di Demetrio Paolin e Giulia Blasi
Quella che segue è una conversazione sul sé in letteratura a margine di eventi realmente accaduti
D: Ieri sui social e in televisione si è parlato di Mauro Corona e della sua folle corsa per inseguire alcuni ragazzi, colpevoli di avergli “vandalizzato” casa. Al di là dei risvolti più politici, che sono stati montati – diritto di legittima difesa, la violenza gratuita, ecc. – c’è una cosa che mi interessa, ed è legata al mio primo pensiero quando ho letto la notizia. Ho pensato: “Sarebbe un’immagine perfetta di un romanzo di Corona”. Mi spiego: quello che mi è stato raccontato sul giornale l’avrei trovato comprensibile e pure “divertente” in una sua storia, perché coerente con quello che lui ha sempre narrato, con quello che lui ha costruito come immaginario che sottende ai suoi testi. Il problema qual è? Che in questo caso non siamo in un romanzo, ma l’inseguimento, l’ascia, i ragazzi sono reali e accaduti. E così vengo alla mia prima riflessione: esiste un momento in cui lo scrittore smette di essere percepito come tale e diventa una cosa sola con le cose che scrive. Questo cortocircuito è pericoloso sia quando avviene nella mente del lettore, sia quando – come in questo caso – avviene nella mente dell’autore. Io ho avuto l’impressione che Corona abbia agito pensando a come si sarebbe comportato “Mauro Corona” scrittore e inventore di storie. C’è un bisogno diffuso, mi pare, di confondere chi scrive con cosa scrive. La letteratura diventa così una sorta di esperienza di vita altrui, mentre io credo che mettere le distanze tra sé e le cose che si scrivono è salutare, metterle se si scrive “io” lo è ancora di più: o si finisce di creare un cortocircuito come quello in cui è caduto Mauro Corona
G: Fra il Corona scrittore e il Corona persona non c’è mai stata tutta questa distanza. Corona è prima di tutto personaggio, una personalità debordante, che funziona in televisione, che colpisce. Non sparisce dentro i suoi libri, i libri sono un’emanazione di lui, sono parte della performance. Si comprano e leggono i libri di Corona per essere parte della Corona Experience, immaginarsi un po’ uomini di montagna (o donne col fazzoletto in testa e la polenta sul fuoco), immergersi in un tempo rude, spiccio, senza vanità, senza selfie e Rovazzi e rumore di fondo. Un tempo povero, in cui non dureremmo dieci minuti senza urlare “CHE PALLE RIDATEMI LA CONNESSIONE VOGLIO UN IPHONE 12 TEMPESTATO DI SWAROVSKI PER GUARDARE TEMPTATION ISLAND”, e per questo aspirazionale, perché distante da noi.