Posts Tagged ‘Tullio Avoledo’

Chiacchierando con Edoardo Zambelli / 2

3 ottobre 2018

Fotogramma dalla serie televisiva Fargo, di Noah Hawley

 

 
Daniele Muriano chiacchiera con Edoardo Zambelli

[Per i tipi di Laurana è da poco uscito Storia di due donne e di uno specchio, il secondo romanzo di Edoardo Zambelli – il primo, L’antagonista, usciva nel settembre 2016 per lo stesso editore.
La prima parte della chiacchierata si può leggere qui. Si è parlato con Edoardo di come funziona la sua immaginazione, del rapporto con i personaggi e di come delle narrazioni gli interessino «più i mondi che non i loro abitanti»].

Vorrei curiosare per il mondo che abita Edoardo Zambelli nel tempo della scrittura. Intendo il tuo mondo interiore.
Prima di tutto, vorrei che ti si potesse immaginare: sarei contento se mi raccontassi dove hai scritto per la maggior parte del tempo l’ultimo romanzo, con quali strumenti, secondo quali orari.
Dopodiché, ripensando a quelle giornate (o a quelle settimane, se ci hai lavorato continuativamente) come potresti definire il tuo stato d’animo? Ti sembrava di vivere più intensamente? Se è stato così, in quale atmosfera sentimentale? (O magari si è trattato solo di fredda fatica della lucidità…)
Hai detto già che la riscrittura è stata «la parte più divertente» e perciò mi interesserebbe quanto alla prima stesura.
Il fantasma che sventola sulle mie domande è sempre uno: la relazione che intercorre tra scrittura e felicità possibile (felicità anche microscopica, puntiforme, istantanea).
Ecco, sarà più difficile adesso dire che non sei stato oggetto di un’invadenza.

Ma no, anche qui nessuna invadenza. Solo, mi è un po’ difficile ricordare il periodo della prima stesura, sono passati diversi anni. Su alcune costanti del mio scrivere sono sicuro: non ho orari di scrittura – e nemmeno periodi, mi capita di scrivere per alcune settimane, e poi magari di non farlo per altrettante settimane -, scrivo solo a casa mia, direttamente al computer, poi rileggo e correggo su un tablet. Sulla tua domanda più generale riguardo al rapporto tra scrittura e felicità posso dire di essere felice quando scrivo, ancora di più quando mi rileggo e mi pare di aver fatto qualcosa di buono. Non vivo lo scrivere come un atto doloroso, forse anche perché, come dicevo alla tua prima domanda, non investo emotivamente nulla nelle storie che scrivo. Quello che mi fa “male” sono i periodi in cui non scrivo, quelli – le settimane, qualche volta anche i mesi di cui dicevo prima –, in cui il romanzo è in corso ma per pigrizia o svogliatezza non lo faccio pur continuando a pensarci ogni giorno; mi dico che dovrei ma poi niente, non c’è verso. È un po’ contorta come cosa, me ne rendo conto, ma funziono così.

Sai, per me è difficile crederci. Il tuo romanzo mi ha sconvolto. Ha agito su di me con una tale violenza. Mi riesce difficile immaginare che la scrittura sia andata davvero così liscia. Ma tutto quel che dice uno scrittore sul proprio lavoro è vero, perché non esiste prova contraria.
Mi piacerebbe sapere qualcosa del tuo rapporto con le altre narrazioni: cinema, musica, fumetti, videoarte, videogiochi o altro. Si intravede una tale quantità di materiali dell’immaginario nel tuo romanzo (anche se l’impressione è che tu non abbia intenzione di prendere a prestito niente, ti appropri e trasfiguri).
Sono molto curioso di capire di cosa si nutre il tuo immaginario.

