Qual è lo stato dell’arte letteraria?

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di Luca Massaro

caro Giulio,

ieri ho letto su Vibrisse la presentazione del libro di Demetrio Paolin, La tragedia negata (ho scaricato anche il pdf del libro, leggerò). A un certo punto, verso la fine, è scritto che tale libro

«si pone […] come lettura indispensabile per chiunque abbia intenzione di affrontare un’analisi completa del terrorismo rosso e nero così come viene raccontato nella maggior parte dei romanzi italiani».

Questa frase mi spinge a scriverti questa lettera aperta per sapere la tua opinione su alcune cose che riguardano la letteratura, in ispecie l’italiana. Scrivo a te perché sei un “professionista” (o specialista, se preferisci) e della scrittura e della lettura (ovverosia per quanto pubblichi come autore e per quanto fai pubblicare come consulente editoriale).

La domanda è questa: qual è lo stato dell’arte letteraria in Italia?

Ti dico come la vedo io la questione.

Qualcuno scrive un libro di narrativa, un buon libro con una bella storia, manda il manoscritto a una casa editrice che dimostra interesse e lo fa esordire pubblicandolo. Il libro piace subito al pubblico, magari vince un premio importante, ha successo e resta in cima alle classifiche di vendita per settimane. Lo scrittore esordiente diventa così uno scrittore affermato, riconosciuto. L’oggetto libro, ciò che ha pensato e scritto, diventa la carta di accesso nel pantheon degli scrittori sotto contratto dai quali le case editrici aspettano con ansia i loro prossimi lavori per essere volentieri pubblicati con su scritto “ecco il nuovo romanzo dell’autore de…” e così via. Fine della storia.

Ecco, ti richiedo: lo stato dell’arte letteraria oggi è solo questa cosa? Dietro i libri di un Piperno, di un Giordano, di uno Scarpa, di una Mazzucco, di una Avallone (cito i primi che mi vengono in mente) cosa c’è oltre quanto descritto sopra? Per carità nulla di male, anzi giù il cappello a chi riesce a diventare uno scrittore professionista. Ma, ripeto, cosa c’è oltre questo, dietro cioè la buccia della copertina e della storia in sé narrata? Ovvero, c’è negli scrittori il senso di stare facendo, appunto, letteratura? Ovvero ancora: dietro questo meccanismo di “scrittura-vendita-lettura” resta qualcosa che domani, non ora ma domani, gli «studenti canaglie» addenteranno per sapere di che pasta è composto l’uomo/la donna di oggi? La maggior parte dei romanzi italiani di oggi cosa sapranno raccontare agli italiani di domani? Un Demetrio Paolin del futuro che tipo di libro potrà scrivere in riferimento a questa tarda epoca berlusconiana? Come questi scrittori professionisti di oggi saranno gli scrittori a cui domani fare riferimento, sui quali o dai quali imparare o disimparare, meditare o rifiutare nella stessa misura di quanto è accaduto e sta accadendo con gli scrittori di ieri?

E ancora: quanto i nostri scrittori contemporanei sono innestati nel grande albero della storia della letteratura che cammina a fianco della Storia umana nel suo complesso, lasciando tracce di vita più o meno significative che si ritrovano scritte nelle nostre mani esitanti e nei nostri occhi avidi di conoscere il senso del nostro cammino, o di cogliere il bello e la gioia, o di percepire il dolore e la rabbia, la possibilità o l’impotenza?

In buona sostanza, mi piacerebbe, caro Giulio, sentire la tua opinione sul fatto che ci sia, o meno, negli scrittori di oggi la consapevolezza di stare facendo letteratura, di essere dentro una tradizione, anche per tradirla; oppure se in essi c’è solo quell’idea a cui sopra mi riferivo, vale a dire: scrivere per essere pubblicati, venduti, eventualmente letti.

Il mio timore è che anche per quanto riguarda la letteratura stia accadendo quanto è già accaduto per la musica nel suo complesso ove gli apici nei rispettivi generi sono stati raggiunti e dove adesso l’unica modalità rimasta è quella di essere, tra i musicisti, tutti degli epigoni (sia pur dignitosissimi) castrati però nella loro eventuale pretesa di raggiungere altri vertici, di inventare altri stili, di scoprire nuovi mondi.

Infine, una considerazione sul caso Saviano: possibile che egli sia l’unico scrittore capace di avere una valenza politica oggi in Italia? Possibile che solo lui (ed è un bene da salvaguardare, per carità!) abbia questo potere di incidere la pelle del potere mentre le parole scritte da altri scorrono via dal potere come sapone sotto la doccia? Il potere della parola, potere che nel Novecento gli scrittori anche in Italia hanno avuto, è andato completamente perduto?

Ecco, ho finito. Ti auguro una buona giornata di scrittura e lettura.

Con stima tuo L.

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69 Risposte to “Qual è lo stato dell’arte letteraria?”

  1. vibrisse Says:

    Caro Luca,
    risponderò un po’ a rate. Intanto faccio qualche domanda. Citi quattro scrittori: Piperno, Giordano, Scarpa, Mazzucco, Avallone. Dici che sono “i primi che ti vengono in mente”.Va bene. E se te fossero venuti in mente altri cinque? Ad esempio, i primi cinque che vengono in mente a me: Stefano Dal Bianco, Mario Benedetti, Maria Grazia Calandrone, Laura Pugno, Dario Voltolini.

    Poi: che c’entra la letteratura col professionismo? La tua domanda concerne gli scrittori in generale, o solo quelli che tu reputi “professionisti”? Le opere scritte dai “professionisti” sono forse diverse, o diversamente considerabili, da quelle scritte da tutti gli altri?

    Poi, chiedi la mia opinione “sul fatto che ci sia, o meno, negli scrittori di oggi la consapevolezza di stare facendo letteratura, di essere dentro una tradizione, anche per tradirla”. Data la sintassi della tua frase, mi par di capire che per te “fare letteratura” e “essere dentro una tradizione” siano la stessa cosa, o due cose che si implicano reciprocamente. E’ così?

    Poi, domandi anche “quanto i nostri scrittori contemporanei sono innestati nel grande albero della storia della letteratura che cammina a fianco della Storia umana nel suo complesso”. E qui (a parte, perdonami, la mia difficoltà a immaginare un “grande albero” che “cammina”) mi accorgo che tu fai due domande diverse.

    Una, circa la consapevolezza degli scrittori circa il “fare letteratura”. L’altra, se di fatto questi scrittori facciano letteratura.

    Ovviamente, rimane sempre il problema di usare la parola “letteratura”, quando le si attribuisca un valore positivo (quell’uso per cui si dice che un certo romanzo è letteratura, e un altro non lo è; uno scrittore fa letteratura, e un altro non la fa: benché i due romanzi siano indubbiamente due romanzi, e i due scrittori siano indubbiamente due scrittori – ma no, qui si ripete il problema: perché di Tizio si dice che è uno scrittore, e di Caio che non è uno scrittore, benché entrambi scrivano, ad esempio, romanzi).

    Io frequento molto le librerie dell’usato. Ci trovo un’enorme quantità di libri che non interessano più a nessuno (spesso neanche a me, sia chiaro). Alcuni di questi sono stati molto venduti e molto letti, ai loro bei dì; altri no. Quando contemplo questi libri, penso: quanti tentativi ci vogliono per fare qualcosa che resti.

    Quando sono nel mio studio, e affronto la massa di dattiloscritti che mi arriva a casa, penso ancora: quanti tentativi ci vogliono per fare qualcosa che resti.

    Questa è una prima rata. Se puoi aiutarmi a mettere a fuoco, grazie.

    giulio

  2. demetrio Says:

    ciao luca.

    provo anche io a dire due o tre cose. sopratutto sul tema della tradizione. Nel lavorare al saggio mi sono trovato in una situazione di questo tipo. avevo una seria di romanzi, molti direi io, alcuni di scrittori che avevano già alle spalle libri importanti, che parlavano di un dato periodo e erano usciti in un dato periodo.

    molti di questi autori si rifacevano a una tradizione, erano loro stesso a dirlo, in particolare a pasolini a sciascia in parte Arbasino.

    il fatto di essre consapevoli di questa tradizione che stava loro alle spalle e in particolare di un progetto letterario preciso (penso al aritoclo Il romanzo delle stragi di Pasolini) li ha portati a produrre libri non sempre all’altezza delle loro consapevoli aspettative.

    Cioé l’essere all’interno di una tradizione, di un canone, non sempre è garanzia di “fare letteratura”.

    il discorso poi come dice giulio è se “letteratura” sia un termine neutro o abbia connotazioni positive.

    Per me, da filologo è un termine neutro, letteratura racchiude l’insieme di libri pubblicati, anzi io direi testi. Che siano belli o brutti è un passaggio successivo.

    Sempre per tornare al mio libro. Paolo DI Stefano nella recensione del corriere, si chiede alla fine perché io abbia perduto tempo a studiare una seriie di libri che se va bene sono “mediocri”. La mia risposta è che non mi interessava la mediocrità o meno, ma la loro stessa esistenza e il loro modo di essere apparsi sulla scena culturale italiana.

    spero di aver messo altra carne al fuoco, senza confondere troppo.

