Posts Tagged ‘Primo Levi’

“Fare i conti con il ragazzo che ero e l’uomo che sono diventato”.

24 marzo 2017

[Esattamente un anno fa Conforme alla gloria veniva pubblicato da Voland e iniziava la sua vita negli scaffali delle librerie. Proprio in questi giorni Chiara Pasin ha discusso una tesi dal titolo Tra umano e disumano. Dal corpo memoria di Primo Levi al corpo-performance contemporaneo (relatore Alessandro Cinquegrani) , in cui un’intera parte, la terza e conclusiva dal titolo Tra corpo-memoria e corpo-performance: il caso di Conforme alla gloria di Demetrio Paolin, è dedicata al mio testo. La sua tesi ha come appendice una intervista che Chiara mi ha fatto nei giorni in cui completava il suo lavoro. Con il suo permesso e con molta mia gioia la pubblico qui. dp]

Chiara Pasin&Demetrio Paolin

Le pagine di Conforme alla gloria racchiudono numerosi riferimenti a fonti più o meno esplicite: Levi, Fergnani, Arendt, Kakfa, Celan, Covacich, solo per citarne alcuni, ma anche artisti e performer. Quali sono i suoi modelli più cari?

“È certamente difficile stabilire un canone letterario, ancorché personale e privato. Se dovessi dire le fondamenta sulle quali poggiano le pagine di Conforme alla gloria, direi che il primo testo di riferimento è la Sacra Scrittura. Soprattutto l’Antico Test amento e gli scritti di Paolo; credo che il Dio che compare più volte nel romanzo debba molto a queste mie letture, che sono state anche le letture della mia infanzia. […]Nello stesso tempo mi rendo conto che in Conforme alla gloria Cristo è assente, l’agnello mite e sacrificale, colui che prende e porta sulle sue spalle i peccati di tutti, non c’è. Dal punto di vista teologico, questo romanzo è stato scritto prima della nascita di Cristo, e il Dio a cui io faccio riferimento è il Dio dell’Antico Testamento e quindi concetti come colpa, peccato e male hanno nel romanzo risuonano al lettore in un modo diverso. Sono, se posso usare un termine, più tragici e originari. Hanno qualcosa che riguarda le scaturigini più profonde nel nostro essere umano.

Altrettanto fondamentali sono state per me le opere di De Sade. Dell’opera del marchese mi interessava soprattutto il trattamento dei corpi. Ovvero mi pare che in De Sade, so che sto semplificando, ma mi si perdonerà, c’è in germe l’idea del corpo asservito a una idea, anzi meglio ancora una ideologia, che è poi quello che sottolinea Pasolini – altra fondamenta del mio testo – in Salò. A me interessava questa ipotesi di corpi che passivamente diventano un luogo dove una ideologia si incarna e fa male.”

Leggi l’intervista di Chiara Pasin a Demetrio Paolin su Conforme alla gloria

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Appunti su “La zona di interesse” di Martin Amis

10 novembre 2015

di Demetrio Paolin

copj170.aspLa zona di interesse di Martin Amis (Einaudi, traduzione di Maurizia Balmelli) è a tutti gli effetti un romanzo ottocentesco. Sembra, leggendo queste pagine, di rivedere certi passaggi e certe atmosfere di Thomas Hardy o almeno così è parso a me nei giorni in cui avevano in mano il romanzo e cercavo di trovare il modo migliore per parlarne. Il libro narra la storia di un corteggiamento, tra un uomo Golo e la bella donna sposata, Hannah; al loro amore e relazione si oppone il marito di lei Paul. Il romanzo è il resoconto del progressivo avvicinarsi dei due amanti, della loro tragica separazione e del loro crepuscolare incontro anni dopo, con un finale che lascia aperta la possibilità che la storia d’amore possa in qualche modo compiersi. Ovviamente questo è l’osso della storia, che Martin Amis, però, ambienta ne La zona di interesse ovvero il lager di Auschwitz.

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“Ranocchi sulla luna e altri animali” di Primo Levi.

5 Maggio 2015

di Luigi Preziosi

“Primo Levi è uno scrittore di racconti. Il suo primo libro Se questo è un uomo, pubblicato nel 1947, è composto di brevi racconti racchiusi entro una doppia cornice: tematica, la testimonianza, e narrativa, l’inizio e l’epilogo della sua vicenda concentrazionaria /…/Anche La tregua, la storia del suo viaggio di ritorno, è costruita attraverso una serie di quadri successivi disposti in una sequenza temporale e spaziale ed è, a suo modo, un libro di racconti”. Così Marco Belpoliti, nel suo saggio introduttivo all’einaudiana Tutti i racconti del 2005. L’inclinazione per il genere è del resto denunciata dallo stesso autore come necessità di corrispondere all’ “intuizione puntiforme” che guida la misura breve del narrare, cioè, sempre secondo Belpoliti, quella “capacità di far nascere la narrazione a partire dai dettagli, particolari, punti attorno a cui si raggrumano e si dipanano storie”.

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La formazione dello scrittore, 23 / Roberto Deidier

6 novembre 2014

di Roberto Deidier

[Questo è il ventitreesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice. Le due serie escono, ormai un po’ come viene viene, il lunedì e il giovedì. Ringrazio Roberto per la disponibilità. gm]

di Roberto Deidier

Si forma, uno scrittore? E come? Ci sono modi che possiamo riconoscere o condividere? Certo non ci sono modi standard. Forse ce ne sono stati in passato, quando la poetica non era un’opzione ma una norma; lo scrittore moderno, al contrario, ha saputo conquistarsi una dose di libertà, sufficiente per affrancarsi da imposizioni e diktat d’ogni genere. Cosa abbia saputo fare di questa libertà, com’è ovvio, diventa un altro discorso. Resta che a ciascuno sono spettati i modelli e le letture, in cui si è imbattuto quasi sempre per caso.

