Posts Tagged ‘Sigmund Freud’

“Tutti gli insegnanti di scrittura creativa sono degli scrittori falliti”, di Alessandro Oldeni

25 marzo 2016

di Ennio Bissolati

[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Per vibrisse recensisce libri introvabili, dei quali sostiene di essere l’unico lettore. gm]

OldeniE’ nota l’ammirazione del curatore di vibrisse, che Dio ce lo conservi, per un libricino qualche anno fa pubblicato, e più recentemente ripubblicato, dell’Ermanno Cavazzoni da Bologna; titolato: Gli scrittori inutili. Nella limpida casistica del Cavazzoni, l’illustre Mozzi si è riconosciuto – bontà sua – nella casella degli scrittori in disuso (e il Cavazzoni mai smentì): ed è forte di tanta spregiudicata autocoscienza che il vostro bibliofilo, umilmente, si azzarda a recensire questo torrido pamphlet, dovuto alla penna di un Anonimo (perché il nome, per tacer del cognome, nomina sia pur pudicamente fin troppo) che sicuramente l’intinse nel curaro; e confida che il padrone di casa non se la prenderà.

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Relatività a fumetti

4 giugno 2015

di Marco Candida

Il testo che segue raccoglie tre pezzi separati tra loro: una recensione a un film, una recensione a un libro e l’incipit di un racconto. Il film è Ritorno al futuro. Il libro è il saggio La relatività a fumetti. Il racconto s’intitola “Tornare ad Aurora”, sul viaggio nel tempo.

Ritorno al futuro

hoverboard-back-to-the-future-part-2-michael-j-foxSe si leggono i commenti in calce ai video sulla rete relativi a Ritorno al futuro di Robert Zemeckis con Michael J. Fox ci si rende conto che molti commentatori rilevano quanto quel film abbia contraddizioni e sia zeppo di buchi e cose impossibili dal punto di vista logico. Le critiche sono fondate; ma lo sono se come perno che fa ruotare su se stesso il mondo di Doc e Marty si tengono le leggi einsteiniane. In realtà, il mondo di Marty McFly e Doc Brown non ruota grazie alle leggi einsteiniane, ma grazie a quelle freudiane. In altre parole, Ritorno al futuro è straordinariamente cialtrone quando si riferisce a Einstein, ma diventa straordinariamente preciso quando si riferisce a Freud. Il punto è che questa duplicità, se si presta attenzione, appare voluta: e c’è un dettaglio che lo indica. Ogni volta che Doc e Marty si mettono a parlare di viaggio nel tempo e delle modalità con le quali avviene il viaggio nel tempo, ogni volta che Doc o Marty forniscono una spiegazione scientifica del viaggio, ecco che prendono a parlare concitatamente, i dialoghi accelerano e per lo spettatore diventa quasi impossibile capire precisamente che diavolo quei due stiano blaterando. Si capisce soltanto che sono questioni tecniche, scientifiche, complesse. Invece quando è il momento di parlare di sentimenti e di triangolazioni edipiche tra padri-madri-figli ecco che i personaggi si mettono a parlare normalmente, tutto è comprensibile, per quanto balzano. Persino le corrispondenze sono precise. Quando Marty viaggia venticinque anni avanti nel futuro e incontra sua figlia, chi è l’interprete della figlia? E’ Michael J. Fox stesso. Sì, perché le figlie somigliano al padre: le figlie sono papà in gonnella. Invece quando incontra suo figlio, Marty incontra un perfetto imbecille. Perché i figli assomigliano ai nonni (e il papà di Marty è un imbecille) e anche un po’ ai padri, nel carattere. E quando Marty torna nel 1885 incontra un suo trisavolo irlandese e chi lo interpreta? Ma sempre Michael J. Fox, ovviamente! Perché ciascuno di noi assomiglia a qualche bis-tris nonno precedente. Il quale bis-tris nonno si è sposato con una bis-tris nonna che guarda caso assomiglia alla propria mamma. Come dire che date certe caratteristiche psico-fisiche si attirerà sempre e solo quella donna. Sempre la stessa: non c’è scampo. Affinità elettive. La chimica è tutto. Gli atomi di cui siamo fatti.

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La formazione dello scrittore, 9 / Giuseppe Genna

17 luglio 2014

di Giuseppe Genna

[Questo è il nono articolo della serie La formazione dello scrittore, che appare in vibrisse il giovedì (ed è parallela a quella La formazione della scrittrice, che appare invece il lunedì). Ringrazio Giuseppe per la disponibilità. Il prossimo ospite della rubrica sarà Marco Candida. gm]

giuseppe_gennaNon so nemmeno a quale formazione fare riferimento; per me, cresciuto negli anni Settanta e Ottanta e Novanta, è adesso più confusione e sbigottimento che ricordo il dire del me stesso, chi incontrò, cosa fece, come arrivò alla scrittura. Inoltre si tratta di “io” e qui sta un problema storico. Utilizzare questo pronome radicale è stato difficile nel corso dei due decenni in cui ho pubblicato. Ho tentato di costruire un ologramma, un avatar, che attirasse fulmini e saette, giusto livore e ingiusto rancore, lasciando in pace la persona in un silenzio e in un respiro ampi, secondo l’insegnamento di un poeta che annovero tra i miei maestri e che era Antonio Porta (così, noto al secolo; si chiamava Leo Paolazzi, in verità).
Prendo molto sul serio questo invito di Giulio, che certamente è tra gli scrittori e intellettuali i quali più stimo da tanti anni, con cui a me è parso di fare un po’ di strada insieme (vorrei citare, insieme a lui, tra i miei coetanei editoriali, quelli per me più decisivi: Tommaso Pincio e Aldo Nove). Dice Giulio: scrivi quello che vuoi sulla formazione tua, meglio se lungo il pezzo, anziché breve. Quindi scrivo questo autoritratto, sommario e forse un po’ peccaminoso, seguendo le metriche suggeritemi.

