Che cosa mi aspetto da un giornale serio

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di giuliomozzi

Leggo in Repubblica online, qui:

[…] E’ stata silenziosamente abrogata con un decreto legge pubblicato l’1 luglio (poi diventato la legge n.102/2009) la normativa ‘antifannulloni’ varata l’anno scorso dal ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, che prevedeva disposizioni penalizzanti per gli impiegati pubblici, tra le quali indennità di malattia ridotta, e fascia di reperibilità per i dipendenti in malattia estesa praticamente a tutta la giornata (con un’unica ‘ora d’aria’ dalle 13 alle 14). Di questi punti, il ministero in un comunicato di replica riconosce solo il ripristino di fasce ridotte di reperibilità, ma il sindacato conferma tutto. Le fasce orarie di reperibilità sono tornate due di due ore ciascuna, la certificazione medica è stata nuovamente affidata al medico convenzionato, e sono state abrogate alcune delle norme che prevedevano penalizzazioni economiche. […] Il ministero della P. A. sostiene però che la “rivoluzione” non si è fermata e, in un comunicato stampa, nega il colpo di spugna sulle norme. […] “L’unica modifica intervenuta nel decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78 riguarda le fasce di reperibilità, che sono state uniformate nella durata a quelle vigenti nel settore privato. […] Al contrario – prosegue il comunicato del ministero – non si è intervenuto in alcun modo sulle disposizioni vigenti in materia di trattenute economiche e di certificazioni mediche dei dipendenti pubblici.” […]

La questione, tutto sommato, pare semplice, benché bizzarra. E’ stata fatta una legge, ed è bizzarro che secondo i sindacati ci sia scritto questo e quello e secondo il ministro ci sia scritto tutt’altro. Ma per risolvere la diatriba è sufficiente andare a leggere la legge. Che, essendo l’Italia graziaddio un paese democratico, è pubblica e pubblicata: nella Gazzetta Ufficiale ma anche, più a portata di mano, nel sito del Parlamento, e precisamente qui.

Adesso, per piacere, prima di continuare a leggere qui, dedicate un po’ di tempo a leggere la legge. Un paio d’ore dovrebbero bastarvi.

Se ce l’avete fatta a leggere tutto, complimenti. Io non ce l’ho fatta. No, per carità, non perdiamo tempo a lamentarci per il linguaggio oscuro delle leggi. Le leggi sono roba tecnica, hanno tutto il diritto di essere scritte in gergo tecnico. Ma, per l’appunto, essendo l’Italia graziaddio un paese democratico, ci sono i giornali; e della faccenda ho saputo, io come tanti altri, dal giornale. E Repubblica è un giornale al quale non mancano né soldi, né competenze, né questo né quello. Insomma, immagino che un ufficio pieno di omini in abito grigio che sanno tutto di leggi e decreti, e che tutto il santo giorno leggono e spulciano e tagliano e incollano, e lavorano per spiegare le cose ai lettori, ce l’abbiano.

Che cosa mi aspetto, io come tutti, in fin dei conti, da un giornale serio? Mi aspetto che mi dica che cosa è vero: se quelle benedette norme sono state cancellate, come sostengono i sindacati, o non sono state cancellate, come sostiene il ministro.

Repubblica non lo fa. Non mette neanche un link al testo della legge (sarebbe già qualcosa: una cortesia verso i lettori – niente più che una cortesia: con un motore di ricerca la legge si trova in 0,1639 secondi).

(Nemmeno dal secondo comunicato del ministero, peraltro, il comune cittadino riesce a capire tanto).

***

E già che ci sono, ne aggiungo un’altra. Leggo oggi nel Giornale, sempre in rete, qui, un intervento di Daniela Santanchè. Il titolo è: “Rai, perché pagare per Santoro? Firmate con noi per abolire il canone”. L’articolo comincia così:

Lo scrivevo, oltre un anno fa, l’8 maggio 2008, all’indomani della puntata di Annozero che si concludeva con le vignette di Vauro che sbeffeggiavano la tomba delle centinaia di vittime del terremoto in Abruzzo. […]

Il terremoto, come tutti sanno (tutti, evidentemente, fuorché la signora Santanché e il correttori di bozze del Giornale) è avvenuto il 6 aprile 2009. Sei mesi fa, non “oltre un anno fa”. C’è anche in Wikipedia, qui.

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43 Risposte to “Che cosa mi aspetto da un giornale serio”

  1. ULisse Fiolo Says:

    Tanti auguri!

  2. isabella Says:

    Da pubblico dipendente, per di più addetto alla gestione del personale di una direzione di un Ministero confermo.
    In realtà le norme sono state abrogate.
    Niente più fascia oraria, niente più certificato della ASL.
    Su quest’ultimo punto c’è da dire che per medico della ASL si è sempre inteso anche il medico di famiglia che avesse un timbro da cui risultava appartenesse ad una ASL.
    Mentre per quanto riguarda le visite mediche (considerate malattie a tutti gli effeti) si può nuovamente presentare la certificazione anche di un privato.

    Forse sarebbe bastato che il giornalista avesse chiamato un qualche ufficio del personale di un qualsiasi ente pubblico.
    E’ questo che mi scoraggia nei giornali (e lo dico da giornalista, visto che se per mangiare faccio l’impiegata statale, per convinzione ho sempre fatto -anche- la giornalista), non so se è ignavia o incapacità, non so se non lo insegnano più nelle scuole di giornalismo, ma l’incapacità di risalire alla fonte è una delle caratteristiche più raccapriccianti dell’informazione.

