Posts Tagged ‘Stefano Fugazza’

“L’ultima notte di Antonio Canova”, di Gabriele Dadati

16 febbraio 2018

di giuliomozzi

E’ in libreria più o meno da oggi questo romanzo di Gabriele Dadati, L’ultima notte di Antonio Canova (Baldini e Castoldi). Io ne lessi una prima e una seconda (appena aggiustata) versione, se non ricordo male nel settembre del 2014. Se ce ne vuole, di pazienza, per pubblicare un romanzo! Ma Gabriele, devo dirlo, era tranquillamente sicuro e moderatamente ottimista. Dopo un libro di racconti (con almeno due perle dentro) e tre romanzi tutti in qualche modo (traslato, autofinzionale ecc., come si usa oggi) legati alla sua esperienza di vita (ricordo in particolare, ma solo per affetto, Piccolo testamento, Laurana), sentiva che era arrivato per lui il momento di osare il romanzo-romanzo. E poiché da un pezzo si era trovato a dedicarsi, per lavoro e per passione, e per appassionato lavoro, ad Antonio Canova, gli venne naturale metterlo al centro del suo progetto.

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L’uomo col giornale in mano

25 novembre 2016
Tranquillo Cremona: Ritratto di Giuseppe Bianchi

Tranquillo Cremona: Ritratto di Giuseppe Bianchi

di giuliomozzi

[Scritto a fine 2005 o inizio 2006, su richiesta di Stefano Fugazza e Gabriele Dadati, per la collana Scrivere l’arte della Galleria d’arte moderna Ricci-Oddi di Piacenza. Forse non è vero che questo quadro è il primo in cui compare un giornale quotidiano: comunque dev’essere uno dei primi].

L’uomo col giornale in mano
ha il braccio destro abbandonato lungo il fianco.
L’uomo col giornale in mano
regge il giornale con la mano destra,
alza lo sguardo e volta il viso verso
noi, che lo guardiamo.
L’uomo col giornale in mano
ha interrotta la lettura del giornale
per guardare
noi, che lo guardiamo.

L’uomo col giornale in mano è morto.
Noi, per ora, siamo vivi.

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La formazione dello scrittore, 4 / Gabriele Dadati

12 giugno 2014

di Gabriele Dadati

[Questo è il quarto articolo della serie La formazione dello scrittore (parallela a quella La formazione della scrittrice), che appare in vibrisse il giovedì. Ringrazio Gabriele per la disponibilità. Il prossimo ospite sarà Demetrio Paolin. gm]

gabriele_dadatiMia mamma insegnava italiano, storia e geografia alle medie. Ok, anche educazione civica, credo. E latino nei corsi pomeridiani. Io invece ero un bambino con addosso una fifa matta del buio, ed essendo l’unico maschio dopo due femmine avevo una stanza tutta per me. Che la notte, a luce spenta, mi riempiva di angoscia.
Per farmi addormentare mia madre si sedeva ai piedi del letto e attaccava a leggermi un libro. Per lo più si trattava dei libri di epica che le lasciavano in omaggio i rappresentanti degli editori di scolastica, quelli senza il talloncino nel retro di copertina che li denunciava quali “copie fuori commercio”, libri tra le cui pagine i miti degli dei e degli eroi erano messi in prosa, sottratti ai versi della tradizione e resi potabili per i ragazzini. Così le mie fiabe avevano come protagonisti Achille, Zeus, Atena, Poseidone, Ercole e via via tutti gli altri fino a Odisseo, naturalmente. E la mia infanzia finiva per coincidere con l’infanzia dell’Occidente, per così dire.

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Le parole dei morti nelle parole dei vivi

15 giugno 2011

di Gabriele Dadati

[Sono molto lieto di poter riprendere qui, secondo il desiderio dell’autore e con il consenso dell’editore, quanto Gabriele Dadati ha scritto in memoria di Stefano Fugazza: uomo che anch’io conobbi, poco, molto poco, ma abbastanza per avvertirne il valore. Valga, spero, questa lettura, a ricordare che tutti i giorni si educa e si viene educati; e che una vita che non venga presa in cura è a rischio di spreco. Ringrazio la rivista Nuovi argomenti nel cui numero 54, distribuito in questi giorni, è apparso questo testo. gm].

Stefano Fugazza e Gabriele Dadati durante una conferenza stampa, 2008Tra un mesetto cadrà il primo anniversario della morte di Stefano. Da quando non c’è più ho pensato in continuazione a lui: a volte semplicemente ricordandolo, se mi tornava in mente un episodio che lo riguardava, una frase detta da lui o anche solo un’espressione del suo volto; a volte provando a interrogarlo, quando mi chiedevo come si sarebbe comportato di fronte a un dato problema; a volte infine in quelle forme invasive che si potrebbero chiamare da un lato dell’eredità e dall’altro della condanna, se si ha la pazienza di considerare il fatto che la direzione che ha preso la mia vita oggi – come uomo e come lavoratore – è stata così fortemente influenzata da lui, dalle possibilità che mi ha concesso durante la nostra collaborazione e dai limiti che mi ha imposto.
Dopo la sua morte, e anche prima, nei mesi della malattia in cui di fatto Stefano non era più lui, mi è capitato qualche volta che l’interlocutore di turno parlandomi si confondesse e mi chiamasse col suo nome invece che con il mio, per poi subito correggersi. La mia reazione interiore, quella esteriore essendo nulla, era un mantra che diceva «Io non sono Stefano, non posso fare quello che faceva Stefano». E credo che questo mantra venga da un film, Voglia di vincere 2, in cui il protagonista è l’alunno di un college americano che trasformandosi in uomo-lupo può offrire straordinarie prestazioni sportive alla squadra di basket. Ma all’inizio del film non lo sa ancora: sa solo che suo cugino, che ha studiato lì prima di lui, si trasformava in uomo-lupo per combattere sul ring tenendo alto l’onore del college, e quando gli viene chiesto di fare lo stesso lui risponde pressappoco: «Io non sono lui, non posso fare quello che faceva lui». Salvo poi scoprirsi a sua volta, in un momento di rabbia, uomo-lupo, e così finendo per ripercorrere i passi del cugino.

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