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E’ così che mi sono sbarazzato di lui / Nicola D’Attilio

25 luglio 2015

di Nicola D’Attilio

[Intervento tratto dal libro Se incontri Giulio Mozzi per la strada uccidilo].

Nicola D’Attilio ha pubblicato Una famiglia imperfetta, San Paolo Edizioni 2015.

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Sentite, vi confesso una cosa: ho chiuso con Giulio Mozzi. Me lo sono gettato alle spalle. Sono andato avanti.
Lo so, lo so: non è credibile. Giulio Mozzi compare nei ringraziamenti del romanzo, già. Al primo posto? Ma sì, tra i primissimi, diciamo.
E nelle note biografiche? Pure.
E ancora: ho parlato di lui nell’unica intervista (una cosa rara, l’intervista, non io che parlo di lui).
Ma è proprio per questo che dovevo, capite?
Non sono un ingrato, so che gli devo molto, se non tutto, ma non è così che si diventa grandi? Si prova ad andare oltre, a mettere a frutto tutti gli insegnamenti, a rischiare di tasca propria, che quando cadi stavolta la facciata la senti tutta e non puoi più incolpare altri al posto tuo.
Arriva un momento in cui il figlio decide di andare a vivere da solo. Se se lo può permettere, certo. Se trova un posto dove vivere. Se… vabbè, basta se. Era il momento di andare. Perché diciamocelo: Giulio Mozzi per me era una presenza davvero ingombrante.
Quando l’ho capito, dite? Lo ricordo bene: era da poco passato il weekend conclusivo della Bottega ed ero stato contattato dalla ALI, l’Agenzia letteraria internazionale. Con Giulio decidemmo di fare un ultimo editing del testo, una sorta di pulizia globale prima dell’invio all’agenzia. Mi buttai a capofitto a fare le modifiche concordate, poi Giulio fece altrettanto e, via posta ordinaria, mi rispedì il plico.
Che non arrivò.
Giorni di terrore, e fiducia in calo nelle poste italiane.
Ma Giulio è Giulio. E me lo rispedì (versione fotocopiata), con un altro plico.
Che non arrivò.
Il rapporto tra me e le poste italiane non fu più lo stesso.
Non potevo andare avanti da solo. Senza le correzioni di Giulio sarebbe stato un disastro: se il plico non veniva a me, potevo sempre andare io al plico. Così presi un treno per Milano e incontrai Giulio per ottenere quel tesoro inestimabile: l’editing di Giulio Mozzi.
Metà.
Metà?
Non aveva altre fotocopie. Aveva ricopiato tutto a mano una seconda volta e non era riuscito a finire. L’altra metà sarebbe arrivata la settimana successiva.
Non arrivò.
Ma ci sentimmo al telefono e ricevetti parole di conforto e fiducia circa la direzione intrapresa.
Ma parole di conforto e fiducia non sono un editing. E io come facevo?
Potevo farcela da solo?
Io?

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Se incontri Giulio Mozzi per la strada uccidilo (finalmente)

21 luglio 2015

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Libri di Bottega (con tutti i nostri auguri)

28 Maggio 2015
Scritti nella Bottega di narrazione. Pubblicati in questi giorni. Clicca per leggere le recensioni

Scritti nella Bottega di narrazione. Pubblicati in questi giorni. Clicca per leggere le recensioni

“Una famiglia imperfetta” a Genova, il 7 aprile

31 marzo 2015

Martedì 7 aprile alle ore 18, a Genova presso la Libreria Feltrinelli di via Ceccardi 16r, si presenta al pubblico il romanzo d’esordio di Nicola D’Attilio, Una famiglia imperfetta (scheda) (evento).