    Ho cominciato a lavorare nell’agenzia di stampa di un partito politico all’epoca molto piccolo e malvisto ed ogni volta che si andava a chiedere un chiarimento era una lotta, ma passavamo mezza mattinata a chiedere chiarimenti, conferme, a fare interviste e a verificare.
    Leggere una legge non è facile, è noioso e spesso non si capisce, ma avere notizie fresche di prima mano,quello è anche divertente e fa parte del bagaglio di un giornalista: informazioni e informatori.

    Tant’è.
    Could we start again, please?

  3. federica sgaggio Says:

    Per quanto io ne ho visto, non c’è mai nessun ufficio con omini vestiti di grigio che spulciano leggi, decreti o anche solo delibere di giunta comunale.

    Funziona – ma lo sai bene anche tu, ovviamente! – a comunicati e conferenze stampa.

    E in effetti un’altra cosa che io mi sono domandata proposito di questa vicenda è la seguente: come diavolo è possibile che dell’abrogazione (o no, chissà…) di un testo (e che testo) avvenuta quasi TRE mesi fa, un giornale si renda conto solamente adesso?

    Non è un atto d’accusa a se stesso, quello di giornalisti che – dipendenti peraltro da un giornale che si picca d’esser vera opposizione – dicono «ehi, gente, lo sapevate che questo testo è stato silenziosamente abrogato tre mesi fa, mentre noi stavamo a facce ‘na pennica?».

    Che poi.
    Che cosa significa essere giornale d’opposizione?
    Rivendicare a sé lo statuto di «opposizione», se si è un giornale, è come rivendicare – a seconda dei contesti istituzionali, direi – o il minimo sindacale del giornalismo (controllo del potere, e perciò opposizione per definizione, di chiunque e sempre), o il proprio desiderio di costituirsi in partito.

    Che è poi quel che sta tentando di fare «Il Fatto», titolando la prima pagina con titoli assurdi come quello che ho visto qualche giorno fa (ieri?): «Presidente, non firmi quella legge», come se non fosse l’apertura di prima pagina (nella quale dovrebbe stare la più grande NOTIZIA del giorno, meglio se ce l’avevi solo tu; e non la più grande opinione).

    Non è che dico che i giornali politici – meglio: «parte» politica – non abbiano senso. Ce l’hanno, anche solo perché costruiscono un senso pur vago di appartenenza in tempi in cui far comunità in senso politico è una cosa molto difficile.

    Però vorrei che il giornale-parte facesse il suo mestiere sempre, senza addormentarsi per tre mesi quando – secondo la sua logica – i fatti (l’abrogazione del testo cosiddetto anti-fannulloni) gli danno in mano una pistola con cui gambizzare politicamente l’avversario.

  4. vibrisse Says:

    E sempre su segnalazione di Isabella Moroni – che ringrazio -, ecco il punto preciso (articolo 17, comma 23) nel quale avviene l’abolizione:

    All’articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono apportate le seguenti modificazioni:
    a) il comma 1-bis è sostituito dal seguente: «1-bis. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, limitatamente alle assenze per malattia di cui al comma 1 del personale del comparto sicurezza e difesa nonché del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, gli emolumenti di carattere continuativo correlati allo specifico status e alle peculiari condizioni di impiego di tale personale sono equiparati al trattamento economico fondamentale»;
    b) al comma 2 dopo le parole: «mediante presentazione di certificazione medica rilasciata da struttura sanitaria pubblica» sono aggiunte le seguenti: «o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale»;
    c) al comma 3 è soppresso il secondo periodo;
    d) il comma 5 è abrogato. Gli effetti di tale abrogazione concernono le assenze effettuate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto;
    e) dopo il comma 5, sono inseriti i seguenti:
    «5-bis. Gli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti dal servizio per malattia effettuati dalle aziende sanitarie locali su richiesta delle Amministrazioni pubbliche interessate rientrano nei compiti istituzionali del Servizio sanitario nazionale; conseguentemente i relativi oneri restano comunque a carico delle aziende sanitarie locali.

  5. federica sgaggio Says:

    È chiaro che se su Repubblica avessero scritto queste esatte parole (su quella di carta, dico; perché online avrebbero potuto linkare una spiegazione come la tua qui sopra, naturalmente) sarebbe venuto fuori un articolo illeggibile.

    Il problema, per come la vedo io, è – sì, come dice Isabella – che nessuno è andato a vedere le fonti.
    Ma è anche – e questo è infinitamente peggio, purtroppo, per le conseguenze politiche che produce – che nessun giornale è abbastanza autorevole da poter dire, sintetizzando le nuove disposizioni di legge, «questo testo è stato abrogato».

    Ci sono persone credibili, certamente. Ma le loro voci si perdono nel rumore di fondo della propaganda – spesso all’interno dello stesso giornale – di modo che, alla fine, un tipo comune potrà sempre dire (e infatti lo fa) «ah, se Repubblica scrive questa cosa è solo perché vuole sparare addosso a Brunetta».
    Anche perché nel frattempo il Giornale potrebbe avere scritto che non è assolutamente vero che quel testo è stato abrogato, e un (altro) tipo qualunque potrebbe dire «ah, ma se il Giornale scrive questa cosa è solo perché deve salvare Brunetta».

