Posts Tagged ‘Paolo Nori’

Dieci cose che sono diventate banali nella narrativa contemporanea

15 gennaio 2016
Ho detto banale, non banane!

Ho detto banale, non banane!

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La formazione dell’insegnante di lettere, 5 / Giovanni Accardo

3 dicembre 2014

di Giovanni Accardo

[Questo è il quinto articolo della rubrica La formazione dell’insegnante di Lettere, che si pubblica in vibrisse il mercoledì. Gli insegnanti che volessero partecipare possono scrivere al mio indirizzo, scrivendo nella riga dell’oggetto: “La formazione dell’insegnante di lettere”. Ringrazio Giovanni per la disponibilità. gm]

Giovanni_AccardoSono cresciuto in un minuscolo paesino della provincia di Agrigento, Villafranca Sicula, dove non c’era né una libreria né una biblioteca. Nonostante i miei genitori fossero entrambi maestri elementari, per casa non giravano molti libri. Mia madre è stata per tanti anni insegnante di scuola materna, impegnata soprattutto a crescere me e mia sorella. Mio padre divideva il suo tempo libero tra il calcio e il poker, però aveva anche una grande passione per la politica, perciò non perdeva un telegiornale, sia a pranzo che a cena, e leggeva i giornali. Così, a tredici anni (nel frattempo in paese avevano aperto un’edicola), incominciai a leggere i giornali e ad interessarmi di politica: ricordo perfettamente i comizi per le elezioni regionali del 1975. Il mio futuro era stato già deciso: avrei fatto il medico, per diventare ricco ed essere rispettato in paese. Avrei studiato a Roma o in una città del Nord. Così aveva stabilito mio padre. Ho frequentato il liceo classico, ma di cultura classica ne ho respirata davvero poca, parte per colpa mia, parte per colpa degli insegnanti: freddi, distanti e autoritari. Della maggior parte di loro non ricordo neppure il nome. Della scuola, a dire il vero, non me ne importava molto, in testa avevo soprattutto le ragazze, la musica rock e la politica. In quarta ginnasio faticavo a parlare e scrivere in lingua italiana, la mia lingua madre era il dialetto siciliano, i miei compagni di gioco erano per lo più figli di pastori e di contadini. Al ginnasio, la gran parte dei miei compagni di classe, alcune ragazze in particolare, parlavano un buon italiano e mi mettevano soggezione. Avevo quattro nello scritto, ma mi tiravo su con l’orale, grazie all’ottima memoria e alla voglia di non sfigurare, nonostante la mia paralizzante timidezza. Di studiare, però, non m’importava nulla. Guardavo le ragazze e sognavo la mia prima esperienza sessuale. Alla fine dell’anno scolastico, la professoressa di lettere disse che non mi rimandava perché andavo bene nell’orale ed ero molto educato, però durante l’estate dovevo leggere e prenderla come abitudine, perché avevo pochissimo lessico e una fantasia limitata. Non mi disse né cosa leggere né dove prendere i libri. In paese l’unico che leggeva e che possedeva una biblioteca era il prete, andai a chiedere consiglio a lui. Mi fece abbonare al Club degli Editori, che ogni mese mi spediva un libro a casa. Ma l’unica cosa che continuava ad appassionarmi erano i giornali, leggevo “Paese Sera”, “La Repubblica”, “L’Espresso”, “Ciao 2001”. Al prete rubai due libri di Marcuse: L’uomo a una dimensione e L’autorità e la famiglia, che lessi l’ultimo anno di liceo e che mi furono utilissimi per il tema della maturità, soprattutto il primo, citato a piene mani. Ogni tanto mio padre portava un libro a casa, prestato da chissà chi, fu così che lessi Padre padrone di Gavino Ledda, Giovanni Leone: la carriera di un presidente di Camilla Cederna, Arcipelago Gulag di Solženicyn, Il giorno della civetta, Dalle parti degli infedeli e L’affaire Moro di Sciascia; di quest’ultimo ci capii davvero poco, nonostante avessi seguito il sequestro Moro sui giornali e alla televisione. Cosa cercavo in quei libri non saprei dirlo, forse la voglia di crescere. Invece so benissimo cosa cercavo nei libri della beat generation, la vera scoperta letteraria che segnò la mia adolescenza, grazie all’amicizia con un giovane del paese di dieci anni più grande di me e che era andato a vivere a Londra: la voglia di scappare. Quando lessi Sulla strada di Jack Kerouac, nell’estate del 1978 o del 1979, capii che da quel paese e dalla Sicilia dovevo andar via. Ci sarà poi un tragico avvenimento personale che nel 1980 confermerà e aumenterà questo desiderio di fuga.

