, autori che hanno trovato fortuna non essendo dei grandi conoscitori della lingua”.
    I principianti dei quali parlo, caro Fuisse, non sono certo “autori che hanno trovato fortuna”. Sono tutti (ancora, perlomeno) inediti, mentre io sono ampiamente edito. Dunque la frustrazione della quale parli non vedo come possa alloggiare in me.

  113. giuliomozzi Says:

    Paperinoramone: “un errore è un errore se e solo se danneggia l’opera che lo contiene”.
    Mi pare un punto di partenza accettabile.
    In un curriculum vitae, ad esempio, un banale errore d’ortografia o di grammatica può fare molto danno.

  114. massimocassani Says:

    Chi sta rimproverando chi? Qui si tratta di mettere a fuoco alcune basi. Lo fanno anche i falegnami con gli apprendisti di bottega. Sta poi all’apprendista – appunto – apprendere e se è in grado: reinterpretare, evolvere.
    Ecco.

  115. paperinoramone Says:

    @ Giulio

    cmq mi ha colpito molto che ti hai letto “cento colpi di…” e che hai pensato che potesse far male all’autrice. Che mi pare si colleghi a quando dicesti che chi scrive come cura in realtà si fa ancora più male, più o meno. Ma nel caso del libro “cento colpi di…” ( sempre che ne puoi e vuoi parlare ) era un pensiero strettamente legato alla scrittura, ovvero l’avrebbe danneggiata come scrittrice? Vedevi delle potenzialità? Ad esempio nel libro tradotto da noi “come diventare se stessi”, david f. wallace parlando di american psycho di ellis dice che il suo editore non gli ha fatto un favore a pubblicarlo.

    e poi il finale del tuo male naturale ( ma qui forse andiamo sul personale ), mi è sempre rimasto misterioso. anche quel riferimento al ragazzo che ti scrisse.

  116. Filippo Albertin Says:

    @paperinoramone

    La tua regola è sicuramente aurea anche per me. Eccome.

    Ma cosa significa funzionare?

    Dettagli musicali che si possono anche non leggere:

    Per esempio: le mie orecchie non percepiscono Glass come funzionante. Glass mi annoia, esattamente come mi avrebbe annoiato una demo delle tastiere Bontempi negli anni ottanta. La sua gradevolezza in termini di sequenze di accordi non lenisce la banalità delle strutture che propone, che sono dei semplici copia e incolla ostinatamente lineari, statici, automatici e vacui.

    C’è solo un brano di Glass che non riproduce questa monotonia. Si tratta di un’aria d’opera, ed è un autentico capolavoro compositivo, un perfetto equilibrio di arcaismo sonoro (l’ambientazione è l’antico Egitto), pieni e vuoti, sovrapposizioni e giustapposizioni, alternanza tra solista, orchestra e coro: “Hymn to the Sun”, da Akhnaten, che peraltro nel complesso non è chissà che capolavoro del teatro musicale contemporaneo.

    A ben vedere, Glass ha scritto anche un’altro pezzo notevole: Low Symphony. Ma è tutta basata sull’omonimo album di David Bowie e Brian Eno. Cioè, non è musica sua. E si sente. Lui si limita — anche se egregiamente, e con innegabile originalità — ad orchestrarla.

    Tutto questo per dire che la gran parte di Glass — e tanta, tanta, tantissima altra roba — non funziona per me come sembra funzionare per altri.

    Fine dettagli musicali

    Tornando a noi, dove sta il funzionamento di qualcos?. Da quali punti di vista si valuta il funzionare narrativo?

  117. paperinoramone Says:

    Filippo,

    ho ascoltato il pezzo da Akhnaten e almeno ad orecchio non mi piace, ma può anche essere che adesso non mi va di sentirla. Io il punto di vista compositivo ancora non ce l’ho ( e non è detto che l’avrò mai ). Delle sinfonie di Glass, ho ascoltate le prime tre, e sono rimasto perplesso. Bruttine. Di Low ho salvato nell’ hard disk giusto il secondo movimento. Ho ascoltato anche il disco di Bowie ed Eno. Per adesso di Glass mi sono piaciuti molto i pezzi per pianoforte, mi piace quell’atmosfera e quella calma lì, quella sorta di desolazione che si trasforma per un attimo in speranza variando appena una nota o un intervallo. Almeno così mi è parso, sono così svogliato che non vado neanche a controllare in partitura 😦

    Tornando al funzionamento: parlando di arte, che a qualcuno piaccia. Se di Glass si è sparsa la voce che è geniale è per via di una certa superficialità nelle chiacchiere, nel fatto che basta poco quando poco si conosce, e però anche nel fatto che la sua musica ha funzionato. Si è fatta strada.

    Io in genere sono scettico quando si vanno a spiegare a posteriori i motivi della riuscita, perché mancano le controprove e si tende ad abusare della causalità. Ci sono tante, troppe variabili.

  118. Filippo Albertin Says:

    Da questi commenti — specie da quest’ultimo — traggo una sorta di massima, di insegnamento che mi pare stia a monte di tutte le nostre elucubrazioni. Può recitare circa così: alla fin fine il de gustibus ha la meglio, e ciò che chiamiamo bellezza, capolavoro, piuttosto che buon lavoro, piuttosto che cosa ben riuscita, cosa che mi piace, cosa che piace, e via discorrendo, altro non è che una struttura che veicola quegli elementi che sono stati identificati dall’autore come determinanti per raggiungere questa definizione, se non da parte di tutti i fruitori dell’opera, almeno da una determinante maggioranza.

    Anche in me il Glass “pianistico” produce quelle sensazioni che paperinoramone descrive. Ma sono sensazioni fugaci. Una volta che ho capito il meccanismo, quelle sensazioni non le provo più. Penso sia un problema mio, che ricade nel mio de gustibus.

    Ecco allora che io preferisco cose magari anche più complesse, magari anche più ostiche e meno immediate, che però riescano a farsi leggere e rileggere, offrendo ogni volta nuove angolazioni, nuovi punti dove l’attenzione può soffermarsi, eccetera eccetera.

    Questa cosa, nel mio caso, da un punto di vista letterario si traduce nel preferire racconti e romanzi che siano più cose contemporaneamente, ma la cui complessità non sia il prodotto di una scrittura caotica — e indisciplinata, e piena di quegli errori che abbiamo visto e stiamo vedendo — ma di una giustapposizione e sovrapposizione tanto volute quanto rese sufficientemente invisibili dall’abilità dello scrittore.

    L’esempio del romanzo Dune di Frank Herbert è lampante. Per determinate ragioni, un testo con errori può essere un capolavoro; e — immediato corollario — un testo completamente privo di errori può essere la cosa più scolorita, monotona e mediocre che sia mai stata scritta.

  119. esercizidipensiero Says:

    mozzi queste sono chicche per chi come me non è aspirante scrittore ma con le parole ci vive e ci lavora semplicemente, grazie.

  120. Alessandro Greco Says:

    Buongiorno Giulio.
    Il tuo “Perché, Alessandro: tu, se fai un regalo, dài via la roba meno buona?” non ha alcun senso, qui.
    Avrebbe senso se riferito a un mio romanzo scritto in modo superficiale perché destinato a regalie.
    Credo che un conto sia un romanzo edito da Rizzoli – che quindi ha passato la trafila di editor, correttori bozze, redattori etc – e un conto sia un (mio) post su un (tuo) blog. Voglio sperare che, per quanto autorevole sia Vibrisse, ci si possa permettere qualche errore di digitazione.
    Ti rinnovo pertanto l’invito, semmai, a discutere dei refusi strafalcioni dei professionisti e non di chi, nei ritagli di tempo rubati al lavoro vero (il mio è un altro, non vivo di “lettere”, purtroppo), coltiva la propria passione per la scrittura e la lettura, discutendo su blog e siti vari.

    Quanto al “No, è interessante notare che chiunque è fallibile.” certamente, Giulio. Ma dagli addetti ai lavori, soprattutto dai “big” (mi pare Rizzoli rientri in questa categoria) ci si aspetta (almeno io mi aspetto) la perfezione.

  121. Giacomo Colosio Says:

    Tutto vero quello che dici…parlo dei consigli. Regole, se vogliamo così chiamarle.
    Però mi vien da ridere perché faccio il paragone con il mio mestiere, che è quello di insegnare a giocare a scacchi.
    Se io dicessi ai miei allievi:
    ” Ecco a voi dieci mosse che non dovete mai fare “, quelli perderebbero lo stesso tutte le partite.
    E il motivo è semplice; lo traggo da un grande aforisma del premio Nobel per la fisica, Niels Bohr:
    ” Un uomo può dirsi esperto solo quando ha commesso tutti gli errori possibili in un campo ristretto. E la fisica non è un campo ristretto ”
    Aggiungo io:
    ” Nemmeno gli scacchi e nemmeno la letteratura ”
    La poesia invece è altra cosa: lì le regole e gli errori, quindi i consigli, si perdono in mille rivoli di insignificante valore.
    Ciaociao, Mozzi. A mio avviso stai perdendo tempo. Se uno è nato per scrivere scrive, e dei tuoi consigli se ne fa un baffo. Senza offesa. Magari ti mando qualcosa di mio così hai la possibilità di rifarti….ahahah…bravo comunque, bello questo sito. Mi sono iscritto.

