Posts Tagged ‘Veronica Tomassini’
27 agosto 2017
di Ennio Bissolati
[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Recensisce libri dei quali sostiene, spesso e volentieri, di essere l’unico lettore. gm].
Conobbi Armando Séguito nel 1959, a Milano, presso la trattoria dell’Albero Fiorito (tutt’ora esistente: via Pellizzone 14, 0270123425, chiuso la domenica) nella più che fumosissima (nel senso del tabacco, non certo delle anzi giovanili, affilatissime e traslucide idee) riunione fondativa della rivista Tel Chì, vero e proprio (benché disconosciuto, e per mere ragioni cattedrali, dalla successiva, e quasi idealmente postuma – nel senso della morte delle idealità – storiografia sociale e letteraria) laboratorio seminale della neoavanguardia politico-poetico-letteraria-musicale meneghina. Armando era allora un esile neolaureato in Lettere, autore di una opportunissima – per un curriculum neoavanguardiale – tesi di laurea intitolata Lo “sdegnoso rifiuto della prosodia” di Gian Pietro Lucini e di paio di articoletti sulla questione cubana apparsi in introvabilissime (già allora, figurarsi oggidì) rivistine ciclostilate. Ci perdemmo presto di vista, io assorbito dalla professione – diventai agente per i mercati meridionali della Saag, la Società Anonima Antonio Grossich, specializzata in tintura di iodio – lui più che dagli studi dalla militanza politica, legata anche all’origine latinoamericana (il padre era, come avrete già intuito, cubano).
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Tag:Alonso Fernández de Avellaneda, Armando Séguito, Daniel Defoe, David Lagercrantz, Dmitri Nabokov, Ennio Bissolati, Gian Pietro Lucini, Guillaume de Lorris, György Lukács, Harold Bloom, Jean de Meun, Ludovico Ariosto, Marcel Proust, Mario Tronti, Matteo Maria Boiardo, Max Horkheimer, Miguel De Cervantes, Omero, Pia Pera, Robert Musil, Roberto Antoni, Samuel Richardson, Stig Larsson, Theodor W. Adorno, Veronica Tomassini, Vladimir Nabokov
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5 luglio 2017
di Giovanni Pacchiano
[Questo articolo è uscito in “Il fatto quotidiano” oggi 5 lugli9o 2017].
Nella produzione della narrativa italiana di oggi Veronica Tomassini risulta un’anomalia. Per il fatto che, mentre buona parte dei suoi colleghi si è buttata su gialli, thriller, horror e simili, inflazionando il mercato di robaccia e spingendoci a rileggere di corsa per l’ennesima volta a mo’ di antidoto l’immenso Ed McBain, lei persegue un suo ostinato petrarchismo di ritorno, tenace nel ricanto dell ‘ossessione d ‘amore, tema incorruttibile del genere umano. Ossessione che trascorre dall’asciuttezza cechoviana di Christiane deve morire (Gaffi, pp. 170, 13,50 euro) al turgore affannoso ed effusivo del Dostoevskji di Povera gente nel recente, bellissimo L’altro addio (Marsilio, pp. 206, 17 euro). Petrarchismo deviato perché rivolto verso un uomo collocato ai margini della società, etilista che dorme all’aperto, mendicante di strada. Un perdente segnato dal destino e infine rassegnato. Proprio perciò è petrarchismo mirabilmente originale, mescolato l’impulso amoroso al lamento di donna dolente che ha imparato «a covare il senso del lutto» e a compiacersene: presa, amata e poi abbandonata con un figlio ma tenacemente legata alla figura dell’amato.
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30 settembre 2016
di giuliomozzi
1. Tempo fa commisi l’errore di procurarmi un libro che s’intitolava più o meno La letteratura cattolica nel Novecento. Dico “più o meno” perché l’ho poi dato via, e non mi torna in mente il nome dell’autore. L’ho dato via perché in quel libro si identificava la “letteratura cattolica” con (a) narrazioni in prosa, romanzi o racconti, aventi per protagonisti preti o suore; (b) componimenti poetici assimilabili al genere letterario della preghiera. La prima proposta, dunque, è: fare della letteratura cattolica che, se in prosa, non consista di narrazioni aventi per protagonisti preti o suore; se in versi, non consista di componimenti assimilabili al genere letterario della preghiera.