“Prendi una tizia che è stata con un ragazzo per un’infilata di anni e viene mollata nel peggiore dei modi. Immagina che si ritrovi poi a letto con un tipo che le ha ammazzato il cane. Cioè, non è che lo ha ammazzato, però certo ne ha causato la morte. Canicidio colposo, diciamo. Aggiungici che il Colposo ha un amico che si tiene in casa una capra che mangia i tappeti e lei, la tizia, ha una sorella che non si sa bene come definire. Allegra? Diciamo allegra.
Pensa poi che lei – quella mollata – rimane pure incinta di questo assassino di cani che ha visto due volte nella vita (una per il cane, l’altra per tutto il resto).”

Da qui comincia il romanzo (scritto nel corso della Bottega di narrazione), e poi procede scoppiettante: con autentici personaggi da commedia, dilemmi morali da risolvere, colpi di scena grandi e piccoli. Una famiglia imperfetta è una lettura piacevole e istruttiva; Nicola D’Attilio ha il raro dono della scrittura brillante anche nelle situazioni più umanamente serie.

E, lo vedi, è la vita:

2 Maggio 2013

di Nicola D’Attilio

[Questo è un estratto dal romanzo in corso d’opera con cui partecipo alla Bottega di narrazione 2012-2013. I protagonisti sono Clelia e Diego, due trentenni che dopo essersi conosciuti casualmente (lui le investe il cane, uccidendolo), hanno un rapporto occasionale durante il quale concepiscono un bambino. Nessuno di loro vuole questa gravidanza o tantomeno una relazione, al contrario dei rispettivi amici e parenti che, per motivi differenti e più o meno egoistici, tentano di convincerli a portare avanti la gravidanza e comporre una famiglia “tradizionale”. Nel capitolo proposto, Clelia, convinta dalla sorella (Margherita) incontra Diego per comunicargli la notizia della gravidanza e l’intenzione di interromperla. Al solito, osservazioni, opinioni e consigli sono bene accetti. nd]

«Clelia!»
Clelia fu sorpresa da una voce alle spalle; la riconobbe senza fatica nonostante fosse ormai lontana settimane. Si voltò e lo vide: il padre biologico era lì, a pochi metri, ignaro di tutto. Avanzava con passo disinvolto, stretto in una giacca di pelle nera con collo alla coreana, jeans slavati e scarpe da passeggio che lasciavano intravvedere, con studiata noncuranza, un prezioso baffo rosso sulla linguetta.
Un nodo le aggrovigliò lo stomaco. Gli andò incontro.
«Scusa per il ritardo. È tanto che aspetti?» disse Diego, sfiorandole la guancia con un bacio. Il profumo dell’uomo le solleticò le narici.
«No, figurati».
In realtà, colta dal solito timore di arrivare tardi, Clelia aveva raggiunto con abbondante anticipo Piazza delle Erbe, nel cuore del centro storico. Non si era però dispiaciuta dell’attesa, sia perché l’idea di ogni secondo sottratto all’incontro la tranquillizzava, sia perché quel tempo da sola le aveva permesso di apprezzare i vicoli al tramonto, quando il via vai frenetico delle persone è ovattato dalla penombra rosata e passando davanti ai locali si è coinvolti dagli odori di farinata e focaccia per l’ora dell’aperitivo. Le piaceva girare per i vicoli, nonostante non ci andasse mai e quella presa di coscienza le gettò addosso una sensazione di panico, di definitivo rimpianto. Fissò l’orologio posto sulla facciata del palazzo antistante: erano quasi le sei e mezza e si sentì già stanca.
«L’aspetto è invitante» disse Diego, e con un cenno della testa indicò un locale i cui tavoli occupavano una parte della piazza «se però ti va di fare due passi, ne ho in mente uno un po’ più carino».
Clelia annuì con un sorriso. Sentì la mano sinistra di Diego posarsi con grazia sul suo braccio destro. Superarono Palazzo Ducale e Piazza Matteotti, pronti a gettarsi in quel dedalo di vicoli alle spalle della Cattedrale che Clelia non avrebbe mai saputo dipanare da sola.
«Sei silenziosa» disse Diego.

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