  122. annie19 Says:

    Oscar Wilde: “Non ci sono libri morali (belli) o libri immorali (brutti), ma solo libri scritti bene o scritti male”

  123. giuliomozzi Says:

    Paperinoramone: no, immaginavo che la pubblicazione del libro l’avrebbe danneggiata come persona. Perché in Italia, di tanto in tanto, il libro sulla sessualità delle adolescenti fa il botto: da “Porci con le ali” a “Volevo i pantaloni”, eccetera, fino appunto a “Cento colpi”. E mi pareva che quel romanzo si prestasse perfettamente alla strumentalizzazione: bastava trovare un editore senza scrupoli. Purtroppo l’ha trovato.

    Alessandro: non ho nessuna voglia di spender tempo a studiare i refusi e gli strafalcioni dei professionisti. A che serve? Devo lavorare gratis per i loro editori? Scherziamo? Devo scandalizzarmi perché uno ha fatto un errore? Ma perché mai?

    Io mi occupo di letteratura inedita. Il mio scopo è far diventare letteratura edita ciò che mi pare sia bello.

    Cerco di mettere la stessa cura in ogni cosa che scrivo: dalla lettera privata all’articoletto in vibrisse, dal commento in rete al racconto da pubblicare in volume. Ovviamente faccio un sacco di sbagli anch’io.

    [Quando Einaudi pubblicò il primo volume dell’opera “Il romanzo”, mandai una lunga lettera segnalando dozzine di errori tremendi: l’hanno poi ristampato nella Pbe, tal quale, senza correggere nulla. Idem con “Nikawa” (se ricordo bene il titolo) di William Least Heat Moon. Quando mi accorsi che al primo volume della “Enciclopedia della musica”, appena lanciata con tanto strombazzamento internazionale (giustamente: è un’opera bellissima), mancava una pagina, il volume fu ritirato nel giro di quarantott’ore (presumo di non essere stato l’unico a segnalare)].

  124. ilaria Says:

    Ragazzi, ciao.
    Sono nuovissima di twitter e, per perlustrare l’ambiente, mi è venuto in mente di provare a cercare un autore. Di Mozzi è il terzo libro che ho sul comodino, fra una pila di libri di racconti che è il mio genere in questo periodo.
    A capo
    Sentendomi io, direi, dilettante più che principiante, mi sono avvicinata con grande curiosità al decalogo degli errori. Mentre li scorrevo la mia autostima, mi assolveva dai peccati veniali elencati e ho affrontato i commenti.
    Cosa vorrei dirvi?
    Mentre scorrevo le righe m’investiva sempre più un sentimento di forte malumore accompagnato dalla frustrazione di ritrovarmi in coda dopo un giorno intero di commenti.
    Solo una cosa:
    Giulio, ma perché ti prendi anche la briga di rispondere? Chi cova l’astio va in giro a seminarlo dove trova terreno, si aggrappa a qualsiasi cosa.
    Ora sto rilassandomi, chiudo twitter e vado a leggere libri. ciao.

  125. Nishant Says:

    Ottimo elenco, come non rivedersi in alcuni di questi punti.

    Anzi:
    Com.e. non. ri-vede-RSI in alcuni
    di
    questi
    punti

  126. giuliomozzi Says:

    Giacomo, scrivi: “Se uno è nato per scrivere scrive, e dei tuoi consigli se ne fa un baffo”.
    Sono d’accordo.
    Al di là di chi “è nato per scrivere”, ci sono però tutti gli altri. Quelli che senza essere “nati per scrivere” vorrebbero quantomeno essere (diventare) capaci di comporre un testo di buona qualità.

    Ho conosciuto diverse persone “nate per scrivere”. Dal punto di vista della mera correttezza, i loro testi sono esemplari. Ad esempio (nomi che ho già fatti) Laura Pugno, Vitaliano Trevisan, Umberto Casadei.

  127. Giacomo Colosio Says:

    Risposta un po’ misera…giusta, ma scarsa di contenuti.
    Anche per gli scacchi c’è gente che ha bisogno di imparare: aperture, medio gioco, finale.
    Però in dieci regoline io non cominciavo nemmeno ad insegnare. Roba da asilo. Non me ne volere: se non rispondevi era meglio. Ma ti capisco: troppi impegni. Ciaociao…comunque bravo, non credere che io disprezzi quel che fai. Non sia mai!

  128. furisse Says:

    @giuliomozzi

    …ah come si riempie l’orgoglio, l’edizione, la pubblicazione ci fa sentire così bravi…penso che tu sappia meglio di me cosa sia il mondo dell’editoria quest’oggi e quali siano i termini attraverso i quali viene scelto cosa si deve, può, fa comodo pubblicare. Sai meglio di me che la qualità non è un termine propedeutico alla pubblicazione. Quello che veramente non accetto è questo tentativo di voler moralizzare la scrittura…non capisco, non capisco veramente, perché costringere chi non scrive correttamente, e che pensa, al contrario, di essere un grande scrittore, a doversi uniformare o correggere…ma cosa vi importa se alcuni se dicenti scrittori perseverano negli errori e nel credersi autori?? Non so per qual motivo dobbiamo metterci su di un piedistallo e decretare, giudicare…con che diritto?

  129. paperinoramone Says:

    @ furisse

    scusa se mi permetto, ma il post non si chiama “dieci errori per cui non potrete più guardarvi allo specchio”.

    Non ti viene in mente che Mozzi stia dando dei consigli a persone che ne hanno bisogno e che sono i primi a riconoscerlo? Poi si parla anche di consapevolezza, ovvero imparare ad essere più consapevoli dei propri mezzi, imparare anche ad usarli. visto che se ne è parlato, il minimalismo può essere visto sotto quest’ottica.

    @ giulio

    grazie

    @ filippo

    direi anche che un’opera “agisce” anche per conto suo magari inaspettatamente per lo stesso autore. e che i nostri gusti cambiano con noi stessi. vabbè, anche che non c’è più religione 🙂

  130. Andrea Maggi Says:

    Zbagliando z’imbàra.

  131. giuliomozzi Says:

    Giacomo: se tutto il mio insegnare si limitasse a queste dieci regoline, avresti piena ragione a considerarlo cosa ben misera.

    Fuisse: “ma cosa vi importa se alcuni se dicenti scrittori perseverano negli errori e nel credersi autori?”.
    A me, nulla.

    Andrea: ravvreddore?

  132. Andrea Maggi Says:

    @Giulio
    Eh Eh! Tentavo di ovviare alla banalità di una frase fatta con una “variazione” ortografica.
    E’ una banalità, ma l’averti mandato del materiale da leggere mi è servito a capire cosa va e cosa non va di ciò che scrivo. E sto cercando di migliorare.

  133. Barbara Vuano Says:

    sono stupefatta a leggere questo lunghissimo dibattito, quanta discussione su dieci regole che chiunque ami la scrittura sia da lettore che da autore coglie a orecchio, benché a me capiti spesso, quando scrivo, di cadere in alcuni degli errori elencati, quando rileggo è lì che ritorno e da sola, senza avere chiara la regola, ma a senso e a ritmo, vado a correggere.
    A parte l’errore grammaticale, di cui è ovvio accorgersi, negli altri ci sono il suono e il senso che non vanno, l’armonia del periodo, la ridondanza o la mancanza di chiarezza e la genericità.
    non serve essere sapienti per sentirlo, basta amare la parola e cercare di usarla nel modo giusto

  134. ziacassie Says:

    e pensare che io l’avevo preso per un post ironico…

  135. Antonio Says:

    Mi ritrovo completamente con Filippo Albertin dice poco sopra (9 febbraio 2012 alle 08:24), a parte l’ultimo paragrafo, ma solo per il fatto di non aver letto Dune, pur avendone visto il film omonimo.
    Paragrafando Monti, potremmo dire: Che monotonia il romanzo fisso!, nel senso meglio spiegato da Albertin nel post citato.

  136. Filippo Albertin Says:

    @Antonio

    Felice che tu ti ritrovi con me (ma anche felice per chi, non ritrovandosi con me, in ogni caso dialoga per cercare un punto in comune). Ma ti prego, Antonio, un poco di editing. “Mi ritrovo completamente con quanto Filippo Albertin dice poco sopra.” “Mi ritrovo completamente con Filippo Albertin per quel che dice poco sopra.” Qui l’editor è giustamente un altro: non farmi cambiare mestiere. Bello il parallelo con Monti. Non ho ben capito come l’ho spiegato, ma bello.

    @tutti

    Io credo che una riflessione sugli errori, in generale, sia molto proficua. Proficua per tutti. Proficua anche — e forse soprattutto — per chi di errori non ne commette mai, magari in modo inconsapevole.

  137. Antonio Says:

    Anche a me danno fastidio gli errori o i refusi, ma a volte può capitare, nonostante tutta l’attenzione che viene riposta.
    Sì, intendevo dire “con quanto Filippo Albertin dice poco sopra”, e se in fondo il senso l’hai capito, il mio non deve essere stato un errore così grave.
    Se vogliamo soffermarci su questi aspetti, possiamo continuare pure, ma a me sembra che non siano questi i problemi che Giulio Mozzi si trova ad affrontare nel leggere i manoscrittti che gli arrivano o comunque non sono questi i problemi che gli fanno mettere da parte un manoscritto, a meno che, come egli stesso ha precisato, non gli capita di imbattersi in una quantità spropositata di errori siffatti nella stessa pagina.
    Quanto al parallelo con Monti, mi riferivo a quanto dicevi qui:
    ‘Ecco allora che io preferisco cose magari anche più complesse, magari anche più ostiche e meno immediate, che però riescano a farsi leggere e rileggere, offrendo ogni volta nuove angolazioni, nuovi punti dove l’attenzione può soffermarsi,………….’