2. Nel 1999 Giovanni Paolo II scrisse una Lettera agli artisti. Vi si parla di arti figurative, di architettura, di musica, di poesia, di teatro, fors’anche di giocoleria e di pirotecnica, ma di romanzi no. I romanzieri, insomma, per la massima autorità dell’organizzazione ecclesiastica cattolica, non esistono. D’altra parte, mi ricordo, più o meno in quel periodo ebbi occasione, dopo la registrazione di un programma di Sat2000, di fare due chiacchiere con il cardinal Paul Poupard, allora presidente del Consiglio pontificio per la cultura: e Poupard mi disse che l’ultimo romanzo che lo aveva veramente colpito era il Diario di un curato di campagna di George Bernanos: un romanzo (molto bello, per carità) con protagonista un prete, per l’appunto, e comunque del 1936. La seconda proposta, dunque, è mandare romanzi in omaggio al papa e ai cardinali. Chissà, magari leggono. (Ve lo vedete, Bergoglio che ogni sera, a letto, prima di spegnere la luce, si legge un capitolo di Infinite Jest? Io sì).
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Tag:Alessandro Zaccuri, Antonio Spadaro, Carlo Coccioli, David Foster Wallace, Demetrio Paolin, Diego Fabbri, Federico Platania, Friederich Nietzsche, Gabriele Dadati, Georges Bernanos, Gianfranco Ravasi, Giovanni Cocco, Giovanni Paolo II, Giuseppe Berto, Jorge Bergoglio, Luca Doninelli, Mariapia Veladiano, Mario Pomilio, Maurizio Cotrona, papa Francesco, Paul Poupard, Simonetta Scandivasci, Veronica Tomassini, Walter Binaghi
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21 luglio 2015
Tag:Alessandra Sarchi, Claudia Grendene, Daniele Muriano, Demetrio Paolin, Enrico Macioci, Federica Pittaluga, Giorgio Falco, Giovanni Fiorina, Ivano Porpora, Leonardo Colombati, Nicola D'Attilio, Sandro Campani, Silvia Montemurro, Veronica Tomassini
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18 Maggio 2015

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Martedì 19 maggio alle 18.30, a Milano presso lo Spazio Melampo (via Carlo Tenca 7) prima pubblica presentazione dei due volumi – La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore – pubblicati dall’editore Laurana: il primo a cura di Chicca Gagliardo, il secondo a cura di Gabriele Dadati. I due volumi prendono ispirazione dalle due rubriche pubblicate per diversi mesi in vibrisse, e intitolate appunto La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore.
