Sono l’ultimo a scendere (e altre storie credibili)

by

di giuliomozzi

Sarà in libreria da domani Sono l’ultimo a scendere (e altre storie credibili), mio nuovo libro, pubblicato da Mondadori. Il libro contiene una selezione delle “storielle” che ho pubblicate per anni nei miei diari in rete (qui e qui). Ovviamente i testi, a leggerli su carta, e a prescindere dal fatto che sono stati selezionati, riveduti eccetera, fanno tutto un altro effetto. Il mio primo pensiero è: “Così chiunque potrà mettersi nello scaffale, per la modica cifra di 18.50 euro, qualcosa di meno di ciò che per anni è stato disponibile gratis – ed è tuttora disponibile – in rete”. Il mio secondo pensiero è che non sono in grado di garantire che ciò che è tuttora disponibile in rete resterà effettivamente tale (tra qualche settimana scadrà il contratto col server per il vecchio vibrisse, e non ho intenzione di rinnovarlo: troppo costoso). Il mio terzo pensiero è che per gran parte della società letteraria ciò che non è stampato su carta semplicemente non esiste (e non sto parlando né dei soli ultracinquantenni né delle sole pubblicazioni in rete: ma anche dei testi teatrali, ad esempio), e in fin dei conti queste storielle mi parevano degne di esistenza.
Detto questo: grazie a tutti coloro che mi hanno letto in questi anni. Ieri qualcuno mi chiedeva: “Ma ricomincerai a pubblicare un diario in rete?”, e qualcuno osservava: “Questo sarebbe proprio il momento buono per ricominciarlo”. Penso che non lo farò.

Chi è lui?

[Questo è il testo – inedito in rete – che chiude il libro].