  138. paperinoramone Says:

    @ Antonio

    ma no, Filippo è un pò fissato, oppure fa del cripto umorismo.
    e poi in realtà legge solo Isabella Santacroce

    In Miss-takes we trust

  139. Filippo Albertin Says:

    @paperinoramone

    Guarda, Isabella Santacroce è proprio l’ultima cosa che rileggerei. Penso che la tua sia una battuta legata alle mie battute sulla suddetta scrittrice, che continuo a considerare buona solo per animare serate lesbo in discoteca.

  140. poemonapage Says:

    interessante…

  141. raccontivari Says:

    Ammetto di non essere d’accordo, nella mia ignoranza, con alcuni punti:

    4 – non è obbligatorio che uno guardi in due direzioni prima di attraversare, se la strada è a senso unico; in questo modo l’autore specifica che si tratta di una strada con almeno due corsie opposte tra di loro
    6 – lo stimolo a rialzarsi può derivare anche dal senso di consapevolezza dell’individuo, non dev’essere per forza esterno

    Ho anche dei dubbi su alcune “correzioni” di stile, tralasciando la grammatica e la punteggiatura chi decide quando e quanto si possa andare a capo, che non si possano mischiare dialoghi diretti ed indiretti, ecc.?
    Allora io posso semplicemente dire che un Picasso fa schifo (soggettivamente non mi piacciono) perchè non rispetta le proporzioni anatomiche, i colori naturali, ecc.?

  142. Elena Says:

    Sono un po’ perplessa. Non era già tutto nella nota iniziale? Si segnalano le disarmonie casuali e sciatte, che possano a tratti tradursi in “vantaggiosi espedienti stilistici” dipende dalla consapevolezza di chi ne fa uso.

    A volte il flusso dei commenti mi pare un moderno esercizio retorico, una disputatio dell’era digitale: la presenza di un’antitesi (anche forzosamente ricercata) avrebbe dunque una funzione strutturale. Leggerei così anche i commenti più caustici, altrimenti inspiegabili, almeno per me. La cosa più interessante (davvero interessante, senza alcuna ironia) è che, pur in assenza di una precisa regia che regoli lo schema dialettico (come nella pratica scolastica medievale), molti interventi finiscono per polarizzarsi spontaneamente. Sbaglio?

  143. Adam Calrk Says:

    Beh, visto che qualcuno ha tirato in ballo i pianisti, mi sento chiamato in causa. Anche perché la Musica e la Letteratura sono due Arti che si somigliano.

    1. Non è vero che una brava dattilografa muove le dita molto più velocemente di un bravo pianista. Casomai di “un” pianista, ma non di un “bravo” pianista. Un Bravo pianista se fosse anche dattilografo userebbe di certo la DINAMICA nel digitare, e anche se ciò non influenza direttamente il testo digitato attraverso una tastiera non sensibile al tocco, sicuramente influenza la velocità di battitura relativa alla dinamica intrinseca di ogni contesto digitato. A mio avviso le due “meccaniche” non sono assolutamente paragonabili, in quanto le dita si muovono in relazione a criteri totalmente diversi.

    2. Insegno e suono il piano da 34 anni e nonostante il successo riscontrato non mi sognerei mai di asserire di essere un professionista, nè un dilettante, nè un principiante, perché sono certo che si ha sempre qualcosa da imparare. Di conseguenza si è sempre “qualcuno” in relazione a “qualcun altro”.
    Un bravo professionista può diventare un banale dilettante rispetto a un pianista molto più bravo di lui, così come un principiante può essere un genio rispetto a un bravo professionista solo perché magari è un prodigio della natura… Ovviamente “chi giudica” è libero di giudicare e di farlo a volte attraverso il giudizio personale e a volte attraverso giudizi più simili a dei banalissimi luoghi comuni…

    La *verità*, secondo me, sta nel fatto (spesso ignorato) che l’Arte non dovrebbe essere giudicata, ma soltanto “sentita dentro”. Di fatti un artista è capacissimo di provare emozioni anche la dove chi non è artista non sarebbe capace di provare nulla. Perciò, secondo me, non esiste niente al mondo che non possa in qualche modo diventare Arte, se creata con passione. Che poi la cosa a molti non piaccia, o che per altri possa essere “spazzatura”, non dipende dall’Arte in se, ma dalla capacità soggettiva di provare emozioni; nel senso che qualsiasi opera CREI EMOZIONI, diventa Arte, nonostante cosa ne dicano coloro che sono incapaci di sentirla.

    Tutto questo non toglie l’implicita necessità di continuare ad imaparare. Altrimenti l’opera creata diventa pura ripetività. Quindi la copia di qualcosa già creato. In parole povere, se uno scrittore smettesse di imparare, la sua Arte rimarrebbe bloccata, trasformandosi inevitabilmente mera ripetività. Da qui il bisogno di imparare sempre qualcosa di nuovo, anche dove meno ce lo aspettiamo.

    Se può essere utile, in Musica certi errori – che non sono affatto errori – sono noti come *dissonanze*, e ci sono pianisti che addirittura le esasperano facendone una “arte a se”. Sono suoni che disturbano molto il comune ascoltatore tanto da ritenerli errori, ma che in realtà, se ascoltate in un certo modo, sono ben altro che errori.

    Pobabilmente molti “critici” potrebbero volermi prendere a pugni per una tale affermazione, eppure sono convinto che molti scrittori scelgono volutamente frasi che per alcuni sono scorrette, nonostante la capacità di scriverle correttamente. Non mi riferisco agli errori ortografici o a quelli dovuti a una carente conoscenza della grammatica.

    Al contempo sono certo che anche questo blog possa essere particolarmente utile sotto diversi aspetti. Poiché, anche se alcuni interventi li ritengo (personalmente) molto superficiali, altri sono invece frutto di sensazioni profonde. E quelle si riconoscono da lontano in qualsiasi modo le si scriva. Anche perché, come sicuramente tutti sanno, esistono i cosiddetti “correttori di bozze” che non per niente fanno bene il loro mestiere. Da non confondere con quello dello scrittore, o aspirante scrittore.

    Nella speranza che anche il mio interveto da principiante, possa essere utile a qualcuno, così come altri lo sono stati per me, lascio un caro saluto a tutti.

    – Adam –

  144. Filippo Albertin Says:

    Adam — evidentemente — sa quel che dice. A parte qualche lievissima discordanza (che neppure riporto, appunto per la sua esiguità e sovrastrutturalità) sono d’accordo con tutti quel che afferma.

    Solo un dettaglio. In musica le dissonanze non sono errori: sono dissonanze. Il fatto che la musica abbia per secoli evitato tutte le dissonanze a favore di determinate consonanze, questo è un altro paio di maniche. Evidentemente all’epoca non si sentiva l’esigenza di utilizzarle. Il tardo Ottocento ha semplicemente portato un progressivo e consapevole uso di determinate dissonanze, fino alle dissoluzioni ormoniche della Scuola di Vienna, ma anche ai metodi “diatonico-atonali” proposti da Bartòk, Stravinskij e Hindemith. A parte i colpi di tosse nella sala da concerto, in musica tutto è consapevole e programmatico. Non credo che i compositori abbiano iniziato a usare le dissonanze ispirandosi a un dito scivolato per sbaglio — appunto, per errore — in mezzo a due tasti.

    A parte questo, ribadisco, concordo su tutto. Specie sulla definizione operativa che hai dato di Arte.

  145. Fogerty Says:

    “ziacassie Dice:

    8 febbraio 2012 alle 13:23
    sono sconvolta dal mio errore:
    io in genere, prima di attraversare la strada guardo a sinistra e poi a destra…”

    concordo, è il metodo migliore per NON farsi investire 😉

  146. paperinoramone Says:

    @ Filippo

    ci metterei anche le suonerie dei cellulari, urge,ma magari è già stata scritta, una sinfonia per i-phone, in memoria di SJ.

    “dissoluzioni ormoniche”?

    vedi che ti fa bene leggere Santacroce :p

    ( spero che al pari dei colpi di tosse e delle suonerie questi miei siparietti sciocchini e impertinenti non siano sgraditi al Sommo, o almeno non troppo )

  147. Carlo Capone Says:

    @ Elena

    la pratica scolastica medievale noooo, ti prego.

    sgherzi a parte condivido fino all’ultima parola, anche il buon Anselmo:))))

  148. Filippo Albertin Says:

    Armoniche, armoniche. Scrivo veloce.

  149. Antonio Says:

    Non conoscendo a fondo, almeno non quanto Albertin, l’evoluzione nella storia musicale, e conoscendo invece il suo perfezionismo nello scrivere post, pensavo che dalle parti di Vienna avessero davvero partorito qualcosa che ha a che vedere con le “dissoluzioni ormoniche”, qualcosa di improvvisato, di estemporaneo, legato agli sbalzi d’umore dei musicisti, alla produzione musicale di particolari ghiandole o che so io …

  150. Filippo Albertin Says:

    Lo stesso effetto che ha fatto a me!

    Un tanka per voi, dunque:

    Scivola il dito,
    del regno dell’inchiostro
    ispirazione.

    L’error che altrove stona
    la fantasia incorona.

  151. Giulio Mozzi Says:

    Racconti vari, scrivi: “Allora io posso semplicemente dire che un Picasso fa schifo (soggettivamente non mi piacciono) perchè non rispetta le proporzioni anatomiche, i colori naturali, ecc.?”.
    Ovviamente sì, puoi dirlo, se questa è la tua opinione.