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La formazione della scrittrice, 7 / Roberta Pilar Jarussi

24 febbraio 2014

di Roberta Pilar Jarussi

[Questo è il settimo articolo di una serie che spero lunga e interessante. Chi volesse proporsi – come ha fatto Roberta – mi scriva mettendo nell’oggetto le parole “La formazione della scrittrice”. gm]

roberta_pilar_jarussiHo imparato a scrivere come un gioco. Sulle ginocchia di mia madre, a tre anni. Una madre rigorosa e colta, senza carezze e senza baci, ‘anziana’ già alla mia nascita. Che però aveva, ed ha, una grande passione per le parole, dedizione che conserva anche adesso, che, quasi cieca, non può più leggere, neanche scrivere.
Le parole che mi insegnava erano solide, rotonde, erano di carne, erano mani addosso, conforto. Erano una promessa di felicità, sinché durava.

Capannuccia. Tavolino. Pettine. Pettinino rotto.
Imparavo a scrivere a stampatello. Dei disegnini, le lettere.
La A era la Capannuccia. La T, un Tavolino, qui la lettera coincideva con l’iniziale del disegnino, e facilitava le cose. La E era il Pettine. La lettera F, il Pettinino rotto, sdentato sotto. È chiaro, no? E poi l’H, che non ho mai chiamato ‘mutina’. Non era affatto muta, quell’acca. Era dura, respingente. Era un Portone chiuso.
La P, un Pancione, un po’ asimmetrico e sbilanciato, mi è sempre parso.
La B. Un Doppio pancione.
La C, l’Abbraccio che tanto volevo.
C’era un disegno preciso per ogni lettera.
A botta di immagini componevo parole. Ero veloce ad apprendere.

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Illeggibilità (inscrivibilità)

5 dicembre 2010

di Paolo Nori

[dai Pubblici discorsi di Paolo Nori estraggo il discorso intitolato Comandano loro. gm]

Avrei forse dovuto parlare di un libro di Alessandro Bausani, Le lingue inventate, che è uno dei libri che ho letto quando ho fatto la tesi.
Quando fai la tesi è un periodo che leggi dei libri che non avresti mai letto, se non facevi la tesi.
Io, per esempio, ho letto dei libri di psicologia della fine dell’ottocento di ambiente anglosassone, A New Era of Thought, di James Howard Hinton, un libro che è una specie di manuale con degli esercizi che, secondo Hinton, se li avessero fatti fin da piccoli i bambini si sarebbero accorti che il mondo non è, come pensavano i loro genitori, tridimensionale, è tetradimensionale, ha quattro dimensioni, un libro che Hinton appena finito di scriverlo era dovuto scappare dall’Inghilterra, una fuga misteriosa, che ha fatto scrivere a Borges che si era forse suicidato, invece Hinton era fuggito da una condanna per bigamia e era finito prima a Singapore, se non ricordo male, e poi negli Stati Uniti, dove aveva inventato una macchina per allenare i battitori di baseball, una specie di cannone che sparava le palle fortissimo, e dove poi era morto ad un pranzo dopo aver fatto un brindisi al genere femminile e io mentre facevo la tesi, che era una tesi che si intitolava La lingua nella quarta dimensione, ho letto tutti i suoi libri, di Hinton.
E ho letto anche il libro di Alessandro Bausani, Le lingue inventate, e anche The Cosmic Consciousness, di Raymond Maurice Bucke, presidente dell’associazione degli analisti nordamericani, morto in Canada davanti a casa sua una notte che ghiacciava scivolando sulla veranda e picchiando la testa, un libro che diceva che era imminente la comparsa dell’uomo cosmico, che era già apparso sporadicamente nel corso dei secoli precedenti.