Immagine dal videogioco The Secret of Monkey Island

Allora, parto dai videogiochi, perché se mi guardo indietro sono stati il mio primo contatto con le narrazioni e con un determinato tipo di narrazioni. Sono un grande appassionato di quei videogiochi chiamati avventure grafiche (o punta e clicca, o adventure games). Credo che il mio primissimo contatto col mistero (e con il piacere di subirlo e poi raccontarlo) sia stato quando da piccolo, vedendo mio fratello più grande giocare a The Secret of Monkey Island, ho letto la scritta “nel profondo dei Caraibi, l’isola di Melee”, e sotto c’era questo effetto sonoro un poco oscuro e il fermo immagine di quest’isola buia, una specie di cono, con solo un piccolo gruppetto di luci su una baia, in basso. Ecco, lì mi si è aperto un mondo. I videogiochi sono stati e continuano a essere uno stimolo, in questi ultimi anni ci sono stati sviluppatori indipendenti che hanno fatto cose strepitose.
Ovviamente poi c’è la letteratura, certo. Ho i miei scrittori favoriti, quelli a cui ritorno di continuo, per sentirmi “a casa”. I libri di Tullio Avoledo, Filippo Tuena, Carlo Lucarelli, Alberto Ongaro, Antonio Tabucchi, Giulio Mozzi, Laura Pugno, Garcìa Marquez, Juan Carlos Onetti, Roberto Bolaño sono quelli che leggo e rileggo di continuo. Funziono un po’ così, leggo cose nuove, ma poi avverto il bisogno di tornare a leggere quelle storie e quelle prose che mi ispirano, che in qualche modo sento mie.
Lo stesso vale per il cinema, ci sono cose che riguardo all’infinito perché mi piace stare in quei mondi. I film di David Lynch e dei fratelli Coen, ad esempio, o quelli di Roman Polanski. Serie tv ne guardo poche, ma Fargo è stata una delle più belle scoperte degli ultimi anni, mi pare che dentro ci sia tutto quello che mi piace, è un mondo meraviglioso in cui stare.
È diventata una risposta lunghissima, e me ne scuso. Aggiungo solo che per me i fumetti (a parte Dylan Dog, che leggevo da piccolo e che mi ha insegnato molto, e Asterix e Lucky Luke) sono una scoperta recente, graphic novels ne ho lette poche ma ci sono autori come David B. o Daniel Clowes che mi piacciono molto. La musica poi, è fondamentale, se non ascolto ogni giorno Bruce Springsteen non mi sento a posto.
Ecco, tutto questo, in un modo o nell’altro, finisce nelle cose che scrivo. Magari non in modo diretto, ma c’è.

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Cinquanta minuti con Tullio Avoledo

2 novembre 2016
Clicca per guardare l'intervista di Marzia Tomasin a Tullio Avoledo

Clicca per guardare l’intervista di Marzia Tomasin a Tullio Avoledo

Tullio Avoledo su “L’antagonista” di Edoardo Zambelli

11 ottobre 2016

di Tullio Avoledo

[Tullio Avoledo, da poco in libreria con il nuovo romanzo Chiedi alla luce, ha letto L’antagonista di Edoardo Zambelli e ci ha fatto la cortesia di scriverne. Grazie. gm]

cop_antagonistaAvvertenza preliminare: non sono un recensore. Sono un lettore, quindi ciò che sto scrivendo non è una recensione, ma una semplice serie d’impressioni di lettura.
Seconda avvertenza: leggo pochissima narrativa. Divoro saggistica e poesia, ma leggo pochi romanzi, e meno ancora racconti. Così non so fino a che punto sono un giudice attendibile, rispetto a chi, magari per professione, legge tipo venti romanzi al mese.
Nelle due settimane di vacanza dalla scrittura che mi sono concesso per riprendermi da due festival, ho letto tre libri molto belli. Uno solo di questi era un romanzo, ed è L’antagonista di Edoardo Zambelli.

L’autore è giovane, maledetto lui. Anche se non troppo giovane, quindi ritiro il maledetto.
E’ anche maledettamente bravo, e stavolta l’avverbio lo lascio. Mi è capitato solo una volta di leggere un’opera prima altrettanto affascinante, e quel libro era Pugni di Pietro Grossi. Anzi, non era nemmeno ancora un libro, era un dattiloscritto in cerca di editore, fattomi leggere da un’amica. Sono stato contento quando Pietro, non per merito mio, ha trovato un editore.
Sono ancora più contento che l’abbia trovato Edoardo Zambelli, e che L’antagonista sia uscito dal cassetto (o dovunque lo tenesse) per arrivare ai lettori. E’ un libro potente, un libro che emana una strana energia, una specie di luce nera che illumina i nostri giorni purgatoriali.