  152. raccontivari Says:

    Allora perchè c’è gente che pagherebbe milioni per averne uno?
    Voglio dire: l’Arte (quella vera, quella che è diventata “patrimonio universale dell’umanità”) è oggettiva o soggettiva?
    So che non c’è una risposta che potrebbe mettere tutti d’accordo, il dilemma comunque rimane: Arte è qualcosa che piace oppure quando qualcosa piace diventa Arte?
    Mi sa che sto sconfinando un po’ nella filosofia…

  153. Filippo Albertin Says:

    Però qui si continua secondo me a confondere l’errore, che è per definizione involontario, con la volontaria soppressione di regole ritenute consapevolmente non più valide in un dato contesto. Il Cubismo non è espressione di errori, ma del superamento di una certa estetica a favore di un’altra.

  154. Marcovaldo Says:

    Ehm…
    1) Non è che se leggi spazzatura diventi un cattivo scrittore mentre se leggi capolavori scriverai benissimo.

    2) Non è che un dilettante debba scrivere come un autore affermato. Scrivere il primo libro è iniziare un cammino; gli errori diminuiranno lungo il tragitto.

    3) Naturalmente se non diminuiranno è il caso di modificare le proprie aspirazioni.

    4) Trovo questo post utilissimo. Per i principianti e per gli esperti.

  155. Marianna Says:

    Io sono sempre molto grata a chi mi indica gli errori che faccio o potrei fare.
    Ma proprio sempre. E in tutti i campi.

    Stringo la mano a quel qualcuno mi indica il fosso in cui posso cadere.

    Saluti 🙂

  156. Filippo Albertin Says:

    Marianna: “Stringo la mano a quel qualcuno mi indica il fosso in cui posso cadere.”

    Quindi non bisogna guardare solo a destra e a sinistra, ma anche in basso.

  157. Marianna Says:

    Come no, da tutti i lati. Senza dimenticarsi le parole per strada.

  158. tosarelli massimiliano Says:

    Mi sono permesso di riportare il testo “Dieci errori tipici degli…” sul nostro forum di scrittura. Con tanto di autore e link. Questo perchè ritrovo nei testi dei ns iscritti molti errori tipici segnalati nell’articolo. Spero la cosa sia gradita.
    Grazie
    http://www.pescepirata.it/aspiranti_scrittori/viewtopic.php?f=11&t=1358

  159. poetella Says:

    !

  160. dm Says:

    (Una critica sommessa)

    Un elenco come questo può essere utile a molti scrittori principianti. Ad altri, invece, potrebbe essere utile un campionario di frasi in cui ciascuno di questi errori diventa “vantaggioso espediente stilistico”. Ma questo non è il punto.
    Il titolo dell’articolo e la nota mi fanno venire in mente un’altra cosa. Credo di averla già scritta in un commento, tempo fa. E’ una considerazione sull’insegnamento della scrittura. A me pare che sia impossibile (oltre che un controsenso) insegnare a scrivere in modo sregolato e irregolare. Credo che un insegnante di scrittura creativa ti possa insegnare a scrivere entro certi paletti. Il problema è che non tutti possono esprimersi entro certi paletti. Almeno questa è l’impressione che ho avuto leggendo parecchi manuali di scrittura creativa. Mi sono sentito in qualche modo estromesso. La sensazione è che si rivolgano a persone che usano l’immaginazione e il linguaggio in un modo diverso dal mio.
    Faccio l’esempio di Moresco. Nella maggior parte dei suoi libri trasgredisce quasi tutte le buone regole della narratologia e della buona scrittura creativa (credo che faccia tutti gli errori riportati nell’articolo, come vantaggiosi espedienti stilistici intendo). Eppure, eppure funziona tutto. Perché?
    Secondo me, perché usa il linguaggio e l’immaginazione in modo molto diverso da chi ha scritto i manuali che ho letto e questo articolo. Ma questa diversità non dipende dal suo talento. Ci sono scrittori con minor talento che però usano l’immaginazione e il linguaggio allo stesso modo magari con risultati meno interessanti.
    Sempre secondo me, un corso o un manuale di scrittura – quando non è specificato che insegna solo uno dei tanti modi in cui è possibile scrivere e raccontare, e essere scrittori – ad alcuni può risultare più dannoso che utile. Può persuaderli indirettamente che il loro modo di essere scrittori non è contemplato. Oppure può indurre a scrivere in un certo modo, raggiungendo magari scarsi risultati, invece che nel modo più congeniale a un talento di matrice diversa. In questo senso, è una mia opinione, la diffusione degli insegnamenti di scrittura creativa può essere, in certi casi, un fattore omologante. D’altro canto si è insegnato e si insegnerà a scrivere a principianti destinati a diventare grandi scrittori, non c’è il minimo dubbio.
    (Mi scuso per aver utilizzato questo spazio per una riflessione generale e non specifica sul contenuto dell’articolo. Buona giornata a tutti.)

  161. Giulio Mozzi Says:

    Daniele (dm), scrivi: “…la diffusione degli insegnamenti di scrittura creativa può essere, in certi casi, un fattore omologante…”.
    Certo.
    Direi di più: qualunque insegnamento è omologante.
    E’ grazie al potere omologante dell’insegnamento, ad esempio, che in Occidente milioni di persone usano lo stesso alfabeto, i numeri arabi, eccetera.
    Io mi auguro che prima o poi passi l’idea che ci sono almeno tre fasi nell’insegnamento della scrittura:
    – elementi,
    – fondamenti,
    – complementi.
    Dopodiché, la tecnica finisce e si entra nel territorio dell’arte. Dove non si insegna, ma si educa.

  162. Fedelma Says:

    Mi torna in mente un discorso fatto tempo addietro con il direttore del coro polifonico in cui cantavo. “Di gente che suona ce n’è a bizzeffe; che canta, anche di più. Quelli hanno imparato tutti sul pentagramma ma creano musiche diverse. Alcuni sono andati oltre e suonano i rumori, inventano nuove fasi della musica. Essì che le note son sempre quelle sette lì…”

    Esistono tante, tante cose che si imparano per omologazione. Volente o nolente quello è l’iter. Qualcuno raggiunge la meta senza passare da questa strada ma non è la norma.
    Personalmente, ben venga questo procedere su una linea comune, fintanto che non appiattisce le menti e le rende aride nel costante ripetere in eterno lo schema impartito; quello è il vero pericolo: essere replicanti. Ma credo che chi sceglie di imparare il metodo, e lo fa con coscienza e tenacia per veicolare qualcosa che non è opportunamente definito o compiuto, non corra il rischio di conformarsi.

  163. ziacassie Says:

    grazie Fogerty,
    è bello non sentirsi trasparente…

  164. Adam Calrk Says:

    Se posso permettermi di dire la mia…

    Ho smesso di andare a scuola perché la professoressa di storia voleva farmi credere a tutti i costi che quella scritta nei testi fosse la storia VERA.

    Ho smesso di andare al conservatorio di Zurigo perché insistevano nel farmi credere che quella fosse la musica VERA.

    Ho smesso di andare al conservatorio di Winterthur perché volevano farmi credere che la vera cultura fosse solo quella appresa con serietà e disciplina.

    Effettivamente non ho fatto carriera (e un po’ mi dispiace), ma in compenso ho conosciuto una storia che non figura in nessun testo e che mi permette di scrivere racconti di fantascienza. Compongo musica che nessuno ha mai scritto prima e la insegno con un metodo che nessuno al mondo conosce. Ho accumulato comunque un sacco di cultura (di ogni tipo), tutta completamente priva di regole e discipline. E sinceramente, non la cambierei con nulla al mondo.

    Premesso ciò mi chiedo (e vi chiedo):

    Come può uno “scrittore principiante” (o anche esperto) creare dal nulla tutti i suoi personaggi se conosce solo uno “standard” di scrittura giusto?

    Come può un autore dar voce a un operaio e a un filosofo senza marcarne i difetti espressivi che caratterizzano l’uno e l’altro?

    In un ipotetico dialogo fra un giovane contadino di un villaggio neolitico e un vecchio manager dell’economia tutte le regole della scrittura creativa (o standard che sia), diventano un grosso limite insormontabile.

    È vero, è giusto creare un proprio stile, e meglio ancora se è uno stile apprezzabile, ma è altrettanto giusto che si conoscano tutti quegli errori e i difetti che, se messi nel posto giusto, riescono a dar vita a dei personaggi realistici e unici. Idem per i luoghi e le epoche che si vogliono raccontare, o descrivere.

    Qualcuno preferirebbe forse far parlare un ragazzino di 15 anni, cresciuto in strada, allo stesso modo di un ragazzino della stessa età cresciuto nell’alta società? È evidente che il quindicenne cresciuto per strada DEVE parlare in modo scorretto per essere credibile. Quindi BISOGNA INSERIRE degli errori. Al posto giusto e nel momento giusto.

    Allo stesso tempo uno scrittore ha il diritto di creare un personaggio che rappresenti se stesso e non tutti gli altri scrittori. Può farlo soltanto inserendo degli “errori” al posto giusto e nel momento giusto. Questa “personalizzazione espressiva” lo ricompenserà con autostima e creatività.