    Sicché, è come se in tutto questo fosse scomparsa la possibilità di dire la verità.
    Io so che «verità» è un concetto filosoficamente molto complicato. però se una legge è stata o non abrogata è certamente un fatto che può essere definito e descritto secondo le categorie semplificate di vero/falso.
    Ma questo, ora, è diventato impossibile.

  6. isabella Says:

    E’ vero, Federica, ma è anche vero che l’autorevolezza ad un giornale gliela darebbe lo stesso fatto che una legge dello Stato è stata pubblicata e che, al di là della possibilità di gambizzare l’avversario c’è il dovere di fare informazione.
    Chiunque sia il soggetto che tale legge “gambizza”…

    Questa mi pare la cosa più fuori tempo e fuori logica: i giornali, anche i migliori, non raccontano ai lettori quello che i cittadini si aspettano di cooscere (ovvero tutto ciò che non è poi così a portata di mano di tutti), ma spesso preferiscono fomentare schieramenti, creare ideologismi e così vengono meno alla loro funzione di in-for-ma-zio-ne.

  7. federica sgaggio Says:

    Sono completamente d’accordo, Isabella.

    Considero anzi deontologicamente scorretto – lo dicevo qui sopra – «gambizzare» l’avversario, e preferirei di gran lunga che i giornali si occupassero di cronaca.

    Ho qualche dubbio sul fatto che i cittadini si aspettino i fatti e non il sostegno a uno schieramento ideologico, ma questa è un’altra cosa.
    Brutali come sono i rapporti sociali in questa fase, perfino un quotidiano che si chiama «Il Fatto» apre – dicevo prima – con un’opinione. Mi pare molto indicativo di ciò che cerca la gente.
    A me sembra – ma posso ben sbagliare – che la gente cerchi nei giornali le pallottole con cui sparare all’enorme numero di avversari (politici e no) che ha nella sua vita quotidiana.

    Comunque.
    Al di là del fatto che non mi piacciono i giornali-parte, quel che dicevo erano due cose.

    Uno: un giornale che vuole essere «parte» e poi si distrae per tre mesi non fa bene nemmeno il suo discutibilissimo mestiere di essere «parte».
    Due: nel rumore si perde ogni credibilità anche quando si scrive la verità; per dirla con te, anche quando si fa informazione.

    Lavoro nei giornali da quasi diciott’anni, e il rumore è cresciuto sempre di più. Fino al punto che è diventato impossibile dire qualsiasi cosa, Isabella.
    Niente è più vero, tutto è vero, tutto è falso.
    Il dramma mi sembra questo.

  8. mauro mirci Says:

    Poiché l’informazione è un bene prezioso, si cerca di regalarne il meno possibile. Persino l’ufficio del personale del mio ente ha preferito non diffondere la notizia. E lì, posso assicurare, gli omini in grigio ci sono (anzi, le signore in grigio). Comunque, a discolpa di Repuibblica, posso affermare che leggere un testo omnibus (come quello in questione) è il compito più faticoso che possa capitare a chi deve poi lavorarci, coi decreti e i dipierre. In genere ci si affida a quello che viene sintetizzato dai giornali.

  9. vibrisse Says:

    E dicendo che “in genere ci si affida a quello che viene sintetizzato dai giornali”, Mauro, hai chiuso il cerchio. g.

  10. federica sgaggio Says:

    Segnalo questa cosa qui sui punti tolti dalle patenti dei ciclisti: http://www.corriere.it/cronache/09_settembre_27/salvia_9ba33de4-ab40-11de-a868-00144f02aabc.shtml

    Rileva non tanto perché rappresenta l’ennesima occasione in cui la maggioranza ha dimostrato la sua dubbia familiarità con l’armonia dell’ordinamento, ma perché il Corriere della Sera on line piazza la faccenda, ora che sono le 16.14 di domenica 27 settembre, come ultimo titolo dell’intera home page.

    Eppure, la notizia era «nata» con squilli di trombe e rulli di tamburi…

  11. vibrisse Says:

    Federica Sgaggio riprende, ordina e rende più compiuto il discorso che ha accennato qui nei commenti, nel suo blog: qui.

  12. vbinaghi Says:

    Dice Federica Sgaggio
    “A me sembra – ma posso ben sbagliare – che la gente cerchi nei giornali le pallottole con cui sparare all’enorme numero di avversari (politici e no) che ha nella sua vita quotidiana.”

    E’ un’osservazione illuminante. Sostituirei solo all'”enorme numero di avversari” l’espressione “il Nemico”, che indica meglio il sentimento diffuso di cui si tratta: una sindrome paranoica, diffusa in egual modo a Destra e Sinistra, e di cui i politici non fanno che approfittare, fomentandola.

  13. Paul Olden Says:

    Tu hai una visione un po’ romantica di come funziona un giornale. Un giornale italiano è pieno di omini grigi che vanno avanti e indietro… dalla scrivania al bar per il cappuccino. E poi ci sono alcuni stagisti neo-laureati non pagati che tagliano e cuciono i lanci dell’ANSA per fare quello che noi chiamiamo giornale.