Tag:Alberto Cristofori, Alessandra Sarchi, Alessandro Zaccuri, Antonella Bukovaz, Antonella Lattanzi, Carola Susani, Chandra Livia Candiani, Chicca Gagliardo, Claudia Priano, Demetrio Paolin, Elisa Ruotolo, Elisabetta Bucciarelli, Enrico Macioci, Federica Sgaggio, Federico Platania, Flavio Villani, Franca Mancinelli, Francesca Scotti, Franco Foschi, Gabriele Dadati, Giancarlo Onorato, Gilda Policastro, Giovanna Rosadini, Giovanni Battista Menzani, Giulio Mozzi, Giuseppe Caliceti, Grazia Verasani, Helena Janeczek, Isabella Leardini, Marco Rovelli, Maria Grazia Calandrone, Massimo Cassani, Paolo Di Paolo, Paolo Piccirillo, Raul Montanari, Rosella Postorino, Sandra Petrignani, Sandro Campani, Sara Loffredi, Silvia Montemurro, Simona Vinci, Simone Marcuzzi, Teresa Ciabatti, Tullio Avoledo, Valeria Parrella, Valerio Magrelli, Veronica Tomassini
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18 agosto 2011
di Andrea Pomella
Quando leggi un romanzo e dopo qualche mese sei ancora lì a pensarci e ti senti felice di averlo letto, anche se quello non è il romanzo che dona la felicità, anche se quello anzi è il romanzo che più di tutti ti ha fatto assaporare qualcosa di così terribile da ringraziare Dio di essere quello che sei, di essere scivolato con la biglia dalla parte edulcorata di mondo, insomma, quando leggi una cosa del genere e senti la necessità di volerne riscrivere, questo – in termini umani – questo è un guadagno. Ciò di cui sto parlando è l’opera di Veronica Tomassini, Sangue di cane (Laurana). Ne ho già parlato qui in altri termini e in altri tempi. I romanzi però hanno una loro misura affascinante, i romanzi crescono con un ritmo grande e brutale, i romanzi si portano dentro qualcosa di cui gli uomini non hanno esperienza, è allora sbagliato pensare che essi non abbiano più nulla da dirci dopo averne scritto magari una recensione, o semplicemente dopo averli accantonati in uno spiraglio della biblioteca. Ciò di cui ha continuato a parlarmi Sangue di cane riguarda uno dei segreti più intimi e travisati della scrittura: la verità.
Continua a leggere nel blog di Andrea Pomella.
Tag:Andrea Pomella, Veronica Tomassini
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24 giugno 2011
di Paolo Bianchi
[All’interno della discussione piuttosto scombinata, e a tratti piuttosto pesante, seguita a questo articoletto qui nel blog Sul romanzo (e ripreso anche in vibrisse) è apparsa anche quella che a me pare in effetti una vera e propria recensione del romanzo di Veronica Tomassini Sangue di cane. gm].
Finito. Un libro complesso. Come tutti i libri complessi, tende a sfuggire, a non sembrare quello che è. A pagina 36 non si può averlo già capito, neanche a pagina 178. Dopo, e cioè verso la fine, le cose cominciano ad avere un senso. Siracusa c’entra poco, c’è poco, non mi sembra essenziale. Ci sarà o ci sarà stata una comunità di polacchi alcolizzati? Può darsi, ma non è poi così importante. Abbiamo, dunque, questa protagonista e voce narrante, senza nome, una ragazza ventisettenne madre di un bambino di quattro anni (se ho fatto bene i conti). E’ il giorno di Natale e lei, italiana, rievoca la sua storia d’amore con Slawek, giovane polacco sbandato e criminale, incontrato a un semaforo. E’, in sostanza, una storia d’amore. Scusate se scrivo in modo molto semplice, ma il romanzo non è scritto in modo semplice e io tendo a compensare. Veronica Tomassini scrive bene, racconta bene, è colta, di certo molto intelligente, ma non ama semplificare. Questo le alienerà parecchi lettori. Non concede quasi nulla alla leggibilità. E’ una scelta legittima, e lei avrà avuto le sue ragioni per farla. Ci sono frasi, qua e là, davvero faticose. Per esempio questa (pag. 84): “Il nostro amore non può esulare la saga polacca. Il nostro amore, il mio amore, fende la stessa anima nazionale della tua gente, non ti pare? Dentro ci state tutti, non saprei separare il suo svolgimento emotivo e strettamente personale da un’iperbole diatonica, per taluni versi, che è una condivisione a largo spettro, tra me e voi, tra noi e voi, tra est e ovest”. Non che non abbia un senso, ma è scritta proprio come un libro stampato.
Continua a leggere.