Non ho mai scritto un diario privato. Il diario pubblico è stato finora la mia unica esperienza di diario. Non ho mai pensato, quindi, al diario come a un luogo segreto, che solum è mio, nel quale praticare la discussione interiore o la confessione.
Quando ho cominciato a scrivere il diario pubblico – pubblico in quanto pubblicato in rete –, vedevo che la rete era già piena di diari pubblici che consistevano di discussioni interiori e confessioni; e che praticamente tutti questi diari erano anonimi. Autori e autrici si firmavano con nomignoli e raccontavano quelli che sembravano essere, a tutti gli effetti, i fatti loro: loro, e delle persone che con loro dividevano la vita.
Nel contempo, grandi discussioni percorrevano la rete attorno ai casi di persone che, apparse nella pubblica diaristica con una identità, dichiaravano a un certo punto di non essere quel che sempre erano sembrati essere: non maschio o non donna, non massaia o non bancario. I discutenti si dividevano tra gli scandalizzati per la presa in giro (ma allora, pensavo io, ogni romanzo, in quanto narrazione credibile di cose non effettivamente avvenute, è una presa in giro) e gli ammirati per la qualità della finzione (con i fingitori confessi che tuttavia dichiaravano: «Solo diventando un altro ho potuto svelare il più profondo di me», e cose simili).
Mi sembrò a quel punto che, volendo iniziare a scrivere un diario pubblico, le scelte praticabili fossero: la finzione di essere un altro per raccontare autenticamente i fatti miei; o la finzione dei fatti narrati autenticata dal mio presentarmi con nome e cognome e tutto.
Perché in effetti io volevo iniziare a scrivere un diario pubblico. Da qualche tempo leggevo con interesse alcuni diari pubblici, e il genere letterario mi pareva interessante. Nel contempo mi pareva che la finzione di essere un altro, anche nel suo grado minimo – ossia nel nascondimento della propria identità dietro un nomignolo –, fosse una scelta troppo comoda. Decisi quindi di provare a scrivere un diario pubblico, firmato col mio nome e cognome, nel quale alla trattazione di argomenti pubblici – cioè: sotto gli occhi di tutti – rigorosamente autentici si affiancasse la narrazione di eventi privati scritta con piena libertà d’invenzione.
Disponevo all’epoca di un minimo notorietà dovuto ai libri pubblicati; disponevo anche di un minimo di pubblico in rete dovuto alla pubblicazione, iniziata nel 2000, di vibrisse, un «bollettino di letture e scritture» distribuito settimanalmente via posta elettronica. Probabilmente il mio diario avrebbe avuto, addirittura, dei lettori.
Mi resi conto ben presto che la scrittura quotidiana, o pressoché tale, ha le sue esigenze. L’esigenza più urgente era quella di definire, all’interno del genere letterario «diario in pubblico» (il cui statuto era allora piuttosto vago: gli esempi illustri e letterari di diario in pubblico non mancavano certo, basti pensare al Diario di uno scrittore di Dostoevskij, ma il diario in pubblico come evento di massa era una novità assoluta, e forse una delle poche novità vere della rete) dei sottogeneri, delle forme, che permettessero di gestire la quotidianità della scrittura. Un problema analogo a quello che ebbero i primi giornalisti, presumo.
Presi dunque alcune decisioni. La prima decisione fu meramente contenutistica: dalle mie narrazioni diaristiche doveva star fuori l’essenziale della mia vita, o almeno ciò che potevo presumere che i lettori presumessero fosse l’essenziale. Io sono uno scrittore, un consulente editoriale: la mia vita letteraria doveva stare fuori dal diario. Ai lettori avrei presentato ciò che a me appariva l’essenziale della mia vita: il lavoro quotidiano, l’alzarmi presto la mattina, i continui viaggi in treno, la difficoltà di mandare avanti – io, che sono un orso – una vita professionale fatta di relazioni.
La seconda decisione fu di principio: poiché, a chi avesse letti i miei libri, dovevo apparire come uno scrittore di storie malinconiche e sentimentali, avrei tentato di scrivere un diario comico.
La terza decisione, come le successive, fu formale: poiché nei racconti pubblicati nei miei libri il dialogo è quasi assente, avrei tentato di scrivere un diario fatto soprattutto di dialoghi.
La quarta decisione fu: scrivendo pressoché quotidianamente per lettori che mi avrebbero letto – nel migliore dei casi – pressoché quotidianamente, avrei privilegiato non la varietà ma la ripetizione, non il meraviglioso ma il banale. Perché la quotidianità è soprattutto ripetizione e banalità.
La quinta decisione fu: poiché tra gli stereotipi dello «scrittore» uno dei più frequentati vede lo scrittore come una persona isolata, che si isola, introversa, sempre immersa nei suoi pensieri o nelle sue fantasie, chiusa nel suo studiolo, eccetera, avrei assunto come tema principale delle mie narrazioni eventi che rompessero questo isolamento. Telefonate da chiamanti sconosciuti, incontri in treno o al bar con persone che mai più si reincontreranno.
Dietro tutte queste decisioni, la decisione fondamentale: tenermi la piena libertà d’invenzione e, insieme, apparire pienamente credibile. Avrei potuto riportare un evento tal quale era avvenuto, o raccontare un evento del tutto inventato: e non doveva vedersi la differenza.
Tutte queste decisioni, un po’ vaghe all’inizio, si precisarono nel giro di un paio di mesi. Rileggendo tutto il diario da cima a fondo mi sono stupito io stesso della velocità con cui i «sottogeneri» della narrazione quotidiana – e non solo loro: anche quelli che adoperavo per dare notizie, commentare eventi pubblici, discutere di questioni letterarie – si formarono e si stabilizzarono. Al punto che non mancarono in rete – con mio divertimento, al di là dell’intento denigratorio di alcune di esse – le pubblicazioni parodistiche: si può parodiare, infatti, solo ciò che è formato e stabilizzato.
Non scelta consapevolmente, ma venuta così, fu la forma della narrazione con chiusura in sospeso – o narrazione interrotta, che mi sembra più appropriato. A me interessava, in ciascuna narrazione, arrivare fino al punto in cui l’isolamento del personaggio mio omonimo risultasse spezzato. Arrivato lì, consideravo la narrazione terminata. In effetti, il più delle volte le narrazioni sembravano interrotte: soprattutto quelle che terminavano con una battuta detta dall’interlocutore del personaggio mio omonimo alla quale il personaggio mio omonimo non sapeva più che cosa rispondere – essendo stato scassinato il suo sistema di isolamento, non era più in grado di sostenere lo scambio. Spesso, però, nello spazio in calce a ogni pagina di diario nel quale lettori e lettrici potevano a loro volta scrivere, fiorivano le ipotesi di continuazione della storia. La cosa mi sembrava divertente – perché si raccontano storie, se non per sentirsene raccontare delle altre? – e però mi turbava: in quelle ipotetiche continuazioni delle storie, infatti, il personaggio mio omonimo tendeva a diventare un qualcuno che non riconoscevo più. Nel personaggio mio omonimo da me creato – personaggio, sia chiaro, di finzione – mi riconoscevo, poiché la messa in atto da parte sua di determinate pratiche comunicative era nient’altro che la parodia, ossia la critica, della messa in atto di determinate pratiche comunicative da parte mia. Nelle ipotesi di continuazione delle storie donate da lettori e lettrici, succedeva generalmente un’altra cosa: le pratiche comunicative del personaggio mio omonimo non erano parodiate ma, non trovo altro modo per dire la cosa, andavano a male. E non si può restare indifferenti, quando qualcuno ti rivela che le tue pratiche comunicative possono andare a male.

