di Demetrio Paolin
Ho letto con molto interesse il post di Jacopo Nacci su Scrittori precari (qui) e quelle che seguono vogliono essere alcune riflessioni sul tema della vittima fatte in modo molto informale e senza pretesa di completezza. Del lavoro di Nacci citerò un passaggio, da cui prende spunto il mio ragionare.
Mi è venuto spontaneo domandarmi quale fosse il ruolo delle vittime. È una questione sulla quale sto meditando da un po’ di tempo, andando più che altro a intuito: la chiamo la questione delle tecnomistiche, e riguarda la trasformazione delle vittime in simulacri sentimentali.
In questi anni, gli ultimi due più o meno, sto lavorando ad un romanzo, il cui cuore è la storia di un deportato sopravvissuto ai lager nazisti. Quello che mi ha portato a voler raccontare la storia di una vittima e in particolare quel tipo di vittima – tralasciando i discorsi di Girard che mi paiono interessanti ma ex post, cioé sono venuti dopo che la mia testa ha incominciato a ragionare su questa storia – è il desiderio di restituire qualcosa di diverso dal semplice santino/simulacro, con cui spesso si identifica la vittima.