Tag:Paolo Bianchi, Veronica Tomassini
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22 giugno 2011
[…] Allora, se ho capito bene c’è questa città, una città come un’altra, che al suo interno ne contiene un’altra; e ci sono questi due, una bella ragazza e un povero disgraziato. Che si conoscono. Si innamorano. Si amano. Ci sarebbe da piangere per almeno tre giorni di seguito. Dicevo: le intenzioni erano delle migliori; una quasi-esordiente, una storia coraggiosa, che parla degli esclusi, degli ultimi. Bene. Comincio. Ce la posso fare. […]
Alessandro Puglisi racconta qui perché ha abbandonato la lettura di Sangue di cane di Veronica Tomassini (e in calce al suo articolo c’è un’interessante discussione).
Tag:Alessandro Puglisi, Veronica Tomassini
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3 Maggio 2011
di Edoardo Gino
[Questo articolo è apparso nell’ultimo numero della rivista Atelier].
Veronica Tomassini esordisce in narrativa con una prova di forza: niente di meno è questo suo Sangue di cane. Lo è per scrittura, suggestioni, padronanza, profondità e soprattutto per coraggio. Attenzione: «prova di forza» non è un giudizio di merito; piuttosto, si tratta della constatazione che niente, davvero niente nel libro è un cliché, ogni virgola è sofferta, ogni parola è pesata, ogni frase apre un mondo di possibilità. La vicenda editoriale stessa è emblematica: il libro è respinto da una sfilza di editori, con un profluvio di «ci vorrebbe più plot», «è pretenzioso», «ha una lingua impossibile»; e, accidenti, è tutto vero. La pubblicazione arriva dalla neonata Laurana solo grazie all’intercessione di Marco Travaglio, il quale legge il libro direttamente dalle mani dell’autrice e se ne innamora perdutamente, dopodiché, da chi pubblica un libro al mese, qualche aggancio bisogna pur aspettarselo. Così questo oggetto complesso, imperfetto, magmatico diventa la pubblicazione inaugurale di Laurana Editore, sezione narrativa.
Eppure, ad un primo sguardo, si faticherebbe addirittura a definirlo un romanzo: non c’è intreccio, solo schizzi di eventi cronologicamente incoerenti. È il diario lirico, l’autoanalisi di una giovane siracusana, studentessa universitaria basso-borghese, che incontra un uomo, un polacco. L’incontro sconvolge alla radice l’esistenza placida e ripetitiva di lei e la trascina nell’abisso di una storia d’amore impossibile, tragica, assurda, a tratti grottesca. Il polacco è un mendico alcolizzato, un tronco d’uomo mangiato dal tarlo della vodka. È lei a cadere per prima, quando raccoglie Slawek (così si chiama) dal semaforo dove elemosina «poco spicci» per pagarsi il paio di litri di alcool con cui trascinarsi al giorno successivo. Nonostante i denti guasti e le altre ferite del bere, Slawek è ancora bello, orgoglioso, quasi regale nell’alta statura, negli occhi nordici, nell’atteggiamento fiero. Il sentimento abbatterà ogni ostacolo: «Cosa cambia? Ho saputo l’indicibile di te, eri un criminale, va bene, hai fatto ogni mostruosità, ma che cambia? Eri, appunto. […] Il sistema amore non ha sistema. Chiaro?» (p. 185).
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Tag:Atelier, Veronica Tomassini
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21 dicembre 2010
Ho un’istintiva diffidenza verso le storie di donne raccontate da donne. Mica per altro, è che proprio non riesco a comprendere la loro lingua. È come se si parlassero fra loro. Credo che la stessa identica cosa succeda, a parti inverse, per i racconti d’avventura, da Verne a Clive Cussler (sì va bene, lo confesso, ho letto Clive Cussler): molto più maschili che femminili.
Ora, negli ultimi tempi mi sono posto il problema.
Sono una persona politicamente corretta nella vita e nelle opinioni, ma sessista nella lettura?
Così, sfoderando il mio bravo senso di colpa inculcatomi dalle suore immacolatine, ho cominciato a leggere questo primo romanzo di Veronica Tomassini, Sangue di cane.
Ho fatto opera di contrizione.
Continua a leggere l’articolo nel blog Via Rigattieri.
