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Creazioni, 18

2 luglio 2013

arciere

Valter Binaghi, A cosa può servire una freccia

Quando il veccchio Re morì, popolo e cortigiani lo piansero entrambi: nelle sale damascate e nei tuguri, nelle osterie rissose e sotto le lugubri arcate del mausoleo. I volti di tutti, però, rivelavano qualcosa più che semplice dolore (ah, potersi abbandonare come bambini al momentaneo sconforto della perdita, e indossare senza incertezze gli abiti listati a lutto!). Ciò che infatti angustiava i più non era la scomparsa del benigno sovrano (negli ultimi tempi, in verità, si era chiuso in uno strano mutismo, e le sue movenze nelle rare apparizioni pubbliche parevano ispirate a una distratta lontananza), ma il destino stesso del regno. Il Re, infatti, non aveva lasciato alcun testamento scritto che esplicitasse le sue ultime volontà, nè un erede designato: cosa questa ancor più singolare, se si pensa che i tre figli maschi erano perfettamente coetanei, nati dall’unico parto trigemino della compianta regina madre, spirata nel darli alla luce.Appena ultimate le esequie, una voce si diffuse dal castello, e immediatamente corse di bocca in bocca: testamento scritto non c’era, tuttavia il defunto sovrano aveva lasciato tre cofani sigillati, chiaramente indirizzati ai figli i cui nomi erano incisi sul prezioso legno di mogano. Nelle intenzioni di quel grande (ultimamente fin troppo silenzioso), quei sigilli dovevano contenere certamente messaggi o doni, che avrebbero permesso di svelare i suoi disegni sulla prole e, con essi, i destini immediati del Regno.
Furono dunque aperti i cofani, in grande solennità, sul palco delle adunanze e alla presenza dei sacerdoti, dei capi dell’esercito e dei tribuni del popolo.

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