Posts Tagged ‘Il culto dei morti’

Il culto dei morti nell’Italia contemporanea

16 luglio 2009

di Francesco Sasso

[Questo articolo è apparso in Retroguardia 2.0. Ricordo che Il culto dei morti nell’Italia contemporanea è prelevabile gratis in pdf cliccando qui. gm].

[…] Ad una prima lettura, Il Culto si riallaccia all’esperienza di tanta poesia sperimentale, cioè a quel filone pur sempre convenzionale che identifica la poesia come “rottura dalla convenzione”.
Lo stesso autore, nella Nota, ci informa che «il genere letterario al quale questo lavoro appartiene» è «l’oratoria».
Dando per assodato che sarebbe necessario esaminare la struttura de Il culto dei morti nell’Italia contemporanea per se stessa, è sempre interessante occuparsi anche delle analogie al di là delle fonti e delle influenze. Quindi, mi piace pensare che l’opera di Mozzi, più che all’oratoria, appartenga al genere della Satura. […]

Leggi tutto l’articolo in Retroguardia 2.0.

482, 396, 2 (e vibrisselibri, e altro)

6 Maggio 2009
Se son rose, fioriranno.

Se son rose, fioriranno.

di giuliomozzi

Da quando li ho pubblicati e pubblicizzati qui in vibrisse, vedo che sono stati prelevati 482 esemplari del (non) corso di scrittura e narrazione e 396 esemplari de Il culto dei morti nell’Italia contemporanea. Mentre del libro Le vostre mani, appese, sono state acquistate in tutto 2 copie (e faccio notare che per ricevere il libro a casa si spendono 6,30 euro più le spese di spedizione; per prelevare un pdf si spende un euro e quaranta centesimi: assai poco, dunque).

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“Uno sguardo metropolitano sul sesso e la morte”

27 febbraio 2009

di Ermanno Krumm

[Questo articolo di Ermanno Krumm apparve nel Corriere della sera del 19 luglio 2000. Nei prossimi giorni il libro Il culto dei morti nell’Italia contemporanea, pubblicato nel 2000 da Einaudi, sarà reso gratuitamente prelevabile, in formato pdf, qui in vibrisse. gm]

In un poemetto libero e giocoso Giulio Mozzi getta uno sguardo metropolitano sul sesso e la morte. L’ idea di partenza per Il culto dei morti nell’Italia contemporanea nasce da uno scritto dell’antropologo Marco d’Eramo. Ma la serietà del titolo è assolutamente disattesa. E lo è in fondo anche quella relazione particolare che da sempre stringe insieme poesia e morte. Un nesso paradossalmente sottolineato, anche due anni fa, nella curiosa autobiografia, in prosa, di un poeta che di mestiere fa il becchino: le Confessioni di un becchino poeta, di Thomas Lynch, uscite da Zelig.
Nel suo libro – una sarabanda in versi scritta da un narratore – Mozzi parla della morte con leggerezza, come se la gravità del tema lo sollevasse da ogni preoccupazione, permettendogli di trattare liberamente di qualsiasi altra cosa. Le 13 sezioni del poemetto (alcune a quattro mani, come l’ultimo racconto del suo precedente La felicità terrena) passano dalla vittima del cavalcavia di Tortona a Moana Pozzi. Qui si innesca il tema amoroso-sessuale ripreso, per esempio, nell’invito del poeta, che si immagina presentatore di una serata, e chiama gli ospiti a gridare sul palcoscenico il nome della persona amata. Anche le immagini più macabre finiscono col divertire: sembrano girate come in un film muto. La resurrezione è un buon pretesto per pensare alla sorte di gambe tagliate, appendici e prostate. Mentre gli animali proliferano: topi da sterminare o cani coinvolti in rituali sadici tra le lenzuola. Niente paura. Persino le peggiori situazioni scivolano via tra una canzonetta, come quella dell’uomo appeso per i piedi, una preghierina e un recitativo.
E avanti così, attraverso piccole sfasature, effetti e qualche ingrediente tipico dell’ avanguardia: per esempio, quando nel testo entrano brani di cronaca. Qui, però, non c’è nulla di programmatico. Prevale un dispositivo a più velocità, capace di passare dalla breve sequenza teatrale al gioco di società, dalla cronaca al monologo.
Poesia o non poesia? Che importa, visto che un’ ora di lettura è trascorsa piacevolmente e non senza sorprese.

