Valter Binaghi, Prima del giorno
Se avesse memoria ci sarebbe tempo, se avesse desideri ci sarebbe spazio (la distanza tra il cuore e le membra è già un lungo viaggio) se avesse coscienza ci sarebbe sogno (nel sogno s’intesse pian piano, con mani ciecamente sapienti, il destino). E invece, niente di tutto questo.
L’Essere dorme ignaro di sé e di ogni altra cosa, nella soffice tenebra di un punto inesteso, pura promessa dell’universo mondo.
Domani si desterà a se stesso, e sarà la luce del pensiero.
Sollevando il capo, scorgerà i suoi piedi. Così saranno separati cielo e terra.
Protenderà le mani, brancicando nel vuoto. Ecco il sospiro del vento a svelare la distanza, mentre l’enigma delle stelle indicherà la meta.
Piangerà, ripensando alla beata autarchia perduta per sempre. Così sgorgheranno le acque placide dei fiumi e le rapide tumultuose, colmando gli oceani vasti e silenti.
Il cuore in subbuglio esploderà gemiti in libertà. Sarà il poema verticale degli alberi, e la narrazione incerta, belante o ruggente, della lunga famiglia animale.
Finalmente l’offerta del seno: la dolcezza della carne e l’umana compagnia, pace fatta con la vita.
E’ così che ad ogni nascita si ripete l’eterna vicenda della creazione.
Anche a lui accadrà tutto questo, ma non ora. Lasciate che germogli ancora un poco, nell’ignoranza che lo custodisce, un giorno solo, un giorno appena, finchè la lunga nota che vibra nella carne cessi di cullarlo, e il mondo come un vecchio ammutolito reclami da lui, per rivivere, una parola nuova.