Posts Tagged ‘Jack London’
1 dicembre 2014
di Alberto Cristofori
[Questo è il ventinovesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice. Ringrazio Alberto per la disponibilità. Il magazzino è vuoto, attendo i contributi di alcune persone che si sono impegnate ma hanno bisgono di tempo: la rubrica diventa irregolare. gm]
In principio c’erano i PIC: erano dei librini quadrati, illustrati, con le fiabe classiche (Biancaneve, Cenerentola, Cappuccetto Rosso…) ridotte ad uso dei bambini molto piccoli. Se non ricordo male costavano 50 lire. Mia madre me li leggeva e rileggeva, io li imparavo a memoria e poi facevo finta di leggere anch’io, seguendo col dito e suscitando l’ammirazione (ah! oh!: forse altrettanto finta) dei nonni in visita. Ma forse è vero che, a forza di studiarmeli, man mano che nascevano i miei fratelli e si riduceva il tempo materno a mia disposizione, qualche parola avevo imparato a decifrarla. Sicché, senza mai andare all’asilo, sono arrivato in prima elementare che in effetti, bene o male, leggevo.
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Tag:Abraham Lincoln, Agnolo Poliziano, Alexandre Dumas, Arthur Rimbaud, Charles Baudelaire, Dante Alighieri, Elsa Morante, Emilio Bigi, Emilio Salgari, Eugenio Montale, Federico De Roberto, Gabriele Dadati, Giacomo Leopardi, Giorgio Manganelli, Giovanni Raboni, Giovanni Testori, Giovanni Verga, Giuseppe Parini, Giuseppe Ungaretti, Jack London, James Brook, Johann Sebastian Bach, Johann Wolfgang von Goethe, Jules Verne, Lucio Mastronardi, Luigi Meneghello, Luigi Pirandello, Matteo Maria Boiardo, Robert Louis Stevenson, Salvatore Quasimodo, Ugo Foscolo, Vamba, Vittorio Spinazzola, Walter Scott
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24 luglio 2014
di Marco Candida
[Questo è il decimo articolo della serie La formazione dello scrittore, che appare in vibrisse il giovedì (ed è parallela a quella La formazione della scrittrice, che appare invece il lunedì). Ringrazio Marco per la disponibilità. Con questo articolo la rubrica va in vacanza: riprenderà giovedì 4 settembre con il contributo di Raul Montanari. gm]
Ho scritto il primo romanzo a dodici anni. 1990. Quell’anno passavano in televisione la serie televisiva Twin Peaks. Avevo visto La Casa Russia con Sean Connery e Michelle Pfeiffer. A scuola leggevamo in classe Zanna Bianca di Jack London e avevo trovato presso le bancarelle in Piazza Duomo a Tortona Martin Eden e Il richiamo della foresta nell’edizione cartonata e molto voluminosa dei Fratelli Melita. Il richiamo della foresta è stato un grande libro, ma Martin Eden è stato un libro che ha rappresentato per me, come per molti altri, un caposaldo. Casa Russia. Twin Peaks. Martin Eden. Ricordo d’essermi seduto per la prima volta alla scrivania nella mia stanza soprattutto con le suggestioni e le atmosfere date da queste storie nella testa – come non rimanere suggestionati dalla colonna sonora composta da Angelo Badalamenti per la serie televisiva girata da David Lynch? E’ venuto fuori un romanzo lunghissimo scritto in sei mesi con tre diversi tipi di penne (una penna biro blu, una Bic nera e poi un bavoso tratto pen) in un quadernetto con la copertina rigida (che recava l’immagine della maglietta della Juventus con qualche adesivo acquistato in un negozio sottocasa dal nome Chewing-gum, vera e propria oasi di colori, plastica e gomma nel grigiore paludoso, di pietra e di stucco, della mia città natale) con fogli a spirale a quadretti e poi a righe. Ora che lo riguardo mi accorgo come nel quaderno i caratteri della grafia diventino sempre più piccoli man mano che la narrazione procede. Più il romanzo si scioglie e diventa solo una storia e non il tentativo di un ragazzo di scrivere, di fare lo scrittore e più la grafia si rimpicciolisce, cosa che forse suggerisce una forma di pudore: nelle parti dove non stavo facendo lo scrittore, ero soltanto me stesso con una penna e dei fogli e questo mi procurava imbarazzo, e scrivevo piccolo per rendere quello scritto accessibile solo a me, comprensibile solo ai miei occhi e a nessun altro sguardo occasionale – mi figuravo i miei genitori curiosare tra le mie cose e poi me li figuravo leggerle agli Elemento o ai Taverna o a Piero e Assunta. Ciò che è davvero interessante del quadernetto si trova nella prima pagina. C’è una griglia con un calcolo approssimativo del numero di parole all’interno del romanzo. Se non ricordo male era un discorso letto per la prima volta proprio presso Jack London. Tenere conto del numero di parole in uno scritto. Mi stupisce ora pensare che un ragazzino di dodici anni si appassionasse a dettagli come calcolare il numero di parole dei suoi romanzi perché è una questione molto molto tecnica – e nemmeno particolarmente praticata presso i più affermati scrittori nostrani. Di qua avevamo un ragazzo che aveva attaccato il suo romanzo con la descrizione del canto del gallo, delle foglie nella rugiada, l’alba e di là lo stesso ragazzo vedeva tutte quelle cose con sguardo aritmetico, considerava ogni emozione e palpito dato dalla prosa come quantità.