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Le “formazioni” a Milano (scrittrici e scrittori)

18 Maggio 2015
Clicca sulle copertine, leggi la scheda

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Martedì 19 maggio alle 18.30, a Milano presso lo Spazio Melampo (via Carlo Tenca 7) prima pubblica presentazione dei due volumi – La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore – pubblicati dall’editore Laurana: il primo a cura di Chicca Gagliardo, il secondo a cura di Gabriele Dadati. I due volumi prendono ispirazione dalle due rubriche pubblicate per diversi mesi in vibrisse, e intitolate appunto La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore.

La formazione dello scrittore, 3 / Tullio Avoledo

5 giugno 2014

Nascita di uno scrittore (a partire dal naso)

di Tullio Avoledo

[Questo è il terzo articolo della serie La formazione dello scrittore (parallela a quella La formazione della scrittrice), che appare in vibrisse il giovedì. Ringrazio Tullio per la disponibilità. gm]

tullio_avoledoPenso di essere diventato scrittore a causa del mio naso.
Credo sia cominciato tutto con l’enciclopedia Conoscere.
Era un’enciclopedia per ragazzi degli anni ’60. La compravi a fascicoli, in edicola, e quando avevi completato la raccolta dei fascicoli di un volume li facevi rilegare. L’odore di colla del volume appena rilegato (da un cugino di mio padre che lo faceva di mestiere) era semplicemente fantastico.
A casa mia arrivarono solo tre volumi, di quell’enciclopedia: l’XI, il XII e il XIII. Non so perché. Forse la cosa fu dovuta al fatto che nel 1966 uscì la terza edizione del Grande dizionario enciclopedico UTET, che rese immediatamente obsoleta Conoscere.
Ma la mia prima formazione alla lettura avvenne sui tre volumi di quell’enciclopedia, che aveva un odore buonissimo e la caratteristica di non essere organizzata per argomenti, o secondo criteri logici: due pagine sui Sumeri potevano seguirne due sul sistema solare, e precederne altre due su Leone Tolstoj.
Il Dizionario enciclopedico UTET piombò su quel mondo caotico e colorato con l’impatto devastante di un meteorite. Sulle rovine fumanti di una giungla d’informazioni e illustrazioni si levò un monolito che aveva sul dorso la scritta A-APO.
Ricordo ancora, a distanza di quasi cinquant’anni, la sequenza degli indici di quei volumi: A-APO, APP-BEQ, BER-CAQ, CAR-CLE, CLI-DAN… Nomi simili a quelli di divinità oscure, a un cupo rituale di evocazione lovecraftiano.
La UTET stava a Conoscere come i tripodi marziani di George H. Wells stavano alle brigate di cavalleria dei Terrestri. Era l’iPod contro il mangianastri, l’iPhone contro un telefono a disco combinatore.
Eppure…

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Il paradiso sopra i tetti (appunti sul romanzo cattolico)

17 Maggio 2012

di Demetrio Paolin

[domenica scorsa è uscita sull’inserto La Lettura del Corriere della Sera un mio articolo dal titolo, redazionale, “Il corpo del romanzo”. Il tentativo era di fornire una prima e sommaria riflessione sul tema del romanzo cattolico. dp]

Questa apertura e ricerca di senso mette forse in evidenza come il romanzo cattolico sia l’elaborazione di un trauma profondo, il trauma di una mancata promessa ovvero quella della seconda venuta di Cristo. Sempre vista come imminente e sempre costantemente rimandata. Il romanzo cattolico cerca, immaginando i mondi, di elaborare quel lutto e di rendere meno gravosa l’attesa

Leggi “Il corpo del romanzo”.

