[Questo è il venticinquesimo articolo della serie La formazione della scrittrice (esce il lunedì), alla quale si è ora affiancata la serie La formazione dello scrittore (esce il giovedì). Ringrazio Teresa per la disponibilità. gm].
“Sono orfana, senza mamma e papà, la prego signore mi prenda con lei, mi porti a vivere nella sua villa” imploro il calciatore Antonio Cabrini inspiegabil- mente in visita alla nostra scuola, scuola elementare Cesare Balbo Orbetello-Neghelli.
“C’è questa bambina identica a me, – racconto ai compagni di classe, terza elementare – uguale uguale, stessi occhi, stessi capelli, vive in America in un ranch, è una star tipo Shirley Temple. Tutti la amano. Era mia sorella gemella, l’hanno uccisa ieri.”
“Voi non capite – diciassette anni, singhiozzo agli amici sulla porta di casa – hanno tentato di rapirmi, un gruppo di uomini, nove dieci, poi mi hanno scaricato sulla strada. Non ricordo altro, forse mi hanno violentato.”
E dunque per me l’inizio non è stata la scrittura, ma la mitomania.
Che poi ogni perdita evocata nell’infanzia sia avvenuta, che quella rappresentazione ricattatoria sia diventata realtà è stata la mia vera formazione. L’inversione di mondo. Il cielo che diventa terra, la terra che diventa cielo, l’aspirazione nostalgia, la felicità perduta.
Sono diventata scrittrice quando sono morti tutti. E io sono rimasta qui. A ricordarli.