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Due o tre cose su Pomilio e Teramo

30 ottobre 2015

di Renato Minore

[continua il “convegno online” dedicato a Mario Pomilio].

Mario Pomilio

Mario Pomilio

Mario Pomilio capitò a Teramo per la prima volta nel 1951. Aveva vissuto “una stagione di esilio”, come lui stesso la definiva, a Parigi, “una città crudele per noi italiani: agli occhi del francese medio eravamo ancora quelli della pugnalata alla schiena”.

Dall’interminabile paesaggio metropolitano era proiettato in uno spazio diverso, breve e domestico, tutto fasciato di colline: quello di una tipica provincia italiana con la sua dolcezza del vivere, le acredini, i sopori. In un’intensa testimonianza – il suo ultimo scritto – pubblicata sulla rivista “Il quadrilatero”, Pomilio aveva rievocato le ragioni e le emozioni che lo portarono a usare Teramo come “quinta” in due romanzi: il primo, quello d’esordio, “religioso”, L’uccello nella cupola, il secondo “laico”, La compromissione. Come due voci, due anime che Teramo riusciva a far convivere, con le sue soste al caffè, gli incontri per le strade, il corso che si popolava verso l’ora del crepuscolo, il suo stile di città centrata entro il cerchio delle sue antiche mura e della strada di circonvallazione. Due storie distinte, ma fuse insieme, garantite da un’urbanistica fatta a misura d’uomo e dal culto dello scambio comunitario ancora possibile in provincia.

La prima storia risultava implicita nelle vestigia di una vetusta vita religiosa, le piazze attorno alle chiese, la città intorno alla sua cattedrale. La seconda, “laica”, era il lontano prodotto della borghesia postrisorgimentale con altri punti di riferimento: appunto il corso, la villa comunale, “le piazze dominate da monumenti civici, gli edifici pubblici, le scuole, certi caffè”.

Si parlò molto di questa Teramo pomiliana non soltanto stretta nella dimensione della memoria, in occasione dell’omaggio che la città abruzzese dedicò allo scrittore pochi mesi dopo la sua prematura scomparsa, a sessantanove anni, nel 1990 in occasione dell’annuale premio Teramo, quell’anno vinto da Angelo Mainardi e Marco Tornar. Nello scritto citato, Pomilio andava oltre gli struggenti ricordi che aiutavano a capire meglio ciò da cui era stata alimentata la sua fantasia. Rievocava anche le sconcezze di certa speculazione edilizia che non aveva risparmiato Teramo. “Un caso esemplare di come si è rotta un’armonia anche estetica, e di come si è alterata una ragione urbanistica che resisteva da duemila anni”. Parole dure, di un uomo profondamente ferito nella memoria di cittadino, e non di uno scrittore alla facile ricerca di un impossibile tempo perduto della nostalgia e del rimpianto.

Parole in sintonia con l’intervento dello scrittore e critico Silvio Guarnieri, il quale ricordò per l’occasione la tristezza non soltanto caratteriale di Pomilio, sia pure condita di sottile e gentile ironia: quasi uno schermo, un riflesso condizionato della sua coscienza di uomo dilaniato dall’impossibilità di poter raggiungere le sue “alte aspirazioni”, dall’ostile resistenza frapposta dalla realtà a ogni convincimento di verità e d’impegno.

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Il ritorno di Mario Pomilio, romanziere europeo (da lunedì 26 ottobre )

24 ottobre 2015

di Demetrio Paolin

Mario Pomilio

Mario Pomilio

Più o meno a maggio di quest’anno avevo tra le mani la copia della nuova edizione del Quinto Evangelio (L’orma editore, 2015) di Mario Pomilio; nella mia libreria facevano mostra di sé la ristampa de Il nuovo corso (Hacca, 2014) e di Scritti cristiani (Vita e pensiero, 2014). E mentre ero indeciso su come scrivere, qui in vibrisse, mi è capitato di leggere un’affermazione di Giulio Mozzi sul suo profilo di facebook che diceva più o meno che il Quinto Evangelio era il più bel romanzo italiano del dopoguerra. Alla sua affermazione mi venne solo da dire: Dio mio, sì! Giulio ha ragione.

La letteratura, sappiamo, non è una classifica di calcio, ma spesso è utile cercare di stabilire un qualche ordine di grandezza, cercando – in parole povere – di fornire una sorta di canone dei testi. E sicuramente il romanzo di Pomilio, ma sarebbe meglio dire la sua opera, dovrebbe essere contemplato al suo interno. In realtà, però, dell’autore abruzzese si è parlato poco o niente, relegandolo al ruolo marginale nell’economia della nostra storia letteraria.

Per questo motivo in quel giorno ho pensato di scrivere una breve mail a tre amici, scrittori e lettori forti dell’opera pomilana, dicendo loro che volevo provare a costruire sul Quinto Evangelio e sull’opera di Pomilio non una semplice recensione o saggio ragionato, ma qualcosa di più.

Gli amici in questione erano Giulio Mozzi, Alessandro Zaccuri e Gabriele Dadati e il qualcosa in più che avevo pensato e immaginato è quello che leggerete nei prossimi giorni qui sul sito di vibrisse ovvero una sorta di convegno on line dal titolo Il ritorno di Mario Pomilio, romanziere europeo, in cui scrittori, critici, teologi e giornalisti sono stati chiamati a scrivere un loro contributo.

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