Bottega di narrazione 2012-2013

26 febbraio 2012

di giuliomozzi

La prima Bottega di narrazione dell’editore Laurana si è conclusa il 4 dicembre 2011 con l’incontro tra la pattuglia degli “apprendisti” e un nutrito gruppo di esponenti del mondo editoriale (in rappresentanza degli editori Bietti, Einaudi, Mondadori, Newton Compton, Rizzoli, Sironi, Terre di Mezzo, Transeuropa, e dell’Agenzia letteraria internazionale – Ali). Altri editori e agenzie, impossibilitati a essere presenti, hanno comunque richiesto gli estratti dai “lavori in corso” (che tutti possono prelevare qui, mentre altri assaggi pubblicati in vibrisse si possono leggere qui).

I risultati della prima Bottega

Un primo bilancio della Bottega di narrazione 2011 si può leggere qui. A distanza di tre mesi dal 4 dicembre scorso posso aggiungere che Silvia Montemurro ha firmato un contratto con l’editore Newton Compton, e dovrebbe pubblicare entro l’anno (vedi qui un estratto); Sara Loffredi ha terminato in gennaio 2012 il suo romanzo ed è ora ufficialmente rappresentata dall’Ali (vedi qui un estratto); i lavori di altri “apprendisti” sono al momento in lettura presso editori grandi e piccoli (giusto la settimana scorsa Mondadori ha chiesto di poter leggere integralmente tre testi); e altre occasioni più o meno rilevanti si stanno presentando.
Non tutti i lavori sono terminati; alcuni sono prossimi alla fine; in queste settimane abbiamo ripreso a incontrare individualmente gli “apprendisti” (ci vorrà un po’) per un editing finale.

In che cosa consiste la Bottega di narrazione

La Bottega non è e non vuol essere un “corso di scrittura creativa”, bensì un luogo nel quale venti persone, selezionate sulla base di un progetto narrativo, possano abitare per un anno: lavorando sul proprio progetto, confrontandosi con altre persone alle prese con i propri progetti, godendo della compagnia di persone più esperte. Come avveniva, appunto, nelle “botteghe” degli artisti.

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Tensione escatologica e religione tappabuchi

26 ottobre 2011

di Martino Doni

[Questo articolo è apparso venerdì 21 ottobre 2011 nel quotidiano il manifesto]

Leggi la scheda del libro nel sito dell'editoreEtiamsi omnes… ego non, «Se anche tutti… io no». Questa formula evangelica (Matteo 26, 33) definisce l’atteggiamento di chi non intende far parte di un gregge disciplinato ma vuole seguire la verità con fede e coscienza. Purtroppo queste parole furono pronunciate per la prima volta da quel Simon Pietro che di lì a poco si sarebbe triplicemente smentito, e se non fosse stato per il gallo, forse, avrebbe continuato imperterrito a rinnegare e a scandalizzarsi. Questo per dire che gli slogan sono importanti ma non bastano a forgiare il martire. Pietro dovrà piangere amare lacrime sul proprio inciampo, prima di mostrarsi all’altezza dei proponimenti che avventatamente aveva dichiarato.
Con queste stesse parole si apre un bel libretto di Valter Binaghi e Giulio Mozzi, Dieci buoni motivi per essere cattolici, Laurana 2011, euro 11.90, con una densa e appassionata introduzione di Tulio Avoledo, dove appunto con passione è riportata questa massima come linea guida per una buona condotta cristiana. Sì perché, innanzitutto, questa formula è un modo che i cristiani adottano per manifestare e difendere la propria differenza specifica, il proprio perseguire un regno che «non è di questo mondo» (Giovanni 18, 36). Facendo leva su tale differenza, la teologia del Novecento ha messo in discussione la stessa condizione del cristianesimo come «religione».