Leggi tutto il discorso

Una lettera e un articolo, seguiti da una conversazione

1 luglio 2010

Cari lettori,
Gli scrittori Einaudi firmatari di questa lettera si associano alla protesta di gran parte dei cittadini italiani contro il disegno di legge “bavaglio” che intende limitare l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine, il diritto di informazione e la libertà di stampa nel nostro paese.
Questa legge, millantando di proteggere la privacy di molti, vuole salvaguardare l’impunità di pochi, stendere un velo di segretezza sulla criminalità organizzata e, contemporaneamente, reprimere ogni voce di dissenso.

Francesco Abate; Niccolò Ammaniti; Andrea Bajani; Eraldo Baldini; Giulia Blasi; Ascanio Celestini; Mauro Covacich; Giancarlo De Cataldo; Diego De Silva; Giorgio Falco; Marcello Fois; Anilda Ibrahimi; Nicola Lagioia; Antonella Lattanzi; Carlo Lucarelli; Michele Mari; Rossella Milone; Antonio Moresco; Michela Murgia; Aldo Nove; Paolo Nori; Giacomo Papi; Laura Pariani; Valeria Parrella; Antonio Pascale; Francesco Piccolo; Rosella Postorino; Christian Raimo; Gaia Rayneri; Giampiero Rigosi; Evelina Santangelo; Tiziano Scarpa; Elena Stancanelli; Domenico Starnone; Benedetta Tobagi; Vitaliano Trevisan; Simona Vinci; Hamid Ziarati; Mariolina Venezia.

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I miei migliori auguri

28 gennaio 2010

di giuliomozzi

Paolo Nori

Dentro la Repubblica delle lettere si fa un gran parlare, in questi giorni, di una certa faccenda. La faccenda è che Paolo Nori, scrittore riputato di sinistra, ha cominciato a scrivere per Libero, quotidiano indubbiamente di destra. Dentro la Repubblica delle lettere la faccenda ha fatto un certo scandalo: il quotidiano il manifesto, addirittura, ci ha dedicato una pagina intera un giorno, una pagina intera un altro, e una terza pagina intera quest’oggi. L’aspetto più divertente di questa faccenda è che Paolo Nori, avendo discusso privatamente di questa sua scelta con Andrea Cortellessa, critico letterario riputato anch’esso di sinistra, ha proposto allo stesso Cortellessa di fare un dibattito pubblico – che si è fatto, a Roma, alla libreria Giufà, il 19 gennaio scorso – e il quotidiano Libero, quello sul quale ha appunto cominciato a scrivere Paolo Nori, ha presentato il dibattito come “una cialtronesca iniziativa nella quale si voleva mettere al rogo Paolo Nori”: dando così a intendere che Paolo Nori, scrittore di sinistra collaboratore dello stesso Libero, sarebbe uno che mette su un’iniziativa cialtronesca per mettersi sul rogo da solo. La cosa interessante è che dopo questa pesante opera di disinformazione fatta da Libero sul conto di Paolo Nori, Paolo Nori – se ho ben capito – non ha cambiato la sua decisione di scrivere in Libero. A questo punto mi vien da pensare che se uno scrittore di sinistra decide di scrivere su Libero, e insiste nella decisione anche quando Libero fa disinformazione su di lui, le possibilità sono tre: o questo scrittore è un santo, o è più furbo che santo, o è più coglione che furbo. Trattandosi di Paolo Nori, propendo per la prima opzione, e gli faccio i miei migliori auguri per il suo viaggio in partibus infidelium.

Un articolo di Paolo Nori su questa faccenda. Le pagine del manifesto su questa faccenda. Un articolo di Andrea Inglese in Nazione indiana su questa faccenda. Argomenti connessi: Pubblicare per Berlusconi?, di Helena Janeczek ; La scomparsa dell’alterità, di Tiziano Scarpa.