“Esiste ancora lo scrittore ‘civile’?”

26 febbraio 2009

di Mario Belpoliti

[Questo articolo di Marco Belpoliti apparve nel settimanale L’Espresso dell’1 febbraio 2001. Nei prossimi giorni il libro Il culto dei morti nell’Italia contemporanea, pubblicato nel 2000 da Einaudi, sarà reso gratuitamente prelevabile, in formato pdf, qui in vibrisse. gm]

Esiste ancora lo “scrittore civile”, quello che si fa carico di ricordare ai suoi lettori di essere parte di una comunità di cittadini, di uno Stato? Uno scrittore che tratta temi “politici”, della polis? Dopo la scomparsa di Pasolini e di Sciascia, anche la figura dello “scrittore civile” sembra essersi eclissata dal paesaggio della letteratura italiana. C’è un grande scrittore civile, Alberto Arbasino, ma anche lui appartiene a quella generazione. Lo ha ricordato di recente Franco Cordelli, gli scrittori nati negli anni Cinquanta (Piersanti, Lodoli, De Carlo, Palandri, ecc.), per non doversi misurare con le figure giganti dei Padri, hanno abbandonato il campo dell’impegno civile e sono messi a raccontare un mondo di sentimenti, una quotidianità, in molti casi, a “bassissima definizione”.
Adesso sembra che qualcosa stia cambiando, s’affaccia una nuova leva di autori, nata negli affluenti anni Sessanta, alcuni già noti, che manifesta un nuovo interesse per la letteratura civile. Ne è un esempio il libro di Giulio Mozzi, Il culto dei morti nell’Italia contemporanea, uscito mesi fa e passato quasi sotto silenzio. E’ un libro importante, non solo o non tanto per i suoi risultati letterari – è un poema strutturato in 13 parti, racconti in bilico tra poesia e prosa – quanto per l’atteggiamento che assume l’autore. Non a caso, tra i suoi molti modelli, c’è anche Le ceneri di Gramsci di Pasolini. La morte è un tema spesso rimosso dai discorsi quotidiani, i morti invece no. I morti fanno parte del nostro paesaggio mentale: la vita delle persone è fatta non solo dai “presenti”, ma anche dagli “assenti”. Lo stesso vale anche per la società: senza i morti, una polis è dimezzata.
Mozzi è uno “scrittore civile” perché dialoga coi morti, famosi e no, tratta del sesso, si rivolge a Dio, s’interroga sulle ragioni dei vivi in questo paese che abitiamo. Lo fa con una voce forte, a tratti ironica, sarcastica, sempre dolente. Si può essere “scrittori civili” solo se si è scrittori sentimentali ed elegiaci. Mozzi lo è.

Dei confini tra il notiziario e la preghiera

25 febbraio 2009

di Aldo Nove

[L’articolo di Aldo Nove che leggete qui sotto apparve dieci anni fa nella rivista Fernandel. Nei prossimi giorni il libro Il culto dei morti nell’Italia contemporanea, pubblicato nel 2000 da Einaudi, sarà reso gratuitamente prelevabile, in formato pdf, qui in vibrisse. gm]

