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La formazione dello scrittore, 30 / Stefano Trucco

26 dicembre 2014

di Stefano Trucco

[Questo è il trentesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice. Ringrazio Stefano per la disponibilità. Le due rubriche ormai escono irregolarmente, seguendo l’arrivo degli ultimi contributi. gm]

stefano_truccoFormazione dello scrittore? Io? E’ proprio il caso?

Giulio Mozzi me lo chiede e io gli devo molto (una salutare stroncatura, soprattutto); c’è un mio romanzo in libreria, finalmente; gli editori, Bompiani e Rai-Eri, vogliono che io mi dia da fare ad autopromuovermi. Insomma, ci devo provare, a raccontare la mia formazione di scrittore, anche se ne avevo parlato abbastanza a lungo (sì, lo so, troppo a lungo) in un articolo qui su vibrisse il gennaio scorso e quindi lascerò parecchie cose come già dette e altre come omesse del tutto. Non è che parlare di me mi dispiaccia, anzi. Del resto, fare lo o essere uno scrittore è stato, fin da quando riesco a ricordare, l’unico obbiettivo serio della mia vita, l’unico mezzo accettabile per perpetuare il mio nome dopo la morte, motivo che ho in comune con la maggior parte degli artisti, grandi e minori, il cui nome sia stato davvero ricordato, almeno per un po’.

Il problema è un altro. Mettiamola così: da circa una decina d’anni sono impegnato in una minuziosa e radicale riscrittura di me stesso, una ristrutturazione il più completa possibile dei modi in cui mi rapporto con il resto del mondo. Negli ultimi quattro anni, poi, da quando mi sono finalmente rimesso a scrivere dopo più di vent’anni di blocco, si sono cominciati a vedere i risultati; nell’ultimo anno, infine, dopo la partecipazione al programma televisivo Masterpiece e la pubblicazione del mio romanzo d’esordio, Fight Night (insieme a un provvidenziale miglioramento delle mie condizioni di lavoro), il cambiamento in meglio è ormai innegabile. Ho persino cominciato ad andare in palestra. Di questo potrei parlarne fino alla nausea.

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La formazione dell’insegnante di Lettere, 7 / Luca Tedoldi

17 dicembre 2014

di Luca Tedoldi

[Questo è il settimo articolo della rubrica La formazione dell’insegnante di Lettere, che si pubblica in vibrisse il mercoledì. Gli insegnanti che volessero partecipare possono scrivere al mio indirizzo, scrivendo nella riga dell’oggetto: “La formazione dell’insegnante di lettere”. Ringrazio Luca per la disponibilità. gm]

luca_tedoldiUna formazione si dice in molti modi. Liceo classico, odiato e amato: belle le lezioni di Italiano, non tutte quelle di Filosofia, pochissimo tutto il resto. Al classico, ma che dico, a Giovanni Valle che venne a farci il corso, devo soprattutto l’amore per il teatro, un’arte che è insieme parola, voce, gesto, letteratura, musica, pittura, ginnastica. Primo anno d’università a Lettere, esami di Letteratura italiana e Storia moderna. Dopo il galleggiamento disanimato del liceo arrivano i primi trenta; ringalluzzito mi metto a studiare davvero ed ogni esame diventa il pretesto di dibattiti infiniti con amici e compagni di facoltà, tanto più che dal secondo anno faccio il passaggio a Filosofia. Alla fine di quelle discussioni non c’era alcun voto, nessuno pensò di riconoscerci un titolo, ma sono state tra le esperienze più formative mai vissute. Peccato per chi, laureato abilitato masterizzato, non ne ha goduto. Molto più utili dei monologhi frontali della Silsis, frequentata sia per Lettere che per Scienze umane (quattro anni di maledizioni), ma meno del tirocinio fatto a scuola (nella trincea della contrapposizione sapere-potere contra diritto all’ignoranza), a vedere quali errori non ripetere. Di primo istinto, dopo aver assistito a tanti, non intenzionali, atti di vandalismo culturale senza poter intervenire, è facile cadere nella forma imperativa e non chiedere, ma pretendere, che chi osi parlare da una cattedra debba fare questo e quello, respingere quell’altro e non dimenticarsi quest’altro ancora. Ad esempio evitare monologhi di un’ora nel silenzio pericoloso dell’aula, decodifiche del testo poetico in cui per quindici minuti si passano in rassegna tutte le versioni di un termine latino nelle lingue romanze, o sette citazioni di testi differenti in sette minuti. Insomma, rigettare come la peste l’autorefenzialità. L’alunno abbagliato accerta la competenza del docente e contemporaneamente nessuna fioritura d’idee o nozioni avviene nella sua mente, aratro senza buoi / che pare dimenticato.

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