  3. Giuseppe Ierolli Says:

    L’argomento “che cos’è la letteratura” è troppo impegnativo e non mi ci addentro. Volevo solo fare una considerazione, partendo dal primo paragrafo della lettera di Massaro:
    “Qualcuno scrive un libro di narrativa, … Fine della storia”
    Direi che è una descrizione molto fedele di ciò che succede, anzi, di ciò che è sempre successo, nel mondo della pubblicazione di libri (grosso modo dalla fine del ‘600 in poi). Quel “Fine della storia” lo leggo al presente, ovvero a ciò che succede nel periodo in cui l’opera viene pubblicata, poi le cose vanno avanti, e succede quello che dice Mozzi:
    “Io frequento molto le librerie dell’usato. Ci trovo un’enorme quantità di libri che non interessano più a nessuno (spesso neanche a me, sia chiaro). Alcuni di questi sono stati molto venduti e molto letti, ai loro bei dì; altri no. Quando contemplo questi libri, penso: quanti tentativi ci vogliono per fare qualcosa che resti.”
    Ed è una considerazione che non riguarda solo la letteratura,

  4. giovannicoccoaliasjohnny99 Says:

    Ho trovato alcune risposte agli interrogativi posti da Luca poche ore dopo aver letto questi post.
    E’ stato un caso, un colpo di fortuna.
    Invito tutti (Luca, Giulio, Demetrio, Marco Candida, Federica) a leggerlo.
    Mette i brividi, in alcuni passi.

    http://www.affaritaliani.it/culturaspettacoli/il_racconto_tonon_mio_incontro_con_moresco280710.html

  5. paolab Says:

    **Ovvero ancora: dietro questo meccanismo di “scrittura-vendita-lettura” resta qualcosa che domani, non ora ma domani, gli «studenti canaglie» addenteranno per sapere di che pasta è composto l’uomo/la donna di oggi? **
    eppure a me, paradossalmente, sembra che quello che dura sia non quello che parla della pasta degli uomini “d’oggi” ma quello che domani sembrerà parlare dell’uomo di domani (cioè sarà sentito “ancora vero”, nonostante venga dal passato). Gilgamesh o madame bovary sono belli perché sono vivi – veri, come se fossero nati oggi. nonostante siano vecchi, non perché sono vecchi…

  6. fabio bussotti Says:

    Può essere lo scrittore, come il cretino di Flaiano, specializzato? Sì, può. Ma anche no. Si arriva alla scrittura da tante parti. Come tutte le arti, anche la letteratura ha bisogno di un duro e faticoso artigianato. Un buon libro è un buon libro e non importa se lo scrittore prima faceva lo spazzino o se conosceva Gadda a memoria (ma io conosco uno spazzino che conosce Gadda a memoria!). Si è messo giù a scrivere, lo scrittore che non sa ancora di esserlo, a smadonnare, a cancellare e a riscrivere perché non era soddisfatto. Non sapeva di fare letteratura, ma alla fine ce l’ha fatta a raccontare una storia che, forse, anni dopo, sarebbe piaciuta a un signore che frequentava mercatini dell’usato.

  7. roberto Says:

    E’ vero, quanti tentativi ci vogliono per fare qualcosa che resti. Non siamo tutti Alessandro Manzoni, scriviamo perchè ci piace, perchè ne abbiamo passione. Speriamo che i nostri scritti un giorno trovino qualcuno che li pubblichi. E non credo che sia solo un fatto di soldi, per nessuno. Essere pubblicato vuol dire che ciò che hai scritto è stato ritenuto degno di essere diffuso, fatto conoscere ad altri, perchè anche la lettura è una passione, esattamente come la scrittura: per quanto mi riguarda vanno di pari passo, almeno per me. Ed il più bel riconoscimento è essere pubblicato, al di là del denaro che puoi o no guadagnare. Se poi il tuo libro rimarrà nel tempo, come tutto ciò che ha una valenza positiva, dall’antiquariato alle auto d’epoca, alla musica, alla pittura ai vecchi film, questo non è per tutti. Ma io non smetterei mai di scrivere, pur pensando che i miei scritti saranno dimenticati il giorno dopo, perchè fa parte di me, sempre sperando di essere letto dal direttore editorale giusto, al momento giusto, nella condizione d’animo giusta: perchè ci vuole anche questo. Infatti non credo di scrivere cose diverse o peggiori di tante che sono in circolazione, senza falsa modestia. Saluti. R
    P.S. Penso che un seminario di scrittura possa insegnare non solo a migliorare la scrittura, ma anche a migliorare la lettura, di modo che il pubblico saprebbe scegliere fra un libro molto reclamizzato, scritto da un nome noto e televisionato, ed un autore sconosciuto ma con dei valori letterari. Non sto parlando di me, ma sono convinto che nella grande nebulosa di chi mette su carta i propri pensieri ci sia da scoprire più di qualche diamante grezzo.

  8. Luca Massaro Says:

    Innanzitutto, grazie Giulio per l’onore di questo spazio, e grazie a tutti per i vostri commenti.
    Ho citato quei cinque, ma ne potevo citare altri cinquanta, senza alcuna velatura critica ma di riconoscimento legato anche al loro successo.
    Ho usato il brutto termine “professionisti” per considerare, appunto, solo quegli scrittori che hanno pubblicato libri (non a proprie spese) che hanno avuto una certa diffusione, un certo successo. Certo, non solo loro sono scrittori, lo sono anche gli “spazzini” (grazie Fabio) e i “blogger” (ehm, ehm), ma ancora non esiste alcuna cattedra universitaria in letteratura blogghistica.
    A proposito di università: non mi sembra che oggi (a parte qualche sporadico caso: penso a Carla Benedetti con Moresco) vi sia una contiguità tra critica e scrittura contemporanea. Un Contini che imponga il valore d’uso di un Montale o di un Gadda c’è oggi o no? C’è Ferroni che martella contro “gli autori formattati” (a proposito consiglio la lettura di questo post di Linnio che, giuro, ho letto dopo aver scritto ed inviato la lettera, altrimenti l’avrei citato e ripreso alcuni spunti interessanti da lui riportati). Insomma, ho come l’impressione che oggi sia venuto meno un vaglio critico (a volte anche ingiusto) che distingua, scelga, dica chiaramente cosa sia letteratura e cosa no.
    Sì, per me fare letteratura significa restare dentro una tradizione, anche per tradirla o innovarla. Penso sia così da sempre, dai tempi di Dante per restare in campo italiano. È vero, Demetrio, stare all’interno di una tradizione, di un canone non è garanzia del “fare” letteratura; tuttavia è impossibile prescindervi. E per questo motivo, secondo me, la letteratura non ha un valore neutro, dacché essa è arte (anche se, dico una banalità, non tutto ciò che è scritto e pubblicato diventa letteratura).
    Il professionismo (brutta parola, aiutatemi a trovarne un’altra) è legato, a mio avviso, al concetto di catalogo. Se prendiamo per esempio le principali case editrici italiane, e vediamo le loro collane di letteratura, notiamo come esse abbiamo seguito e imposto un canone, un criterio. Il punto dolente è che un tempo (diciamo, per quel che ne so, fino agli anni novanta dello scorso secolo) le case editrici di “Giulio Mozzi” ne avevano a decine. Penso per esempio alle mitiche riunioni chez Einaudi negli anni ’50 del Novecento, penso a ciò che è stato Vittorio Sereni per Mondadori…
    Non so, Giulio, se ho chiarito e risposto ai tuoi rilievi. So che ieri ho pensato queste cose, stamani le ho scritte e ho avuto la presunzione di fartele conoscere.
    Infine, mi scuso per la pessima metafora di “albero che cammina”: ma abito tra i boschi, vi passeggio e a volte ho come l’impressione di esser fermo io con gli alberi che mi camminano accanto.

  9. Luca Massaro Says:

    Ho dimenticato di linkare Linnio:
    http://www.uncuoreintelligente.it/?p=660

  10. enrico Says:

    Ahia, ahia… nostalgia di quando c’erano i pasolini i sciascia i moravia i… che c’era la “vera” critica, un mercato non di massa ma elitario, intelligente… pensate allora a uno scrittore, oggi, che si mette dal punto di vista di se stesso come scrittore antologizzato nel 2030 e che – quello è l’importante -, già canonizzato, solido, già “arrivato”, nessun dolore del presente, e difficoltà e vette, ma i due estrremi della corda: il passato che era “più alto” (idealizzazione) e il futuro che scruta da laggiù i valori del presente (il nostro presente), questo presente di macerie… di bruciato effimero… ahia ahia… il vecchio senso (non qui, non qui, Luca, ma a volte deliziosamente ammorbante) della “décadence” … lo scrittore stremato dal futuro dovrà dire… la verità bruciante, solida, essenziale sull’era Berlusconi… forza, devi farlo! ora! se vuoi essere antologizzato ecc. Forza, adesso, come hanno fatto gli sciascia i pasolini i moravi i… lo scrittore apre un file, lo richiude, gli mette un titolo… lo riapre, lo richiude, cambia il titolo… prende dallo scaffale “L’affaire Moro” di Sciascia – perché non essere SOLO lettori?… in fondo?

  11. enrico Says:

    brevissimo: tra gli “esordienti di successo” Massaro annovera Scarpa… pare un errore no, un’eccedenza? Un piccolo sassolino che disarticola un pochetto almeno l’ingranaggio argomentativo, o mi sbaglio?

  12. Marco Candida Says:

    Giulio Mozzi scrive:

    Caro Massaro,
    […] Citi quattro scrittori: Piperno, Giordano, Scarpa, Mazzucco, Avallone. Dici che sono “i primi che ti vengono in mente”. Va bene. E se te ne fossero venuti in mente altri cinque? Ad esempio, i primi cinque che vengono in mente a me: Stefano Dal Bianco, Mario Benedetti, Maria Grazia Calandrone, Laura Pugno, Dario Voltolini.

    Massaro non cita “quattro” scrittori, ma “cinque”. Ad ogni modo, e se invece gli autori fossero sei? Ecco i primi sei che vengono in mente a me: Tommaso Ottonieri, Umberto Eco, Valerio Magrelli, Claudio Magris, Giuseppe Genna, Ermanno Cavazzoni.