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“Andàteveli a cercare da soli”

12 ottobre 2011

di Antonio Maccioni

Leggi la scheda del libro nel sito dell'editore[…] Allora quali sarebbero i dieci motivi per essere cristiani e cattolici, annunciati fin dal titolo del volume? Eccoli: il mondo è stato creato da qualcuno che posso immaginare come una persona; è bello leggere e rileggere la storia d’amore tra il creatore e il suo popolo; si sa quasi tutto sul “nemico”; il messianismo universale è davvero messianismo universale; il creatore si fa carne; il creatore torna a visitare le sue creature; lo stesso creatore ha avuto bisogno di un uomo e di una donna per farsi creatura; la scena primaria delle Scritture è la crocifissione, morte e risurrezione di Cristo; la profezia dà vita alla Chiesa; il mondo e noi con lui stiamo viaggiando irresistibilmente incontro alla fine. Se questo non bastasse, si sappia che non c’è dell’altro: è tutto qui. Sarei tentato di aggiungere che Giulio Mozzi e Valter Binaghi non riescono a soddisfare le attese, non riescono “a servire quello che ci si aspetta da loro”. E ancora: se vi servono dei buoni motivi per essere cattolici, andateveli a cercare da soli, da un’altra parte. […]

Leggi tutto l’articolo in Bene Comune.

Una prefazione poeticamente accesa

26 giugno 2011

Matteo Giancotti, Corriere del Veneto

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La ragazza è tornata

6 giugno 2011
Matteo Nannini, Big empty, 2006

Matteo Nannini, Big empty, 2006

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Giorgio Falco, L’ubicazione del bene

4 giugno 2009

di Demetrio Paolin

Il libro di racconti di Giorgio Falco, L’ubicazione del bene, il suo secondo dopo l’esordio con Sironi (Pausa caffè), è certamente una delle uscite più interessanti del panorama letterario italiano. Mi piacerebbe quindi ragionarci, cercando di evidenziare quelli che a me sembrano i temi attuali e più stringenti.

Il titolo. Mi pare che il titolo possegga in sé una serie di notizie attorno ai temi del libro. L’ubicazione del bene è infatti un titolo polisemico, che si presta a diverse letture. In primo luogo rimanda ad un linguaggio notarile, soprattutto nell’ambito della compra-vendita di immobili. Il titolo quindi indicherebbe le coordinate catastali di un edificio che viene messo in vendita. In particolare nel libro di Falco si parla di una villetta messa all’asta (p. 17).
Il titolo, però, possiede altre suggestioni: ubicare il bene, situare il bene, Ovvero se il bene esiste dove lo trovo, come lo localizzo?

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Otto anni non sono pochi / 4

28 Maggio 2009

[Negli otto anni del mio lavoro presso Sironi abbiamo pubblicato tanti libri. Riprenderò qui, in questi giorni, alcuni articoli relativi a quei libri che – a prescindere da qualunque valutazione commerciale – mi sembrano aver meglio “resistito” nel tempo. Questo articolo non firmato apparve nel quotidiano Il Foglio, il 21 febbraio 2003. gm].

Mettiamola così: generalmente, oggi, è impossibile mettere assieme la teoria del complotto planetario, i testi gnostici e un avveniristico progetto informatico di sopravvivenza della mente umana dopo la morte, il Sacro Graal, il nazismo esoterico, la Fonte dell’Eterna Giovinezza, le perversioni della New economy, gli universi paralleli, le divinità dell’Antico Egitto, l’Arca dell’Alleanza e per di più la denuncia sociale e pensare di tirar fuori un buon romanzo. Generalmente, appunto. Perché la new entry della narrativa italiana Tullio Avoledo, l’ultima scoperta di Antonio D’Orrico, critico letterario di Sette, ce l’ha fatta e anche benone. Certo, Avoledo non c’entra niente con i “pesi massimi” del romanzo, chessò Vladimir Nabokov o Francis Scott Fitzgerald, ma tra i “leggeri” (leggi narrativa di genere o d’intrattenimento) è un grande. I meccanismi narrativi funzionano che è un piacere, la lingua è pulita, secca. I personaggi sono simpatici o insopportabili al punto giusto (e l’architetto Fabrici è una signora macchietta), la verve comica godibile (vedi la spassosa riunione condominiale), le descrizioni d’ambiente per fortuna non esistono e i dialoghi sono da manuale (a caso: la conversazione telefonica tra il protagonista e il direttore di filiale, pp. 127-130; leggere prego). E fino a qui, il giudizio sul libro.

Passiamo al plot (ovvero intreccio).

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