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La formazione dell’insegnante di scrittura creativa, 4 / Rossella Monaco
15 gennaio 2015di Rossella Monaco
[Chi volesse proporsi per la rubrica dedicata alla formazione dell’insegnante di scrittura creativa – che esce il giovedì – mi scriva, mettendo nell’oggetto il titolo della rubrica stessa. Ringrazio Rossella per la disponibilità. gm]
Ho ventotto anni appena compiuti e sono un “insegnante di scrittura creativa” da due. Ogni volta che salgo in cattedra non mi sento in grado di insegnare nulla. Mi ci ritrovo sempre un po’ per caso, spinta da tre tipi di necessità: far quadrare i conti, continuare un percorso che da un certo momento in poi è sembrato inevitabile, cercare di non disinammorarmi. All’inizio della mia strada ero piena di concetti ingenui sulla scrittura e il mondo editoriale.
Chi scrive si vergogna quasi sempre di ciò che ha creato e oggi guardando indietro alle mie prime prove, a dieci anni fa, mi chiedo cosa avrei prodotto se allora mi fossi trovata davanti me stessa, in un’aula o in una chat. Non sempre la risposta è confortante. Guardo i volti delle persone che partecipano ai miei corsi: le prime lezioni, ci vedo sconforto, sogni infranti, voglia di mettersi in gioco e di impressionarmi; alla fine, ci vedo consapevolezza. E questo mi dà energia. Paragono l’esperienza dei corsi, con ingenuità e anche un po’ di divertimento, ai miei nove anni, a quando la maestra ci salutò prima delle feste di Natale dicendoci che Babbo Natale non esisteva. Quello che seguì fu un misto di ammirazione e odio. Credo che gli iscritti provino questo nei miei confronti. L’ho capito guardandoli ma anche e soprattutto dai questionari di valutazione anonimi che sottopongo loro alla fine di ogni percorso didattico. Se c’è una cosa che ho imparato dai corsi di scrittura creativa, dai miei alunni, e da questo metodo di valutazione del mio lavoro, è che anche l’ultimo arrivato può insegnare molte cose. È per questo che ho preso coraggio e nonostante la scarsa esperienza, sono qui a raccontare il mio percorso. Funziona come in un circolo di alcolisti anonimi, credo: condividere aiuta me a focalizzare il percorso e spero possa servire ad altri, anche solo a intrattenere o a scatenare insulti o indifferenza, a piacere.
La formazione dello scrittore, 25 / Sergio Garufi
17 novembre 2014[Questo è il venticinquesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice. Le due serie escono, ormai un po’ come viene viene, il lunedì e il giovedì. Ringrazio Sergio per la disponibilità. gm]
Tutti ce l’hanno su con l’imprinting, come le oche di Lorenz. Si parte sempre da lì: la biblioteca paterna, l’aura sacrale dei libri, il bimbo piccolo che spia i genitori assorti nella lettura. A ben vedere, anche le poche esperienze di segno opposto, cioè le storie di chi è diventato scrittore in case prive di libri, sembrano comunque ricondurre tutto a una volontà di riscatto familiare, quasi che fosse impossibile non rapportarsi in qualche modo ai propri genitori. Per quanto mi riguarda, io ho cominciato a scrivere per scommessa. Con l’impegno, la determinazione e soprattutto la spericolatezza cui normalmente si fa ricorso quando s’intende vincere una scommessa. Una scommessa con me stesso, per mettermi alla prova e con l’unico premio della soddisfazione personale, ma anche col mondo, per vedere se riuscivo a farla in barba agli altri. Io partivo da un assunto molto skinneriano, nel senso di Burrus Frederic Skinner, lo psicologo comportamentista americano che sosteneva che l’educazione e l’ambiente sono tutto, e che d’innato abbiamo poco o niente. Datemi dieci bambini piccoli, e fra vent’anni vi restituirò un ingegnere, un avvocato, un calciatore, un cantante, cioè saranno creta nelle mie mani, ne farò quello che voglio io. Basta metterli sotto a studiare e praticare assiduamente una cosa e i limiti congeniti spariranno. Io sono stato lo Skinner di me stesso. A un certo punto della mia vita mi son detto: posso farcela. Se mi ci metto d’impegno la do a bere a chiunque. E cosa c’è di più innato e sacrale della letteratura? L’ispirazione, lo spirito che soffia dove vuole? Io lo farò soffiare a comando, e poi tutti diranno “lo sapevo”, “era nato per quello”.