  13. federica sgaggio Says:

    Bah.
    A volte mi sembra di essere un’aliena capitata per caso sulla terra.

  14. Fabio Carpina Says:

    Luca Massaro:
    “anche se, dico una banalità, non tutto ciò che è scritto e pubblicato diventa letteratura”

    Demetrio Paolin:
    “Per me, da filologo è un termine neutro, letteratura racchiude l’insieme di libri pubblicati, anzi io direi testi.”

    Evidentemente, prima bisogna mettersi d’accordo sulle parole da usare, altrimenti si rischia di non cominciare neanche a capirsi. Perché è chiaro (a me è chiaro) che quello che, @Luca, chiami letteratura è una cosa diversa rispetto alla definizione che ne dà Demetrio, ma appunto mentre quella di Demetrio è una definizione – discutibile quanto si vuole, ma “utilizzabile”-, quella di Luca ancora non lo è.

    @Luca: si intuisce che il concetto di Letteratura che sottintendi è più o meno identificabile come un canone, un corpus selezionato da “i critici”e/o da “le università”. Il concetto “che cosa è letteratura” si identificherebbe quindi in “cosa entra nel canone”, e i criteri di ingresso nel canone sarebbero stabiliti , appunto, dai critici.
    Ora dici: ” ho come l’impressione che oggi sia venuto meno un vaglio critico (a volte anche ingiusto) che distingua, scelga, dica chiaramente cosa sia letteratura e cosa no”.
    E io ti chiedo: se ciò che è venuto meno è il vaglio critico che distingua e scelga cosa è letteratura, che senso ha la tua prima domanda: se”ci sia, o meno, negli scrittori di oggi la consapevolezza di stare facendo letteratura”? CHe senso avrebbe per uno scrittore essere (o non essere) consapevole di essere incluso in un canone se non c’è più il critico che stabilisca il canone? e, soprattutto, che colpa ne ha, lo scrittore, se la Letteratura (intesa nel senso che gli attribuisci, di canone) non esiste più come categoria interpretativa?

  15. Fabio Carpina Says:

    (cioè, intendo: ammesso che non esista più ecc.)

  16. giovannicoccoaliasjohnny99 Says:

    a Marco Candida: hai fatto caso che da un po’ di tempo a questa parte ti esprimi in un modo MOLTO simile a quello di Giulio Mozzi?
    Formule, stilemi, l’aggiornamento dello “stato” su FB con i tuoi spostamenti (es. Giulio Mozzi: “è tornato da P.”, Marco Candida: “è di nuovo a casa”), ora persino il modo di argomentare di Giulio su Vibrisse(graficamente, intendo) è diventato il TUO (Pinko Palla scrive: “xyz”. E poi la tua argomentazione).
    A me piaceva più il Candida originale. Quello scoppiettante.

  17. Sandro Says:

    Io penso che un libro debba essere onesto. Qualsiasi genere o tipo di libro sia. Che abbia l’intenzione di far letteratura oppure no, che sia una buona storia fantasy o narrativa, che sia denuncia o puro intrattenimento, cosa importa? Anche un libro che fotografa la realtà sociale, che vi incide qualcosa in grado di cambiare o guidare coscienze future – il tipo di libro che mi sembra che tu, Luca, consideri vera letteratura: sperando di non aver interpretato male il tuo pensiero, ti dico che non sono d’accordo . Almeno, non scelgo – non vengo scelto da – quel che mi emoziona o no in base a questo criterio. Nel mio personale gusto di lettore ci sono libri di questo tipo (le poesie di Pasolini, i racconti partigiani di Fenoglio) che leggo e rileggo e mi fanno piangere da quanto sono belli. E ci sono libri, come “Petrolio” dello stesso Pasolini, che sì, li ho letti anche con gusto magari ma forse non rileggerò mai più, chissà. O di Steinbeck, per esempio, preferisco “al Dio sconosciuto”, o “Pian della Tortilla”, a “Furore”.
    È inutile farsi tante elucubrazioni, io non riesco ad avere una predilezione a priori per ciò che vorrei ritenere letteratura importante per me oppure no. Semplicemente, molto spesso – c’è tanta gente che scrive bene – mi capita di provare quel sentimento di gratitudine, di respiro che si apre e di voglia di provarci anch’io. Quanti tentativi per fare qualcosa che resti.

  18. enrico Says:

    Mi interessava il senso di estraneità di Federica – quasi muto, inespresso. Mi interessava l’intesa sui termini: ecco la parolina “letteratura”, Fabio – un punto decisivo. E se per parafrasare Godard, la letteratura non fosse ancora neppure iniziata? Se la letteratura fosse domani, nelle prossime ore, l’anno che viene? Se “canone” e “tradizione” fossero dei modi per impedire al bambino di muovere i primi passi? Di fargli pagare il costo del cammino passato? Se la letteratura non fosse quello che professori univeritari o giornalisti o scrittori di antologi scolastiche dicono che sia letteratura? Se occorresse di nuovo, ancora, trovare le parole per dirne, per dirla?
    Perturbazioni: tutti considerano la letteratura COME la prosa, prevalentemente romanzesca. Niente poesia. Niente letteratura drammaturgica, o cinematografica.

  19. Luca Massaro Says:

    @ Fabio. Sì, hai ragione: mi sono infrenato.
    @ Enrico: sì, sono un nostalgico dei tempi in cui gli scrittori potevano persino diventare senatori a vita.
    @ Sandro: condivido quanto scrivi. È che io, a volte, “elucubro” volentieri, e questa volta ho avuto l’onore (ma anche l’onere) di avere spazio in questo luogo di pensieri
    @Federica: mi piacerebbe tanto che l’effetto di estraniamento che ti ho provocato possa essere, per te, cosa positiva. Ma m’illudo, lo so.
    @Tutti: grazie.

  20. Marco Candida Says:

    Cocco, non raccolgo la tua provocazione – l’ennesima che devo qui sopportare. A Mozzi ho solo fatto notare una svista e poi ho lasciato la lista dei miei nomi ricalcando precisamente le parole che ha usato lui – come chiunque può controllare. E’ stato solo un gioco.

    Col mio intervento volevo solo suggerire che dopo Pasolini, Sciascia, Buzzati, Moravia, Calvino, Pavese… non è vero che non c’è stato proprio più nessuno – come motteggia ironicamente Enrico. Scrittori importanti e al tempo stesso popolari ce ne sono stati, ci sono, sono tutt’ora viventi. Claudio Magris, Umberto Eco, Dario Fo, Tiziano Scarpa, Aldo Nove, Aldo Busi… Sono pochi, ce ne vorrebbero di più, certo: però mi pare di poter dire che ci sono.

  21. giovannicoccoaliasjohnny99 Says:

    Marco: Lasciateci almeno l’IRONIA! 😉

  22. giovannicoccoaliasjohnny99 Says:

    Stefano D’Arrigo, autore forse del romanzo italiano più importante del dopoguerra (“H. O.”, pubblicato nel 1975), è vittima di uno stranissimo fenomeno di rimozione collettiva. Bah!

  23. federica sgaggio Says:

    Luca, non me l’hai provocato tu, il senso di straniamento.
    Non so, io veramente mi sento un’aliena.
    A me piacciono le belle storie scritte bene, i libri che dicono, che parlano, mi emozionano.
    È del tutto chiaro che tutto questo movimento interiore – gastrointestinale? – nasce in esclusiva relazione alle corde che la lettura muove dentro di me, e che dunque non sono in grado di costruirci teoria.
    Io capisco che farsi domande abbia senso, e capisco anche che ne abbia cercare le risposte.
    Però, santiddio, a volte mi sembra che ci sia una specie di riflesso condizionato che ci spinge a parlare di noi, e ancora di noi, e poi di nuovo di noi, di me, per esempio, di quando io, per dirne una, e di quella volta in cui lessi, e quando mi capitò di incontrare, e giù a profondere culturona, posizioni, stàtusi (plurale di status!!!), buone letture, graduatorie, viva me, viva te, no viva lui, no cioè però la letteratura, io però penserei ai testi, e io per esempio…
    Può essere che la mia sensazione di claustrofobia dipenda esclusivamente da una mia peculiarissima fase esistenziale.
    Se è così, chiedo scusa a tutti, davvero e di cuore.
    Però, veramente: e se cercassimo – in generale, ché poi questo thread non è nemmeno così impestato di riflessi iperegoici – di tirarcela un pochino meno?
    Appena appena?
    Chiedo scusa.
    Torno su Marte.

  24. vibrisse Says:

    Giovanni, non mi pare che Stefano D’Arrigo sia “vittima di uno stranissimo fenomeno di rimozione collettiva”.

    gm

  25. enrico Says:

    c’è un fatto: quando si inizia tra noi maschi a teorizzare, e confrontarci, e “tirarcela” dibattendo… il femminile latita, sta in un silenzio forse ostile, o poi magari spunta a dirci di “tirarcela” di meno… se qui non c’è una differenza di genere nel rapportarsi alle cose, anche alla letteratura…

  26. federica sgaggio Says:

    Non so, Enrico. Forse c’è la differenza – la butto lì, magari è una cazzata – fra la vita e il resto.
    Non è il dibattito che indica il «tirarcela».
    È il modo in cui si dibatte. Dicendo io, io, io, io, io. Dicendo io ce l’ho più lungo perché ne so di più, perché ho letto di più, perché qualunque cosa.

  27. Marco Candida Says:

    @Enrico scrivi:

    Se la letteratura non fosse quello che professori univeritari o giornalisti o scrittori di antologi scolastiche dicono che sia letteratura? Se occorresse di nuovo, ancora, trovare le parole per dirne, per dirla?