Morte e linguaggio. Simulacri prossimi l’un l’altro all’assente (qui e adesso, a dio) che Giulio Mozzi assembla nel Culto dei morti nell’Italia contemporanea con una precisione miracolosa. Con l’enfasi della catalogazione che si approssima al sinfonico, che lo sovrasta. Che ne diventa l’alibi più naturale. Con un inaudito svaporamento dei confini tra il notiziario e la preghiera. Dei confini tra pudore e ostentazione oscena. Dei confini (in questo senso, e in nessun altro, quella del Culto dei morti è una poesia «sperimentale»).
Nello scorrere di questi versi il dato biologico (l’eco che ne pervade il resoconto) oppone alla metafisica la sua disarmante presenza, la lascia decantare nel cut-up che campiona endecasillabi e prosa giornalistica, accordati sulla stessa pulsazione sinistra, ineludibile: la percezione della morte come fatto inesorabilmente individuale (come dato, potremmo dire ampollando il lessico, evenementale). La morte di Antonio Porta, la morte di Moana Pozzi, la morte interiore di quelle parate funebri che sono i premi letterari e insomma la morte di tutte le «persone» che emergono dall’opera ha la stessa spietata non pervasività del quotidiano dimesso che ci abita in esubero, ormai strutturale, di informazioni inutili («Sì lo so, notizie, soltanto notizie», scriveva Milo De Angelis vent’anni fa). Giulio separa alchemico le spoglie multimediali dell’ombre dei cipressi del millennio consumato, le consegna alla pietà che non si dice per troppo pudore, e pulsa fortissima negli andare a capo di una tradizione che sprofonda nell’incubo dei dati, nella «normalità», ancóra biologica, della morte a Sarajevo e oggi a Pristina

e potrei andare avanti a scrivere pagine e pagine di divagazioni attorno agli stimoli che questo libro mi ha dato. Invece chiudo qui, per dare un termine e scrivere l’unica frase che volevo davvero scrivere e che non sento infettata da un approccio da lettore che tende comunque a fare proprie istanze poetiche che poi sono di Giulio, e che nemmeno so se interpreto correttamente.
Il culto dei morti nell’Italia contemporanea è uno dei più bei libri di poesia italiana del Secondo dopoguerra che abbia letto.

“Un libro fondamentale per la letteratura italiana (sul piano della sociologia letteraria in coincidenza con quello delle poetiche)”

25 febbraio 2009

di Giuseppe Genna

[Questo articolo di Giuseppe Genna apparve in I Miserabili il 9 marzo 2005. Nei prossimi giorni il libro Il culto dei morti nell’Italia contemporanea, pubblicato nel 2000 da Einaudi, sarà reso gratuitamente prelevabile, in formato pdf, qui in vibrisse. gm]

Compio un’operazione in corpore vili: non il corpo del giudizio critico, diciamo invece sul corpo del giudizio allucinatorio. Non so se questa ulteriore dimostrazione della mobilità del criterio miserabile possa essere utile a comprendere la modalità acritica che guida la stesura dei miei interventi su queste pagine. E’ più probabile che la cosa indigni o si pensi a una gratuita operazione estetica o, peggio, a un’indebita leccata di culo. Nelle mie intenzioni, invece, si tratta di mostrare come un criterio aperto sia l’approccio alla storia e ai testi che, su queste pagine, mi interessa. Trovo che una religione indegna e innaturale sia quella della cristallizzazione del giudizio e dell’attenzione. Non è cristallizzando, e soprattutto non è cristallizzando il criterio che fattosi linguistico, che si può – letterale – godere la storia. Io godo della storia per immersione e movimento, per abbattimenti sequenziali del me, dell’idea che non può essere unica. Un simile movimento cade sotto leggi fisiche molto sottili, la cui grammatica cerco di chiarire nell’area Ultrapsichica.
Veniamo dunque all’enunciazione di un frame del movimento a cui è sottoposto il miserabile criterio: il finto poema a firma Giulio Mozzi Il culto dei morti nell’Italia contemporanea (Einaudi, 2000) è un libro fondamentale per la letteratura italiana.

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