  165. dm Says:

    Ho l’impressione (leggendo due commenti che seguono il mio, quello di Giulio Mozzi e quello di Fedelma) che la parola “omologante” presente nel mio discorso abbia attirato l’attenzione a scapito del discorso.
    Sono d’accordo, qualunque insegnamento è omologante.
    Però io ho sollevato una questione diversa.
    Provo a portarla in musica, che di solito funziona. Poniamo che… che so io, Tom Waits non sia nato nel secolo scorso. Tom Waits è nato nel XVII secolo, ecco. E sente di essere portato per la musica. Vuole fare il cantante. Allora – mettiamo che ne abbia la possibilità – comincia ad apprendere i rudimenti da un maestro, fiato appoggio passaggio di registro eccetera. Si impegna molto. Però è un po’ stonato, e poi la voce è roca, sporca, il passaggio di registro impossibile, l’appoggio finisce in un urlo. Il maestro quindi gli dice: non hai talento, caro mio. E in effetti Tom Waits non riesce a utilizzare la voce al modo del belcanto. Quindi Tom Waits si convince che non potrà mai fare seriamente il cantante. Tom Waits coltiva il canto come un hobby, stonando un po’ e urlando tra le mura di casa sua, nel tentativo di modulare la voce nel modo in cui gli è stato detto si canta. Fine della storia.
    Ora, io credo che di cantanti come Tom Waits ne nascano pochi in un secolo. Così come nascono pochi scrittori come Antonio Moresco, o come Gianni Celati, o come Aldo Nove, o – uno sguardo ai classici – come William Faulkner (dico: qualcuno ha per caso letto i primi racconti di Faulkner?).
    Io penso questo. Ci sono diversità artistiche che non sono il risultato del completamento della triade riportata da Giulio Mozzi (elementi, fondamenti, complementi). Semplicemente perché non condividono lo stesso linguaggio. Così come ci sono cantanti – tornando a quella analogia – che non hanno imparato e non avrebbero potuto imparare lavorando su fiato, appoggio, passaggio di registro, cioè nel modo in cui ancora oggi si insegna canto (uno dei tanti, da una ventina d’anni, per la verità). Anzi, seguendo quell’insegnamento sarebbero potuti diventar soltanto cantanti mediocri. Il “fattore omologante” c’entra con questa cosa qui.
    Non so se ho reso bene l’idea. E’ tardi e non ho il tempo per rileggere. Spero di sì. Mi sembrava importante scrivere questo commento. Magari può essere di conforto a qualcuno.
    Saluti a tutti.

  166. librini Says:

    @Adam: concordo che gli “errori” al posto giusto e al momento giusto possano essere… giusti (!) ma devono essere errori consapevoli. Dunque non sono più errori.

  167. librini Says:

    Volevo anche aggiungere che prima di creare e di spezzare le regole, le regole bisogna conoscerle. E intendo “conoscere” nel senso biblico, di possedere. E una regola si possiede solo se si applica. Almeno per un po’, il tempo di farla propria: quando è diventata mia, posso decidere (ma è una DECISIONE) di abbandonarla e di farne una nuova.
    Scusate il confronto con le arti marziali: ho praticato Aikido per qualche anno e le regole dovevano entrare a far parte del proprio corpo. Solo ai livelli alti si vedevano i maestri che si sbizzarrivano a inventarne di nuove, ma l’EFFICACIA restava salva. Se non fossero passati per le regole standard, non so se avrebbero potuto raggiungere livelli simili.

  168. paperinoramone Says:

    @ Adam Calrk

    potresti darmi un link per ascoltare la tua musica?

  169. Antonio Says:

    oddio, adam calrk e dm, cosa avete fatto? avete parlato di musica, non sapete a cosa andate/andiamo incontro, fra poco Albertin riprenderà le sue lezioni di musica e non se ne esce più, cercate di essere più responsabili negli interventi, abbiate un po’ di pietà per chi legge queste pagine, mi aspetto un effluvio di parole, di repliche e controrepliche che non porteranno da nessuna parte, nel senso che ognno rimarrà sulle proprie posizioni, o per partito preso o perché non vuole cedere di un millimetro dal proprio parere che dovrà rimanere fisso per l’eternità e per i secoli a venire e non so se sia prorpio del tutto errato, ma comunque, forse queste sciocchezze che sto mettendo in fila potranno servire a dissuadere dall’intervenire il buon albertin, il quale, mosso da un senso di pietà eviterà di partecipare a questo dibattito, almeno questa volta, non che voglia dire che non deve parlare, lungi da me, non sono mica come celentano che considera inutili taluni giornali, ma ormai sarà chiaro a tutti, a tutti i lettori di vibrisse, qual è la posizione del nostro a proposito della musica ecc. ecc. ecc. e comunque concordo con librini quando sostiene che gli errori consapevoli e al posto giusto non sono errori e sono daccordo con lui anche quando dice che ‘prima di creare e di spezzare le regole, le regole bisogna conoscerle’ però è anche vero che esistono gli autodidatti, che di ‘regole’ ne conoscono poche, i quali a forza di percorrere strade ‘errate’ va a finire che diventano bravissimi a camminare e a volte capita che gli ‘errori’ si sono talmente incistati in loro che ormai vedono ed osservano il mondo con degli occhi o meglio con degli occhiali che stravolgono la realtà, ma che è la loro realtà, e così la rappresentano e la fanno conoscere al resto del mondo che invece non ‘erra’ ed io penso che se anche questa gente non entrerà mai a far parte della storia dell’arte, anche se non sono chiari quali sono i requisiti per far parte di una tale cerchia, in ogni caso hanno il sacrosanto diritto di esistere e di esprimersi secondo la loro idea di arte e la loro concezione di efficacia, così come allo stesso modo anch’io vorrei avere la libertà di poter fuire di opere così create che in qualche modo si possono considerare omologate che non è poi una parola così brutta se si considera che qualcuno la definisce così almeno nell’accezione n. 1
    http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/O/omologato.shtml

  170. Marisa Salabelle Says:

    Diamo per assodato che per scrivere sia necessario conoscere le regole della lingua: naturalmente ognuno è poi libero di scrivere come gli pare, anche ignorando qualsiasi regola, ma partiamo dal presupposto che la scrittura non sia solo “ispirazione”, “fantasia”, “libertà espressiva” ma anche “competenza”, “tecnica”, “mestiere”. In fondo, per praticare qualsiasi arte è necessario impratichirsi delle tecniche di base, quindi non vedo perché per la letteratura si possa pensare di farne a meno. Prendiamo in considerazione poi il fatto che le regole si possano personalizzare, infrangere, ribaltare. Gli esiti saranno valutati da chi legge. Riguardo alla questione degli “errori” da inserire per realismo nei confronti dell’ambiente rappresentato: secondo me è un falso problema, o un problema impostato male. Lo scrittore che voglia rappresentare un determinato ambiente sociale e dar voce ai personaggi che lo popolano, dovrà trovare un suo modo di farli esprimere, che però non consisterà nel puro inserire “errori” e “sgrammaticature” per fedeltà a popolani e scugnizzi vari: dovrà inventarsi un linguaggio, un modo per rappresentarli che sia fedele all’ambiente ma che non consista nel riprodurne puramente e semplicemente le parole. Altrimenti, dovremmo far parlare i personaggi dei romanzi storici usando lessico e costrutti dell’epoca di riferimento, con esiti stucchevoli o comici; riprodurre fedelmente la pronuncia difettosa dei bambini o variare continuamente a seconda del parlante… insomma, la lingua letteraria è sempre costruita, non mera riproduzione; l’autore poi, se vuole, può anche esibirsi in una grande varietà, in uno straordinario mimetismo, ma si deve trattare di una scelta consapevole, anche piuttosto ardita.

  171. Adam Calrk Says:

    @ paperinoramone:

    Te lo do volentieri,
    sperando che non si tratti di un “test di idoneità” 😉

    Non amo molto le critiche. Neppure quelle costruttive!
    Preferisco i complimenti, quando sono sinceri. Mi accontento di quelli 😉

    Questo non per peccato di megalomania, ma solo perché se compongo e suono non lo faccio per esibire le mie capacità tecniche, ma solo per esprimere quello che mi passa per l’anima in quel preciso momento. Senza alcuna pretesa.

    Dato che a volte il risultato non piace neanche a me (il che è già grave di per sè), preferisco andare oltre e sperare in esecuzioni migliori di quelle precedenti.

    Questo fa si che la mia gioia coincida con il piacere dell’ascoltatore. Specie dell’ascoltatore sregolato.

    Il mio piacere personale invece, è relativo solo alla consapevolezza di potermi esprimere attraverso la musica in qualsiasi modo e momento senza dipendere dal piacere dell’ascolto altrui.

    Eccoti un link di una mia composizione,
    intitolata Occhi Fissi Nel Silenzio. Spero sia di tuo gradimento:

    – PROVA PER IL CONCERTO

    – IN CONCERTO:

    – IN VERSIONE “POP” (registrata a casa):

    PS:
    Fabio G.G. De Tata è il mio nome di battesimo, Adam Clark invece è quello che uso quando scrivo racconti.
    Grazie per il tuo interesse.

  172. Adam Calrk Says:

    @ Marisa Salabelle:

    Posso permettermi di non essere d’accordo?
    Per lo meno parzialmente.

    Da “lettore” (capita anche a me di leggere anziché scrivere), quando un racconto resta “omogeneo” dall’inizio alla fine, accade un fenomeno molto ricorrente: chiudo il libro e rinuncio a leggerlo.
    Non posso farci niente, è più forte di me.