  14. andrea barbieri Says:

    Il comunicato del portavoce del Ministro (il secondo linkato da Mozzi) spiega tecnicamente come è cambiata la disciplina in caso di malattia sui punti della reperibilità, indennità, visita fiscale. Spiegazione che mi pare corretta.
    Poi questi atti normativi sono interpretati come un “dietrofront”, e su questo punto c’è polemica.
    Chi parla di “dietrofront” mi pare non spieghi che la disciplina sulla malattia che precedeva il D.L. 78/2009, quella delle fasce orarie esorbitanti ecc., aveva dei problemi di legittimità che probabilmente non erano stati valutati attentamente dal Ministero.
    Per esempio, la Corte di Cassazione (sentenza del 2008, n. 1942/90) aveva stabilito che l’obbligo di reperibilità cessa dopo la visita fiscale che serve unicamente ad accertare lo stato di malattia.
    Una sentenza ovviamente non è una legge, ma sicuramente apriva la possibilità di infiniti contenziosi.

    Quindi penso che sia accaduto questo: le persone oneste e competenti nella p.a. e nei sindacati, dopo un primo momento di sconcerto per le nuove norme sulla malattia, si siano attrezzate per contestarle, e credo che queste contestazioni fossero fondate.

    Detto questo, trovare il modo di migliorare la p.a. resta fondamentale, ma appunto non si fa né con insulti, né con norme assurde.

  15. Paul Olden Says:

    In qualsiasi azienda privata, se i topi ballano, si chiama a rapporto il gatto.
    Insomma, si sanzionano i manager che sono quelli preposti al comando.
    Negli uffici pubblici buona parte dei manager lavorano solo il martedi’ e il mercoledi’, perchè al lunedì sono ancora in week-end lungo, e al giovedì iniziano a prepararsi per il week-end successivo.
    Ergo, se il gatto non c’e’, è normale che i topi ballano.

  16. Manuela Says:

    E’ vero che “risolvere l’enigma” che enigma non è sarebbe stato molto semplice. Per chiunque. E’ vero che non mettere il link al provvedimento, per giunta su un giornale on line, è un’omissione grave. E’ vero che noi giornalisti dovremmo fare questo di mestiere.

    Nel caso specifico vorrei fare due osservazioni.

    La prima: il Dl 78/2009, meglio noto come Dl anti-crisi o manovrina estiva, era il solito mostruoso pout-pourri senz’anima in cui è confluito di tutto, dalla “Tremonti-ter” (ennesima forma di detassazione degli utili d’impresa) alle proroghe della cassa integrazione per crisi aziendale, dalle misure per le Regioni con i conti sanitari in rosso a nuovi vincoli per le banche. Il Sole-24 Ore ha pubblicato la versione preliminare del testo il 28 giugno, quella definitiva il 2 agosto e una “guida alla manovra”.
    Nella guida messa a punto sul sito Internet potete ancora trovare quello che Repubblica.it ha diffuso l’altro giorno: http://www.professionisti24.ilsole24ore.com/art/Professionisti24/Lavoro/2009/07/LAV_DL_78_2009_malattia_pubblico_impiego.shtml?uuid=ab62d8ec-6a32-11de-82bd-6c7c90614752&DocRulesView=Libero
    Per dire: bastava studiare il decreto articolo per articolo, e infatti qualcuno se n’era già accorto prima che i sindacati gridassero allo scandalo e Repubblica.it, quasi tre mesi dopo, riprendesse il melodramma. Ma il Sole, si sa, passa per giornale noioso. Oggi va di moda un altro giornalismo.
    Perché il dietro-front non ha meritato alcun titolone? Per questo fenomeno ci sono varie spiegazioni. Ne cito tre:
    1) non è stata indetta alcuna conferenza stampa in pompa magna dal ministro Brunetta (sarebbero corsi tutti);
    2) il decreto conteneva tantissime misure, alcune decisamente più importanti;
    3) molti non se ne sono accorti (ahimé).

    Seconda osservazione. Isabella scrive: “Non so se è ignavia o incapacità, non so se non lo insegnano più nelle scuole di giornalismo, ma l’incapacità di risalire alla fonte è una delle caratteristiche più raccapriccianti dell’informazione”. Su questo mi permetto di dissentire. Ci sono casi – molti, purtroppo – in cui le istituzioni pubbliche sono completamente chiuse a riccio. Forse non tutti sanno che alcuni ministeri sono blindati, che nessuno o quasi risponde ai telefoni istituzionali e che gli uffici stampa servono più a sbarrare che a collegare. Nella maggior parte dei casi si riesce a ottenere informazioni grazie ad anni e anni di buoni rapporti personali ma “chiedere chiarimenti” su questioni semplicissime è un’impresa impossibile. Quando va bene ti chiedono di mandare un fax con la richiesta scritta per ottenere l’autorizzazione “a parlare” dal responsabile, che a sua volta dovrà chiedere al responsabile dei responsabili e così via. Una settimana in genere non basta.
    La frase “Forse sarebbe bastato che il giornalista avesse chiamato un qualche ufficio del personale di un qualsiasi ente pubblico”, di conseguenza, a mio modo di vedere semplifica troppo la realtà. E questa scarsissima trasparenza, unita all’ingrossamento abnorme degli uffici stampa e pubbliche relazioni, dà molto da pensare.