    L’altro giono mi sono fermato in Piazza San Fedele a Milano e ho notato un piccione posato sulla testa della statua dedicata a Alessandro Manzoni. Un po’ come forse succederebbe a Tiziano Scarpa (che tu Enrico mi ricordi; è bellissimo leggerti) mi sono immaginato una storiellina. La storia di un assessore alla cultura che ha un’idea rivoluzionaria: attraverso manovre e manovrine riesce a far erigere in diversi punti della città monumenti a scrittori contemporanei. Tutta la società letteraria contemporanea naturalmente plaude alla lodevole iniziativa. L’assessore diventa presto un eroe degli scrittori nostrani che prendono a ricoprirlo di scritti che ne rivelano i ticchi, e i vezzi più clowneschi, bizzarri, e lo lodano insultandolo e lo insultano lodandolo: e insomma i nostri intellettuali cominciano a dimostrare tutto l’affetto e la riconoscenza nel modo obliquo, paradossale, effrastico che in loro più tipico. Sennonché, l’assessore, in realtà, (come la maggior parte degli agitprop culturali nostrani) ha elaborato lui stesso una strategia obliqua e d’accordo con associazioni ambientaliste libera nelle piazzette nei dintorni delle statue piccioni su piccioni, che sbeccottano mollichine di pane dalle mani di vecchietti e vecchiettine. Ben presto l’invasione di piccioni provoca lo smerdamento generale delle statue erette dall’eroico assessore. Le bronzee sculture s’incrostano di cacchette, merlettature di sterco adornano adesso i fieri volti degli intellettuali nostrani: è uno spettacolo laido, nauseabondo, del tutto spoeticizzante – ed ecco che la vendetta del bieco assessore è compiuta. La morale può essere che i monumenti, i libri di storia possono essere un modo anche per punirlo, un individuo: e non solo per riconoscergli un merito.

    @ Giovanni, ma certo che puoi scherzare, ma ci mancherebbe! E sono d’accordo con Federica (come si fa a non esserlo sempre?). Solo che a un certo punto bisogna anche accettare che un dibattito venga fatto in un certo modo e non in quell’altro che ci piacerebbe di più. No? Del resto ci sono argomenti che attirano la mia attenzione e io i commenti li lascio, o forse non posso farlo? Il commento che Giulio ha lasciato in questa discussione in risposta a Massaro è incredibile, bellissimo. L’uso che fa della lista di nomi nel primo paragrafo, fatto in quel modo, sembra tracciare col compasso il territorio dove lui sta, dove lui si muove, “combatte”. Per me solo quel paragrafo gli vale un Premio Strega. Solo che c’era una piccola svista. E cosa c’è di più irresistibile difronte a qualcosa di così mirabile da apparire perfetto che intervenire per sbriciolarlo? Non si può resistere, e l’ho fatto: e l’ho fatto anche per gioco. Ma, come dicevo nei commenti all’altro post, Giulio è una semidivinità: e se tocchi una semidivinità la conseguenza è reale, ed è possibile che gli angeli che gli volano attorno per proteggerlo, possano colpire. D’altra parte, però, bisogna pur ammettere che “quae enim facta sunt, fieri non possunt”: la divinità e l’uomo hanno in comune di non poter contravvenire ad almeno tre principi logici fondamentali. E’ così che si può prendere in castagna persino Dio.

  28. lorella Says:

    Non so se sono la sola a percepire l’odore di bruciato, che probabilmente alcune meningi emanano nello sforzo di commentare più profondamente o dottamente degli altri.
    Il virtuosismo letterario che ne scaturisce, rende il tutto falso, ipocrita, e lontanissimo dalla letterarura.

    Questo è ciò che penso leggendo post e commenti.

    Ma devo dirlo, anche se si capirà benissimo dal mio stile, che l’unica cosa che io abbia mai scritto, sono le liste della spesa, ed è forse per questo che provo grande rispetto per la letteratura e per chi la ama, “facendola” o no, a differenza di altri che vorrebbero solo possederla.

    E amarLa e non nel possederLa è arte,letteraria e non solo.

  29. Fabio Carpina Says:

    “Non so se sono la sola a percepire l’odore di bruciato, che probabilmente alcune meningi emanano nello sforzo di commentare più profondamente o dottamente degli altri.
    Il virtuosismo letterario che ne scaturisce, rende il tutto falso, ipocrita, e lontanissimo dalla letterarura.

    Questo è ciò che penso leggendo post e commenti.”

    Il risultato di questo generedi prese di posizione, però, è che la discussione muore. Qualunque cosa ci fosse ancora da dire, al di là degli stili dei singoli. Non credo sia un grande guadagno.

  30. lorella Says:

    perche?

  31. Marco Candida Says:

    Lorella, scrivi “Il virtuosismo letterario che ne scaturisce, rende il tutto falso, ipocrita, e lontanissimo dalla letterarura.” e poi scrivi: “Ma devo dirlo, anche se si capirà benissimo dal mio stile, che l’unica cosa che io abbia mai scritto, sono le liste della spesa…”. Dopodiché clicco sul tuo nome e finisco su un blog che si intitola “Barack Obama, il protagonisrta del romanzo” e poi subito sotto: “Leggi il mio romanzo su Barack Obama. E’ il primo al mondo con il Presidente Barack Hussein Obama II come protagonista ed eroe”.
    Quindi, non è vero che scrivi solo “liste della spesa”… Leggerò!

  32. lorella Says:

    Se Lei non trova più niente da dire dopo il mio banalissimo commento, vuol dire che Lei che non ha argomenti per la discussione oppure che si trova talmente daccordo con me da non dover aggiungere altro.

  33. lorella Says:

    Prima di “quello”, che è un manoscritto e non un libro, poichè nessun editore in italia lo pubblicherà,( un esordiente in italia per essere pubblicato deve scrivere solo di storie “italiane” ), ma questa è un’atra storia,avevo scritto solo liste della spesa.
    Ma nel commento non ne ho fatto cenno, perchè non volevo anteporre la mia persona o le mie esperienze, alla letteratura o all’argomento che si stava commentando.

  34. Fabio Carpina Says:

    lorella, perché la gente, a ragione o a torto, è permalosa. perché se scrivi che la gente scrive mossa da sentimenti di falsità, ipocrisia, e comunque lontani dalla letteratura (a parte l’arroganza di sapere solo te dove starebbe la letteratura, ma lasciamo stare), tutti quelli che hanno scritto qui se la prendono a male, sia che la critica sia diretta a loro sia che non lo sia: è questo l’effetto delle critiche “nel mucchio”, non dirette a qualcuno in particolare . Anzi, è più facile che a prendersela siano quelli a cui non ti rivolgevi, perché si sa, chi scrive veramente mosso da ipocrisia o falsità è più probabile che di una critica del genere non si curi minimamente.
    Eppure, non credo sia possibile che in quello che viene detto, al di là di come viene detto, non ci sia nulla che valga la pena leggere. Dici che la Letteratura bisogna Amarla e non possederLa? Allora concedine un pezzettino anche a loro…

  35. lorella Says:

    Signor Fabio, mi scusi, che significa la gente è permalosa? E consentito dire solo ciò che è gratificante? L’opposizione o la critica non sono ammesse neanche fuori dal Parlamento?
    Per quanto riguarda la letteratura, come potrei concederla dal momento che non la posseggo?
    Vede Signor Fabio, è questo che volevo dire, Lei ne parla dicendo concedila un pezzettino anche a loro, come se la letteratura fosse una cosa di cui farne l’uso che si vuole. Farla a pezzetti, tagliarla, romperla, farla a coriandoli,possederla magari calpestando i suoi canoni e la sua essenza, rendendola falsa, una copia dell’originale.
    Un uomo può possedere talento, ma sono il genio o l’arte che si impossessano dell’uomo e non il contrario.

  36. Fabio Carpina Says:

    Ah.

    Ehm, ok.

    (ok, ok, ho capito. scusate, è colpa mia, ci sono cascato come un pollo…)

  37. giovannicoccoaliasjohnny99 Says:

    Gentile Lorella, sostenere sempre la parte del pedante è, per ME, diventato un peso.
    Tuttavia il suo atteggiamento (un MIX di pressapochismo e LAMENTAZIONI) riesce ad infastidirmi ancora di più.

    Forse, qualora Lei iniziasse a seguire queste SEMPLICI regole
    1) dopo ogni virgola è bene mettere uno spazio che separi la virgola stessa dalla parola successiva;
    2) “daccordo” si scrive “d’accordo”;
    3) in questa sua frase: “Il virtuosismo letterario che ne scaturisce, rende il tutto falso, ipocrita, e lontanissimo dalla letterarura.
    Questo è ciò che penso leggendo post e commenti.
    Ma devo dirlo, anche se si capirà benissimo dal mio stile, che l’unica cosa che io abbia mai scritto, sono le liste della spesa,”
    l’utilizzo delle virgole è, almeno in tre casi, fuori luogo;

    forse, dicevo, in QUEL caso, qualche editor potrebbe anche decidere di tenere in mano il suo manoscritto per qualche secondo.
    Non sto a farLe gli esempi di “storie NON italiane” pubblicate in Italia (da narratori italiani) nel biennio 2009/10 perchè sarebbe come infierire con un bazooka (dalla distanza di cinque metri) su un criceto impigliato nella trappola.
    E non tiri fuori la storia del linguaggio informale e del contesto, La prego: io quando sono sulla tazza del cesso mi diletto con Dante. E’ questione di abitudine, mi creda. E di consapevolezza.