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La formazione della scrittrice, 23 / Elisabetta Bucciarelli

16 giugno 2014

di Elisabetta Bucciarelli

[Questo è il ventitreesimo articolo della serie La formazione della scrittrice (esce il lunedì), alla quale si è da poco affiancata la serie La formazione dello scrittore (esce il giovedì). Ringrazio Elisabetta per la disponibilità. La prossima ospite sarà Simona Vinci. gm].

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Erano i racconti di mia nonna, di paese marchigiano, spiritismo e magia, che mi catturavano più di ogni altra cosa. Mi ricordo che ascoltavo mentre lavava i piatti e intanto pensavo che avrei dovuto scriverli per non perderli, per non perdere lei più che le sue parole, ma non l’ho mai fatto.
Per questo succede che ogni incontro di persona importante, “lo scrivo”, lo imprigiono nelle mie parole e lo rendo mio per sempre sulla carta. Così resta, rimane con me.

Nei temi raccontavo storie. I miei venivano convocati per sapere se fossero vere. Non lo erano quasi mai. La mia fortuna è che non mi hanno mai fatto sentire diversa o bugiarda, la mia fortuna è che potevo permettermi di essere quello che ero perché sembravo altro.

A casa giravano tanti libri, ma la formazione di autrice è passata piuttosto dall’ascolto, dalle parole dette, dai contrasti, dalle azioni, dalle negazioni. Le parole lette arrivano dopo, almeno nella memoria.
Erano i libri di psicologia di mia madre che mi attiravano, i volumi degli esistenzialisti francesi, di Sartre, Camus e soprattutto, di Simone de Beauvoir. Alle medie non erano previsti, ne parlavo con gli adulti, soprattutto quelli che non avevano parole adatte a parlare con i bambini.

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La formazione della scrittrice, 15 / Silvia Cassioli

21 aprile 2014

di Silvia Cassioli

[Questo è il quindicesimo articolo di una serie che spero lunga e interessante. Ringrazio Silvia per la disponibilità. Chi volesse proporsi, mi scriva mettendo nell’oggetto le parole “La formazione della scrittrice”. gm]

silviacassioliFelicità è un viaggio in macchina con mia madre per leggere i cartelli stradali l’anno che ho imparato a leggere. La felicità era in questo: decifrare il senso di cose correnti che avevo sempre registrato sotto un altro aspetto: l’aspetto della forma e del colore, che però era secondario (lo sospettavo) rispetto all’asse principale del messaggio. Un asse di lettere chiare: Bar, Farmacia, Stop.
Scrivere per me è qualcosa di simile, con un processo inverso. Come se per affrontare le cose bisognasse riconfigurarle in segni, forme e posizioni nello spazio. Ricostituirle daccapo. Raggiungerle, anche.

Volevo continuare a giocare senza avere ogni volta la seccatura di tirare fuori le bambole dalla scatola, apparecchiare le scene, passare sopra al fatto che Ken aveva solo un completo da tennis, inadatto alla maggior parte dei ruoli, e che quasi tutte le Barbie sorridevano con i denti, in spregio a ogni verosimiglianza drammatica. Scrivere cioè è stato il prolungamento di un gioco, il superamento di alcuni problemi che però si è subito tirato dietro problemi di tipo diverso. Il primo: il tempo. Nello spazio mentale del gioco il problema non si poneva, ma nel passaggio alla versione scritta tutte le mie storie improvvisamente diventavano corte, striminzite e secche.

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La conoscenza simbolica / 4

6 Maggio 2013
Salvador Dalì, La persistenza della memoria

Salvador Dalì, La persistenza della memoria

di Valter Binaghi

La quinta parte è qui.

6) L’approccio terapeutico: il simbolo tra sintomo, profezia e catarsi

a) L’eredità romantica: la consapevolezza ermeneutica.

“Una sorta di dolce sopore lo vinse, in cui sognò fatti indescrivibili da cui lo riscosse un altro chiarore. Si trovò su un molle prato, alla sponda d’una sorgente, che sgorgava nell’aria, e sembrava struggersi. Rocce turchine con vene versicolori si levavano a una certa distanza; la luce diurna che lo avvolgeva era più chiara e più dolce del solito, il cielo era turchino e tutto terso. Ma ciò che soprattutto lo attrasse fu un alto fiore azzurro chiaro, che stava presso la fonte e lo sfiorava colle sue larghe foglie lucenti. Tutt’attorno a quello erano innumerevoli fiori d’ogni colore, e il più dolce profumo empiva l’aria. Ma lui non vedeva che il fiore azzurro, e a lungo lo contemplò con ineffabile tenerezza. Infine volle avvicinarglisi, quando esso prese d’un tratto a muoversi e a mutarsi; le foglie divennero più lucenti e si strinsero al crescente gambo, il fiore si piegò verso di lui e mostrò un’espansa corolla azzurra, in cui si cullava un tenero volto. Il suo dolce stupore cresceva colla rara metamorfosi, quando all’improvviso la voce di sua madre lo destò, ed egli si ritrovò a casa sua nella stanza che già il sole del mattino indorava”(61).

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