    E’ una tendenza in atto in tutto il mondo e in ogni settore, sia chiaro. Negli Stati Uniti lo staff impegnato in pubbliche relazioni conta 162mila addetti, il giornalismo 122mila. Stephan Russ-Mohl, docente di giornalismo a Lugano, sostiene che “ormai le redazioni non possono fare altro che rielaborare materiale di seconda mano”.
    Forse. Ma se ricominciassimo a studiare, a spulciare i documenti e a raccontare i fatti (d’accordo con Federica sulle opinioni spacciate per articoli sui fatti)? Io lavoro in una redazione di “omini grigi” come dice Paul, e magari sono grigia anch’io. Ma vi assicuro che ci studiamo ogni singola riga di ogni singolo provvedimento di cui scriviamo. Il problema è: quanti lettori hanno bisogno del nostro lavoro? quanti se ne accorgono? Anzi, più a monte: abbiamo idea di quanti pochi siano i lettori di giornali in Italia? Se cercano negli articoli pallottole con cui colpire i nemici non so. E’ una possibilità. Ma quello che Giulio si aspetta da un giornale serio secondo me se lo aspettano in pochi. Io sono sempre più convinta che i giornali seri in edicola non funzionano. Per usare un brutto verbo: non “rendono”.

  17. isabella Says:

    Manuela dici cose importantissime.
    La più importante riguarda i tempi che i sindacati si sono presi su questa faccenda.
    E’ vero, alcuni ministeri sono blindati (anche se forse a Repubblica qualcuno che ha rapporti curati per anni ci sarà…).
    E’ anche possibile che io semplifichi la realtà, ma chiamare un referente sindacale di un ministero e chiedere informazioni a lui (che non ha vincoli di segretezza) non è èpoi così difficile.
    Temo, però, che anche da parte dei sindacati si sia voluto aspettare un determinato momento per tirar fuori questa cosa (ormai un po’ obsoleta).
    Devi sapere che anche a noi impiegati non sono mai pervenute circolari o comunicazioni che smentissero quanto decretato dalla prima circolare Brunetta.
    Quindi ogni ufficio del personale si è regolato a libera interpretazione del decreto attuativo, perchè non ha avuto direttive dall’alto.
    Ricominciare a studiare, è quello che mi auguro, sempre.
    Se penso che ogni comunciato stampa che mi arriva me lo rileggo e lo rigiro, lo apro e lo scarnifico prima di passarlo, io che scrivo su una rivista di cultura on line completamente autoprodotta, mi domando perchè non provino a cominciare a farlo di nuovo tutti gli altri.

  18. federica sgaggio Says:

    Paul, due cose: i lanci dell’Ansa – che non si devono solo tagliare e cucire, ma anche dove possibile confrontare con altre fonti informative, verificare e in molti casi purtroppo anche sottoporre ad attenta pesatura onde defalcarne la tara propagandistico-ideologico-disinformativa – in genere vengono «passati» da redattori, più che da stagisti neo-laureati non pagati.

    E poi, nei giornali ci sarà anche tanta gente che fa la spola fra desk e bar; ma se anche così fosse – e nei giornali io ho sempre visto anche tanta gente che si fa il mazzo perfino rinunciando alla propria vita privata (e sono sicura che non ne vale la pena) – a lasciarlo fare sono le proprietà, che consentendo «margini di manovra» si garantiscono con uno strumento in più la pace sindacale.
    Gli altri strumenti sono, ovviamente, i soldi e le promesse.

  19. andrea barbieri Says:

    Scrive Isabella: “Devi sapere che anche a noi impiegati non sono mai pervenute circolari o comunicazioni che smentissero quanto decretato dalla prima circolare Brunetta.”

    A me è arrivata se non sbaglio il 6 luglio.

  20. andrea barbieri Says:

    Comunque quello di Brunetta era un Decreto Legge, non una circolare.

  21. Paul Olden Says:

    Certo, Federica, io ho generalizzato, era una provocazione. Poi è ovvio che dove c’e’ gente che lavora poco, ci sarà qualche poveraccio che si fa il mazzo per tre, per forza , altrimenti chiuderebbero.
    Converrai con me, però, che molto spesso le grandi redazioni dei giornali sono un elefante che partorisce un topolino.
    E converrai anche sul fatto che l’ANSA riveste un ruolo troppo centrale come fonte primaria, un po’ come il Vate dal quale il giornalista tradizionale mai e poi mai puo’ prescindere.
    E poi nessuna agenzia dovrebbe essere “passata”. I giornalisti devono cercare, cercare, cercare, e poi scrivere, scrivere, scrivere.

  22. andrea barbieri Says:

    Tempo fa – c’era la presentazione di Gomorra a Bologna, Saviano non viveva ancora sotto scorta – parlai con un ragazzo, mi pare Adriano Padua (se sbaglio il nome chiedo scusa), be’ lui mi disse che lavorava per un grande quotidiano, ma era come tutti gli altri ragazzi di talento come lui precario e sottopagato. Così vanno le cose.

    Chi in questi anni ha pensato che un paese si potesse costruire col lavoro precario ha sbagliato di grosso, era come tirare su un edificio senza cemento. Se ora le cose ci cascano in testa non c’è niente di strano.

  23. isabella Says:

    Andrea, ti è arrivata una circolare che smentiva quella precedente?

    Sei stato fortunato (in che amministrazione lavori?) perchè a noi non è arrivata, siamo andati avanti sulla legge e non su un successivo atto amministrativo.

  24. isabella Says:

    Andrea

    io parlo della circolare esplicativa che ogni amministrazione ha mandato ai suoi dipendenti, non del Decreto legge, nè di leggi di attuazione.

    Generalmente ai dipendenti si inviano le direttive tramite circolare.

  25. vibrisse Says:

    Paul, scrivi (qui): “ho generalizzato, era una provocazione”.

    Non vedo che razza di provocazione sia, ripetere quello che si sente dire dappertutto e in continuazione. “Provocare” signfica “dire qualcosa che contraddica il senso comune”; e dire (come hai fatto qui) che i dirigenti pubblici non lavorano, vanno in ufficio due giorni la settimana, eccetera, non è certo contraddire il senso comune: è fargli l’eco, lisciargli il pelo, adularlo.