  38. lorella Says:

    @ giovanni…….. L’Accademia della crusca scrive:

    Cerca nel sito

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    Implementa… che?
    Io e te, io e tu o tu e io?
    C’entra o centra?
    Ancora sul plurale dei nomi uscenti in –co e –go

    Sono molte le richieste che continuano ad arrivare sulla corretta grafia di alcune parole ed espressioni. In particolare si tratta di dubbi relativi alla scrittura unita o separata di congiunzioni, avverbi, locuzioni avverbiali e preposizionali di alta frequenza.

    Facendo riferimento al DOP Dizionario di Ortografia e Pronuncia, adesso disponibile anche in rete, diamo un quadro dei principali casi:

    Parole o espressioni che devono essere scritte sempre separate:

    a fianco
    a posto
    a proposito
    al di là
    al di sopra, al disopra
    al di sotto, al disotto
    all’incirca
    d’accordo
    d’altronde
    in quanto
    l’altr’anno
    per cui
    poc’anzi
    quant’altro
    senz’altro
    tra l’altro
    tutt’altro
    tutt’e due
    tutt’oggi
    tutt’uno

    Tra queste però alcune sono registrate nel DOP anche in forma unita, sempre con la notazione di “forme rare” o comunque meno comuni delle corrispondenti in forma separata:

    affianco è registrato con rimando alla forma separata
    daccordo
    daltronde è indicata come forma meno comune
    pocanzi è indicata come forma meno comune
    senzaltro,tuttaltro e tuttoggi sono indicate come forme rare

    Parole o espressioni

    quindi daccordo si può scrivere come unica parola.

    Inoltre non credo che rivelarci l’interessantissima notizia relativa all’uso di Dante come aiuto alla sua peristalsi le faccia molto onore. Mi auguro solo che non usi le pagine della Divina Commedia come carta igenica.

    Se avessi voluto usare un linguaggio informale direi che Dante la fa cacare.

  39. giovannicoccoaliasjohnny99 Says:

    Vede che ha già imparato, Lorella? L’utilizzo degli spazi, dico. Si applichi.

  40. vibrisse Says:

    Ovviamente Lorella non può sapere se altre persone qui intervenute abbiano scritto quello che hanno scritto per desiderio di mettere in mostra il loro “virtuosismo” nel “commentare più profondamente o dottamente degli altri”. Non può saperlo, Lorella, perché non ha accesso alle menti di questi altri, e non può sapere nulla (come non posso saperlo io) di ciò che in tali menti avviene. Per la stessa ragione gli altri non possono sapere (né posso saperlo io) cosa avvenga nella mente di Lorella.

    D’altra parte, il fatto che una cosa sia stata detta per desiderio di esibizione non comporta che quella cosa detta sia giusta o sbagliata, vera o falsa, interessante o futile, eccetera.

    Potremmo dunque discutere di ciò che è stato detto, per vedere se è giusto o sbagliato, vero o falso, interessante o futile, eccetera. E non discutere, poiché non possiamo saperne niente, di ciò che avviene nelle menti di tutti coloro che qui discutono.

    gm

  41. lorella Says:

    chiaramente, se avessi voluto….. direi che… è sbagliato.

    Ma ciò che vorrei puntualizzare è che io ho scritto esordienti italiani, e non narratori italiani.

    La differenza tra i due termini è sostanziale.

    Mi dispiace tanto per il criceto impigliato nella trappola, poverino.
    Solo uno stupido potrebbe sparagli con un bazooka dalla distanza di cinque metri, invece di liberarlo.

  42. Fabio Carpina Says:

    scusate, era tanto che sognavo di essere il primo a dirlo in una discussione:

    http://www.google.it/images?client=firefox-a&rls=org.mozilla:it:official&channel=s&hl=it&q=don%27t%20feed%20the%20troll&um=1&ie=UTF-8&source=og&sa=N&tab=wi&biw=1680&bih=860

  43. enrico Says:

    … ma cosa è successo? Quale storia raccontare della sequenza narrativa di questi commenti? Non sarà letteratura ma… che qualcuno studi, rifletta sul come e il quando siamo arrivati a parlare d'”altro”, dai destini della letteratura, a… lorella, che chiamerei qui (e non me ne voglia) l’Esordiente (mi pare che sia lei a darcene modo, in maniera peraltro un poco subdola, rispetto al primo intervento)… direi che nella sala del dibattito dei maschi, accaldati, prende la parola una donna (si chiama federica, ha un viso bianco, le lentiggini), dice: ve la tirate, tutti a litigare chi ce l’ha più lungo – intellettualoidi – aggiunge sottovoce – la discussione prosegue, ma c’è un dolore, i maschi sentono nel fianco una punta di disagio che si avvicina al senso di colpa – ed ecco che su questo terreno si fa spazio (dal fondo) la seconda donna (riccioli in tempesta, sguardo di ghiaccio) – quasi sentendo che i signori, con gli occhi esplosi oramai e le gole asciutte, sono pronti per essere… spazzati via – ed ecco la freccia (quella di Odisseo, contro i Proci): falsi ipocriti esibizionisti, chiudetevi la patta, avete finito di mostrare le vostre piume di pavone o ne avete qualcun altra ancora, forza, ma perfavore chiudetevi la patta… silenzio, imbarazzato, impaurito, persino addolorato: hai voglia a spiegare a Lorella che così… fa male, e fa male non solo a livello “esterno”… la sua non è la guerra dei maschi, che ridevano e si davano manate sul groppone… la sua guerra è profonda, mentale, crudele (e hai voglia a spiegarle, caro gm, che non può condannare le intenzioni, che sono inconoscibili)… il suo risultato l’ha raggiunto… a cosa serve combatterla con il vocabolario in mano? C’è chi prende l’impermeabile appeso al gancio, chi fa un semicerchio sul pavimento con la punta della scarpa… chi apre la Gazzetta sul tavolino vicino… lorella è sola, sul campo… ora…

  44. lorella Says:

    Lorella è sola, sul campo.. ora…
    così Lei di me Enrico,
    e mi descrive interpretando le mie emozioni come se in me albergasse un uomo o un guerriero.
    Non sono un’amazzone.
    Non ho riccioli in tempesta ne occhi di ghiaccio,
    ho i morbidi capelli rossi di una donna e occhi castani colmi di lacrime mentre leggo le sue parole.

  45. giovannicoccoaliasjohnny99 Says:

    Vado in vacanza, che è MEGLIO (come diceva Topo Gigio).

    “T’ho cugnusu su sul tecc del Domm
    in controluce te parevet on omm
    un uomo incinto de quater mes
    con la sottana de stoffa ingles. Ueeee…
    A Porta Romana (ier sira pioveva)
    a Porta Vittoria… (ier sira pioveva)
    in piazza Napoli… (ier sira pioveva)
    in piazza Susa… (ier sira pioveva)
    in piazza Martini… (ier sira pioveva)
    Gh’era el me zio (gh’era el me zio)
    ch’el tampinava (ch’el tampinava)
    ona bella mora (ona bella mora)
    era appena uscito (era appena uscito)
    dal neurodeliri (dal neurodeliri)
    a vottant’ann (a vottant’ann). Ueeee…
    La forza dell’amore
    la forza dell’amore
    La forza dell’amore
    la forza dell’amore
    la forza dell’amore
    la forza dell’amore”.

    da “La forza dell’amore” di E. Jannacci

  46. federica sgaggio Says:

    Sarà che le donne non sono adatte al dibattito, Enrico. Non ne ho idea. Mi sembra di no, però può essere, chissà.
    Invidia del pene?
    Mah.
    Forse.
    Inferiorità manifesta?
    E chi lo sa.
    Peso delle tette che sbilancia il cervello verso il basso?
    Possibile.

    Quel che mi pare di avvertire – prendetela così, come l’impressione di una femmina un po’ sciocca e marziana, una di quelle che non san dibattere – è che «quando si inizia tra» voi «maschi a teorizzare, e confrontarci», quel che io avverto è una gara.
    Può essere – per carità – che io abbia lenti mie tutte ondulate. E sono anche certa che le gare tra femmine non sono meno primarie («basiche», come) delle vostre.
    Però, ragazzi, andiamo: non raccontiamoci che no, è tutto così bello lineare.
    Molti sanno solo scrivere io io io.
    E pensare io io io.
    E cercare relazioni perché io io io.
    E proiettarsi sullo schermo del mondo come io io io.
    E guardarsi allo specchio come io io io.
    E parlare di io io io.

    Ha ragione Giulio: a dire «tiriamocela di meno» non si partecipa al dibattito.
    In effetti, di partecipare a un dibattito su cosa sia e cosa no la letteratura, e su quale senso abbia la tradizione letteraria non ho troppa voglia, e prendo atto di buon grado che è un problema mio.
    Interrogarsi ha senso, eccome.
    Però, non per dire io.

    E ho gia scritto che questo non è un thread in cui l’ego virile faccia più fiorita mostra di sé.
    Dice: e allora perché commenti qua?
    Perché m’è venuto da farlo qua.
    Se volete, sparate.
    Ah. Mirate alla pancia, mi raccomando.
    Tolta quella, noi donne non abbiamo altro.

