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La formazione dell’insegnante di scrittura creativa, 2 / Livio Romano

12 dicembre 2014

di Livio Romano

[Chi volesse proporsi per questa rubrica – che dovrebbe uscire il giovedì mattina presto, ma è già in ritardo di un giorno e mezzo – mi scriva, mettendo nell’oggetto il titolo della rubrica stessa. Ringrazio Livio per la disponibilità. gm]

livio_romanoLe signore che per la prima volta mi invitarono insistevano a volerlo chiamare ciclo di conferenze, ma in quell’epoca non mi sentivo all’altezza di intrattenere alcuno intorno a quella che anche per me restava una materia misteriosa, ambigua, tutta da imparare: la scrittura creativa. Non che oggigiorno, dopo anni e anni di corsi, seminari, laboratori, interventi, e davanti agli uditori più variegati, dai bambini della scuola materna all’associazione professori di italiano della Confederazione Elvetica; non che oggi, dicevo, mi sia facile dare una definizione di ciò che è scrivere in maniera creativa e di ciò che non lo è. Voglio dire, non è questo il punto. Ho continuato a chiamare così i miei incontri – di scrittura, appunto, creativa- perché questo si aspetta la gente, perché da una ventina di anni questa espressione connota una disciplina che aiuti coloro i quali abbiano la passione di scrivere, e più spesso anche l’ambizione di pubblicare, a migliorare la propria prosa narrativa. Ecco: prosa. Perché quando vengono a dirmi «scrivo poesie», li scoraggio subito. So nulla di poesia, io, tantomeno di come si aiuti qualcuno a scriverne. Ma negli ultimi tempi ho abbandonato quest’espressione sfocata e ho preso a chiamare i miei cicli di lezioni con il loro nome: corsi di narrazione. Tuttavia torniamo alle signore. Colte ex professoresse perlopiù di materie letterarie le quali, subito dopo la pubblicazione di un mio raccontino in un’antologia per l’Einaudi, con grandissimo entusiasmo mi chiesero di tenere queste conferenze che io mi battei fossero denominate «Percorsi di lettura con incursioni nella scrittura» così abbandonando il vicolo cieco della creatività. Fu un’esperienza faticosissima.

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“Quella misteriosa disciplina che è la scrittura creativa”

28 novembre 2012

di Livio Romano

Ho cominciato a insegnare scrittura creativa, come la si chiama, praticamente per caso. Erano i tempi del mio esordio einaudiano. Mi chiamava un sacco di gente a concionare sulle questioni più disparate. Mi davano un sacco di soldi. Io ero entrato in questa giostra chiamata “promozione” come un’Alice nel paese delle meraviglie. Mi pareva di dover sempre dire di sì, di non poter mancare ad alcun convegno, di non poter declinare alcun invito.
Non mi divertivo quasi mai, e anzi da subito queste manifestazioni dello Spirito si rivelarono un gran rottura di scatole. E però ci andavo. Spesso beccavo il gettone di presenza: altre volte spendevo soldi miei per pagarmi viaggi e alberghi e baby sitter – ché a 32 anni io avevo già due figlie, ed ero, e sono rimasto, poverissimo, e non ho mai usufruito di alcun aiuto da parte di nonni ed esponenti variegati della Famiglia Mediterranea. […]

Questo articolo di Livio Romano, apparso nel sito di Scuola Twain, non mi convince (lì, nei commenti, dico perché); e tuttavia invito a leggerlo. gm

Otto anni non sono pochi / 11d

11 giugno 2009

[Ultimo articolo su Il più dolce delitto, di Giancarlo Onorato. Degli “amici scrittori”, l’unico – che io sappia – che si prese la briga di leggere il romanzo e pure di scriverne fu Livio Romano. E gliene sono grato. Il suo giudizio sul romanzo è sostanzialmente negativo, ma l’articolo contiene un riconoscimento fondamentale: “Onorato è uno scrittore vero, dotato di una profonda consapevolezza del mezzo utilizzato […] e probabilmente spinto da un sincero afflato fabulatorio”. E a me tanto basta per pensare che io non fui pazzo a innamorarmi di questo libro e che l’editore Sironi non fu pazzo a pubblicarlo. gm]

Lirismo o languore
(vibrisse, 2 giugno 2008, qui)
di Livio Romano

Questo dottor Marlo, psichiatra italiano che s’agita nella Svizzera del 1968, nel Più dolce delitto di Giancarlo Onorato, entra in scena intonando una voce languida e adottando lo stesso timbro va avanti per le restanti 280 pagine del libro. Già dopo un paio di capitoli ho cominciato a sospettare dove avessi già ascoltato quel registro. Nei tanti manoscritti di poetesse dark che riempiono la mia libreria. Nei blog delle studentesse di lettere intitolati “Nascita e declino della polvere di stelle” o “La morte sempre mi sarà sorella”. La differenza rispetto all’ingenuità di quegli esperimenti risiede sostanzialmente nel fatto che Onorato è uno scrittore vero, dotato di una profonda consapevolezza del mezzo utilizzato – uno dei suoi possibili, fra l’altro, essendo quest’autore, oltre che scrittore, anche musicista, pittore, fotografo – e probabilmente spinto da un sincero afflato fabulatorio.

L’uso massiccio e sicuro di allitterazioni, assonanze, omeoteleuti, paronomasie (“ogni cosa sparisce sbiadisce quando tocco con le ginocchia il bordo del suo letto, e la malata seminuda mi sorride annunciando definitivamente il giorno come un trionfo di tristezza, di bellezza”, oppure “…il cui bianco si pone a metà tra l’orgoglio ultimo di vivente e il vagore assente del più fitto nulla, un vero fragore per il pensiero che ognuno ha di sé”) o la semplice ricerca della sineddoche inedita (bellissimo: “scorgere il denso dell’amore”): testimoniano una forte tensione musicale nella scrittura di Onorato.

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“Una lingua sontuosa ed elaborata”

19 febbraio 2009

di Livio Romano

[Questo articolo di Livio Romano è apparso nel Corriere del Mezzogiorno, dorso del Corriere della sera, ieri 18 febbraio 2009].

Carlo Coccioli

Carlo Coccioli

A Taranto è un cognome piuttosto diffuso ma pochi sanno che nel 1920 il sottotenente dei bersaglieri Attilio Coccioli, tarantino di stanza a Livorno, sposando l’ebrea Anna Duranti senza l’obbligatorio regio consenso, oltre ad altri quattro figli concepì Carlo che sarebbe diventato uno degli scrittori di fama mondiale più ostracizzati dalla critica ufficiale, dall’editoria e dalla stampa italiane dal dopoguerra ad oggi. Capace di scrivere indifferentemente anche in francese e spagnolo, autore di più di quaranta opere letterarie e saggistiche pubblicate in dodici lingue, di lui scriveva Tondelli: “In nessun autore italiano contemporaneo è presente una così grande tensione interiore, un’irrequietezza spirituale che poi si traduce in un nomadismo culturale e metafisico assolutamente originale, per non dire eccentrico”.

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