Si dice che chi scrive un diario privato lo fa per cercare risposte alla domanda: «Chi sono io?». Non so se questo che si dice sia vero, ma più volte persone che da tempi più o meno lunghi scrivono un diario privato mi hanno raccontato di avere intrapresa una lettura del loro diario e – scoprendo l’estraneità di pagine e pagine intere, di mesi e anni interi eppure senza ombra di dubbio da loro stessi scritti – di essersi domandati: «Chi ero io?», e quindi: «Chi sono io?», e, inevitabilmente, «Chi sarò io?».
Per compilare questo libro io ho riletto tutto il mio diario pubblico, e la domanda che mi è rimasta e vi consegno è un’altra: «Chi è lui? Chi è quest’uomo che sembra non saper praticare alcuna comunicazione se non sotto il segno del sadismo reciproco?».

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26 Risposte to “Sono l’ultimo a scendere (e altre storie credibili)”

  1. Marco Says:

    Caro Giulio, io che ti seguo da quando hai inventato Vibrisse (ero tra i primi tre-quattrocento lettori del bollettino), che ti ho scelto come mio severo maestro di scrittura, che ti devo poi l’inaspettata pubblicazione per un editore di prestigio come Sironi (ancora oggi mi vengono i brividi a pensare alla telefonata che ricevetti in treno dove mi comunicasti che mi avreste pubblicato), non posso che essere felice del tuo ritorno in libreria, e anche se ho già letto ogni parola di quello che hai scritto e che questo libro contiene, anche se sei un vasto universo di cui dopotutto ormai ho contato tutte le stelle, anche se con un po’ di dolore per quella delusione che tu e io sappiamo, certamente, e entusiasticamente, acquisterò il volume. Magari alcune cose sono cambiate, come è inevitabile che sia, ma colgo l’occasione per far parlare quel ventiduenne che ti inseguiva un po’ dappertutto (e sul quale avevamo costruito su dei resoconti per quei tempi sollazzevoli) e esprimerti la mia gratitudine e augurarti tutto ciò che tu ritieni per te stesso il meglio.

  2. fabio bussotti Says:

    Be’, domani è il 22 e quindi in bocca al lupo. Andrò in libreria a comperare una delle fresche copie croccanti del tuo libro. Anch’io ho già letto parte dei racconti, ma ritrovarmeli stampati è un’altra cosa. Ti abbraccio. Evviva.

  3. cletus Says:

    Aspettavo questo libro, Giulio. Questo pezzo “inedito” poi, non fa che aumentare la felicità per il possesso (…che fu prealessandrino, of course).