    A me piace scrivere nel genere “Fantasy”. Piace inventare ciò che non esiste. E mi piace farlo adattando ai vari personaggi e paesaggi, nonché epoche, il modo di scrivere. Come se fossero più narratori a scrivere il racconto, ma al contempo tendo a convogliare le diverse personalità dei narratori in quella di un unico autore.

    Ovviamente questa cosa può piacere oppure no.
    A me piace 🙂

    Per esempio, nella storia storia che sto scrivendo c’è il protagonista che viaggia nel tempo ritrovandosi sia nel passato che nel futuro. Per farlo attraversa dimensioni mentali sconosciute e intriganti in cui finisce inevitabilmente nella mente degli stessi personaggi che crea nel suo viaggio. A questo punto comincia a vedere il mondo attraverso i loro occhi.

    Il protagonista, essendo anche il narratore, usa una “doppia narrazione parallela”, ossia: alcune delle descrizioni e dei dialoghi avvengono tramite un unico autore omniscente, mentre molti dettagli sono in balia della “nuova personalità” assunta dal protagonista che finisce nelle teste altrui.

    Questo (a mio avviso) costruisce nel racconto una profonda dinamica in cui il lettore riesce ad identificarsi di volta in volta allo scopo di seguire mano nella mano il narratore che lo conduce attraverso paesaggi e realtà mai immaginate prima.

    Come potrei riuscire ad accendere una simile dinamica narrativa se dovessi obbligare il lettore a seguire una sola ed unica voce-guida?
    Probabilmente finirebbe per perdersi…
    Così invece, il lettore sceglierà la sua guida preferita liberamente e con coinvolgimento, passando di volta in volta da una voce all’altra; ansioso di incontrare la sua “guida preferita” pronta a riprenderlo per mano e a renderlo nuovamente protagonista della storia.

    Poi magari mi sbaglio, boh?! Che ne so…
    Lo capirò probabilmente solo una volta finito il libro e sentiti i commenti di coloro che lo leggeranno 🙂

  173. dm Says:

    Antonio, :*

    Librini, ho praticato il kung fu shaolin per un po’ di anni. Avevo un maestro molto bravo, sapiente, inflessibile. A sua volta allievo di un maestro molto famoso nel giro. Una volta, in un combattimento informale, un teppistello lo fece praticamente a pezzi. Il teppistello faceva un mucchio di errori, posa di difesa, baricentro del corpo, apertura delle mani. Oltretutto era un mingherlino, non aveva nemmeno trent’anni. Faceva un mucchio di errori. Formalmente, ovvio.
    (Non prendere però troppo sul serio questa analogia :))

  174. librini Says:

    dm: “fare a pezzi” non è praticare arte. Scrivere un libro non significa necessariamente scrivere un’opera d’arte (però il discorso sulle “arti” marziali ci porterebbe lontano dall’argomento del post… ;-p)

  175. Adam Calrk Says:

    @ dm & librini

    Dipende se alla fonte del “fare a pezzi”, in quel caso, c’era solo la rabbia (o simili), oppure la “passione creativa e filosofica” per il combattimento. A prescindere dalle conoscenze di arte marziale del “mingherlino” 🙂

    Anhe far ridere o rendersi ridicoli, può diventare un’arte, quando suscita sensazioni ed emozioni umane deliberatamente e premeditatamente.
    Se cerco di immaginare la scena descritta da dm, mi viene da ridere di gusto… Immaginate… un maestro di arti marziali tutto concentrato e serio, e un mingherlino che si muove come un cretino di qua e di la e che alla fine lo mette pure KO. Sto schiattando dalle risate!!! Ahahah! 🙂

    Se il teppistello ha agito con premeditazione e passione per quel suo combattimento, allora è un vero artista! Se invece ha agito senza premeditazione e senza passione, allora è solo un buffone sfacciatamente fortunato.

  176. librini Says:

    @Adam: bisogna porre l’accento sul tuo SE: SE ha agito con premeditazione e passione. Oppure se è stato solo un caso fortunato. La prima è arte. La seconda è… deretano.

  177. Marisa Salabelle Says:

    Adam, non mi pare di aver detto che l’autore debba adottare un linguaggio omogeneo o seguire “una sola ed unica voce-guida”. Al contrario ho detto: “dovrà inventarsi un linguaggio, un modo per rappresentarli che sia fedele all’ambiente ma che non consista nel riprodurne puramente e semplicemente le parole”.

  178. Nicola Says:

    Adam, ho ascoltato: sei un artista a 360 gradi, bravo! Lo sai che un certo Alessandro Baricco suona il pianoforte?
    Ti auguro di avere almeno la metà della sua fortuna.

  179. Adam Calrk Says:

    @ librini:
    Giusto! La tua descrizione è adeguatamente sintetica, ahahah! 🙂

    @ Marisa:
    Scusami devo aver frainteso involontariamente il contenuto di quello che hai scritto. Non è stato intenzionale. Chiedo scusa.

    @ Nicola:
    Ti ringrazio di cuore 🙂

  180. Adam Calrk Says:

    @ Nicola:

    Comunque è certo che non potrò MAI essere all’altezza di uno come Alessandro Baricco. Neanche a scherzare! Per arrivare a certi livelli bisogna crescere e vivere in determinati ambienti sin da giovani.

    Io (purtroppo) vivo in Svizzera tedesca, quella grigia e squallida dove il lavoro è l’unico vero valore di vita che conoscono. Praticamente faccio il giullare di corte, ahahah!
    Ho lavorato per oltre 25 anni in fabbrica. Si, nel tempo libero mi sono dedicato alla musica sin da quando avevo 11 anni, ma è servito a ben poco. Specie se il contesto in cui vivi ha molto poco a che fare con l’Arte e gli Artisti. Idem per la letteratura.

    Chissà magari in Italia avrei avuto qualche opportunità in più, ma sicuramente anche una probabilità maggiore di farmi sparare addosso, visto che odio l’ingiustizia e la corruzione ma sono incapace di tenere la bocca chiusa.

    Come tutti già sapranno, serve a poco rimpiangere qualcosa di mai realizzato, casomai sarebbe più opportuno armarsi di speranza, e provare ad illudersi che in una delle prossime (eventuali) vite la storia prenda un’altra piega… 😉

    Che dire di più? …Alla prossima vita! Mai dire mai! 😉

  181. Nicola Says:

    Caro Adam,
    non ti ho augurato di essere all’altezza di Baricco, ma di avere semplicemente successo. Baricco ha una sensibilità musicale nel soppesare e scegliere le parole, e posso immaginare che questa sia una cosa comune a molti musicisti, te incluso, quindi.
    Personalmente ritengo che non far parte di ambienti letterari e/o artistici sia un’ottima cosa. In un altro post ti spiegherò il perché. E’ pronta la cena.
    In bocca al lupo!

  182. Adam Calrk Says:

    @ Nicola: Grazie, e …crepi il lupo! 🙂

    Buona cena

  183. paperinoramone Says:

    @ Adam Carlk ( o Clark )

    Al massimo posso fare dei test di anodineità.

    Grazie per il link. Il pezzo per piano l’ho ascoltato alcune volte, la parte che mi piace di più è quando suoni ( almeno mi pare ) delle quartine di biscrome, fa mi bem. re do.

    le parti che mi piacciono di meno non te le dico :p

    cmq anch’io suono Per Elisa a modo mio: male, però con stile.

    @ Giulio

    magari puoi aggiungere un undicesimo errore, ovvero “non commettere digressioni invano” …e poi rispettare i thread e i topic, non desiderare gli errori degli altri etc. etc. etchiuu!

  184. dm Says:

    Librini, “fare a pezzi” non è praticare arte, dici. Io però pretendo che i libri che leggo mi facciano a pezzi. E se arte non c’è, questo non avviene. Parlo per me. Ciao!

  185. paperinoramone Says:

    … e soprattutto rileggere prima di postare qualsiasi cosa ( in merito al punto 5, andare per campi )

    “Postare”, ovvero dare ai posteri, appendere poster, spostare senza la s.

  186. Adam Calrk Says:

    @paperinoramone:

    <> = DO SIbem LAbem SOL 😉

    <>
    Immagino si tratti della parte in DO maggiore.
    Probabilmente nella ritmica troppo “pesante” rispetto alla melodia.
    Mi sbaglio?

    <>
    Immagino che con “…però con stile” intendi che io ne abbia poco.
    In effetti hai ragione. Volevo proporla in chiave “rock” e m’è uscita decisamente male. Ti ringrazio per la sincerità. 🙂

    Mi piacerebbe ascoltare qualcosa di tuo, se possibile.

    Grazie

  187. Adam Calrk Says:

    @paperinoramone:

    – Andare per campi
    – Andare a funghi

    😉
    Forse un mix?

  188. librini Says:

    … eh, dm, se adesso passiamo alle definizioni di arte, si va “leggermente” fuori dall’argomento di Mozzi (per me, comunque, il fare a pezzi contiene in sè una componente di violenza che, in quanto strumento di potere, alla maniera della Arendt, dovrebbe stare lontano dall’arte… ma solo per me). Buon week-end!

  189. paperinoramone Says:

    @ Adam Calrk

    mannò, lo sapevo che avrei lasciato ambiguità, con stile mi riferivo solo a me.

    per il resto, non ho dei link di cose mie, posso darti quello del mio gruppo, scrivimi a roggio_bancks_2008@libero.it

  190. Adam Calrk Says:

    @paperinoramone:

    Grazie! 🙂

  191. michele facen Says:

    A forza di parlare di quel che non si deve fare ,va a finire che si dimentica cio’ che si deve fare:leggere e leggere e farsi passare la pruriginosa voglia di scrivere per qualsiasi impulso. La scrittura non e’ esercizio matematico ma supplizio e martirio negli esempi più alti che la letteratura ci fornisce.
    A buon intenditore poche parole.