  47. enrico Says:

    lorella: la mia era un tentativo di narrare cosa è successo qui… perfino con una certa leggerezza (crudele forse? a mia volta?); forse lei (chissà perché non mi viene il “tu”) ha un’altra versione, altro da raccontare su tutto questo, sta di fatto che lei ha dato degli ipocriti e falsi e pavoni a gente che sta discutendo e qualcosa succede (le sembra coerente?) – ma cambiamo punto di vista: lei, e Federica, avete portato una carica emozionale, di pancia, insolita, che ha sovvertito in poche battute il dibattito (aggiungo: dei maschi, perché è oggettivo), lo ha fatto diventare qualcosa d’altro – meglio? peggio? non si può dire: solo “altro”. Io userei anche un aggettivo tipo: doloroso, e in qualche modo sofferto… federica hai portato, dentro una dimensione di “parola”, la tua “pancia”… qualcosa che nasce lì… questa cosa che dici, federica, che qualcuno possa colpirti alla pancia… mi sembra solo… una metafora… terribile, o una paura, non so… c’è qualcosa in questo conflitto tra generi, qualcosa di “salato”, di reale, una emersione di alcunché di latente, ma forte, forte…

  48. lorella Says:

    scelga Lei Enrico se questo è il titolo di un libro, visto che parliamo di letteratura, un allarme socio-culturale, altro o niente. Lo dico senza provocazioni, così al volo. E mi creda non le sto tirando un sasso. Se lei vorrà potrà ritirarmi la palla che Le lancio.

    Uomini che odiano le donne.

  49. federica sgaggio Says:

    Enri’, dimme ‘na cosa: ma che ffirm stai a gguarda’?

  50. vibrisse Says:

    Luca, ripendo il discorso (avevo promesso una risposta a rate: e rate saranno).

    Mi fermo un attimo su una “banalità” che hai scritta in questo commento:

    Dico una banalità, non tutto ciò che è scritto e pubblicato diventa letteratura.

    Ebbene: questa che dici non è per niente una banalità. O lo è, se vuoi, solo nel senso che serve a eludere e a non affrontare una domanda.

    La domanda è: come si distingue ciò che è “letteratura” da ciò che non lo è?

    A questa domanda si può rispondere in due modi. O dicendo che è “letteratura” ciò che possiede (tutte, o almeno in una certa quota) determinate caratteristiche descrivibili con precisione e riconoscibili senza (o con scarsa) possibilità di errore. Allora distinguere ciò che è “letteratura” da ciò che non lo è diventa come distinguere ciò che è “cavallo” da ciò che non lo è: una pratica distintiva che non implica in nessun modo un giudizio di valore.

    Oppure dicendo che si scrivono (e pubblicano: ma questa è un’altra faccenda) tante cose, che hanno in comune una quantità di caratteristiche, ma di queste cose alcune sono ritenute belle e altre no; e quelle belle sono “letteratura”. Mettiamo da parte le questioni connesse (quanto vasto debba essere un consenso perché la bellezza di una cosa possa essere ritenuta una verità intersoggettiva, eccetera; se vi siano persone deputate, per posizione o ruolo o professione, a stabilire quali cose siano belle e quali no; eccetera), e dobbiamo confessare: saprà distinguere ciò che è “letteratura” da ciò che non lo è chi sia stato addestrato da persone che sappiano distinguere ciò che è “letteratura” da ciò che non lo è; e tali persone a loro volta saranno state addestrate eccetera.

    Dal che si capisce che cos’è la tradizione: è la continuità dell’addestramento tanto dei produttori quanto dei consumatori di “letteratura”. In questo caso il giudizio: “Questa cosa qui è letteratura” è indubbiamente un giudizio di valore; e tuttavia sarà un giudizio slegato da una precisa descrizione dell’oggetto. (E infatti noi, se vogliamo consigliare una lettura a un amico, gli diciamo semplicemente: “E’ bello”, senza perderci in analisi e descrizioni). (Poi, se l’amico è pedante, gli facciamo anche le analisi e le descrizioni).

    Ma tu, giustamente, dici: “non tutto ciò che è scritto e pubblicato diventa letteratura”. L’ “essere letteratura” è infatti una condizione storica: che un’opera deve conquistarsi, e può perdere.

    Ripeto: io frequento molto le librerie dell’usato, dove trovo un’enorme quantità di libri che non interessano più a nessuno. Alcuni di questi sono stati molto venduti e molto letti, ai loro bei dì; altri no. Secondo il primo dei criteri da me proposti, è possibile che addirittura tutti questi libri siano “letteratura”: solo che, appunto, quasi tutti non interessano più a nessuno. Secondo il secondo (ops!) dei criteri da me proposti, forse tutti questi libri hanno provato a “essere letteratura”, ma pochi ci sono riusciti; alcuni “sono stati letteratura” per un certo tempo, e ora non lo sono più; alcuni, forse, diventeranno o ridiventeranno “letteratura” in futuro; eccetera.

    La mia opinione, come credo sia noto, è che è letteratura “qualcosa di scritto”. Su ciò che è scritto, poi, si va a vedere se è bello o no. E questo mio è un modo per evitare che qualcosa venga escluso dalla possibilità di essere percepito e recepito come “bello” semplicemente perché risulta nuovo (o arcaico, o deviante…) a coloro che addestrano a distinguere ciò che è bello da ciò che non lo è.

    Vengo alle tue domande dirette.

    Dietro i libri di un Piperno, di un Giordano, di uno Scarpa, di una Mazzucco, di una Avallone (cito i primi che mi vengono in mente) cosa c’è oltre quanto descritto sopra? Per carità nulla di male, anzi giù il cappello a chi riesce a diventare uno scrittore professionista. Ma, ripeto, cosa c’è oltre questo, dietro cioè la buccia della copertina e della storia in sé narrata?

    Be’, ci sono i testi.

    C’è negli scrittori il senso di stare facendo, appunto, letteratura?

    Se tu hai letti questi testi, dovresti avere un’opinione. Varrebbe a poco domandarli direttamente a loro. Se tu domandi a me: “Fai letteratura?”, io ti rispondo: “Senz’altro: produco qualcosa di scritto…”.

    La maggior parte dei romanzi italiani di oggi cosa sapranno raccontare agli italiani di domani? Un Demetrio Paolin del futuro che tipo di libro potrà scrivere in riferimento a questa tarda epoca berlusconiana? Come questi scrittori professionisti di oggi saranno gli scrittori a cui domani fare riferimento, sui quali o dai quali imparare o disimparare, meditare o rifiutare nella stessa misura di quanto è accaduto e sta accadendo con gli scrittori di ieri?

    A queste domande, temo, si potrà rispondere solo nel futuro. Faccio solo notare che gli scrittori ai quali oggi “facciamo riferimento” sono, rispetto a quelli che scrivevano e pubblicavano nel passato, pochissimi. Ripeto: basta frequentare le biblioteche, le librerie dell’usato…

    (Ovvero: ma siamo sicuri che ci sia un qualcosa di specifico dell’oggi, in tutto questo?).

    Quanto i nostri scrittori contemporanei sono innestati nel grande albero della storia della letteratura che cammina a fianco della Storia umana nel suo complesso, lasciando tracce di vita più o meno significative che si ritrovano scritte nelle nostre mani esitanti e nei nostri occhi avidi di conoscere il senso del nostro cammino, o di cogliere il bello e la gioia, o di percepire il dolore e la rabbia, la possibilità o l’impotenza?

    Qui la risposta è facile: tutti. Non riesco a immaginare, infatti, qualcuno che viva fuori della storia (per i più curiosi: nemmeno il dio).

    Mi piacerebbe, caro Giulio, sentire la tua opinione sul fatto che ci sia, o meno, negli scrittori di oggi la consapevolezza di stare facendo letteratura, di essere dentro una tradizione, anche per tradirla; oppure se in essi c’è solo quell’idea a cui sopra mi riferivo, vale a dire: scrivere per essere pubblicati, venduti, eventualmente letti.

    In un certo numero di scrittori di oggi che leggo e frequento abbastanza mi pare – mi pare, eh! – che ci sia qualcosa di descrivibile più o meno come “consapevolezza di stare facendo letteratura”; tuttavia, buona parte di questi, così a occhio, rifiuterebbero l’identificazione del “fare letteratura” con l’ “essere dentro una tradizione, anche per tradirla”. Di tutti questi scrittori, peraltro, questi, molti sono ansiosi di essere pubblicati, venduti, letti.

    Ti rispondo per me. Credo che la letteratura sia un’attività relazionale. Ossia credo che quando produciamo “qualcosa di scritto”, lo facciamo per entrare in relazione con qualcuno. (E’ anche per questo che i miei recapiti sono a disposizione di tutti). E, certamente, quando vedo uno scrittore (o un altro artista) che comincia a fare la “vita da star” (ossia: a sottrarsi alla vita relazionale ordinaria), mi viene il sospetto che qualcosa di essenziale sia andato perduto.

    Fine della seconda rata.

    giulio mozzi

  51. lorella Says:

    A’ bbelliii, ce sete cascati tutti! Enrico!, ci credo che mi dai del Lei, t’ho parlato come se fossi tu’ nonna!
    Su che non è niente! E come la guerra dei mondi di Orson Welles!
    Se non vi siete accorti che le mie lacrime erano false, è teatro? è letteratura? E’ stronzaggine? E’ come il trucco del mago: c’è ma non si vede.
    Se il trucco si vede, secondo me è virtuosismo, e puzza di falso !
    guaglio’, sveglia!
    E’ letteratura post-moderna questa?
    è finzione? è realtà?
    Chiedetelo a uno bravo
    E’ l’anonimato che permette di farlo.
    Comunque è vero che sono una donna, ho i capelli rossi e grandi occhi castani…….. sono innamorata di un coniglio… e mi chiamo jessica.
    Ma questa è un’altra storia.