    Dovevi dire, Paul: “ho generalizzato, ho compiuto un atto di conformismo”.

    g.

  26. federica sgaggio Says:

    Paul, d’accordo sui primi tre capoversi del tuo ultimo intervento.

    In disaccordo sul quarto e ultimo. Prova tu a scrivere di cose che succedono a Caracas stando seduto nella redazione di Verona.
    Dice: ma ci dovrebbero essere gli inviati.
    Sì, ma non tutti possono permetterseli.
    E allora, che facciamo?
    Togliamo ai giornali locali le pagine di Interni-Esteri?

    Si può fare, ma le agenzie – se maneggiate con cura, e affrontate con l’attrezzatura professionale che chi fa il giornalista dovrebbe avere – sono fonti a tutti gli effetti.
    È vero che i giornali ne sono diventato dipendenti; ma la soluzione – come nella questione Rai – non è abolirle perchè dobbiam mandare i giornalisti a fare gli inviati in tutti i Paesi del mondo.

    Poi c’è un’altra cosa, di ordine più generale.
    Ma perché siamo sempre tutti pronti a dire che il tal Tipo o il tal settore non fanno una mazza sul lavoro?
    Ma veramente vogliamo che sia il numero di malattie professionali segnare il diritto allo stipendio?
    Tu silicosi, ok ti pago; tu sano, che ca*** di stipendio vuoi, in fondo hai solo un po’ di pressione alta?

    Capisco che l’ufficio pubblico lento infastidisca, per carità.
    Ma a parte il fatto che ce ne sono che funzionano, mi sembra, io veramente mi domando perché i lavoratori dovrebbero essere eroi.
    Non dico che l’abbia detto tu, Paul. Ma in tutti i posti di lavoro è un continuo «ah, ma quello non fa una mazza».

    Ma insomma: come dicevo prima, se c’è qualcuno che consente riserve speciali di pigrizia, quel qualcuno è il datore di lavoro, no?
    E se il datore di lavoro lo fa non è per bontà, no?
    La sua bella convenienza ce l’ha, visto che per chi lavora meno degli altri – brutalizzo – il sindacato interno non esiste.
    Avere lavoratori in difetto equivale a chance più alte di pace sindacale…

  27. Paul Olden Says:

    Hum. Sui giornalisti non mi pare ci sia un gran senso comune che li giudica nel modo in cui lavorano quotidianamente, anche perchè la stragrande maggioranza delle persone non ha mai avuto a che fare con una redazione.
    Sui dipendenti pubblici, invece, mi pare che il senso comune qualunquistico si accanisca contro gli impiegati semplici, e raramente comprenda che l’impiegato è fannullone solo se il manager permette che lo sia.
    L’opinione pubblica applaude a Brunetta, mentre io dico che il l’energumeno tascabile va a normare dove non c’e’ bisogno di normare, perchè basterebbe che facesse lavorare i suoi manager, questo è quello che intendevo. E non mi pare molto conformista come opinione.

  28. andrea barbieri Says:

    “Andrea, ti è arrivata una circolare che smentiva quella precedente?

    Sei stato fortunato (in che amministrazione lavori?) perchè a noi non è arrivata, siamo andati avanti sulla legge e non su un successivo atto amministrativo.”

    Il 6 luglio, l’ufficio personale ha inviato una mail everyone con gli estremi del Decreto Legge, mettendo in evidenza che erano state ripristinate le precedenti fasce orarie di reperibilità (quelle del CCNL del 1995) a partire dall’entrata in vigore del decreto.

    Le circolari interne possono dare indicazioni di massima utili per individuare una prassi, ma comunque è la Legge a vincolare l’amministrazione, e la Legge viene portata a conoscenza dei destinatari con la pubblicazione (cioè non è portata a conoscenza direttamente, non è come si dice “recettizia”).

    Ovviamente è il Servizio del personale che deve tenersi aggiornato sulle norme che riguardano il personale e diramare le informazioni a tutto l’ente. E’ importante che lo faccia correttamente, perché come si diceva sopra, con la pubblicazione la legge diventa efficace e vincolate per tutti i destinatari indipendentemente dall’effettiva conoscenza.

  29. isabella Says:

    Andrea tranquillo, hai ragione.
    ma ogni ufficio lavora con modalità diverse e l’Ufficio del Personale dove lavoro io ha le modalità di cui ti ho detto.
    Ogni dipendente poi se vuole va a guardarsi la legge citata nella circolare.
    In realtà sei tu Ufficio del Personale che devi dare le informazioni. E’ il tuo lavoro e non puoi pretendere il fai da te degli impiegati.
    Inoltre il compito dell’Ufficio del Personale della mia amministrazione è quello di dare un servizio ai colleghi, quindi di rendere più facile la comprensione di leggi e decreti.
    Nessuno di noi impiegati dell’Ufficio ha però la capacità di interpretare una legge per cui ci atteniamo alle disposizioni che vengono dall’Ufficio Affari Generali che sta al di sopra di tutti.
    Se quell’Ufficio non manda una comunicazione esplicativa, il nostro lavoro diventa più difficile e soprattutto “intepretativo” con rischi di sbagli.

    Ripeto, non tutte le Amministrazioni funzionano allo stesso modo. Bisogna farsene una ragione.

