Valter Binaghi, La musica, simbolo del creato
Nell’universale declino (e insipienza) delle arti rappresentative la musica, sola tra le arti, sa ancora parlare al cuore dell’uomo e se letteratura persiste nonostante tutto è perchè ne è ineliminabile la componente musaica, cioè la nuda voce umana, anche se convertita in grafema, anche se sono parole gridate nel deserto. Infatti la parola non sorretta da autentica voce cantante o narrante è vuota spoglia di manuale tecnico, puro spartito per esecuzioni o best-seller confezionati direttamente in un ufficio editoriale.
E’ dubbio che sia stato l’uomo a inventare la musica o la musica a risvegliare l’uomo a se stesso, attuando la sua più pura espressività. Forse fu questo il segreto del linguaggio adamitico, che andò non distrutto ma frantumato nella superbia di Babele, dove qualcuno pensò di non custodire più l’armonia ricevuta ma di ricrearla secondo la propria “ratio”, per farne uno strumento di potere anzichè il dono di una bellezza condivisa.
Eppure ancora accade, accadrà sempre, finche Dio non si sarà stancato di richiamare l’errante. La musica è come una polla di acqua sorgiva che ti si apre nel prato. Non puoi aprirla da solo, neanche con il talento esercitato, perchè accada occorre che qualcuno insieme a te la veda e facciate la cosa più semplice al mondo: berla. Che sia un trio jazz dei più sfigati, una rock band o un orchestra da camera non è così importante. Può pure essere uno strumento solo, ma se incontra la sete dell’Altro alla polla ci si abbevera insieme..
La musica va oltre il corpo e la psiche anche se le attraversa entrambe per rivestirsene, ma nell’attimo dell’esecuzione la musica si lascia dietro il puro suono e il significato immaginario perchè essa è attratta dal sentimento della Pura presenza, è memoria vivente dell’origine, e solo in quel punto inesteso può trovare il suo seme germinale. Questa consapevolezza spazia dai miti più ancestrali, ai complessi sistemi induisti e cinesi, e trova la sua eco nel più misterioso mito greco: quello di Orfeo, prima che Pitagora provasse a desumerne una filosofia di vita.
C’è qualcosa di meglio della musica per alludere al simbolo? Si attua in una risonanza (il simbolo è riconosciuto, allude ad altro e deve “combaciare”), suggerisce armonie complesse che ne rendono più esplicite le proporzioni e le trasferibilità, e soprattutto riporta il sentimento a una purezza che lo rende capace di mutazione, metamorfosi. Se la direzione è l’altezza, può elevarti a quell’integrità della Forma secondo cui Dio non smette mai di crearti. Perchè per alcuni è così difficile accorgersidi questo dono così largamente offerto agli uomini?