    Mentre lo leggevo, fatale mi sia riconosciuto in alcune delle tue considerazioni. Devo l’avvicinarmi alla rete, la creazione di un blog, l’aver trovato nella rete un ambito alla mia malandata scrittura essenzialmente a te. E ti assicuro, leggere, con il tuo modo di raccontare torrenziale, gli interrogativi di fondo (e mai risolti) circa il rapporto fra l’identità di chi scrive e quella di colui che è scritto, e ancora, aggiungo, di colui che fruisce, leggendo (e talvolta, commentando) rimanda a galla tutto l’irrisolto.
    Non ho molta voglia di risolverlo, confesso. Mi basta sapere che c’è. Egoisticamente mi basta godere, come il classico bambino in dipendenza da nutella, delle storie che hai scritte, dell’umorismo tragico che le pervade. Consapevole che cosi è. E nient’altro.

    Ancora grazie.
    Cletus

  4. loredana magazzeni Says:

    anch’io ti seguo fin dai tempi di vibrisse, mi ha appassionato per anni il discorso “scrittura creativa” che porto avanti a scuola coi ragazzi, ho letto anni fa “Il culto dei morti nell’Italia contemporanea” (mi piaceva il titolo) e il Ricettario di scrittura creativa. Penso che hai fatto molto per la ricerca di nuove strade meno battute, nuovi modelli spiazzanti in narrativa. Scrissi una entusiastica recensione a “Infanzia dea” della mia amica Maria Luisa Bompani (io sono di Bologna, lei di modena, entrambe bazzichiamo i gruppi di scrittura di donne) perché credo che la costruzione, la “composizione” , la struttura di un testo sia forse superiore al tema (un po’ calvinamente?) e leggo con piacere la narrativa anche se mi considero più esperta di poesia. Auguri, dunque, al tuo nuovo libro (credo nella potenza dei “moduli”, racconti brevi ecc ecc). Ciao, Loredana

  5. Enrico Macioci Says:

    Giulio, mi dispiace molto se, come mi sembra di capire, Vibrisse chiuderà. E’ uno spazio stimolante e di qualità (e giuro che non lo dico perchè mi ha ospitato; l’ho sempre pensato). Penso altresì che tu sia, oltre che uno scrittore d’eccezione, un uomo di grande intelligenza. E un uomo di grande intelligenza non può che fare bene al contesto cui si applica. Ritengo quindi che, se ti “ritirerai”, la rete ne risentirà, e molto; anche se spero che saprai inventarti qualche altra strada per raggiungere più gente possibile. Ciò detto, il libro per me è in larga parte un inedito; lo compro e lo leggo con curiosità. Come ho scritto in facebook, la copertina promette bene!

  6. vibrisse Says:

    Grazie.

    Enrico, “vibrisse” non chiuderà. Tra qualche settimana probabilmente il vecchio “vibrisse” (quello all’indirizzo http://www.vibrissebollettino.net) chiuderà, e non sono in grado di garantire che l’antico diario (http://www.giuliomozzi.com) rimanga in linea.

    E’ possibile (se ne discuteva qualche settimana fa) che “vibrisse” cambi ancora una volta forma, aspetto e contenuti.

    giulio

  7. patrizia patelli Says:

    Voglio esserci anche io qui a festeggiare l’arrivo del tuo libro. Mi basta esserci col vestito che oggi posso indossare, quello stampato a righe orizzontali con tante paroline inchiostrate sulla carta.

    Che il mondo voglia bene a questo libro dagli occhi di fuoco.

  8. Bartolomeo Di Monaco Says:

    Sono felice, Giulio, di questa uscita. Ti considero tra i migliori raccontatori, lo sai. Apresto.

  9. ruben Says:

    forse lo compro a Firenze, che vado in gita!