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Tag:Agatha Christie, Alexandre Dumas, Alistair MacLean, Andrea Agassi, Angelo Badalamenti, Arthur Rimbaud, Arthur Schopenhauer, Baruch Spinoza, Beppe Fenoglio, Brian Lumely, Carlo Cassola, Carlo Sini, Cesare Pavese, Charles Baudelaire, Charles Dickens, Clive Cussler, Dan Brown, David Lynch, E. Phillips Oppenheim, Elizabeth Harris, Elmore Leonard, Emanuele Severino, Emilio Salgari, Ernest Hemingway, Fëdor Dostoevskij, Franx Kafka, Frederick Forsyth, Friedrich Nietzsche, Gabriel García Márquez, Graham Greene, Guy de Maupassant, Harold Robbins, Honoré de Balzac, Italo Calvino, Ivan Turgenev, Jack Higgins, Jack London, Jackie Collins, John Grisham, John LeCarré, John Steinbeck, Joseph Conrad, Ken Follett, L. Ron Hubbard, Lawrence Sanders, Lorenza Ronzano, Ludwig Wittgenstein, Luisa Pianzola, Marco Candida, Mario Puzo, Michael Jackson, Michail Bulgakov, Michelle Pfeiffer, Monica Winters, Norman Mailer, Paul Verlaine, Philip Cornford, Pier Paolo Pasolini, Ramsey Campbell, Richard Laymon, Robert Louis Stevenson, Robin Cook, Sean Connery, Stephen King, Tom Clancy, William Faulkner, Wolfgang Goethe, Wolfgang Mozart
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23 giugno 2014
di Simona Vinci
[Questo è il ventiquattresimo articolo della serie La formazione della scrittrice (esce il lunedì), alla quale si è ora affiancata la serie La formazione dello scrittore (esce il giovedì). Ringrazio Simona per la disponibilità. gm].
Ricordo con chiarezza il tempo in cui nella mia vita la scrittura – la mia, ma soprattutto quella degli altri – non c’era: un tempo così breve da farmi pensare che, forse, nella mia vita la scrittura ci sia sempre stata, anche prima che imparassi a distinguerla e riconoscerla.
Ho cominciato a leggere molto presto, prima delle scuole elementari, e le mie letture da subito sono state voraci e onnivore. Nella casa dove abitavamo allora c’era una stanza che chiamavamo “la stanza della televisione”, era una specie di salottino, con un divano, una televisione ovviamente e un lungo scaffale che correva ad angolo su due pareti: lì, c’erano i libri di mia madre. Tascabili, edizioni economiche e Club degli Editori, soprattutto. I miei genitori non erano persone colte – nessuno dei due è laureato – ma mia madre è sempre stata una grandissima lettrice. Saggi, romanzi, poesie, filosofia, psicoanalisi. Leggeva nel modo confuso in cui leggono quelli che hanno fame ma non hanno le basi per apprezzare l’alta cucina; questo però le permetteva una grande libertà che piano piano la affinava e offriva a me un panorama – ristretto a quegli scaffali, certo, ma che vista!- che comprendeva universi distanti: Erica Jong stava accanto a Baudelaire, Pirandello di fianco a Erskine Caldwell e io tutto toccavo, sfogliavo e assimilavo.
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Tag:Alberto Bertoni, Carlo Lucarelli, Charles Baudelaire, Erika Jong, Erskine Caldwell, Giacomo Manzoli, Giampiero Rigosi, Giancarlo Sissa, Jack London, Loriano Macchiavelli, Luigi Bernardi, Luigi Pirandello, Marcello Fois, Sergio Rotino, Simona Vinci, Stefano Semeraro, Stefano Tassinari, Vincenzo Bagnoli
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