  30. vibrisse Says:

    Oibò, Paul, è proprio perché “la stragrande maggioranza delle persone non ha mai avuto a che fare con una redazione”, che sui giornalisti si dicono quasi solo cose di “senso comune”.

    Vedi in Wikipedia la voce senso comune.

    g.

  31. Paul Olden Says:

    @federica

    tu dici: “Prova tu a scrivere di cose che succedono a Caracas stando seduto nella redazione di Verona.”

    Be’, l’ho fatto. Ho scritto di esteri per anni, gestivamo una redazione online che ebbe un grande successo (anche troppo).
    Il nostro metodo era usare agenzie internazionali (Reuters, AP, BBC ecc. , in inglese) e contatti con volontari sul posto. Per risparmiare si usano i fixer al posto degli inviati, e spesso e volentieri un fixer è più efficente di un inviato. A noi non costavano niente (avevamo contatti con gente delle ONG e con fotoreporter free-lance che ci aiutavano gratis), ma anche pagandoli, questi fixer, con i soldi di un inviato ce ne paghi una ventina.
    Insomma, i metodi secondo me ci sono (ai tempi ricevevamo molti complimenti anche dai giornalisti delle grandi testate, che ci chiedevano come diavolo facessimo ad essere così informati e così rapidi, a costo zero), è solo che bisogna un po’ togliersi dalla testa i vecchi schemi di lavoro.
    Questo comunque, per quanto riguarda gli esteri. Paradossalmente, oggi secondo me puo’ essere più difficile e costoso scrivere di cose italiane!
    In ogni caso, sia chiaro, non voglio vantarmi di niente nè tantomeno pretendere di insegnare agli altri un mestiere che non è neppure il mio.

  32. Paul Olden Says:

    @vibrisse:

    Io invece ho avuto a che fare con le redazioni e con i giornalisti. E ho avuto a che fare ancora di più con le miriadi di free-lance e stagisti che gli bazzicano intorno. Ho visto cose che voi umani… ehehe!

  33. federica sgaggio Says:

    Paul, ma le agenzie internazionali non sono pur sempre agenzie?
    E verificarle, incrociare i loro dati, ripescare negli storici, cercare altre fonti di prima mano come per esempio i siti esteri di realtà giornalistiche anche piccole è ciò che io intendo con «le agenzie – se maneggiate con cura, e affrontate con l’attrezzatura professionale che chi fa il giornalista dovrebbe avere – sono fonti a tutti gli effetti».

    Infine, mi domando (ma è una domanda vera, non provocatoria o cattiva): è giusto pagare i «fixer» un ventesimo degli inviati? O è sfruttamento?

  34. Paul Olden Says:

    Infatti, Federica, io ho criticato l’uso acritico e quasi esclusivo dell’ANSA, non l’uso in genere delle agenzie dal quale, mi pare ovvio, nessuno puo’ prescindere.
    Facci caso: trovi sui giornali articoli che sono in pratica il lancio dell’ANSA paro-paro, magari appena scorciato e con una chiusetta finale aggiunta, ma in sostanza è proprio quello, come un copincolla. Sulle versioni online dei giornali va anche peggio.
    Un fotografo che era in Iraq mi raccontò che aveva visto inviati dei grandi giornali italiani aspettare il lancio dell’ANSA prima di fare il loro reportage, anche se si trovavano sul posto!

    Quanto ai fixer, non è affatto sfruttamento perchè raramente un fixer lavora a tempo pieno per il giornalista: sono quasi sempre gente che fa altro per vivere, e dedica saltuariamente un po’ di tempo al ruolo di informatore.
    Poi vabbè, è ovvio che un fixer del Bangladesh sarà stracontento di prendere 50 dollari al mese, perchè lì è lo stipendio di un mese di un operaio. Ma questo delle sperequazioni sulle paghe nel mondo globalizzato è un problema ben più grande che riguarda la globalizzazione in generale…

  35. Manuela Says:

    Federica scrive:
    “Se c’è qualcuno che consente riserve speciali di pigrizia, quel qualcuno è il datore di lavoro, no?
    E se il datore di lavoro lo fa non è per bontà, no?
    La sua bella convenienza ce l’ha, visto che per chi lavora meno degli altri – brutalizzo – il sindacato interno non esiste.
    Avere lavoratori in difetto equivale a chance più alte di pace sindacale…”

    Secondo me la faccenda è differente. In genere le riserve speciali di pigrizia sono tollerate dal datore di lavoro perché rappresentano altri dazi che il datore è costretto a pagare per diversi tipi di pace: nella mia esperienza, la pigrizia e il “nulla facere” sono per lo più appannaggio dei raccomandati e dei “segnalati” (per appartenenza familiare o politica), che esistono ovunque. La perdita di produttività che ne consegue è ingoiata dal datore, consapevole che quel boccone amaro sarà compensato da altri frutti, in termini di benevolenze, relazioni e convenienze.
    Quanto al sindacato a me pare impantanato nella difesa a oltranza di chi un posto già ce l’ha, indipendentemente da quanto sia produttivo e capace. Vale per i giornalisti, per i dipendenti pubblici, per gli operai, per gli insegnanti.

