24 luglio 2014
di Marco Candida
[Questo è il decimo articolo della serie La formazione dello scrittore, che appare in vibrisse il giovedì (ed è parallela a quella La formazione della scrittrice, che appare invece il lunedì). Ringrazio Marco per la disponibilità. Con questo articolo la rubrica va in vacanza: riprenderà giovedì 4 settembre con il contributo di Raul Montanari. gm]
Ho scritto il primo romanzo a dodici anni. 1990. Quell’anno passavano in televisione la serie televisiva Twin Peaks. Avevo visto La Casa Russia con Sean Connery e Michelle Pfeiffer. A scuola leggevamo in classe Zanna Bianca di Jack London e avevo trovato presso le bancarelle in Piazza Duomo a Tortona Martin Eden e Il richiamo della foresta nell’edizione cartonata e molto voluminosa dei Fratelli Melita. Il richiamo della foresta è stato un grande libro, ma Martin Eden è stato un libro che ha rappresentato per me, come per molti altri, un caposaldo. Casa Russia. Twin Peaks. Martin Eden. Ricordo d’essermi seduto per la prima volta alla scrivania nella mia stanza soprattutto con le suggestioni e le atmosfere date da queste storie nella testa – come non rimanere suggestionati dalla colonna sonora composta da Angelo Badalamenti per la serie televisiva girata da David Lynch? E’ venuto fuori un romanzo lunghissimo scritto in sei mesi con tre diversi tipi di penne (una penna biro blu, una Bic nera e poi un bavoso tratto pen) in un quadernetto con la copertina rigida (che recava l’immagine della maglietta della Juventus con qualche adesivo acquistato in un negozio sottocasa dal nome Chewing-gum, vera e propria oasi di colori, plastica e gomma nel grigiore paludoso, di pietra e di stucco, della mia città natale) con fogli a spirale a quadretti e poi a righe. Ora che lo riguardo mi accorgo come nel quaderno i caratteri della grafia diventino sempre più piccoli man mano che la narrazione procede. Più il romanzo si scioglie e diventa solo una storia e non il tentativo di un ragazzo di scrivere, di fare lo scrittore e più la grafia si rimpicciolisce, cosa che forse suggerisce una forma di pudore: nelle parti dove non stavo facendo lo scrittore, ero soltanto me stesso con una penna e dei fogli e questo mi procurava imbarazzo, e scrivevo piccolo per rendere quello scritto accessibile solo a me, comprensibile solo ai miei occhi e a nessun altro sguardo occasionale – mi figuravo i miei genitori curiosare tra le mie cose e poi me li figuravo leggerle agli Elemento o ai Taverna o a Piero e Assunta. Ciò che è davvero interessante del quadernetto si trova nella prima pagina. C’è una griglia con un calcolo approssimativo del numero di parole all’interno del romanzo. Se non ricordo male era un discorso letto per la prima volta proprio presso Jack London. Tenere conto del numero di parole in uno scritto. Mi stupisce ora pensare che un ragazzino di dodici anni si appassionasse a dettagli come calcolare il numero di parole dei suoi romanzi perché è una questione molto molto tecnica – e nemmeno particolarmente praticata presso i più affermati scrittori nostrani. Di qua avevamo un ragazzo che aveva attaccato il suo romanzo con la descrizione del canto del gallo, delle foglie nella rugiada, l’alba e di là lo stesso ragazzo vedeva tutte quelle cose con sguardo aritmetico, considerava ogni emozione e palpito dato dalla prosa come quantità.
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Tag:Agatha Christie, Alexandre Dumas, Alistair MacLean, Andrea Agassi, Angelo Badalamenti, Arthur Rimbaud, Arthur Schopenhauer, Baruch Spinoza, Beppe Fenoglio, Brian Lumely, Carlo Cassola, Carlo Sini, Cesare Pavese, Charles Baudelaire, Charles Dickens, Clive Cussler, Dan Brown, David Lynch, E. Phillips Oppenheim, Elizabeth Harris, Elmore Leonard, Emanuele Severino, Emilio Salgari, Ernest Hemingway, Fëdor Dostoevskij, Franx Kafka, Frederick Forsyth, Friedrich Nietzsche, Gabriel García Márquez, Graham Greene, Guy de Maupassant, Harold Robbins, Honoré de Balzac, Italo Calvino, Ivan Turgenev, Jack Higgins, Jack London, Jackie Collins, John Grisham, John LeCarré, John Steinbeck, Joseph Conrad, Ken Follett, L. Ron Hubbard, Lawrence Sanders, Lorenza Ronzano, Ludwig Wittgenstein, Luisa Pianzola, Marco Candida, Mario Puzo, Michael Jackson, Michail Bulgakov, Michelle Pfeiffer, Monica Winters, Norman Mailer, Paul Verlaine, Philip Cornford, Pier Paolo Pasolini, Ramsey Campbell, Richard Laymon, Robert Louis Stevenson, Robin Cook, Sean Connery, Stephen King, Tom Clancy, William Faulkner, Wolfgang Goethe, Wolfgang Mozart
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29 Maggio 2014
di Mario Benedetti
[Questo è il secondo articolo della serie La formazione dello scrittore (parallela a quella La formazione della scrittrice), che apparirà in vibrisse il giovedì. Ringrazio Mario per la disponibilità. L’ospite della prossima settimana sarà Tullio Avoledo. gm]
Dove sono nato? In un capoluogo di provincia, Udine. Poi sono vissuto in un paese della pedemontana tra Cividale e San Daniele del Friuli. Lì quasi tutte le strade erano non asfaltate e senza fognatura. Dalle frazioni di montagna giungevano i bambini per andare alle Elementari e avevano il passo di chi sa unicamente arrampicarsi o scivolare, con il corpo che perde peso. Erano strani e stavano per conto loro. Ricordo che da un ragazzo universitario, fatto eccezionale, di quelle borgate dopo qualche anno avevo ricevuto un libro per metà illustrato, il romanzo La nausea di Sartre ma non so quale edizione fosse. I cortili che davano sulle vie avevano orti con anatre, galline, letame. C’era una segheria, la pesa pubblica, boscaioli, contadini. Come nel romanzo I ragazzi della via Pal. Da qualche casa uscivano i lamenti di un anziano, di un coetaneo, e di loro si parlava a bassa voce. Non so se ricordo prima Ferenc Molnár o Cesare Pavese: qualche poesia di Lavorare stanca che raccontava della vita di paese. Bei temi in quinta elementare, mi diceva la maestra, uno sulle screpolature che avevano i palmi delle mani di mio padre, e poi la lettura di un racconto commovente di David Maria Turoldo, le prose brevi di Ivan Turgenev e le lettere della Povera gente di Dostoevskij. Certo, Delitto e castigo, anche questo fornito di illustrazioni. Nessuna fiaba. Ricordo alcuni disegni di Alfred Kubin e il passare pomeriggi a rifare le poesie di scuola: Pascoli, Leopardi. Maldestre imitazioni.
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Tag:Alfred Kubin, Cesare Pavese, Clemente Rebora, David Maria Turoldo, Fëdor Dostoevskij, Ferenc Molnár, Franco Volpi, Giacomo Leopardi, Giovanni Pascoli, Giuseppe Ungaretti, Ivan Turgenev, Jean-Paul Sartre, Lorenzo Renzi, Milo De Angelis, Noam Chomsky, Octave Mannoni, Silvio Ramat, William Labov
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