  52. vibrisse Says:

  53. Luca Massaro Says:

    Prima sensazione immediata, vera: se fossi una banca sarei davvero soddisfatto di avere clienti come te, caro Giulio, che mi restituiscono “rate” con interessi maggiori a quelli previsti.
    Hai chiarito molto della mia confusa percezione sullo “stato dell’arte” (e qui ribadisco i miei ringraziamenti anche a molti altri “commentatori”).
    Trovo illuminante come tu abbia “riscritto” una mia domanda e i due modi con cui hai risposto.
    Riguardo alle librerie dell’usato. Non avendone di vicine, frequento tuttavia piccole biblioteche di provincia che permettono di vedere e toccare libri di narrativa e non di venti, trenta anni fa. Confesso che preferisco tali scaffali a quelli delle novità, così come mi piacerebbe che i volumi di Soldati, di Piero Chiara, di Pontiggia, di Giorgio Saviane, di Flaiano (ne cito alcuni di cui stamani, per l’appunto, ho preso in prestito, rispettivamente: “L’architetto; Viva Migliavacca e altri 12 racconti; Il raggio d’ombra; Il mare verticale; Il gioco e il massacro), potessero ancora essere dentro una relazione pubblica-politica nel nostro Paese malato di televisione.
    P.S.
    @Federica.
    quando dico “io” (nel caso della lettera “io la vedo così”) intendevo non affermare una verità del mio piccolo “io”, quanto metterla in gioco, sottoporla a critica, a revisione, per imparare, per condividere, “per entrare in relazione con qualcuno”.

  54. enrico Says:

    ciao, sono la sorella minore di Enrico
    se l’è presa sai lorella (?) in un primo tempo, poi meno – comunque – bello lo scherzo – si prende sempre troppo sul serio, glielo dico sempre – chissà che federica, che odia chi dice troppi “io” e sono d’accordo, io, chissà che federica gaggio come lorella non sia una finzione, una pseudodonna di pixel – Enrico mi sta dicendo: comunque meno male che non sono io il misogino e altre frasi dalla stanza vicina che non capisco (boh)

  55. federica sgaggio Says:

    Lucas, no, non intendevo minimamente riferirmi alle tue domande.
    Mi dispiace di averti potuto dare quest’impressione.

    Enrico, non odio chi dice troppi io.
    Quelli che dicono tante volte io, semplicemente, non mi piacciono tanto.

    Saluti alla pseudo-sorella.

  56. lorella Says:

    Giulio,
    dopo aver letto la tua interessante seconda rata, vorrei conoscere, se possibile la tua opininione a proposito di queste mie riflessioni:
    se come giustamente tu affermi, la letteratura non può prescindere dal contesto storico, allora non lo può anche lo stato dell’arte letteraria.
    e, se letteratura si differenzia da ciò che non è letteratura, oltre da quello che tu rilevi, anche e sopratutto, perchè come l’arte in senso più ampio deve rispondere ai canoni dell’estetica trattando di temi universali come guerra, morte ecc,affiancando a ciò il contesto storico, non trovi che il lungo momento di caduta di valori che sta attraversando il nostro paese e non solo, influenzi negativamente gli scrittori e la qualità letteraria, quindi lo stato dell’arte letteraria?
    Scrittori che in altri periodi storici hanno vissuto e quindi raccontato grandi e terribili eventi di cui sono stati testimoni, ad esempio la grande guerra, il fascismo e che affollano le librerie di libri vecchi e nuovi, trattando di temi universali, sono secondo te destinati a resistere proprio per il loro valore di universalità?

    Sempre relativamente al contesto storico,

    gli scrittori contemporanei a causa del momento economico e socio-
    culturale,e allo svilimento dei valori, stanno dando più un taglio giornalistico al loro lavoro e quindi alla letteratura come sta avvenendo per giornalisti-scrittori d’inchiesta,come Saviano, di cui parla Luca? E Saviano in particolare, quanto deve, al di là dell’ammirazione sconfinata che nutro per lui, al valore universale della giustizia di cui tratta?

    Grazie – lorella

  57. enrico Says:

    gentile Giulio, vorrei anch’io tornare sul concetto di letteratura
    ma vorrei “agganciare” questo interrogativo a una pratica che frequenti (che frequento): quella dell’insegnamento della scrittura creativa (concetto che farei coincidere, e dimmi se sbaglio, con “scrittura letteraria”).
    Ebbene. In un tuo libro, che mi è molto piaciuto (stavo per dire: ho molto amato) edito da Terre di mezzo, “(non) un corso di scrittura creativa”, affermavi che per scrivere creativamente occorre quanto meno un progetto. Un progetto letterario. Io vorrei dire “un progetto utopico”. Con il che intendo che “fare letteratura” sarebbe costruire quel “non luogo” che è “un certo mondo” della possibilità umana di creare. Popolato da personaggi “fantasmatici”, che parlano e agiscono, soffrono, da una ricerca sulla – pregnanza – brutto il termine? non ne trovo uno migliore – della lingua, delle parole, delle frasi, che devono “portare alla luce” un intero mondo di parvenze, mondi “sentimentali”, un lavorio inesausto su di sé e sui propri doppi, sui propri luoghi, e sulla propria visione, sulla “realtà”… e questo, certo, in un ottica “complessiva”, progettuale in senso molto ampio… ora: che questo “lavoro” letterario – scrittura di fantasmi – diventi pubblicazione, approdo nelle librerie, oggetto di lettura, a mio avviso è, comunque, una “seconda fase”… non disgiunta: si scrive per scrivere a qualcuno, per partecipare dello spazio pubblico della comunicazione… ma “seconda”. A Lucas. Nella tradizione occidentale, politica (potere) e letteratura sono da sempre congiunte, in una dialettica spesso dura e difficile – e oggi, non mi pare sia diverso da altri periodi storici, anche se tutte le forme sono differenti, come è ovvio – gli scrittori continuano – oggi – a lavorare anche come cittadini, come persone cui interessa la cosa pubblica, autori di pamphlet, di indignazioni, di “lotte” culturali/politiche. E penso che anche solo in conventicole, ma a volte invece in ampi raggi che non conosciamo, continuano a “formare” l’opinione delle persone. I nomi nono sono pochi, e nominerò anche qualcuno che è agli antipodi della mia visione socio-politica: Mozzi, Evangelisti, Moresco, Saviano, De Mari, Tabucchi, Eco…

  58. vibrisse Says:

    Lorella, non mi sembra proprio che “l’arte in senso più ampio deve rispondere ai canoni dell’estetica trattando di temi universali come guerra, morte ecc.”. Credo che a nessun artista non importi nulla dei “canoni dell’estetica”: mi domando se esistano, oggi, dei “canoni dell’estetica”, e mi rispondo che mi pare proprio di no. Che l’arte debba “trattare” di “temi universali”, è un’idea un pochino antiquata; e che i temi universali siano cose “come guerra, morte ecc.” mi sembra un’idea ancora più antiquata.

    Quando scrivi, rivolgendoti a me: “Se come giustamente tu affermi, la letteratura non può prescindere dal contesto storico, allora non lo può anche lo stato dell’arte letteraria”, ho il sospetto che tu mi attribuisca un’opinione che non ho. Quindi provo a spiegarmi meglio. Ho scritto: “Non riesco a immaginare, infatti, qualcuno che viva fuori della storia”. Un’opera letteraria, come qualunque opera umana (dall’andare a far la spesa all’accendere un mutuo, dal cacciare gli elefanti al costruire gli igloo), è prodotta nella storia. Non intendo sostenere che l’autore di un’opera letteraria o d’arte abbia il dovere di non “prescindere” dal “contesto storico”: dico – ed è una banalità – che ogni cosa umana sta in un contesto storico (quindi anche le riflessioni sullo stato dell’arte della letteratura).

    Detto questo, mi domandi se, secondo me, “il lungo momento di caduta di valori che sta attraversando il nostro paese e non solo, influenzi negativamente gli scrittori e la qualità letteraria, quindi lo stato dell’arte letteraria”. Vedi, a domande di questo tipo è impossibile rispondere, perché sono composte per la maggior parte di parole vuote. (a) Che cos’è un “lungo momento”? E’ cinque anni, dieci anni, cento anni, mille anni? Se non capisco di quale arco di tempo parli, non posso rispondere. (b) Che cosa sono i “valori”? Potresti nominarli, uno per uno, così capiamo di che cosa si parla? (c) Che cos’è una “influenza negativa” sugli scrittori? Intendi dire che sono disoccupati, non hanno soldi, non sono considerati, e cose così, oppure intendi riferirti a cose che accadono nella loro mente (o nel loro spirito, nel loro animo)? E, in questo caso, come possiamo sapere che cosa accade nella mente o nello spirito o nell’animo di qualcuno? (d) Che cos’è la “qualità letteraria”? Come si distingue qualcosa che ha “qualità letteraria” da qualcosa che non ce l’ha?

    Se certe opere letterarie siano “destinate a resistere”, lo sapremo in futuro. Oggi non possiamo saperlo.

    Scrivi infine: “gli scrittori contemporanei a causa del momento economico e socio-culturale,e allo svilimento dei valori, stanno dando più un taglio giornalistico al loro lavoro e quindi alla letteratura”, eccetera. Ma: se guardo ciò che si pubblica, non mi pare proprio che, in generale, gli scrittori italiani stiano dando “più un taglio giornalistico al loro lavoro”. Lo stesso libro di Saviano, Gomorra, al quale alludi, non ha un taglio giornalistico.

    giulio mozzi

  59. vibrisse Says:

    Luca, hai preso a prestito nella biblioteca di quartiere Soldati, Flaiano, Chiara, Pontiggia, G. Saviane. Non so che cosa penseresti se ti capitasse di leggere un po’ di libri di successo del periodo tra le guerre. Autori come, per dire, Mario Appelius, Antonio Beltramelli, Lucio D’Ambra, Guido Da Verona, Arnaldo Fraccaroli, Fausto Maria Martini, Guido Milanesi, Cesare Viola, Luciano Zuccoli, e così via.