Per me, come per tanti altri, la scuola è stata un’occasione importante. Non solo quella del liceo, che mi ha messo in contatto con i classici, ma quella primaria, con le filastrocche e le poesie del sussidiario. E con un maestro che ci metteva sotto gli occhi gli antenati di Calvino e i personaggi impronunciabili delle Cosmicomiche: vero carburante per l’immaginazione di ogni bambino. Gli infiniti di Leopardi erano già dietro la porta. Ma ricordo, tra i soliti poeti delle elementari (Pascoli e Ungaretti furoreggiavano nei libri di testo), Prévert, con una curiosa poesia, la prima lunga poesia che mi fu chiesto di mandare a mente. Non ne so più un verso: s’intitolava Per fare il ritratto di un uccello e suggeriva, per la riuscita dell’impresa, di cominciare dal disegno di una gabbia, per poi rappresentare l’uccello con le piume colorate; infine si doveva cancellare la gabbia. Strana e bella allegoria della scrittura che tenta di imprigionare il mondo, e poi ne apre tanti altri più ampi, ma allora non potevo saperlo e pure se lo avessi saputo non lo avrei compreso. Così cominciavo a scrivere senza capire quello che stavo facendo: la gabbia era diventata la mia stanza, ascoltavo i muri, la loro vita interna fatta di tubi e suoni misteriosi e appuntavo queste sensazioni in un quaderno che finì perso da un trasloco all’altro.

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Non fate troppi pettegolezzi

6 febbraio 2014

di Demetrio Paolin

[esce oggi nelle librerie un mio piccolo saggio dal titolo Non fate troppi pettegolezzi (LiberAria). Il libro è una sorta di escursione nei testi di quattro autori a me molto cari (Salgari, Pavese, Levi e Lucentini) e nella città dove loro hanno vissuto (Torino). Oggi alla Feltrinelli di Torino, piazza CLN, alle 18 lo presenterò insieme a Alessandro Perissinotto. Di seguito l’incipit del capitolo su Primo Levi. dp]

copertinaSono a Berlino. Nelle stanze del Museo Ebraico non c’è nessuno. Sono sceso nel piano interrato, tutto è nero e bianco. Cammino per un corridoio detto “dell’Olocausto”. Sono vestito leggero, una camicia e un paio di pantaloni. Arrivo alla fine di questo lungo camminamento e trovo una porta. Spingo il maniglione rosso e sono ai piedi di una torre. È buia e fredda. Il pavimento è di terra battuta. Non c’è luce se non da una fessura posta in alto: indovino il cielo grigio carico di neve. La porta dietro di me si chiude, fa un tonfo che riecheggia per l’altezza, che pare infinita, della torre. Il freddo mi assale di colpo, mi aggredisce come i cani di una muta; la paura diventa qualcosa di concreto e antico; è come se il mio corpo ricordasse. Non è una memoria recente, bensì qualcosa che è inscritto nella mia carne, nelle cellule del mio corpo, è qualcosa di primitivo. È la paura assoluta, quella che provarono i miei antenati nel buio della caverna; è quella che provò Adamo dopo che ebbe mangiato la mela. La paura viene dal freddo e il freddo viene dal male, che ci fa sentire nudi.

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L’esilio in una camera d’albergo. Appunti su Norman Manea

31 Maggio 2012

di Demetrio Paolin

Seduto allo stand della Romania, penso a Duckadam.
In realtà aspetto Norman Manea per parlare con lui dei suoi nuovi libri, ma la mia testa mentre lui non arriva ritorna a quel portiere magro e grandissimo, uno dei migliori, che nella finale della Coppa dei Campioni parò quattro rigori, facendo vincere la competizione allo Steaua di Bucarest. Era il 1986, i giocatori erano molto magri e longilinei, il calcio era più lento, meno muscolare e chiunque, io per primo, guardandolo dalla televisione si illudeva che un giorno ci sarebbe stato posto anche per lui.

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La nostra testimonianza è veleno

27 gennaio 2012

di Demetrio Paolin

[Nella finzione del romanzo che sto scrivendo, questa lettera viene scritta da Enea, ex deportato, a Bruno Vasri, ex deportato e presidente dell’Aned (Associazione nazionale ex deportati), nel giorno della morte di Primo Levi, ex deportato. dp]

Caro Bruno,
oggi, uscito dal negozio, ho camminato senza una meta precisa e son finito in piazzetta Bodoni. Lì vicino a pochi passi c’è casa tua. E io avevo una voglia matta di salire e stringerti le mani, di abbracciarti con quell’amore che solo noi possiamo darci. Ho pensato di fare i pochi passi che mi dividevano dal tuo portone e suonare al campanello. Sentirne il suono e poi la voce di tua moglie che mi dice di salire.

Perché hai deciso di sposarti, Bruno? E Primo o Bepi? Perché vi siete sposati e avete avuto figli, dopo quello che ci è stato fatto? Certe volte quando ci incontriamo di questo dovremmo parlare; del dopo. Di quando tutto si è calmato, come il corpo alla fine di uno sforzo, e siamo tornati alle nostre case. Dovremmo parlare di come siamo tornati alla vita usata. Io, ad esempio, che ho patito come voi la fame, sono tornato schifiltoso tanto da togliere la pelle del latte, quando mi dimentico il pentolino sul fuoco e si crea patina spessa che proprio non sopporto.
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