Tag:Veronica Tomassini, Via Rigattieri
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16 dicembre 2010
di Nando Vitale
[Questo articolo è apparso nel quotidiano il manifesto, ieri 14 dicembre 2010].
A nove anni, Christiane F. Noi i ragazzi dello zoo di Berlino, poi I ragazzi della via Paal, infine Henry Miller e Anais Nin. Al liceo i suoi temi erano carichi di melodramma e di retorica. Nell’intervista al blog Sul romanzo, Veronica Tomassini descrive la genealogia del laboratorio di scrittura riconoscibile dietro le quinte del suo testo di esordio, Sangue di cane: “Congiunzioni, incontri speciali, che io chiamo affinità-traghetto. Ricominciò tutto di nuovo, la mia orbita affastellata di parole, io dentro, confusa, a raccattare e rimettere insieme periodi brevi, sempre più brevi, accecata dell’idea di una scrittura nobile solo se cattiva, scarnificata, laconica”. Infine, è l’amore per gli scrittori russi, l’aspirazione al medesimo sguardo lucido, a fornire tono e intensità a una scrittura diseguale e ossessiva, vacillante tra maledizioni terrene e invocazioni divine.
Sangue di cane è il racconto di un tentativo di trasmutazione dell’orrore attraverso un paradigma di eros e abnegazione. Ma non c’è nulla di pianificato: viene prima l’amore, nato dall’incontro tra un giovane e bellissimo polacco che chiede spiccioli a un semaforo di Siracusa e una ragazza italiana. L’amicizia – sostiene Maurice Blanchot – è una forma di ospitalità. E l’amore, così come lo descrive Veronica Tomassini, è una versione dell’ospitalità e dell’accoglienza che supera i confini dell’umano.
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Tag:Nando Vitale, Veronica Tomassini
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17 novembre 2010
di Veronica Tomassini
[…] Da metà anni ’90, e per un buon lasso, ho condiviso una strana vita, assistendo ad un pellegrinaggio mogio, uomini senza identità attraversavano le nostre frontiere per venire a crepare quiggiù (in Sicilia); venivano dalla Polonia ed io sapevo appena della Polonia, sapevo del Papa polacco e forse di Wawel, delle sue guglie. Incontrai quell’uomo, lui davanti agli altri, mi aprì la porta sgangherata di quella strana vita, dove il dolore era il tedium perenne di un “abbaglio storico”, la morte un calice alzato e uno schiocco di piatti. La mia scrittura così si adeguò alla sostanza delle cose, che erano infime e immorali, secondo molti. Avrei abitato un metauniverso, appunto… […]
Leggi tutto l’articolo di Veronica Tomassini in La poesia e lo spirito.
Tag:Veronica Tomassini
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14 novembre 2010
“Sangue di cane” (“Krew psa”) dostalam od kolezanki z pracy. Powiedziala mi, ze kupujac te ksiazke pomysla sobie o mnie bo opawiada ona historie mlodego bezdomnego Polaka, ktory zakochuje sie w dziewczynie z Sycylii. Jak sie okazalo, nie jest to jednak zaden romans z cudownym happy endem. Nie, nic z tych rzeczy. Veronica Tomassini, autorka ksiazki, opisuje dosc dosadnie realia polskich emigrantow zamieszkujacych “podziemia” sycylijskich miast, gdzie alkoholizm i przemoc sa chlebem powszednim. Realia Polakow, ktorzy za pare groszy zdolni sa do wszyskiego. Slawek, bohater ksiazki, jest wlasnie jednym z nich. Zarabia na swoje marne zycie myjac szyby samochodow na skrzyzowaniach ulic Siracuzy i nazanczony pietnem alkoholizmu nie potrafi zmienic swojej egzystencji nawet w obliczu milosci do mlodej Wloszki i do syna narodzonego z tego dziwnego zwiazku. Historia bardzo smutna i przerazajaca.
Continua a leggere questo articolo in Pasta, pizza i Mediolan.
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