    Paul scrive:
    “Bisogna un po’ togliersi dalla testa i vecchi schemi di lavoro”.
    Su questa affermazione concordo pienamente. Nelle redazioni dei grandi giornali si rincorrono ancora la televisione e le agenzie come vent’anni fa, senza capire che uscire il giorno dopo con notizie ormai “vecchie” per quasi tutti i lettori è un autogol. Sono relitti del passato di cui i vertici faticano a liberarsi. Ma, vedete, le generazioni dei “vecchi” sono ancora salde ai loro posti di comando e i giovani sono per la maggior parte collaboratori, free lance o redattori ordinari tenuti ai margini: si avanza per conformismo ai valori dominanti. Questo spiega tanti obbrobri, compresa la lentezza con cui si procede all’integrazione tra i prodotti cartacei e quelli web e la quasi assoluta mancanza di sperimentazioni audaci. L’effetto noto dei giornali fotocopia (orientamento politico-ideologico a parte) è il prodotto di questi ritardi.
    Non apro la parentesi su quanto sia maschile l’organizzazione del lavoro – in termini di orari, perdite di tempo, fissità delle gerarchie – perché questo argomento meriterebbe una trattazione a parte.

  36. federica sgaggio Says:

    Manuela, sì: le convenienze possono anche essere d’altro tipo; «relazionali», per esempio.
    Mi sembra che il ragionamento generale non ne venga minimamente inficiato.
    Il «lavativo» consente rendite al datore di lavoro, oltre che (ovviamente) a se stesso.

    Sul sindacato e sulle donne, sì, lasciamo perdere. Servirebbe un’enciclopedia!
    Se vogliamo però parlare di «produttività», a me sembra un tema nient’affatto sindacale. Ma sono abbastanza abituata a essere minoritaria.

  37. federica sgaggio Says:

    Paul, l’utilizzo massivo e acritico dell’Ansa – fenomeno enormemente increscioso, concordo con te – mi pare conseguenza di altri scempi, di tipo politico, sindacale e ideologico, che hanno ridotto il giornalismo a quel che è.
    Non mi sembra la premessa.

    Quanto al fixer, ho un’idea un po’ diversa. Così come a proposito dell’«integrazione» fra «prodotti» cartcei e «prodotti» web.

  38. Paul Olden Says:

    Precisiamo: la figura del “fixer”, romanticamente, definisce l’abitante del luogo che accompagna il giornalista inviato in zona pericolosa, consentendogli di avvicinarsi alla notizia. Questa però è una tipo di lavoro che si va perdendo, anche per via dei costi e degli eccessivi pericoli che si corrono mandando veri inviati in zone pericolose.
    Di solito, chi ha lavorato come fixer, rimane poi in contatto costante col giornalista, e anche a disposizione di altri redattori, trasformandosi in informatore.
    Molti di questi personaggi sono giornalisti a loro volta, e scribacchiano per i giornali locali, quindi sono molto adatti per essere consultati di tanto in tanto.
    A me la cosa che si chiedano informazioni su un luogo a chi in quel luogo ci è nato e cresciuto sembra assolutamente intelligente e razionale: spesso ho notato che un vero inviato riesce a svolgere meno lavoro di un redattore che si avvale di una buona rete di informatori locali.
    Certo, la cosa ha anche risvolti negativi, primo tra tutti il rischio che qualcuno di questi informatori non sia chi dice di essere…

  39. Paul Olden Says:

    Scusate , ho scritto che il lavoro del fixer si va perdendo, mentre volevo dire che si va trasformando.

  40. vibrisse Says:

    Oh, Paul, non dubito che tu abbia avuto che fare con giornali e redazioni. Peraltro non sei l’unico. E purtroppo non puoi fare appello, per sostenere i tuoi argomenti, alla tua esperienza: poiché usi uno pseudonimo (lo dici nel tuo blog, che è uno pseudonimo), non si può sapere se quando ti appelli alla tua esperienza stai mentendo o dici il vero (mentre l’esperienza di Manuela Perrone o Federica Sgaggio o mia, tanto per fare esempi, è controllabilissima).

    Quindi: esponi tutti gli argomenti che vuoi, ma non fare la mossa di quello che se la tira perché “ha visto cose che voi umani” eccetera. Se vuoi che la tua esperienza valga qualcosa in questa discussione, metti fuori un nome e un cognome autentici.

    giulio mozzi

  41. Paul Olden Says:

    Mi piace usare questo pseudonimo, non è un modo per mantenere l’anonimato a tutti i costi (chi sono non è un segreto assoluto).
    Per me è un alter-ego, che uso da tanti anni e ci sono affezionato, e poi io sono a favore dell’uso di pseudonimi sul web, per dire, sono totalemente avverso ai nuovi modi di usare la rete tipo Facebook…
    L’anonimato ha un suo valore, puo’ liberare energie e informazioni che diversamente resterebbero nel privato.
    Poi, comunque, la frase “ho visto cose che…” era assolutamente scherzosa, mi dispiace che sia stata fraintesa.
    Concludendo, comunque, posso benissimo fare al meno del fatto che la mia esperienza valga qualcosa nella discussione. Sopravviverò.

  42. vibrisse Says:

    Io non sono né contrario né favorevole all’uso di pseudonimi. Ma ci sono cose che si possono fare anche senza esibire il proprio nome (ad esempio, acquistare una bottiglietta d’acqua da un distributore automatico a monete) e cose che non si possono fare senza esibire il proprio nome (ad esempio, pagare il conto del ristorante con la carta di credito).

    gm

  43. Paul Olden Says:

    Su questo non ci piove. Ma io rivendico la possibilità di pagare il conto al ristorante in contanti e, se il cameriere mi chiede come mi chiamo, magari rispondere Napoleone Bonaparte. 😉

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