Posts Tagged ‘Plotino’

Come sono fatti certi libri, 15 / “Hypnerotomachia Poliphili”, di Francesco Colonna

12 agosto 2017

di Luca Tassinari

[In questa rubrica vorrei pubblicare descrizioni, anche sommarie, di libri che – al di là della storia che raccontano o del tipo di scrittura – presentano una “forma” un po’ particolare, o magari bizzarra. Che cosa io intenda qui per “forma” mi pare, ora che ci sono quindici articoli pubblicati, piuttosto evidente. Chi volesse contribuire si faccia vivo in privato (giuliomozzi@gmail.com). gm].

Hypnerotomachia Poliphili, ovvero La battaglia d’amore in sogno di Polifilo, è un romanzo quattrocentesco, per quello che può indicare l’etichetta “romanzo” a quell’altezza cronologica. Il libro è comunemente attribuito a Francesco Colonna, frate domenicano probabilmente originario di Treviso, a lungo iscritto nei capitoli del convento dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia, vissuto tra il 1433 e il 1527. L’attribuzione è stata oggetto di lunghe controversie non so fino a che punto sopite ai giorni nostri. L’attribuzione al frate Colonna è fondata su numerosi argomenti fra i quali il più curioso è il fatto che le lettere iniziali dei trentotto capitoli sono un acrostico che forma la frase «Poliam frater Franciscus Columna peramavit» («Fra’ Francesco Colonna amò intensamente Polia»).

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La formazione del fumettista, 3 / Paolo Martinello

11 novembre 2014

di Paolo Martinello

[Questa è la terza puntata della rubrica dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti, che esce in vibrisse il martedì. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Paolo per la disponibilità].

paolo_martinelloLa bellezza. Ci sono alcuni che dicono si tratti di una questione matematica, di calcolo e pianificazione. Io stesso all’Accademia di Venezia ho citato Aristotele, Plotino, Dionigi l’Aeropagita con la sua Gerarchia Celeste per superare alcuni esami di Estetica. Il calcolo, la razionalità, la struttura degli angeli: siete cose estranee alla mia esistenza. E non lo dico per diffidenza o peggio per blasfemia. Non l’ho mai trovata là, dove i libri di filosofia mi dicevano che fosse.
Il lavoro del disegnatore di fumetti è difficile, chi non lo fa non riesce ad immaginare quanto. E’ un lavoro solitario e bisogna sempre essere sospesi in una sorta di annullamento autoindotto per riuscire a produrre la dose quotidiana di vignette e pagine. Gli altri non esistono, il tempo non esiste, quando si disegna. Si è li, in questa specie di luogo bizzarro, dove accade di tutto senza che nulla di ciò che succede, esista. Dietro un muro. Il privilegiato o i privilegiati che abitano questa città, hanno il dovere di descrivere ciò che vedono agli altri, a chi poi ne leggerà.
Lavorare, fare i muscoli, una vita per raggiungere l’obiettivo di sparire, perché questo è quello che succede, quando fai questo lavoro.
Penso che se questo è vero, oggi posso finalmente credere che fosse inevitabile per me fare il disegnatore di fumetti. Da piccoli si legge di nascosto, si disegna di nascosto a scuola e si cerca, lontani dagli occhi dei propri genitori, di rendere questo “nascondersi” così speciale, lo scopo della propria vita. In qualche modo, l’occultare me stesso agli occhi degli altri attraverso lo studio e la ricerca ossessivi del disegno e della narrazione attraverso immagini in sequenza, più che una “condizione attraverso la quale”, nel mio caso è in parte anche lo “scopo”, e solo pensando alla mia formazione riesco a capirlo.

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La conoscenza simbolica / 1

22 marzo 2013
René Magritte, Gli amanti.

René Magritte, Gli amanti.

di Valter Binaghi

La seconda parte è qui.

1) L’approccio epistemologico – L’eccezionalità della metafora

Nei confronti di ciò che pertiene a simboli, metafore e analogie (che provvisoriamente considereremo non come sinonimi ma, diciamo, come membri di una stessa famiglia) esiste, ed è molto diffuso, un approccio che si potrebbe definire “retorico”, secondo cui non si tratta di forme di conoscenza, ma solamente di espedienti che servono ad illustrare ciò che potrebbe essere detto in termini più rigorosi: un discorso “ornato” insomma, a scopo per lo più pedagogico o persuasivo, dove si tratta più di abbellire che di rivelare. Se mi permettete, trascurerò del tutto questo approccio, perchè la premessa da cui muove il presente testo è di tutt’altro tipo: simboli, metafore e analogie hanno un valore di conoscenza, laddove i concetti risultano indisponibili o inadeguati.
Potremmo definire questo secondo approccio “epistemologico” in quanto pone il simbolo al servizio del sapere, anche se ne fa una funzione di supporto rispetto a quella che del sapere resta la forma primaria e preferibile, cioè la conoscenza concettuale. Questo approccio, che da un certo momento in poi diventa egemonico nella cultura occidentale, è riassunto molto bene da Tommaso d’Aquino (XIV secolo): “…la conoscenza poetica si occupa di ciò che non può essere colto dalla ragione per difetto di verità, pertanto accade che la ragione venga guidata da alcune similitudini; la teologia, d’altra parte, si occupa di ciò che è superiore alla ragione. Pertanto, giacché nessuna delle due è proporzionata alla ragione, hanno in comune la modalità simbolica”(1)
Sembra che per Tommaso il simbolo abbia sì diritto di cittadinanza nell’ambito del conoscere, ma solo nei territori di confine: l’ineffabile dei sentimenti, troppo viscerali per giungere al pensiero, o la trascendenza di Dio, che eccede la misura del concetto umano. Per tutto il resto, vale a dire la conoscenza della natura e le costruzioni culturali, la rappresentazione concettuale basta a sè stessa.
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