  10. Toni La Malfa Says:

    Ho provato una certa emozione nel leggere questo inedito di Giulio.
    Mi sono domandato perché e intorno a questo perché ho formulato dei pensieri.
    Il primo pensiero: nelle storie scritte da Giulio, più volte ho tentato di andare oltre la battuta finale dell’interlocutore dell’omonimo di Giulio, scrivendola spesso nei commenti, e forse ho contribuito anch’io a far “andare a male” le pratiche comunicative di giuliomozzi.
    Il secondo è dettato dall’idea che Giulio espresse in una intervista ad una tv privata, anni orsono, in cui definì la letteratura come un “fatto relazionale”; questo filo rosso si riconosce anche in questo inedito, e, sì, mi emoziona. Un sacco di persone, di relazioni, di scritti in rete hanno preso forma e sono nati intorno agli scritti di Giulio. E Giulio, alla vigilia di un fatto importante ma privato come quello della pubblicazione di un libro, si sente in dovere di spiegare pubblicamente a queste persone la trasformazione di un diario pubblico in un libro privato.
    Il terzo pensiero prende direttamente spunto da alcune parole di questo inedito:”…per gran parte della società letteraria ciò che non è stampato su carta semplicemente non esiste…”. E’ da qualche anno che sto cercando di dare, come molti che passano di qua, dignità di esistenza su carta ad alcune delle cose che scrivo. Per il momento è un tentativo vano, ma non mi do per vinto. Mi rendo conto che un blog può essere cancellato con un semplice clic. Così come non sapremo che destino avrenno molti dei blog che leggiamo quotidianamente tra 10-15 anni. Un libro dotato di una buona distribuzione potrà spuntare fuori da una soffitta o una cantina piena di cianfrusaglie anche tra 50 anni. Spero che questo libro di Giulio possa essere presente in molti scaffali e studi e cantine e soffitte e panchine e treni e metropolitane e sale d’aspetto e bibioteche.
    Tanti auguri, Giulio

  11. papino Says:

    Giulio, se veramente questo libro è solo una copia di backup cartacea del tuo diario pubblico, perchè non farlo uscire direttamente in edizone economica? Io mi chiedo: qual è il pubblico di questo libro?
    Ciao.

  12. ramona Says:

    mi associo in pieno alle parole di Cletus e Toni. Se tutti noi siamo qua è perchè abbiamo conosciuto Giulio e siamo rimasti incantati dalla sua persona e dalle sue parole.
    Io credo che in questo nuovo libro rivivrò, con piacere ed emozione, i miei primi passi nella rete, che fin da subito hanno attraversato e seguito i racconti di viaggio e di vita, vera o inventata che sia stata, di Giulio.

    Tanti in bocca al lupo, con affetto!

  13. vibrisse Says:

    Papino, questo libro è veramente ciò che ho detto che è. Quanto al come e perché pubblicarlo, la domanda andrebbe fatta all’editore. (Che, ovviamente, è consapevole di come stanno le cose).
    I lettori del diario in rete erano all’incirca un migliaio. Mezza popolazione italiana non usa l’internet. Nei giorni scorsi ero a Pordenonelegge, diverse persone dell’ambiente editoriale e critico mi hanno chiesto di questo libro “nuovo”: quasi tutti ignoravano che io avessi pubblicato un diario in rete.
    A Pordenone almeno due persone hanno acquistato il libro: entrambe conoscevano bene il diario in rete.
    Spesso i poeti riprendono nei loro libri testi già usciti in “plaquettes”, ossia in edizioni limitate. Molti dei miei racconti sono stati pubblicati, prima che in volume, in rivista.

    giulio

  14. andrea barbieri Says:

    In bocca al lupo per il nuovo libro, che oggi mi autoregalo per il mio compleanno (24 settembre).

    Ieri ho ricomprato il Ricettario di scrittura creativa, perché la mia copia l’avevo regalata qualche anno fa.
    L’ho riaperto dall’inizio, in cui si parla della forma “diario”. I primi tre esempi da capogiro: il testo di Twain Mark in cui Eva, creaturalmente ingenua, vorrebbe colpire le stelle lanciando zolle di terra: un testo di Anna Frank che racconta la scoperta della sessualità; le ultime parole di Pavese prima del suicidio.

    Saranno ricette sul modo di produrre qualcosa che si avvicina alla letteratura, ma è anche la dimostrazione di cosa si può fare di grande con la letteratura.