  192. Giulio Mozzi Says:

    Si può peraltro sostenere anche l’inverso, ossia che per saper leggere è indispensabile saper scrivere.

    Ma io voglio che tu abbi per indubitato che a conoscere perfettamente i pregi di un’opera perfetta o vicina alla perfezione, e capace veramente dell’immortalità, non basta essere assuefatto a scrivere, ma bisogna saperlo fare quasi così perfettamente come lo scrittore medesimo che hassi a giudicare.

    Leopardi, “Il Parini o della gloria”, nelle “Operette morali”.

  193. Flavio Garzanti Says:

    condivido il considerare un errore l’1 e il 2, perché danno come il senso di una ripetizione. Anche quello dei campi, suona semplicemente male, mette ansia senza ragione. Gli altri, invece, li trovo molto espressivi e rappresentano un modo di scrivere che apprezzo e che mi coinvolge, in quanto utilizzati a fini espressivi per enfatizzare un certo stato d’animo.

  194. Carlo Citterio Says:

    La cosa peggiore che un lettore può fare nella sua vita e soffocare il pruriginosa impulso a scrivere. Ma perché parlo di un lettore? Chiunque, appena ha l’impulso di scrivere deve scrivere, senza esitazione, tutto quello che gli passa per la testa in modo da esprimersi il più possibile. E soprattutto non rispettare nessuna regola.

  195. Giulio Mozzi Says:

    Flavio, Carlo: complimenti per la mancanza d’orecchio e per i luoghi comuni.

  196. Carlo Citterio Says:

    Giulio, in che senso? (Flavio e Carlo son sempre io ovviamente),
    perché mancanza d’orecchio? Quali sono i luoghi comuni?

  197. Giulio Mozzi Says:

    Sì, ho visto che ti sei firmato con due nomi diversi a distanza di pochi minuti (IP identico).

    Chiunque, appena ha l’impulso di scrivere deve scrivere, senza esitazione, tutto quello che gli passa per la testa in modo da esprimersi il più possibile. E soprattutto non rispettare nessuna regola.

    E’ un gruppo di tre luoghi comuni:
    – che esista un dovere di scrivere tutto ciò che passa per la testa,
    – che scrivendo tutto ciò che passa per la testa ci si esprima,
    – che nessuna regola vada rispettata.

    Oltre che essere luoghi comuni, sono anche delle sciocchezze. Qui se n’è parlato una quantità di volte e perciò non mi ci soffermo.

    Se poi riesci ad apprezzare addirittura degli esempi appositamente scritti male (come il 7), mi pare che l’orecchio proprio manchi.

  198. Paolo Says:

    Quanto al 4, quando parli di “dire dopo ciò che accade prima” ti riferisci al flashback? Se è così, secondo me può essere piacevole per chi legge e aiutare a far chiarezza su ciò che si sta narrando.

    Quanto al viceversa del 4, credo che alcuni accenni a ciò che accade dopo possano essere utili allo scrittore che voglia disilludere o illudere il lettore: ammesso che si voglia, lo si può fare senza cadere in un errore tecnico vero e proprio?

    Quanto al punto 9, mi pare che in alcuni casi la scelta di rimandare al generale possa “rendere meglio l’idea” che non una diretta descrizione di ciò di cui si racconta (l’esempio che citi mi è piaciuto).

    Ringrazio per l’articolo,
    ciao!

    Paolo

    p.s. mi scuso se ho fatto domande a cui hai già dato risposta, ma l’articolo ha un numero di commenti tale che ho preferito intervenire prima di leggerli tutti

  199. Giulio Mozzi Says:

    No, Paolo, il flashback è un’altra cosa. L’esempio che propongo nell’articolo non è certo un flashback.

    L’esempio al 9 è ingannevolmente piacevole: in realtà non ci dice nulla della situazione di Adelmo.

  200. Marisa Says:

    Il primo difetto di uno scrittore esordiente è la scarsa cura per la “musicalità” del testo, intesa come la cacofonia che affligge troppe frasi dove prevalgono determinate consonanti…Personalmente, quando scrivo, mi preoccupo soprattutto di garantire la fluidità. I contenuti sono fondamentali quanto l'”orecchiabilità” .e la chiarezza dei concetti. Se è vero che ho già pubblicato un libro con la Feltrinelli, probabilmente il mio parere è condiviso. Non pretendo di “esportarlo”, ma lo consiglierei…Con infinita umiltà!

  201. Giulio Mozzi Says:

    “Se è vero”, Marisa. Ma – poiché ci neghi il tuo nome completo – non ci dài il modo di sapere se è vero o no.

  202. cornetta Maria (alias Marisa) Says:

    Piuttosto che rispondere alla sua provocatoria domanda, le invio un incipit di uno dei racconti pubblicati:
    CON GLI OCCHI DI UNA DONNA
    Le ruote sussultavano sui ciottoli di campagna.
    Domenico cercava un posto dove fermarsi.
    Scelse una radura limitata dagli ulivi.
    L’impulso di gridare si spense in un singhiozzo.
    Non voleva cedere al dolore.
    Era sempre stato padrone di ogni certezza ed ora la sua dignità vacillava, nuda e indifesa.
    Scese dall’auto e si guardò intorno.
    Nella pace del paesaggio sentiva l’indifferenza della natura, che procedeva a passo lento e sicuro verso l’eternità…
    LIBRO del 2008, che, dall’Aletti, è approdato alla Feltrinelli e all’Amazon. Una breve recensione ci è stata dedicata anche dalla rivista ORIZZONTI.
    DIAPOSITIVE è il titolo. Gli autori? Cornetta Maria e Dicuonzo Antonio. E’ ovvio che sia attualmente fuori catalogo, ma spero di poterle dare la seconda buona notizia quando pubblicheremo il secondo libro: “e furono…Homo sapiens et femina sapiens”. A proposito! Gli amici mi chiamano Marisa e sono la mamma di Antonio, futuro e sicuro scrittore di thriller assolutamente originali. Buonasera.

  203. Giulio Mozzi Says:

    Maria, non vedo dove sia la provocazione.

    Se è vero che ho già pubblicato un libro con la Feltrinelli…

    Non trovo traccia di un libro tuo pubblicato da Feltrinelli. Puoi dirci il titolo?

  204. marisasalabelle Says:

    Però, o mia quasi omonima, DIAPOSITIVE è pubblicato da Aletti, non da Feltrinelli.

  205. dm Says:

    …la figura barbina di una aspirante… (Aspirante che aspira… fino a prova contraria…)

    .

  206. Giulio Mozzi Says:

    Daniele (dm), non sarebbe meglio aspettare la risposta?

  207. dm Says:

    (Hai ragione. È che a volte la crudeltà prende alla sprovvista. E gli editori a pagamento me la ravvivano, ci cascai anch’io nella vita prima. Culpa tua vita mea.)

  208. Cornetta Maria Says:

    E’ una storia lunga che non posso riassumere ma credetemi sulla parola se vi dico che non solo la Feltrinelli ma anche l’Amazon (a suo tempo) hanno divulgato il nostro libro. Dirò di più ( e sono troppo vecchia per essere mitomane ma non tanto da essere rimbambita) , un giornalista che lavora alla Mondadori si è complimentato con me per l’incipit di un racconto: “Ad un passo dall’alba”.
    E’ ancora inedito ma molte case editrici hanno richiesto il manoscritto completo, che non sono disposta a spedire senza garanzie. Qualcuno mi ha detto che ci vuole fiducia reciproca, ma io ho obiettato che la fiducia si guadagna, non si regala.
    Godetevi l’incipit e…Vi auguro di saper scrivere meglio di me, sono una mamma e il mio è un augurio sincero.
    “AD UN PASSO DALL’ALBA”
    Una goccia di pioggia batteva nello stesso punto, sul davanzale di marmo, caparbia e inutile come la replica dei miei ricordi. Uomini di ogni genere transitavano nel mio territorio prima di finire dietro i vetri di una cornice: una piccola, innocente manìa…Solo trofei, non c’era vita nelle storie che dividevo con loro. Mi affacciai sul quartiere: nuvole sciatte raccoglievano l’ultima pioggia in un soffice abbraccio sull’affresco compatto del cielo primaverile, punteggiato dal nero deciso di stormi lontani…
    E ancora un altro:..
    SAID
    Aveva un corpo che raccontava la storia della sua fame e le cicatrici aperte sulla pelle erano conti in sospeso col destino, tacche su legno ancora vivo…
    AULICI E PROFONDI, GIUSTO? Così mi piace scrivere. L’arte è la massima espressione della libertà…Buonasera!

  209. Cornetta Maria Says:

    Cliccate su google PAURA DEL MONDO di Dicuonzo Antonio e vedrete in quale prestigioso blog è riportato il suo incipit

  210. Giulio Mozzi Says:

    No, Maria. Non ti credo sulla parola. Scrivi troppe sciocchezze.

  211. Cornetta Maria Says:

    Meglio una brutta verità che una bella bugia: è un mio motto al quale sono affezionata. La ringrazio per la sincerità e mi riservo di smentirla quando (senza i “se”) un giorno pubblicherò il nostro secondo libro. Tolgo il disturbo.

  212. Giulio Mozzi Says:

    E la verità è che tu non hai pubblicato con Feltrinelli, giusto?

