Posts Tagged ‘Vasco Rossi’

Quando cadono le stelle, di Gian Paolo Serino

21 Maggio 2016

di Marco Candida

Quando-Cadono-Le-Stelle-G.-Paolo-SerinoDi ritorno dalla presentazione alla Libreria Mondadori di Alessandria del romanzo d’esordio di Gian Paolo Serino Quando Cadono le stelle Baldini Castoldi. A presentarlo Angelo Marenzana. Marenzana è autore del romanzo noir L’uomo dei temporali edito da Rizzoli. Scrittore ottimo e vero, a parer mio, la principale forza di Marenzana è la caratterizzazione di luoghi e personaggi. In Italia l’opinione più diffusa è probabilmente che l’abilità dello scrittore stia nel dipingere il quadro con poche pennellate. Invece, i romanzi quasi sempre necessitano indugio e questo Marenzana lo fa, con il risultato che i suoi personaggi (ispettori o commissari che siano) sono persone di carne e sangue e non solo inchiostro.

Sentendo Serino presentare il suo romanzo mi è venuta una riflessione. Da anni Vasco Rossi sostiene Serino affermando che è una mente geniale. Usa parole forti, importanti. Sicuramente, Serino ha una carriera che testimonia la veridicità dell’asserzione del rocker. Mi chiedo, però, se il mondo letterario abbia preso sul serio in considerazione le parole di Vasco. Ascoltando Serino, insomma, ho pensato: Vasco Rossi ha ragione a parlare bene e molto bene di Serino. E poi ho pensato: come mai quando qualcuno spende parole importanti per qualcun altro non viene quasi mai preso del tutto sul serio?  Mi è venuto da pensare che quello che fanno gli altri è sempre facile, vale poco, non è da prendere molto in considerazione. Vasco Rossi parla bene di te? Oh be’, sì: lo farebbe anche di me, se ci conoscessimo, fossimo amici… E’ sempre facile quello che ottengono gli altri. Invece, bisogna capire che non è facile, non è scontato, mai.

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La formazione dell’insegnante di scrittura creativa, 4 / Rossella Monaco

15 gennaio 2015

di Rossella Monaco

[Chi volesse proporsi per la rubrica dedicata alla formazione dell’insegnante di scrittura creativa – che esce il giovedì – mi scriva, mettendo nell’oggetto il titolo della rubrica stessa. Ringrazio Rossella per la disponibilità. gm]

rossella_monacoHo ventotto anni appena compiuti e sono un “insegnante di scrittura creativa” da due. Ogni volta che salgo in cattedra non mi sento in grado di insegnare nulla. Mi ci ritrovo sempre un po’ per caso, spinta da tre tipi di necessità: far quadrare i conti, continuare un percorso che da un certo momento in poi è sembrato inevitabile, cercare di non disinammorarmi. All’inizio della mia strada ero piena di concetti ingenui sulla scrittura e il mondo editoriale.
Chi scrive si vergogna quasi sempre di ciò che ha creato e oggi guardando indietro alle mie prime prove, a dieci anni fa, mi chiedo cosa avrei prodotto se allora mi fossi trovata davanti me stessa, in un’aula o in una chat. Non sempre la risposta è confortante. Guardo i volti delle persone che partecipano ai miei corsi: le prime lezioni, ci vedo sconforto, sogni infranti, voglia di mettersi in gioco e di impressionarmi; alla fine, ci vedo consapevolezza. E questo mi dà energia. Paragono l’esperienza dei corsi, con ingenuità e anche un po’ di divertimento, ai miei nove anni, a quando la maestra ci salutò prima delle feste di Natale dicendoci che Babbo Natale non esisteva. Quello che seguì fu un misto di ammirazione e odio. Credo che gli iscritti provino questo nei miei confronti. L’ho capito guardandoli ma anche e soprattutto dai questionari di valutazione anonimi che sottopongo loro alla fine di ogni percorso didattico. Se c’è una cosa che ho imparato dai corsi di scrittura creativa, dai miei alunni, e da questo metodo di valutazione del mio lavoro, è che anche l’ultimo arrivato può insegnare molte cose. È per questo che ho preso coraggio e nonostante la scarsa esperienza, sono qui a raccontare il mio percorso. Funziona come in un circolo di alcolisti anonimi, credo: condividere aiuta me a focalizzare il percorso e spero possa servire ad altri, anche solo a intrattenere o a scatenare insulti o indifferenza, a piacere.

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Una storia a questo senso

17 agosto 2009

di Massimo Mantellini

[Stavo per scriverci su qualcosa, quando mi sono accorto che Massimo Mantellini aveva già scritto, a proposito della campagna congressuale di Pierluigi Bersani, più o meno ciò che pensavo].

E’ agosto e il motto della campagna di Pierluigi Bersani per le prossime primarie del PD proprio non mi va giù. Ci penso da settimane – ok non continuamente ma ogni tanto ci penso – tipo un paio di volte al giorno. A esagerare. Magari sono in auto o leggo il giornale e all’improvviso mi viene in mente la foto con la faccia di Bersani e sotto, fra la cravatta rossa e l’abito blu quel testo dai caratteri affusolati, tratto da una recente canzone di Vasco Rossi. La canzone si chiama Un senso, il motto di Bersy è invece “un senso a questa storia”.
Ora vorrei provare a spiegare come mai una simile innocua frase mi infastidisce tanto. Intanto non ce l’ho con Vasco, per carità, è uno che ha già i suoi bei problemi: non sarò io ad infierire sull’unico autentico fenomeno vagamente rockeggiante e popolare che questo paese ha saputo produrre negli ultimi 30 anni. Siano benedetti fegatispappolati ed albechiare in quantità.

Leggi tutto l’articolo nel blog di Massimo Mantellini.