    Se si confrontano autori di un’epoca con autori di un’altra, è utile cercar di confrontare autori effettivamente confrontabili. Dal punto di vista del “professionismo”, e sempre facendo un confronto con la prima metà del Novecento, il corrispettivo di Andrea Camilleri è Guido Da Verona, il corrispettivo di Paolo Giordano è Luciano Zuccoli, il corrispettivo di Susanna Tamaro è Lucio D’Ambra, il corrispettivo di Carlo Lucarelli è Guido Milanesi (così, a occhio). Non voglio, facendo questo confronto, profetizzare che tra settant’anni nessuno (a parte qualche maniaco come me) si ricorderà di Camilleri, Tamaro, Giordano o Lucarelli. Voglio dire che se scelgo gli autori messi in evidenza – oggi – dall’editoria industriale, devo fare confronti con autori messi in evidenza – in altri tempi – dall’editoria industriale d’altri tempi, o con la cosa più simile possibile, in altri tempi, all’editoria industriale (i Wu Ming, per dire, sono più facilmente paragonabili alle opere di Giuseppe Verdi che ai “Promessi sposi”).

    Riesco a spiegarmi?

    gm

  60. vibrisse Says:

    Enrico, non so se capisco ciò che dici, quando scrivi:

    intendo che “fare letteratura” sarebbe costruire quel “non luogo” che è “un certo mondo” della possibilità umana di creare. Popolato da personaggi “fantasmatici”, che parlano e agiscono, soffrono, da una ricerca sulla – pregnanza – brutto il termine? non ne trovo uno migliore – della lingua, delle parole, delle frasi, che devono “portare alla luce” un intero mondo di parvenze, mondi “sentimentali”, un lavorio inesausto su di sé e sui propri doppi, sui propri luoghi, e sulla propria visione, sulla “realtà”… e questo, certo, in un ottica “complessiva”, progettuale in senso molto ampio…

    Posso solo dire tre cose. 1. Anche per scrivere “non creativamente” ci vuole un progetto. La differenza, così a occhio, è che spesso quando si scrive “non creativamente” si può fare un progetto in anticipo; quando si scrive “creativamente” succede spesso che il progetto si definisca in corso d’opera.
    2. Tutto il tuo discorso di cui sopra, io lo direi così: quando mi metto a scrivere mi vengono in mente delle cose, e cerco di non escluderne nessuna.
    3. Infine, per quello che può valere l’esperienza di un singolo: io ho scritto sempre e solo perché qualcuno leggesse. Non ho mai scritta una sola parola per me solo.

    gm

  61. lorella Says:

    Giulio, grazie delle risposte.
    Pensavo che dal punto di vista accademico, un opera,in questo caso letteraria, per essere considerata arte, dovesse rispondere a dei canoni deontologici. Per esempio, la pietà di Michelangelo, nel complesso di caratteristiche (semantiche), ha insiti quei valori universali,che sono l’amore della madre per un figlio, la morte e così via. ma mi rendo conto che sia un concetto antiquato. Tutto il resto era in conseguenza di ciò.

    lorella

  62. federica sgaggio Says:

    Giulio, perché dici Verdi più che Manzoni?

  63. Luca Massaro Says:

    Giulio: sì, ci sei riuscito.
    Inoltre, non conoscevo nessuno degli autori di libri di successo tra le due guerre da te citati e questo spiega. oltre alla mia ignoranza, molte altre cose. Ma allora consentimi una nuova domanda: non possiamo stabilire per niente, qui e ora, quali siano le cause della “selezione naturale” letteraria? Vale a dire: i parametri, i criteri che hanno fatto (fanno) sopravvivere nella memoria certi autori e non altri, premesso che essi siano individuabili, sono validi ancora oggi?

  64. paperinoramone Says:

    forse un libro resiste nel tempo fin quando ha qualcosa da dire, poi magari
    aiuta anche la scuola, cioè si adatta. Dal punto di vista della selezione naturale, ammesso che si possa fare questo paragone, l’unico parametro
    è l’adattabilità; il libro è un oggetto, le parole sono sempre quelle,magari dietro c’è un pensiero così articolato che dà vita a un’opera immobile eppure viva. Giulio potrebbe dirci se ci sono oggi delle opere o degli scrittori
    che stanno resistendo e che secondo lui non hanno più molto senso oggi.

  65. paperinoramone Says:

    anch’io sono curioso di sapere perché Verdi più che Manzoni

  66. Luca Massaro Says:

    Per celia (ma mica tanto) metto nel carniere della discussione anche questo gioco inaugurato oggi sulla Domenica de IlSole24Ore. Lascio il link di G.Pedullà che, in chiusa d’articolo riporta i vari link degli articoli di vari critici interpellati, più il link in cui S.Salis spiega in cosa consiste il gioco.

    http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2010-08-01/carica-magnifici-under-080406.shtml?uuid=AYQJa9CC&fromSearch

    http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2010-07-31/sono-promettenti-scrittori-italiani-185442.shtml?uuid=AYV0M4CC&fromSearch

  67. vibrisse Says:

    Federica: perché l’opera era più popolare, all’epoca. Ma anche Manzoni va benissimo.

    Luca: i parametri che fanno sopravvivere oggi nella memoria certi autori e non altri, sono certamente “validi” oggi.

    E quelli che facevano sopravvivere ieri nella memoria certi autori e non altri, erano certamente “validi” ieri.

    Ma, ad esempio, certi autori antichi che sopravvivevano allegramente ai tempi di Foscolo e Leopardi, oggi non sopravvivono più. E certi autori che ai tempi di Foscolo e Leopardi erano morti e sepolti, oggi sono in auge. Manzoni aveva grande stima per il poeta e romanziere Tommaso Grossi: tanto da citare nei “Promessi sposi” un verso del poema “I lombardi alla prima crociata”. Quel poema, stando a Wikipedia, “con le sue 3500 copie risultò l’opera letteraria con più alta tiratura del tempo”. Chi se ne ricorda più? (Ma, e lo dico anche per Federica, l’omonima opera di Verdi, ispirata al poema del Grossi, sopravvive agevolmente…).

    No, non possiamo “stabilire, qui e ora, quali siano le cause della selezione naturale letteraria. Che io sappia, non ci sono grandi studi su questo.

    Ci sono certo degli eventi importanti: le “Prose della volgar lingua” di Pietro Bembo, pubblicate nel 1525, ebbero un’influenza enorme e stabilirono definitivamente Petrarca quale modello per la poesia, e Boccaccio per la prosa, ottenendo il risultato di quasi mandare in pensione il povero Dante, e favorendo la circolazione di una letteratura d’un certo tipo (il petrarchismo fu uno dei fenomeni più impressionanti e invasivi della letteratura europea) anziché d’un altro. (Poi Dante si rifece, e con gli interessi, nell’Ottocento).

    In tempi più vicini a noi, è indubbio ad esempio che la famosa “egemonia culturale della sinistra” abbia facilitato il consolidamento e la canonizzazione di certi autori: al liceo mi fecero leggere “La bella estate” di Pavese, “Un anno sull’altipiano” di Lussu, “Il sergente nella neve” di Rigoni Stern, “Se questo è un uomo” di Levi, “Conversazione in Sicilia” di Vittorini, “L’isola di Arturo” di Elsa Morante, “Il sentiero dei nidi di ragno” di Calvino… Noti qualcosa? E’ tutta roba Einaudi! E credo si possa dire che autori come Giuseppe Berto (“Il male oscuro”), Mario Pomilio (“Il quinto evangelio”), Carlo Coccioli (“Il cielo e la terra”), per citarne tre che a me sembrano notevolissimi, non siano stati canonizzati anche per banali ragioni di posizione politica.

    Negli anni Sessanta e Settanta il battagliero gruppetto dei “neoavanguardisti” si conquistò un posto al sole editoriale aggredendo ad esempio Cassola e Bassani (liquidati come “Liale”): Bassani, che dirigeva un’importante collana in Feltrinelli, ne fu cacciato quando, dopo aver pubblicato alcuni libri di Alberto Arbasino (“Anonimo lombardo” e “Parigi o cara”, se non sbaglio), manifestò qualche dubbio su “Fratelli d’Italia”.

    Qualunque italianista ti dirà che Federigo Tozzi è un autore importante. E tuttavia, Tozzi non è “canonico”. Perché? Per me è un mistero.

    Nella poesia novecentesca la “selezione naturale” si fa attraverso le antologie (in rete c’è un articolo interessante): chi viene incluso nell’antologia curata dal personaggio prestigioso, (forse) rimarrà; chi non viene incluso (certamente) non rimarrà…

    gm

  68. enrico Says:

    mi piacerebbe che qualcuno approfondisse la riflessione – direi in senso lato filosofica – sui sentimenti, le emozioni, le energie che si prende il pensiero del “restare”, “non essere dimenticati” – antico portato della cultura occidentale greca del “kleos” (la gloria, la chiarezza della gloria, dell’eroe). Nel post di Luca, questo “domani” in cui l’oggi resterà salvato, glorioso, dimostrando di essere duraturo, risulta un (che qualificherei come impossibile, e anche tu gm mi sembra lo abbia detto) banco di prosa severo (troppo severo) per il presente… io penso che bisognerebbe farsi “alleggerire” forse da qualche dose omeopatica forse di un concetto buddista: l’impermanenza… ma anche da concetti quali: l’indecidibilità del destino e della storia, la serietà e la gioia del qui e ora, la letteratura come percorso di formazione in prima istanza di due sole persone: lo scrittore e il lettore, che scrivendo e leggendo cambiano…

  69. vibrisse Says:

    O semplicemente, Enrico, potremmo osservare che nessuno di noi sa, ora alle sette e venti di mattina, se sarà vivo alle sette e trenta. g.

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