  15. vibrisse Says:

    Buon anno nuovo, Andrea. g.

  16. antonio p. Says:

    Giulio, in bocca al lupo per il nuovo libro. Lo comprerò nel pomeriggio. Intanto, titolo e copertina mi piacciono molto.

    Segnalo, per chi non ha librerie vicine, che lafeltrinelli.it non fa pagare la spedizione fino al 25 settembre.

  17. federica sgaggio Says:

    Preso!

  18. testimongarli Says:

    Ho cercato subito il controllore con il collo spostato, l’ho trovato e ho riso sgangheratamente come feci anni fa. LA CARTA AIUTA!!!

    Mauro

  19. demetrio Says:

    lo compero venerdì. in bocca al lupo.

  20. cristiano prakash dorigo Says:

    dopo mesi di dieta – c’è grossa crisi: non comprerò più libri anche perché ne avrò un centinaio da leggere- finalmente ne ricomprerò uno. questo naturalmente.
    Cristiano

  21. massimocassani Says:

    Non mancherò l’appuntamento in libreria, Giulio. Anche perché, fino ad oggi, come sai, con te ho cominciato a capire (e so di essere solo all’inizio) che cosa vuol dire scrivere, che cosa vuol dire scrivere un romanzo e, infine, che cosa vuol dire farlo diventare un libro, ma non ho mai letto niente di tuo, dall’inizio alla fine. Ho appena scaricato da web “Il culto dei morti…” e già dalle prime “scrollate” mi sono accorto di essere entrato “in un mondo” (che poi è quello che chiedo a un autore…). So già che i miei prossimi romanzi risentiranno della lettura sia del “Culto…” che di “Sono l’ultimo a scendere…”. Il contagio della parola detta è inevitabile, quello della parola scritta è indelebile. Mi lascerò contagiare indelebilmente.

    Massimo

  22. pessima Says:

    Anche io, nel mio piccolo, ti considero un maestro. Un tuo libro, Parole private dette in pubblico, è stato per anni una bibbia, ho imparato cosa significava scrittura contemporanea leggendo Fantasmi e fughe, ho cominciato a stare in rete leggendo Vibrisse.Insomma, appena posso ti compro. Sono contenta che tu sia di nuovo in libreria e di poterti di nuovo leggere su carta.

  23. paolocacciolati Says:

    Tutto ciò che ha cadenza ripetuta, giornaliera e non, è per me affascinante quanto impraticabile. Invidio chi può ricorrere serenamente al termine “quotidiano”. Lavoro quotidiano, quotidianamente, quotidianità della scrittura.
    Quindi, un inboccallupo quotidiano.

    p.

  24. andrea barbieri Says:

    Siccome Enrico Macioci ha scritto che la copertina promette bene, vorrei dire qualcosa sul disegno.
    La donna che indossa occhiali da saldatore (forse sono anche un binocolo) che paradossalmente producono fiamme – fanno pensare che vedere è qualcosa di bruciante – è opera di una grande autrice di fumetto israeliana, Rutu Modan. Coi suoi disegni pop Rutu racconta le ferite le felicità e infelicità la follia l’amore, insomma fa scorrere nelle sue immagini la vita quotidiana squadernata con grande gentilezza e ostinazione.
    Esattamente quello che succede nei bellissimi piccoli racconti del libro.

    http://en.wikipedia.org/wiki/Rutu_Modan

  25. Gaja Says:

    Mi associo a Cletus, Toni e a Ramona.
    Sono felicissima per l’uscita di questo tuo libro!
    [e come potrei non? credo che le tue storie – almeno per me, e per parecchi motivi che conosci bene 😉 – siano indimenticabili].
    In bocca al lupo, Julius, era ora! Ti aspettavamo!

  26. Giovanni Cocco Says:

    Alla Feltrinelli di Como i libro è in bella vista, condue copie messe frontalmente e la stelletta arancione “Novità”. Dal vivo la copertina fa un altro effetto: si nota, eccome.

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