  213. Cornetta Maria Says:

    Un vero artista non può essere meschino, perciò le chiedo un piccolo favore: la risposta sarà più che esauriente: clicchi Cornetta Maria e Dicuonzo Antonio – DIAPOSITIVE su google e vedrà che non ho mentito. Ripeta l’operazione scrivendo su google Dicuonzo Antonio – PAURA DEL MONDO e potrà leggere l’incipit del racconto di mio figlio nel blog di una prestigiosa casa editrice. La prego, ci provi. Non le costa nulla.. La saluto con rispetto (non conosco un altro modo di rapportarmi alle persone).

  214. Giulio Mozzi Says:

    Certo, Maria: Google mi dice che avete pubblicato “Diapositive” con l’editore Aletti. Non con Feltrinelli. Quanto all’incipit “nel blog di una prestigiosa casa editrice”, è evidente che chiunque può inserire quello che gli pare nei commenti di un blog.

  215. Cornetta Maria Says:

    Le spiego nel dettaglio: nel 2008 spedimmo il manoscritto all’Aletti, non per finalità speculative ma solo per monitorare un eventuale consenso. Accettammo, perciò, la clausola che prevedeva la cessione dei diritti d’autore ad altre case editrici. Fu per questo che dopo qualche tempo il nostro libro fu pubblicizzato anche sul sito della Feltrinelli e dell’Amazon. La rivista “orizzonti” ci dedicò anche una breve recensione. Un bell’esordio per un dilettante, lo deve ammettere! Ora stiamo provando a ripetere l’esperienza, ma con una certezza in più: ciò che scriviamo piace. Non c’è altro, non siamo vanagloriosi, abbiamo solo un pizzico d’orgoglio per quello che sappiamo di essere…Talenti senza gloria, come amo definirci. E’ ovvio che questo non è un atto di superbia verso terzi, ma solo un legittimo narcisismo che non ferisce nessuno. Sia io che mio figlio non amiamo trascendere perchè siamo convinti che se noi abbiamo questo “dono”, altre persone ne hanno altri. Nessuno è superiore a nessuno. Spero di essere stata chiara. La saluto e se non gradisce la mia presenza nel suo blog, lo dica. La saluterò educatamente e sparirò.

  216. Andy Says:

    Cornetta Maria si contraddice: da una parte afferma che “la fiducia non si regala, si guadagna”, e dall’altra pretende di essere “creduta sulla parola”.

    Sul figlio: non gli fa certo del bene andandosene in giro a strombazzare l’eventuale e tutta da dimostrare futura grande carriera come scrittore di thriller.

  217. Giulio Mozzi Says:

    Maria: il libro l’ha pubblicato Aletti. E’ poi stato messo in vendita anche attraverso i siti di Feltrinelli e di Amazon.

    Se per questo sei convinta di essere stata pubblicata da Feltrinelli, fa’ pure. Ma sappi che andando a dire in giro che sei stata pubblicata da Feltrinelli ti rendi, ahimè, ridicola.

  218. Cornetta Maria Says:

    Il tempo darà ragione a chi ne aveva….

  219. acabarra59 Says:

    “ Venerdì 3 marzo 2000 – « Ogne scarrafone è bbello a mmamma soie », pensava Gregor Magneti Marelli. Per consolarsi. Di non avere [*] una mamma. “. [**]
    [*] Più.
    [**] La s-formazione dello scrittore / 61

  220. dm Says:

    Dieci anni fa affidai un manoscritto a una casa editrice, una nota casa editrice a pagamento, perché, senza dirlo per esplicito ma con intenzioni assai poco onorevoli, questi signori mi avevano fatto credere di nutrire un interesse reale per le mie cose. Era un file con dentro brutte poesie, molto ignoranti e ingenue, scritte nel tempo libero e con l’intenzione di non recare danni a nessuno.
    Entrai nel circuito – con tanto di mailing list d’assistenza, prefatore, grafico e referente per la distribuzione – con molto entusiasmo e, qualche mese dopo, già cercavo nelle librerie il mio capolavoro. Ma niente. Nel frattempo sbirciavo in rete e vedevo che, a poco a poco, il titolo risultava dentro a un buon numero di siti, alcuni dei quali di librerie di catena. Ero persuaso di avere combinato il colpaccio.
    Mano mano l’intonaco della baracca però veniva via e, mese dopo mese, la baracca si svelava per la baracca che era. Sbagliarono perfino il titolo nel loro sito che, a ben vedere, pullulava di libri, alcuni dei quali avevano incipit che, persino al me ingenuo d’una decade fa, disgustavano e forse più. Alla fine, compresa la spietatezza dei masnadieri, mi sentivo in gran colpa soprattutto per i finanziatori: che due anime pie e motivatrici mi avevano spinto alla pubblicazione, finanziando il tutto. Nemmeno soldi miei…
    Finale triste. Parecchi anni dopo, venti quintali di poesie lette e qualche chilo di sale in zucca di più, mi sono adoperato per far sparire dalla vista di Google e dai luoghi – fisici o meno – ai quali avevo accesso, ogni traccia dello sgorbio editoriale, con grande spreco di vergogna. C’è una morale? E chi lo sa! A me resta un po’ di ruggine e un po’ di malumore, quando sento il nome – nuovo e trasformato, come fanno le società votate al crimine – della casa editrice a-ehm frodatrice.

  221. Andy Says:

    Che poi a dirla tutta, anche essere pubblicati con Feltrinelli (e non è il caso di Maria) non equivale ad aver vinto il premio Pulitzer.

  222. Massimo Says:

    Pensavo, al punto numero 1 una possibile infrazione “consapevole” gira intorno all’attrito tra le due parti della tautologia. Un esempio banale, per spiegarmi:

    “E’ a quest’ora che torni a casa?” gli domandava suo padre.

    Ora, non c’è alcun bisogno, ovviamente, di informare il lettore che quella è una domanda. Eppure il commento mi pare che aggiunga qualcosa, dando cioè una relazione tra un concetto generale (domandare) e la domanda stessa, come a dire qualcosa del tipo: “per questo personaggio, domandare vuol dire rivolgersi all’altro nel tale modo. Sta domandando, e lo fa così.” La cosa si può giocare in diversi modi, ma in ogni caso ci si pone così dal punto di vista di un’intelligenza che osserva criticamente ciò che accade ed è quindi meno coinvolta, ha un tono più disteso e avvolgente, non seguendo “in presa diretta” il personaggio che si imbatte in quelle parole e che, lì per lì, avvertirà emozioni più urgenti, rischierà di più, potrà sempre essere preso in contropiede. Se si vuole colpire il lettore al cosiddetto stomaco, allora è meglio trattare le parole come semplici dati di realtà, oggetti che si incontrano e che non hanno un significato in se stessi ma che, se gliene viene dato uno, quest’atto, fa parte del nostro modo di affrontarli.
    Spero di essere riuscito a spiegarmi.
    Mi sembra insomma che, qui, il “sapere quel che si fa” vorrebbe dire controllare le sfumature interne di quella che appare soltanto come una ripetizione, sapendo però, appunto, che come tale appare.

  223. Giulio Mozzi Says:

    Massimo, in questi come altri casi è importante “pesare le parole”. Verbi come “disse, rispose, domandò” sono usualissimi, e hanno un peso minimo. Un “si stupì” è già più espressivo: e quindi più pesante.

  224. Massimo Says:

    E’ anche vero, Giulio, che diversi scrittori contemporanei aboliscono del tutto la cornice del dialogo, evitando anche verbi di quel tipo, troppo didascalici. Bisogna intuire chi parla dalle parole che dice.

  225. Giulio Mozzi Says:

    Diciamo: da Hemingway in qua, c’è tutta una tradizione di questo tipo.

  226. Patrizio Says:

    Sig. Giulio Mozzi le consiglio di leggersi qualcosa di Chuck Palahniuk. Si aggiorni.

  227. Giulio Mozzi Says:

    L’ho letto.

  228. Seth Devita Says:

    Uffa, che noia, questi tizi che ci dicono come dobbiamo scrivere. Mi fate venire una gran voglia di scrivere male, di sbagliare, di sbagliare per darvi molto fastidio. Professorini da strapazzo. Ecco come nascono le avanguardie.

  229. Giulio Mozzi Says:

    Seth Devita: che curriculum bisognerebbe avere, secondo te, per non essere un “professorino da strapazzo”?

  230. Øystein Says:

    Stando all’esempio n° 5 Ivan Guerrerio non avrebbe mai vinto il premio Calvino.

  231. Giulio Mozzi Says:

    Øystein, la prima frase dell’articolo dice: “Nota: tutto ciò che qui è presentato come errore può essere, in certi casi, vantaggioso espediente stilistico”.

  232. Grazia Says:

    Posso approfittare per togliermi un dubbio sul discorso indiretto? Al punto 6 “La madre le chiese come stava”, il discorso indiretto non richiede il congiuntivo (“come stesse”, regola imparata a scuola, ma non ne sono più sicura… scusate l’ignoranza)? Noto che spesso non è così. Si possono usare tutti e due? Grazie!

  233. Aristide Says:

    Mamma mia per fortuna almeno questo non lo faccio. Però ero arrivato qui cercando errori di ATTORI principianti. Ohibò esclamò esterrefatto dopo aver
    Compreso.
    Che google – il motore di ricerca – fa quello che gli pare e ripartì.

    Ok. Dovrei averne infilati diversi. Come sto andando?

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